Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 6 agosto 2020, n. 23594.
Quando il giudice di appello riformi la pronuncia assolutoria del primo grado è richiesta richiede l’adozione della cosiddetta “motivazione rafforzata”, consistente nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina delle questioni controverse, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. Ciò, peraltro, vale solo con riferimento alle sole questioni relative all’accertamento e ricostruzione del fatto, perché la necessità, per il giudice di appello, di redigere una motivazione “rafforzata” sussiste solo allorché la riforma della decisione di primo grado si fondi su una mutata valutazione delle prove acquisite, e non anche quando essa sia legittimata da una diversa valutazione in diritto, operata sul presupposto dell’erroneità di quella formulata del primo giudice.
Sentenza 6 agosto 2020, n. 23594
Data udienza 11 giugno 2020
Tag – parola chiave: Estorsione aggravata dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa – Dichiarazioni alla pg autoindizianti – Utilizzabilità nei confronti di terzi – Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – Chiamata in correità – Valutazione della convergenza e attendibilità – Profitto ingiusto – Nozione – Censure inammissibili
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirella – Presidente
Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere
Dott. FILIPPINI Stefano – rel. Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/03/2019 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. STEFANO FILIPPINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS); la dichiarazione di inammissibilita’ per il ricorso di (OMISSIS) e l’annullamento con rinvio relativamente al capo L2 per (OMISSIS) con rigetto per il resto;
Uditi i difensori:
L’avv. (OMISSIS), per le parti civili chiede il rigetto dei ricorsi e deposita istanze di liquidazione delle spese;
gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), previa revoca delle istanze di differimento, insistono per l’accoglimento del ricorso di (OMISSIS);
Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) insistono per l’accoglimento del ricorso di (OMISSIS);
L’avvocato (OMISSIS) (d’ufficio) insiste per l’accoglimento- del ricorso di (OMISSIS);
L’avvocato (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso di (OMISSIS).
CONSIDERATO IN FATTO
1.La Corte di appello di PALERMO, con sentenza in data 25.3.2019, riformava parzialmente la sentenza pronunciata nelle forme del giudizio abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare di PALERMO in data 3.4.2017, resa nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre che in relazione ad altri soggetti rimasti estranei al giudizio di legittimita’ o le cui posizioni sono state separate dal presente giudizio).
1.2. Con la sentenza di primo grado gli attuali imputati sono stati assolti dai rispettivi addebiti; in forza di gravame interposto dalla pubblica accusa e dalle parti civili, la corte territoriale, all’esito di ampia rinnovazione istruttoria (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata), accoglieva parzialmente gli appelli e, ribaltando la statuizione assolutoria, affermava la penale responsabilita’: -di (OMISSIS) per i capi di imputazione rubricati come P, V (limitatamente all’estorsione di Euro 10.000), W, L2 e M2; -di (OMISSIS) per i capi T e S3; -di (OMISSIS) per il capo W; -di (OMISSIS) per il capo U4. Determinava per tutti le pene, le statuizioni accessorie e quelle civili.
1.3. Quanto al contenuto dei differenti addebiti, trattasi di plurime vicende estorsive commesse in piu’ territori della provincia di Palermo, ascritte agli imputati nella forma aggravata dal metodo mafioso e dalla finalita’ agevolativa della famiglia mafiosa di Bagheria, poste in essere ai danni di numerosi operatori commerciali o imprenditori operanti in quei territori.
2. Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori, deducendo i motivi che partitamente si riassumono nei termini che seguono.
(OMISSIS) deduce:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato da parte della corte territoriale in relazione al capo W della rubrica; il giudice d’appello ha riformato la pronuncia assolutoria poiche’ ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa (OMISSIS), da giudicare invece inutilizzabili erga omnes ai sensi dell’articolo 63 c.p.p., avendo il predetto confessato, nella medesima sede dichiarativa, precedenti proprie condotte penalmente illecite. La corte territoriale ha ritenuto non operante il divieto di cui alla norma processuale appena citata in considerazione della risalenza dei fatti ammessi dal dichiarante, tutti ampiamente prescritti. Tale rilievo non puo’ essere condiviso attesa l’assolutezza del divieto -che impone l’interruzione della raccolta di informazioni al solo emergere di indizi di reita’ a carico del dichiarante-, indipendentemente da qualsiasi valutazione di fondatezza sul contenuto delle dichiarazioni stesse. Comunque, e’ mancato l’avviso di cui all’articolo 64 c.p.p., comma 3, lettera c),; e non rileva la circostanza se le dichiarazioni di cui si tratta siano state rese spontaneamente o dietro richiesta degli inquirenti. Dunque, le accuse formulate dal (OMISSIS), che comunque vanno ritenute inadeguate a fondare una condanna (come affermato dal primo giudice), debbono pure ritenersi inutilizzabili erga omnes, come gia’ affermato anche dalla Cassazione (si cita Sez. 6, n. 6425/1994).
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione rispetto alla affermazione di penale responsabilita’ in relazione al capo W della rubrica, fondata su dichiarazioni accusatorie inidonee anche per assenza di validi elementi di riscontro; pur avendo la corte territoriale riconosciuto l’esigenza di reperire validi riscontri alle dichiarazioni del (OMISSIS), per giunta deceduto nel frattempo, ha erroneamente individuato questi ultimi nel dichiarato del figlio della persona offesa ( (OMISSIS)) e in quello dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), senza rilevare il difetto di specificita’ e di idoneita’ individualizzante, o verificare l’autonomia della fonte conoscitiva. Omessa risulta anche la verifica della intrinseca attendibilita’ del (OMISSIS), il quale puo’ essere stato spinto ad accusare il ricorrente in forza della precedente vicenda illecita che lo aveva coinvolto, fonte di contrasti relativi alla spartizione dei proventi delle attivita’ economiche svolte dall’imprenditore (OMISSIS) grazie agli accordi illeciti per l’acquisizione di appalti pubblici nel comune di (OMISSIS). Quanto ai riscontri, questi non possono certo individuarsi nelle dichiarazioni del (OMISSIS), perche’ de relato e comunque aventi la propria fonte nel medesimo (OMISSIS); neppure utili risultano le dichiarazioni del figlio della persona offesa ( (OMISSIS)), prive di qualunque particolare individualizzante rispetto all’imputato, fondate su quanto appreso dal padre e comunque non foriere di elementi utili all’accusa; neppure idonee a fungere da riscontro sono le dichiarazioni del (OMISSIS), che presentano un elemento di insanabile conflitto nella ricostruzione del fatto (circa la partecipazione diretta dello (OMISSIS) all’azione estorsiva). Per giunta, la sentenza d’appello non affronta espressamente quest’ultimo profilo di criticita’, che aveva indotto il primo giudice ad assolvere. Frutto di travisamento e’ poi la circostanza secondo la quale il collaborante (OMISSIS) avrebbe indicato il (OMISSIS) come responsabile della famiglia mafiosa di (OMISSIS) o affermato la presenza del medesimo ai colloqui tra (OMISSIS) e lo (OMISSIS); a tal fine si allega al ricorso il verbale delle dichiarazioni rese in appello dal (OMISSIS).
2.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena; la motivazione che sorregge il primo diniego e’ generica e non tiene conto delle specifiche posizioni dei diversi imputati e, per il (OMISSIS), dell’assenza di personale arricchimento, dell’estraneita’ ai rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dalla assenza di condotte violente o minacciose come pure del ruolo secondario e fungibile. Anche l’entita’ della pena, notevolmente superiore al minimo edittale, non trova adeguata giustificazione nella sentenza impugnata.
(OMISSIS) deduce:
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ da parte della corte d’appello in relazione al capo U4; la decisione si fonda sulle sole dichiarazioni, giudicate sufficienti, della persona offesa (OMISSIS), senza considerare le evidenti discrasie rispetto a quanto dichiarato da (OMISSIS). Il ruolo attribuito e’ comunque di semplice mediatore e non e’ confermato ne’ da (OMISSIS), ne’ da (OMISSIS), ne’ da (OMISSIS). La sentenza d’appello non esamina adeguatamente le ragioni che avevano spinto il primo giudice ad assolvere e privilegia la versione di (OMISSIS) senza considerare l’assenza di riscontri esterni, di riconoscimenti fotografici o di descrizioni fisiche o individualizzanti del (OMISSIS). Il (OMISSIS) infatti non fa alcun riferimento al (OMISSIS). Neppure il (OMISSIS) coinvolge il (OMISSIS) nella vicenda estorsiva e dunque la pronuncia di condanna si e’ sottratta al necessario approfondimento valutativo del dichiarato accusatorio rispetto ad un profilo decisivo ai fini di condanna e non ha certo reso la motivazione rafforzata richiesta dalla giurisprudenza o l’attenta valutazione della attendibilita’ della persona offesa, smentita in piu’ punti dalle dichiarazioni dei richiamati collaboratori.
2.5. Con atto pervenuto in cancelleria il 17 febbraio 2020 il ricorrente personalmente formula motivi aggiunti con i quali si sottolineano carenze dimostrative in relazione al dichiarato di (OMISSIS).
(OMISSIS) deduce;
2.6. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ operata dalla corte territoriale con riferimento al capo S3; il primo giudice aveva assolto l’imputato in considerazione delle dichiarazioni della persona offesa, (OMISSIS), che aveva escluso i fatti, della genericita’ delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e dell’insufficienza di quelle del (OMISSIS); all’esito della rinnovazione istruttoria disposta in appello, la corte territoriale e’ invece giunta a conclusioni di condanna alla luce di un solo dato nuovo, costituito dalla individuazione della fonte diretta delle informazioni riferite dal (OMISSIS), senza effettuare adeguata valutazione dei residui elementi discordanti, primo dei quali e’ quello della data di commissione, contestata nel 2005, mentre risulta che l’imputato e’ stato detenuto a partire dal 25.1.2005. Neppure vi e’ coincidenza quanto al luogo ove sono stati posti in essere gli atti intimidatori, contestati in (OMISSIS), mentre nell’atto di appello del PM vengono riportate le accuse del collaboratore (OMISSIS) che li colloca nel territorio di (OMISSIS). Ne’ viene giustificata la qualifica di reticente rispetto alle dichiarazioni della persona offesa, la quale comunque ha riferito di aver subito atti intimidatori seppure diversi da quelli contestati. Evidente e’ dunque la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata.
2.7. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ operata dalla corte territoriale con riferimento al capo T; inutilizzabili risultano le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), posto che sono state rese da soggetto che doveva essere sentito quale indagato; comunque tali dichiarazioni sono generiche in ordine ai tempi, all’ammontare e alle modalita’ di consegna del denaro; la persona offesa e’ inattendibile in quanto sostanzialmente definita dal (OMISSIS) come imprenditore colluso con la famiglia mafiosa di (OMISSIS). Ne’ ricorre l’elemento della minaccia, che per un soggetto colluso con i mafiosi non puo’ essere implicita. Per giunta quanto dichiarato dal (OMISSIS) non puo’ fungere da riscontro rispetto al (OMISSIS), posto che quest’ultimo e’ la fonte diretta del primo e differenti sono le causali delle datazioni descritte dai dichiaranti; inverosimile e’ l’esistenza di metus del (OMISSIS) rispetto al (OMISSIS), posto che il (OMISSIS) descrive come buonissimi i rapporti tra i due. Evidente e’ dunque la mancanza di motivazione rafforzata, come pure carente e’ quella relativa alla qualificazione giuridica del fatto attesi i rapporti collusivi tra persona offesa e imputato. Ne’ tale carenza dimostrativa e’ colmata dal richiamo delle dichiarazioni del (OMISSIS), generiche in relazione alla causale dei passaggi di denaro da parte del (OMISSIS) verso esponenti della famiglia mafiosa di (OMISSIS) tra i quali inserisce anche il (OMISSIS).
(OMISSIS) deduce:
2.8. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ fatta dalla corte territoriale in relazione alla estorsione aggravata (ai danni di (OMISSIS), poi deceduto) di cui al capo L2, per effetto di evidente travisamento della prova; gli elementi a carico sono costituiti dalle sole dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e (OMISSIS), discordanti tra loro in piu’ punti e imprecise, dunque inidonee a riscontrarsi reciprocamente. Erronea e illogica e’ la giustificazione della corte d’appello, che supera le tante imprecisioni dei racconti con il gran numero di episodi ricostruiti e con la conoscenza solo parziale degli stessi, integrandosi la violazione delle previsioni di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4; non spiegata e’ l’illogicita’ dell’affermazione del (OMISSIS), secondo la quale egli avrebbe consegnato denaro frutto di estorsione al ricorrente in epoca nella quale quest’ultimo era detenuto (lo e’ stato a decorrere dal 16.12.2008), come non esplorato e’ il tema della individuazione delle fonti delle notizie riferite dal predetto collaboratore. Il (OMISSIS), avvalsosi della facolta’ di non rispondere dinanzi alla corte territoriale in sede di rinnovazione istruttoria, ebbe a rilasciare dichiarazioni solo nel corso dell’interrogatorio del 17.5.2011, descrivendo una diversa modalita’ di pagamento di quanto preteso dal (OMISSIS). Ne’ l’altro collaboratore, (OMISSIS) pur avendo ricoperto ruoli direttivi della famiglia mafiosa di (OMISSIS), ha saputo riferire nulla al riguardo.
2.9. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ fatta dalla corte territoriale, in relazione alla estorsione aggravata (ai danni dei titolari della sala bowling di (OMISSIS)) di cui al capo M2, per effetto di evidente travisamento della prova; anche in questo caso la condanna si regge sulle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), del tutto generiche sul punto e indicative di mere intenzioni, nonche’ su quelle del collaboratore (OMISSIS), pure generiche e poco collimanti con quelle del citato (OMISSIS) (a proposito del coinvolgimento nei fatti di (OMISSIS)). Anche le dichiarazioni di uno dei gestori del bowling, (OMISSIS), non. collimano con i citati collaboratori e si riferiscono a periodi nei quali lo (OMISSIS) era detenuto.
2.10. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ fatta dalla corte territoriale, in relazione alle estorsioni aggravate di cui ai capi P, V e W (tutte ai danni di (OMISSIS)); in questo caso l’accusa si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa che, tuttavia, si e’ anche auto accusata di una serie di reati, ragione per la quale gia’ il primo interrogatorio doveva essere interrotto, dovevano essere effettuati gli avvisi di rito e, eventualmente, procedersi solo con l’assistenza del difensore. Comunque il (OMISSIS), cosi’ come affermato dal primo giudice, deve ritenersi inattendibile; egli, infatti, ha ammesso di essere stato in affari con l’attuale ricorrente, che gli avrebbe fatto vincere pubblici appalti, divenendo imprenditore colluso e incassando compensi che doveva condividere con l’imputato, aspetto che priva il profitto di quest’ultimo del carattere di illiceita’. Anche il collaboratore (OMISSIS) ha rilasciato dichiarazioni dalle quali emerge chiaramente la vicinanza del (OMISSIS) con la mafia di (OMISSIS). Evidentemente inattendibili, con riferimento al capo P, sono le dichiarazioni rilasciate dal figlio della persona offesa, persino contrastanti con le ammissioni del padre circa la natura illecita della aggiudicazione dell’appalto per l’illuminazione pubblica a (OMISSIS), frutto di pressioni mafiose, nonche’ viziate dall’interesse economico derivante dalla costituzione di parte civile. Analogo ragionamento vale per il capo V, per il quale si segnala altresi’ la mancata risposta della corte territoriale in relazione alla diversa qualificazione giuridica dei fatti. In relazione al capo W, invece, errata e’ la qualificazione della condotta quale estorsione, atteso il gia’ citato rapporto contrattuale tra il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) che rivendicava semplicemente la buonuscita dalla societa’ di fatto costituita tra i due.
2.11. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’articolo 63 c.p.p., comma 2 e articolo 64 c.p.p., posto che il (OMISSIS), come gia’ accennato, dopo essersi accusato di condotte tipiche dell’imprenditore colluso con la mafia, doveva essere sin dall’inizio sentito non in veste di testimone bensi’ come imputato ovvero indagato, previa effettuazione degli avvertimenti di rito, la cui mancanza e’ sanzionata con la inutilizzabilita’ delle dichiarazioni.
2.12. Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla entita’ della pena detentiva inflitta, sproporzionata rispetto alla reale gravita’ dei fatti, sia quanto a pena base, sia quanto agli aumenti per la continuazione con ciascuno degli episodi ascritti.
2.13. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, negate senza valutazione di eventuali elementi favorevoli.
3. All’udienza del 29.4.2020, alla quale il giudizio era pervenuto successivamente al rinvio d’ufficio dell’udienza del 20.3.2020 (disposto in conseguenza del sopravvenire dell’emergenza sanitaria da Covid 19 – Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83 -), le posizioni processuali dei suddetti imputati venivano separate da quella dei restanti originari ricorrrenti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) E (OMISSIS)), per i quali, in considerazione della piu’ remota scadenza dei termini di custodia cautelare, il giudizio non poteva essere celebrato ai sensi della disciplina all’epoca vigente (Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23, articolo 36).
4. Sulle conclusioni sopra riportate, raccolte in parte all’udienza del 29.4.2020 e in parte in quella del 11.6.2020, la decisione e’ stata assunta con lettura del dispositivo all’esito della camera di consiglio tenuta in quest’ultima data.
RITENUTO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati laddove non inammissibili.
1. Giova premettere che nel corso del giudizio di appello e’ stata effettuata la rinnovazione istruttoria in relazione a tutti i contributi dichiarativi rilevanti, sicche’ nella vicenda non si pone un problema di ossequio ai principi al proposito affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la nota sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta), poi trasfusi dal legislatore nel codice di rito con l’inserimento del comma 3bis nel corpo dell’articolo 603 c.p.p..
Con riferimento alle questioni concretamente prospettate nei ricorsi, giova ancora premettere, come dato comune alla disamina degli stessi, alcuni condivisi insegnamenti di legittimita’ che costituiscono per il Collegio criteri guida rispetto alla soluzione delle tematiche sollevate.
1.1. In primo luogo deve ricordarsi che, per le ipotesi nelle quali (come nella fattispecie) il giudice d’appello ha riformato la pronuncia assolutoria del primo grado, il consolidato insegnamento di questa Corte (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056-01) richiede l’adozione della c.d. “motivazione rafforzata”, consistente nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche’ in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina delle questioni controverse, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (massime precedenti conformi: n. 12273 del 2014 Rv. 262261 – 01, n. 54300 del 2017 Rv. 272082 – 01, n. 49755 del 2012 Rv. 253909 – 01, n. 6817 del 2015 Rv. 262524 – 01, n. 11883 del 2013 Rv. 254725 – 01).
Cio’, ovviamente, con riferimento alle sole questioni relative all’accertamento e ricostruzione del fatto; invero, in tema si e’ gia’ correttamente affermato (cfr. Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Rv. 276954 – 04) che la necessita’, per il giudice di appello, di redigere una motivazione “rafforzata” sussiste allorche’ la riforma della decisione di primo grado si fondi su una mutata valutazione delle prove acquisite, e non anche quando essa sia legittimata da una diversa valutazione in diritto, operata sul presupposto dell’erroneita’ di quella formulata del primo giudice; in tale ipotesi, alla Corte di cassazione spetta il compito di verificare se la questione giuridica difformemente decisa dai giudici del merito sia stata correttamente esaminata e risolta dall’uno o dall’altro, ed il vizio a tal fine denunciabile e’ solo quello di violazione di legge, penale o processuale. Aspetto, quest’ultimo che, come meglio si vedra’ in seguito, nel giudizio in esame viene piu’ volte in rilievo, sia a proposito delle questioni relative alla corretta ermeneusi delle previsioni contenute negli articoli 63 e 64 c.p.p., sia a proposito dell’articolo 629 c.p..
1.2. Quanto, invece, ai limiti del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, la novella codicistica, introdotta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46 (che ha riconosciuto la possibilita’ di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione), non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimita’, sicche’ gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati. decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento. impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso.
1.2.1. Resta, comunque, esclusa per la Corte di legittimita’ la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova. Va infatti ribadito che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), per effetto della L. n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella gia’ effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali puo’ essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorieta’ della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099; Sez. 4, Sentenza n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652).
1.3. In relazione poi al tema -specificamente proposto da piu’ ricorrenti- della pretesa inutilizzabilita’ delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa (nelle vicende in esame, e’ il caso di (OMISSIS)) che, prima di formulare dichiarazioni accusatorie nei confronti di alcuni imputati, si e’ autoaccusata di reati (avendo riferito circostanze costituenti l’antefatto di vicende oggetto del giudizio), il Collegio aderisce al consolidato insegnamento (Sez. 2, n. 283 del 01/10/2013, Rv. 258105) secondo il quale le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, prevalendo la qualita’ di teste-parte offesa del reato in relazione al quale si indaga rispetto a quella di possibile coindagato in reato connesso. In senso conforme si veda Sez. 5, n. 43508 del 28/05/2014, Rv. 261078. Nello stesso senso, ancor piu’ recentemente (Sez. 2, n. 30965 del 14/07/2016, Rv. 267571) si e’ ribadito che le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, in relazione ai quali non opera la sanzione processuale di cui all’articolo 63 c.p.p., comma 1, (in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva ritenuto di poter utilizzare le dichiarazioni di colui che, sentito in qualita’ di teste, aveva spontaneamente confessato il proprio coinvolgimento in merito alla commissione del reato, precisando le modalita’ dell’azione e riferendo l’identita’ del mandante). Ma sul punto si fa rinvio a quanto si dira’ piu’ dettagliatamente in seguito a proposito della specifica vicenda.
1.4. Con riferimento poi al delicato tema della valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il Collegio condivide i ripetuti insegnamenti di questa Corte (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Rv. 276744 – 01) in tema di chiamata in correita’, secondo i quali i riscontri dei quali necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correita’, purche’ la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioe’ riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilita’ dello stesso all’imputato, mentre non e’ richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perche’, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita’ (massime precedenti conformi: n. 45733 del 2018 Rv. 274151 – 01, n. 5821 del 2005 Rv. 231301 – 01, n. 1263 del 2007 Rv. 235800 – 01, n. 44882 del 2014 Rv. 260607).
1.4.1. Come detto, i riscontri esterni ben possono essere costituiti anche da altre chiamate in correita’, purche’ si accerti che la convergenza non sia frutto di collusioni o di reciproche influenze tra i dichiaranti. Quanto alla convergenza, il Collegio condivide il consolidato orientamento di legittimita’ in forza del quale si afferma. che essa non deve essere assoluta, poiche’ non puo’ pretendersi che dichiarazioni provenienti da diversi soggetti, soprattutto se articolate, siano sovrapponibili, ma deve riguardare gli elementi essenziali del thema probandum (gia’ Sez. 5, n. 9001 del 15.6.2000, rv 217729, affermava che i riscontri esterni della chiamata in correita’ possono essere ricavati anche da una pluralita’ di chiamate convergenti; il requisito della convergenza tuttavia non va inteso come piena sovrapponibilita’ delle diverse chiamate -che sarebbe, oltretutto, sospetta-, ma come concordanza dei nuclei essenziali delle dichiarazioni, in relazione al “thema decidendum”, dovendo piuttosto il giudice verificare che tale consonanza non sia frutto di condizionamenti, collusioni e reciproche influenze).
Invero, i parametri valutativi della reciproca attendibilita’, nel caso di convergenza di dichiarazioni, vanno individuati nella contestualita’, autonomia, reciproca non conoscenza, convergenza almeno sostanziale, nonche’ in tutti quegli elementi idonei ad escludere fraudolente concertazioni ed a conferire a ciascuna chiamata i connotati di reciproca autonomia, indipendenza ed originalita’; le eventuali discordanze su alcuni punti possono, in taluni casi, addirittura attestare la reciproca autonomia delle varie dichiarazioni in quanto fisiologiche per la disarmonia normalmente presente in racconti di soggetti diversi (Cass., sez. 1, n. 2328 del 14.4.1995, rv 201294) e “…la eventuale sussistenza… di smagliature e discrasie, anche di un certo peso, rilevabili tanto all’interno di dette dichiarazioni quanto nel confronto tra di esse, non implica, di per se’, il venir meno della sostanziale affidabilita’ quando, sulla base di adeguata motivazione, risulti dimostrata la complessiva convergenza nei rispettivi nuclei fondamentali…” (Cass. sez. 6, n. 6422 del 18.2.1994, rv 197854), mentre “…l’esigenza di convergenza e di concordanza fra le dichiarazioni accusatorie provenienti da diversi soggetti… in funzione di reciproco riscontro tra le dichiarazioni stesse, non puo’ essere spinta al punto da pretendere che queste ultime siano totalmente sovrapponibili fra di loro, in ogni particolare spettando, invece pur sempre al Giudice il potere-dovere di valutare, dandone atto in motivazione, se eventuali discrasie possano trovare plausibile spiegazione in ragioni diverse da quelle ipotizzabili nel mendacio di uno o piu’ fra i dichiaranti…” (Cass. sez. 1, n. 1489 del 6.4.1993, rv 193984).
Infatti, il riscontro incrociato non implica la necessita’ di una totale sovrapponibilita’ delle dichiarazioni “.. la quale, anzi, a ben vedere potrebbe costituire… fonte di sospetto…, dovendosi, al contrario, ritenere necessaria solo la concordanza sugli elementi essenziali del thema probandum fermo restando il potere – dovere del giudice di esaminare criticamente gli eventuali elementi di discrasia, onde verificare se gli stessi siano a meno rivelatori di intese fraudolente o, quantomeno, di suggestioni o condizionamenti, di qualsivoglia natura, suscettibili di inficiare il valore della suddetta concordanza… ” (Sez. 1, n. 3070 del 20.2.1996, rv 204294; nello stesso senso, Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014″ Rv. 262309 – 01).
Argomenti, questi ultimi, che la Corte d’appello ha adeguatamente e ampiamente valorizzato nel giudizio di riforma della decisione del GUP, laddove quest’ultima rappresentava esempio di indebita ricerca di concordanza assoluta dei dichiarati, con disamina atomistica delle affermazioni, pur a fronte di collaboratori di giustizia generalmente ritenuti attendibili, portatori di conoscenze provenienti da fonti differenti l’uno dall’altro, e dunque autori di dichiarazioni che, ferma la compatibilita’ con il quadro di fondo, presentavano comunque elementi di divergenza su qualche aspetto di dettaglio.
1.4.2. Va infatti ribadito che, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, “l’esigenza di convergenza e di concordanza fra le dichiarazioni accusatorie provenienti da diversi soggetti, in funzione di reciproco riscontro tra le dichiarazioni stesse, non puo’ essere spinta al punto di pretendere che queste ultime siano totalmente sovrapponibili tra loro, in ogni particolare, spettando invece pur sempre al giudice il potere-dovere di valutare se eventuali discrasie possano trovare plausibile spiegazione in ragioni diverse da quelle ipotizzabili nel mendacio di uno o piu’ dichiaranti” (Cass. Sez. 6, n. 4821 del 12.12.1995, rv 203612; cfr., nello stesso senso, Cass. Sez. 1, n. 19683 del 19.3.2003, rv 223848).
1.4.3. Ne’, in relazione alla presente fase, puo’ trascurarsi il fatto che il sindacato di legittimita’ sulla valutazione delle chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perche’ un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in se’ stessi e nel loro reciproco collegamento (Sez. 5, n. 2086 del 17/09/2009, Rv. 245729).
1.4.4. Ed infatti, la violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, non puo’ essere dedotta in sede di legittimita’ ne’ quale violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), ne’ ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), non essendo prevista a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza, ma puo’ essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lettera e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr. Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, Rv. 278196 – 02). E dunque, solo nei limiti del sindacato di legittimita’ della motivazione, per come sopra ricordati.
2. Passando alla disamina dei singoli motivi, e’ opportuno affrontare in principalita’ la questione, da piu’ ricorrenti proposta ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), della pretesa inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), persona offesa in relazione a piu’ contestazioni oggetto di ricorso; e’, in primo luogo, il caso dei capi P, V e W, i primi ascritti al solo (OMISSIS), mentre il capo W e’ attribuito in concorso tanto a quest’ultimo che al (OMISSIS); e’ ancora il caso del capo T, ascritto al solo (OMISSIS).
2.1. E’ opportuno ripercorrere brevemente il contenuto degli addebiti in questione.
Al capo P, (OMISSIS), detto Nicola (posizione stralciata dal presente giudizio) e (OMISSIS), sono accusati di aver costretto (OMISSIS), titolare delle ditte ” (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS)”, con la minaccia implicita derivante dalla qualita’ di appartenenti alla “famiglia mafiosa” di (OMISSIS), a versare per dieci anni la somma totale di circa 360 milioni di lire (3 milioni al mese) destinata al sostentamento dei familiari del detenuto (OMISSIS), cosi’ procurando per se’ ed altri un ingiusto profitto con altrui danno. Dalla sentenza di primo grado emerge che il (OMISSIS), presentatosi spontaneamente agli inquirenti per sporgere la denuncia compendiata nel lungo verbale del 25.6.13, ha riferito che alla fine degli anni âEuroËœ80 era stato avvicinato da (OMISSIS), il quale gli aveva proposto la costituzione di una societa’ di fatto volta all’aggiudicazione dell’appalto pubblico del comune di (OMISSIS) per il sistema di illuminazione; che lo (OMISSIS), in particolare, vantava di conoscere l’ing. (OMISSIS) dell’ufficio tecnico comunale; che egli non rifiutava la suddetta proposta ma prendeva del tempo prima di dare la sua risposta; che nel frattempo (OMISSIS) veniva arrestato; che cio’ nonostante (OMISSIS) in persona gli prometteva l’aggiudicazione dell’appalto anzidetto, in quanto cosi era. voluto dagli “amici”; che egli gli faceva capire che se avesse vinto la gara si sarebbe sdebitato con del denaro; che prima della aggiudicazione veniva contattato da (OMISSIS), il quale, mostratosi a conoscenza di tutte le vicende summenzionate, lo rassicurava circa il buon esito del bando; che alcuni mesi dopo la aggiudicazione in questione, la moglie e la figlia di (OMISSIS) lo minacciavano, rivendicando 300 milioni di lire in relazione alla societa’ costituita con lo (OMISSIS); che non cedeva alle pressioni, fino a quando (OMISSIS) (di cui egli conosceva la caratura mafiosa) non lo costringeva a versare mensilmente la somma di 3 milioni di lire per il sostentamento della famiglia dello (OMISSIS); che le somme venivano corrisposte tramite suoi dipendenti, esattamente in questa sequenza: il ragioniere (OMISSIS), poi (OMISSIS) ed infine (OMISSIS) o un cugino di (OMISSIS); che a volte (scopriva in seguito) le somme non giungevano a destinazione; che i pagamenti proseguivano per 10 anni, durata questa pari sostanzialmente a quella dell’appalto (capo d’imputazione P).
Secondo la contestazione compendiata nel capo W, invece, (OMISSIS) e (OMISSIS), in concorso con altri separatamente giudicati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), sempre con la minaccia implicita derivante dalla qualita’ di appartenenti alla “famiglia mafiosa” di (OMISSIS) e (OMISSIS), e con esplicite minacce di morte e numerosi atti intimidatori, hanno costretto il (OMISSIS) a cedere un capannone con annesso terreno a (OMISSIS). A tale proposito, il medesimo (OMISSIS), sempre in occasione della denuncia sporta il 25.6.2013, ha riferito che, in conseguenza del grave stato di crisi generato dalle continue richieste mafiose, era stato costretto a mettere in vendita la sua abitazione sita a (OMISSIS) per 900 mila Euro; che (OMISSIS), nel frattempo scarcerato, venuto a conoscenza di cio’, riusciva a fissare un incontro con lui, (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso del quale gli ingiungeva di onorare i debiti contratti con lui (quantificati in 5 milioni di Euro) per effetto degli appoggi ricevuti per le aggiudicazioni di numerosi appalti pubblici; che, adirato, respingeva tale richiesta; che (OMISSIS) continuava pero’ a chiedergli soldi per qualsiasi emergenza da quando era stato scarcerato (“per affrontare le spese connesse alla sua recente scarcerazione”); che egli decideva “per acquietare le ire di (OMISSIS)” di versare 5 mila Euro pochi giorni dopo l’incontro summenzionato nelle mani di (OMISSIS); che successivamente (per le continue insistenze di (OMISSIS), anche attraverso la figura di (OMISSIS)) si vedeva costretto a versare in varie occasioni tutti i 900 mila Euro guadagnati dalla vendita (a dei russi) della casa summenzionata (capo P d’imputazione); che (OMISSIS), non soddisfatto, incaricava (OMISSIS) e (OMISSIS) (e siamo al capo d’imputazione W) di esigere da lui la restante parte del debito; che egli era a conoscenza della caratura mafiosa dei due, i quali gli proponevano di cedere gratuitamente, tramite una vendita fittizia (con riguardo alla quale una copia di un compromesso veniva consegnata agli inquirenti), un suo magazzino sito a (OMISSIS); che si vedeva costretto ad obbedire a questa richiesta, tanto e’ vero che il figlio di (OMISSIS), (OMISSIS), ben presto cominciava ad utilizzare il bene in esame come deposito per la sua attivita’; che successivamente (prima di venire arrestato nel 2008) (OMISSIS) richiedeva ulteriori 2 milioni di Euro (per il tramite di (OMISSIS)).
Secondo la contestazione contenuta nel capo V, invece, allo (OMISSIS), nel limite di quanto ravvisato dalla Corte d’appello, si e’ attribuita la responsabilita’ per l’estorsione aggravata, sempre secondo le modalita’ sopra descritte, della somma di 10 mila Euro (materialmente versati nelle mani di (OMISSIS), giudicato a parte) ai danni del medesimo (OMISSIS).
Al capo T, infine, si imputa al (OMISSIS) l’estorsione aggravata e continuata, posta in essere con la minaccia implicita derivante dalla qualita’ di appartenente alla “famiglia mafiosa” di (OMISSIS), consistente nell’aver costretto (OMISSIS) a versare somme di denaro destinate al mantenimento dei carcerati.
2.2. Il GUP ha ritenuto che le dichiarazioni del (OMISSIS) sono state assunte in palese violazione dell’articolo 63 c.p.p., comma 1; infatti, gia’ nell’esordio del suo esame, si e’ accusato di una serie di reati di varia natura (qualificabili come corruzione e turbativa d’asta, oltre che, verosimilmente, come concorso esterno in associazione mafiosa), tutti strettamente connessi e collegati dal punto di vista processuale con quelli oggetto del narrato accusatorio. E’, infatti, proprio dalla realizzazione dei reati di corruzione summenzionati (secondo il GUP ascrivibili al (OMISSIS) in concorso con i mafiosi del bagherese) che lo stesso riusciva a creare un impero economico ed imprenditoriale il quale diveniva poi oggetto (nella prospettazione fornita dall’imprenditore) di continue richieste estorsive da parte dei medesimi soggetti concorrenti nei reati di corruzione; in sintesi, era grazie a quei reati di corruttela che (OMISSIS) aveva costituito quelle riserve economiche che divenivano in seguito preda degli appetiti della famiglia mafiosa tramite la quale aveva corrotto i funzionari pubblici comunali. Palesi, dunque, sono state giudicate dal GUP le ragioni di connessione (concorso nei reati, connessione teleologica) e collegamento probatorio (medesima fonte processuale probatoria dei reati tutti in esame: le dichiarazioni auto ed etero accusatorie del (OMISSIS)) tra i reati di cui l’imprenditore accusa terzi e quelli di cui egli si autoaccusa.
2.2.1. Alla luce di queste considerazioni il GUP affermava non esservi dubbio che il verbale del 25.6.2013 di ricezione della denuncia del (OMISSIS) avrebbe dovuto essere interrotto per la formulazione degli avvisi di cui all’articolo 64 c.p.p.; con la conseguenza che, essendo cio’ mancato, le dichiarazioni del (OMISSIS) dovevano ritenersi inutilizzabili – ex articolo 63 c.p.p., comma 1 – nei confronti del medesimo (nell’ipotetico procedimento che avrebbe dovuto aprirsi, ma non e’ mai stato perto, neppure successivamente, anche in conseguenza della morte del (OMISSIS)). Invece, gia’ secondo il GUP, non poteva ritenersi integrata anche la violazione del comma 2 dell’articolo 63 c.p.p. (a cui sola consegue l’inutilizzabilita’ erga omnes del dichiarato), atteso che dal fascicolo processuale non emergevano (ne’ sono poi emersi) elementi per ritenere che, anteriormente alla ricezione del verbale di denuncia in data 25.6.2013, sussistessero inequivoci indizi di colpevolezza a carico del (OMISSIS). Anzi, il GUP affermava che dagli atti emergeva come gli inquirenti avessero potuto apprendere dell’esistenza di possibili responsabilita’ del (OMISSIS) (per reati strettamente connessi e collegati probatoriamente con quelli ora in esame) solo con l’assunzione delle dichiarazioni del 25.6.2013, nulla emergendo in senso contrario. Ne’ mai le difese (osservava gia’ il GUP nella sentenza di primo grado) sono state in grado di contrastare detta considerazione, specificando gli atti, i verbali o i documenti (antecedenti alle richiamate s.i.t. del (OMISSIS)) dai quali sarebbe stato possibile desumere questa inferenza, cioe’ l’esistenza di chiari indizi di colpevolezza a carico del (OMISSIS). E neppure i ricorsi per cassazione, e’ bene chiarirlo sin d’ora, adducono nulla di specifico al riguardo.
2.2.2. Pure secondo il primo giudice, dunque, solo rispetto alle successive dichiarazioni del (OMISSIS) (quelle rese nel verbale di s.i.t. datato 3.5.2014) doveva ritenersi integrata l’inutilizzabilita’ erga omnes (per il mancato rispetto dell’articolo 63 c.p.p., comma 2), atteso che a quella data (pur in assenza -non decisiva per giurisprudenza consolidata- di una iscrizione formale nel registro degli indagati) vi erano gia’ agli atti del fascicolo processuale del P.M. le affermazioni auto ed etero accusatorie provenienti non solo dallo stesso (OMISSIS) (verbale del giugno 2013), ma anche dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS).
E dunque, a proposito del primo verbale di s.i.t. (quello del giugno 2013), giova ripetere che gia’ il GUP aveva chiarito come dalla sola violazione dell’articolo 63 c.p.p., comma 1, potesse scaturire esclusivamente la sanzione dell’inutilizzabilita’ probatoria degli elementi in questione nei confronti del solo dichiarante (OMISSIS), non anche nei riguardi dei soggetti da lui denunciati.
2.2.3. Sulla base di queste premesse, il GUP affermava poi che le dichiarazioni accusatorie rese dal (OMISSIS) nel giugno 2013, utilizzabili contro gli imputati, dovevano comunque essere esaminate alla luce del parametro valutativo di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, c.p.p., dovendosi ravvisare in capo al dichiarante la posizione processuale sostanziale di indagato di reato connesso o collegato probatoriamente derivante dal combinato disposto di cui agli articoli 63, 197 bis e 210 c.p.p.. E conseguentemente, come sopra accennato, la valutazione delle dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS) (nel frattempo deceduto) da parte del GUP si concludeva con giudizio di precaria attendibilita’ (“non pienamente credibile”, cfr. pag. 56 della sentenza di primo grado), sia dal punto di vista intrinseco, che da quello estrinseco; giudizio che conduceva, insieme ad altre considerazioni di supporto, a pronuncia assolutoria rispetto alle vicende sopra indicate.
2.3. La Corte territoriale, investita dei gravami volti a censurare il giudizio del GUP sull’inattendibilita’ del (OMISSIS) e sulla carenza di idonei riscontri, e’ invece pervenuta a differenti conclusioni finali (cfr. pag. 22 e segg.), pur partendo da condivisi presupposti comuni. In particolare, ferme restando -comunque- le conclusioni a proposito della insussistenza della inutilizzabilita’ erga omnes del dichiarato (ma su cio’ di dira’ meglio al punto 2.4.) nonche’ in merito alla necessarieta’ dei riscontri (cfr. pag. 23), si e’ detta ricorrere sia la piena attendibilita’ intrinseca del (OMISSIS), sia la presenza dei richiesti idonei riscontri.
2.3.1. A proposito della necessarieta’ dei riscontri occorre dunque considerare e valorizzare, stante la presenza di motivi di ricorso sul punto, che la Corte di appello e’ effettivamente pervenuta a soluzione affermativa, conformemente al GUP, seppure percorrendo un differente ragionamento ermeneutico, in forza del quale le dichiarazioni introduttive del (OMISSIS) (concernenti la remota vicenda illecita che gli ha consentito di aggiudicarsi un appalto, spontaneamente riferita allorche’ non era indagato dopo essersi presentato alla polizia giudiziaria per denunciare condotte estorsive che stava ancora vivendo) debbono considerarsi come un semplice antefatto, necessario per illustrare le successive condotte estorsive subite, ma descrittivo di reati (del (OMISSIS)) solo genericamente ipotizzabili, e comunque largamente prescritti da tempo; sicche’, la Corte territoriale ha escluso in radice la presenza dei presupposti necessitanti l’interruzione della deposizione ex articolo 63 c.p.p., comma 1; ne’ ricorrerebbe alcuna causa di inutilizzabilita’ delle dichiarazioni riguardanti i fatti estorsivi, i soli oggetto del presente procedimento. Purtuttavia, prosegue la Corte d’appello, “… data la peculiare posizione del (OMISSIS), ma anche in dipendenza della impossibilita’ di assumerne l’esame per il decesso del medesimo, le dichiarazioni devono essere valutate con particolare rigore e legittimamente puo’ pretendersi che le stesse siano riscontrate” E, quindi, affermata l’utilizzabilita’ “verso altri” delle dichiarazioni del (OMISSIS), al fine di apprezzarne l’attendibilita’ viene espressamente confermata, da parte del giudice d’appello “… la necessita’ di un riscontro alle dette dichiarazioni…” (cfr. pag. 25).
2.3.2. Tanto chiarito, evidente appare al Collegio la carenza di interesse che caratterizza tutti i motivi di ricorso che censurano la valutazione della Corte territoriale in merito alla ricorrenza dei presupposti di cui all’articolo 63 c.p.p., comma 1 e alla qualificazione del (OMISSIS) quale soggetto sostanzialmente indagabile per reato connesso o probatoriamente connesso (piuttosto che teste puro-persona offesa), atteso che -comunque- la Corte territoriale ha ribadito sussistere la necessarieta’ dei riscontri (cfr. pag. 25) rispetto al dichiarato del (OMISSIS) e, dunque, ha fatto nella sostanza applicazione del piu’ rigoroso canone valutativo della prova previsto dall’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4.
2.4. Entrando poi nel merito delle ulteriori censure, come gia’ anticipato e’ manifestamente infondato il motivo di ricorso che lamenta il mancato rilievo, da parte della Corte d’appello, della inutilizzabilita’ erga omnes delle dichiarazioni del (OMISSIS), sia ai sensi dell’articolo 63 c.p.p., comma 2, sia, comunque, ai sensi dell’articolo 64 c.p.p., comma 3 bis (essendo mancato l’avviso di cui al comma 3, lettera c) di quest’ultima norma).
Invero, assumendo come acquisito e incontestato (in quanto mai efficacemente contrastato dai ricorrenti con indicazione di concreti elementi contrari) il presupposto in forza del quale le dichiarazioni rilasciate dal (OMISSIS) nel giugno 2013 sono state rese quando ancora non sussistevano gia’ elementi per ritenere il medesimo indagabile (cfr. pag. 51 della sentenza di primo grado), l’inutilizzabilita’ che puo’ configurarsi (come affermato anche dal GUP) e’ solo quella “relativa” di cui all’articolo 63 c.p.p., comma 1, non gia’ quella “erga omnes” di cui al 63 c.p.p., comma 2. Ne’ ha rilievo il fatto che il (OMISSIS) abbia poi rilasciato ulteriori dichiarazioni, confermative delle prime, nel 2014 (quando, nell’ottica del GUP, dovevano oramai ritenersi presenti elementi comportanti la necessaria iscrizione del (OMISSIS) nel registro degli indagati), atteso che nessun elemento probatorio si fonda esclusivamente su risultanze introdotte con il verbale del 2014, peraltro descritto nella sentenza di primo grado come sostanzialmente ricognitivo del verbale del giugno 2013.
2.4.1. Corretta, dunque, e’ la valutazione (conformemente) espressa dai due giudici del merito in relazione al tema della inutilizzabilita’ (solo relativa) delle dichiarazioni in parola. Infatti, come gia’ anticipato al punto 1.3. che precede, secondo condivisa e consolidata giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Sez. 3, n. 15476 del 24/02/2004, Rv. 228546) le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini (quale era il (OMISSIS) nel giugno 2013), ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi. Pertanto, la qualita’ di teste-parte offesa del reato in relazione al quale si indaga prevale rispetto a quella di possibile coindagato in reato connesso; sicche’ le dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti, che abbia anche reso dichiarazioni autoindizianti, sono pienamente utilizzabili “contra alios”, ne’ se ne puo’ eccepire l’inutilizzabilita’ “erga omnes” sulla base del fatto che le stesse provengono da un soggetto indagato in reato connesso, non ascoltato con le garanzie previste per la persona sottoposta ad indagini (di cui all’articolo 64 c.p.p.). Nello stesso senso, si vedano, Sez. 2, n. 283 del 01/10/2013, Rv. 258105; Sez. 5, n. 43508 del 28/05/2014, Rv. 261078; Sez. 2, n. 30965 del 14/07/2016, Rv. 267571.
2.5. Una volta positivamente verificata l’utilizzabilita’ erga alios delle dichiarazioni del (OMISSIS) e la legittimita’ dell’inquadramento delle stesse rispetto alle previsioni di cui agli articoli 63 e 64 c.p.p., possono ora affrontarsi i motivi di ricorso che contrastano i giudizi – di credibilita’ del dichiarante (OMISSIS) e di idoneita’ dei riscontri – espressi dalla Corte d’appello rispetto alle imputazioni riportate ai capi P, T, V e W.
2.5.1. Al proposito deve ribadirsi che, in presenza di un ribaltamento di precedente assoluzione, alla motivazione offerta dalla Corte territoriale e’ richiesta una forza persuasiva maggiore, rafforzata rispetto a quella generalmente richiesta in ipotesi di doppia conforme (cfr. punti 1.1 e 1.2. che precedono). Ad avviso del Collegio, adeguata allo scopo risulta la motivazione posta dai giudici di appello a sostegno della differente valutazione delle prove dagli stessi operata; fermi restando i noti limiti del sindacato di legittimita’ circa il merito della ricostruzione del fatto operata dal giudice d’appello (vedi sopra, 1.2.1.).
2.5.2. Ed infatti, quanto ai dubbi avanzati dal primo giudice circa l’attendibilita’ intrinseca del (OMISSIS), la Corte territoriale, dopo aver considerato la scaturigine della denuncia del giugno 2013, giunta allorche’ le richieste estorsive mafiose si erano fatte oramai intollerabili, ha efficacemente rilevato come il dichiarato appaia, sotto il profilo intrinseco, caratterizzato da spontaneita’, costanza, specificita’ e assenza di intrinseche contraddizioni (cfr. pag. 25); inoltre, laddove sono state valorizzate dal primo giudice lievi imprecisioni o minime incongruenze, si e’ logicamente rilevato che le dichiarazioni del (OMISSIS), risalenti al giugno 2013, sono state rese a molti anni di distanza dai fatti estorsivi (talvolta risalenti ai primi anni 2000) e la persona offesa ha comunque reso dichiarazioni ampie e articolate in relazione ai suoi risalenti rapporti con gli esponenti della locale famiglia mafiosa, soffermandosi su un numero davvero notevole di episodi e coinvolgendo molteplici soggetti che, a vario titolo, erano stati protagonisti dello scenario descritto dall’imprenditore, che neppure ha esitato ad ammettere di aver avuto dei benefici dai rapporti intrattenuti con esponenti di “cosa nostra” e che ha precisato che tali soggetti, da un certo momento in poi, hanno iniziato a chiedere il conto dei favori fatti. In tale ottica e’ stato logicamente considerata comprensibile l’imprecisione circa singole dazioni, spesso ripetutesi per anni, effettuate nei confronti di una pluralita’ di esponenti mafiosi. E comunque, del tutto logica deve apparire la notazione finale dei giudici di appello, secondo i quali, sia nel caso in esame che in generale, risulta assai poco plausibile individuare nelle dichiarazioni dell’imprenditore denunciate (nella specie, il (OMISSIS)) un intento calunniatorio in danno di esponenti di vertice, o comunque di rilievo, di potenti famiglie mafiose ancora operanti proprio nel territorio ove quell’imprenditore lavora e presumibilmente continuera’ a farlo. Intento calunniatorio ancor meno ravvisabile nel caso di specie, dove l’imprenditore denunciante non ha omesso di ammettere propri comportamenti censurabili, quali le pregresse contiguita’ o cointeressenze di cui si e’ detto.
2.5.3. Superato dunque positivamente lo scrutinio del giudizio di attendibilita’ intrinseca del (OMISSIS), occorre partitamente affrontare i motivi di impugnazione relativi ai singoli addebiti che lo vedono come persona offesa, cosi’ da verificare caso per caso la ricorrenza di riscontri e attendibilita’ estrinseca.
2.5.3.1. Quanto al capo P (la decennale estorsione di tre milioni di lire mensili destinati allo (OMISSIS)), la Corte territoriale ha ampiamente evidenziato i plurimi riscontri al (OMISSIS) rinvenibili nelle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che dal figlio del primo, (OMISSIS), i quali hanno concordemente confermato, da diversi punti di vista, le accuse mosse da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) (oltre che di (OMISSIS)). Come esposto alla pag. 20 e segg. della sentenza d’appello, il (OMISSIS) ha riferito che, successivamente alla aggiudicazione della gara d’appalto per l’illuminazione pubblica nel territorio del comune di (OMISSIS), la moglie e la figlia dello (OMISSIS) lo avevano minacciato pretendendo il pagamento della somma di trecento milioni di lire in relazione alla costituita societa’ di fatto con il loro congiunto, e che al riguardo era intervenuto anche (OMISSIS) che lo aveva costretto a versare ai familiari dello (OMISSIS) l’importo mensile di tre milioni di lire, somme che erano state corrisposte -per circa dieci anni, cioe’ a dire per tutta la durata dell’appalto- per il tramite dei dipendenti del (OMISSIS) (tali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)).
I collaboratori di giustizia hanno offerto riscontri al denunciante: in particolare, il (OMISSIS) ha ricordato che lo (OMISSIS) pretendeva dal (OMISSIS) la somma di due milioni di Euro quale buonuscita dalla societa’ di fatto che lo (OMISSIS) riteneva essere esistita fra lui e l’imprenditore, precisando che in relazione a cio’ lo (OMISSIS), anche per mezzo dell’imputato (OMISSIS), aveva avanzato nei confronti della parte offesa innumerevoli richieste di denaro accompagnate da minacce, e dichiarando altresi’ di essere a conoscenza del fatto che in effetti il (OMISSIS) aveva versato in favore dei familiari dello (OMISSIS) (allorche’ ristretto in carcere) la somma mensile di tre milioni di lire. Pure il (OMISSIS) ha confermato che lo (OMISSIS) pretendeva dal (OMISSIS) un corrispettivo per i favori resi in relazione all’aggiudicazione di gare di appalto, e in particolare la cessione di un magazzino, precisando che le richieste di denaro nei confronti. dell’imprenditore venivano avanzate anche per il tramite di (OMISSIS), al quale la vittima aveva consegnato somme di denaro. (OMISSIS) ha confermato che lo (OMISSIS) aveva manifestato la convinzione di essere legato in societa’ con (OMISSIS) (padre del (OMISSIS)), di essere stato minacciato anche per mezzo di armi, e ha riferito anch’egli della vicenda della cessione in favore del medesimo (OMISSIS) di un immobile adibito a magazzino.
Ampio e logico appare dunque il rendiconto dei riscontri necessari a dimostrare gli elementi essenziali dell’estorsione, individualizzandone anche l’attribuibilita’.
Peraltro, gia’ il primo giudice, forse consapevole della modestia delle discrasie rilevate in relazione ai riscontri, ha aggiunto, a sostegno dell’assoluzione, l’argomento secondo il quale le condotte in questione non sarebbero idonee a perfezionare il contestato delitto di estorsione in quanto il versamento di somme di denaro da parte del (OMISSIS) in favore dei familiari dello (OMISSIS) non integrerebbe il requisito del “vantaggio ingiusto con altrui danno” caratterizzante il paradigma del delitto di estorsione, bensi’ un adempimento contrattuale, sia pur derivante da un accordo illecito. Argomento, quest’ultimo, decisamente smentito dalla Corte d’appello con il condivisibile richiamo alla giurisprudenza di legittimita’, secondo la quale integra senza meno il delitto di estorsione la condotta violenta o minatoria finalizzata ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione per la quale non e’ data azione davanti al giudice (Sez. 2, n. 3498 del 30/11/2018); come nella fattispecie, nella quale la pretesa avanzata dallo (OMISSIS) non poteva certo trovare tutela giudiziaria in quanto trova la sua fonte in un accordo illecito tra imprenditore e il mafioso che pretende un corrispettivo per essersi adoperato per far aggiudicare al primo gare di appalto.
Insegna invero la condivisa giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 2, n. 44712 del 29/10/2009, Rv. 245693; Sez. 2, n. 9189 del 01/07/1993, Rv. 195539; Sez. 2, n. 5610 del 20/12/1982, Rv. 159522; Sez. 6, n. 2460 del 16/10/1990, Rv. 186472) che, in tema di estorsione, il profitto deve ritenersi ingiusto allorche’ sia fondato su una pretesa non tutelata dall’ordinamento giuridico ne’ in via diretta -quando, cioe’, si riconosce al suo titolare il potere di farla valere in giudizio – ne’ in via indiretta -quando, pur negandosi il potere di agire, si accordi il diritto di ritenere quanto spontaneamente sia stato adempiuto, come nel caso delle obbligazioni menzionate nell’articolo 2034 c.c.-, E dunque, laddove la pretesa dell’agente ha titolo, come nella specie, in un negozio avente causa illecita, il profitto perseguito e’ sempre ingiusto.
2.5.3.2. Quanto al capo T, ascritto al (OMISSIS), il GUP ha assolto l’imputato ritenendo le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) “estremamente generiche e scarne”, considerato che la parte offesa non aveva riferito alcuna circostanza spaziale o temporale in relazione a tali richieste, e neppure a quanto ammontavano le somme versate nelle mani del (OMISSIS). Il primo giudice ha anche richiamato il rapporto che il (OMISSIS) aveva con gli esponenti della locale famiglia mafiosa, i quali lo avevano aiutato ad aggiudicarsi diversi appalti pubblici, cosi’ che, sotto tale profilo, doveva ritenersi che le somme versate dalla parte offesa non fossero il frutto di un’attivita’ estorsiva bensi’, piu’ semplicemente, l’adempimento di un debito. Ha anche osservato, il G.U.P., che il (OMISSIS), con riferimento alla condotta contestata al (OMISSIS), aveva fatto riferimento a un arco temporale intercorrente fra il 2000 e il 2005, laddove era emerso che l’imputato si trovava in stato di detenzione dal giugno 1999 al 30 ottobre 2001; ha pure evidenziato che, quanto alle dazioni di denaro da parte del (OMISSIS) in favore del (OMISSIS), il (OMISSIS) aveva indicato un periodo diverso da quello cui aveva fatto riferimento la parte offesa, e precisamente a partire dall’arresto di (OMISSIS), risalente alla fine degli anni ottanta; ha, infine, osservato che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) erano inidonee a costituire validi riscontri a quelle della pare offesa in ragione della loro genericita’ e del fatto che in realta’ il (OMISSIS) aveva riportato notizie apprese dallo stesso (OMISSIS).
A fronte di tali argomenti, la Corte territoriale, previa rinnovazione dell’audizione dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), ha offerto logica ed esauriente confutazione osservando come le prove dichiarative assunte consentissero di ritenere pienamente provata la condotta ascritta al (OMISSIS). Invero, richiamati i rilievi sulla generale attendibilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS), ha rilevato che l’assenza di specifiche indicazioni spaziali o temporali in relazione alle dazioni di somme di denaro in favore dell’imputato (OMISSIS) non fosse particolarmente significativa, in considerazione, da un lato, dei tanti anni di distanza tra le dichiarazioni del giugno 2013 e i fatti e, dall’altro, della genuinita’ desumibile dall’avere il (OMISSIS) ammesso circostanze sfavorevoli, quale quella di aver avuto dei benefici dai rapporti intrattenuti con esponenti di “cosa nostra” i quali, da un certo momento in poi, hanno iniziato a chiedere il conto dei favori fatti.
Comprensibile e’ stata giudicata l’assenza di dettagli in merito alle dazioni in favore del (OMISSIS), peraltro offerti dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS). Di poco conto, effettivamente, appare il fatto che il (OMISSIS) abbia inserito la condotta del (OMISSIS) in un arco temporale intercorrente tra il 2000 e il 2005, laddove era emerso che l’imputato si trovava in stato di detenzione dal giugno 1999 al 30 ottobre 2001; infatti, considerata la distanza temporale tra i fatti e il racconto del 2013, nonche’ l’omogeneita’ delle condotte estorsive (analoghe anche a quelle poste in essere da altri esponenti della cosca mafiosa di (OMISSIS)), peraltro indicate dal (OMISSIS) in arco temporale approssimativo, non certo manifestamente illogica e’ la deduzione della marginalita’ del dato. Ferma restando, come gia’ accennato, l’evidente inverosimiglianza di calunnie da parte di un imprenditore ai danni di esponenti mafiosi del territorio.
Quanto ai riscontri, la Corte territoriale ha evidenziato che il (OMISSIS) ha perfino fornito piu’ dettagli rispetto al narrato della parte offesa, ricordando che il (OMISSIS) si lamentava del fatto che aveva dovuto corrispondere ingenti somme di denaro alla famiglia mafiosa di (OMISSIS) a partire dall’epoca dell’arresto dello (OMISSIS), e che, sempre in tale ottica, era stato costretto a procedere all’assunzione fittizia di diverse persone, fra le quali (OMISSIS), le quali percepivano lo stipendio senza effettuare alcuna attivita’ lavorativa; ha anche precisato che era stato il (OMISSIS) a far cessare le richieste di denaro nei confronti del (OMISSIS) da parte della figlia di (OMISSIS), e che la parte offesa si era lamentata con lui per essere stata costretta a versare somme di denaro in favore del (OMISSIS). E, quanto alle informazioni che il (OMISSIS) ha appreso dal (OMISSIS), neppure poteva ipotizzarsi l’assunzione diretta della fonte, nel frattempo deceduta. Adeguatamente esclusa e’ la pretesa contraddizione tra quanto affermato da (OMISSIS) circa le dazioni di denaro in favore del (OMISSIS) e il dichiarato del (OMISSIS) -che avrebbe indicato un periodo diverso da quello cui aveva fatto riferimento la parte offesa (precisamente a partire dall’arresto di (OMISSIS), risalente alla fine degli anni ottanta)- evidenziandosi che l’indicazione temporale fatta dal collaboratore e’ relativa al momento di inizio delle pretese economiche della famiglia mafiosa di (OMISSIS) nei confronti dell’imprenditore, e non, in particolare, a quelle provenienti proprio dal (OMISSIS), succedutosi ad altri emissari dello (OMISSIS) (cfr. pag. 36).
Anche dal collaboratore (OMISSIS) vengono tratti riscontri utili, laddove ha riferito notizie dettagliate a proposito del fatto che il (OMISSIS) era stato destinatario di richieste estorsive da parte di esponenti della locale famiglia mafiosa, fra i quali l’imputato (OMISSIS), che all’epoca era al vertice della famiglia mafiosa di (OMISSIS), precisando altresi’ che il medesimo (OMISSIS), in piu’ occasioni, gli aveva direttamente consegnato somme, che poi aveva provveduto a girare a (OMISSIS), il quale, peraltro, aveva anche riscosso direttamente ulteriori importi di denaro dall’imprenditore.
In definitiva, il quadro accusatorio e’ stato logicamente valutato come robusto e rassicurante, confortato da dichiarazioni di due collaboratori ritenuti attendibili, per molti versi specifiche e caratterizzate da originalita’ rispetto a quelle della parte offesa, che adeguatamente riscontrano nelle linee di fondo. Ne’ sono mai emersi agli atti elementi in forza dei quali poter ritenere in capo ad alcuno dei dichiaranti un intento calunniatorio nei confronti del (OMISSIS).
Neppure incerta viene definita la sussistenza, nell’estorsione di specie, del necessario requisito della minaccia; al riguardo si valorizza logicamente il fatto che la vittima fosse consapevole della provenienza della richiesta di denaro -priva di legittima giustificazione- da un soggetto posto al vertice della locale famiglia mafiosa; circostanza evidentemente integrante minaccia implicita, ben idonea a coartare la volonta’ della vittima. Ne’ la presenza dell’intimidazione mafiosa puo’ dirsi esclusa dalla vicinanza che ha caratterizzato una certa fase iniziale dei rapporti tra l’imprenditore (OMISSIS) e lo (OMISSIS), posto che, seguendo questa ottica, risulterebbe incomprensibile la sofferenza e l’insofferenza del denunciante, costantemente emergente dal narrato di quest’ultimo e riscontrata dai collaboratori di giustizia e dal figlio, rispetto al gran numero di prepotenze mafiose, spazianti dalla richiesta continua di denaro all’imposizione di assunzioni o di negozi giuridici pregiudizievoli. E comunque, che intimidazione vi sia stata, emerge anche dalla presenza di ripetute minacce di morte, capaci ad indurre l’imprenditore a compiere negozi anche profondamente pregiudizievoli per le sue finanze.
2.5.3.3. Quanto al capo V, del doppio addebito originariamente formulato, la Corte territoriale ha ritenuto integrato solo quello dell’estorsione, da parte dello (OMISSIS), anche con esplicite minacce di morte, della somma di Euro 10.000,00, materialmente versata nelle mani del (OMISSIS) (mentre e’ stata confermata l’assoluzione per l’accusa di estorsione di Euro 200.000,00 consegnati attraverso (OMISSIS)).
Come emerge dalle pagg. 38 e segg. della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ripercorso il dichiarato del (OMISSIS) e quello del collaboratore di giustizia (OMISSIS), ricordando che il GUP ha giustificato la propria statuizione assolutoria ritenendo non pienamente attendibile la persona offesa, rilevando contrasti con il dichiarato del collaboratore (OMISSIS) e riproponendo la qualificazione dei pagamenti ad opera del (OMISSIS) non all’interno di uno scenario estorsivo bensi’ di adempimenti relativi a reciproche obbligazioni fra l’imprenditore e lo (OMISSIS), nascenti dalla societa’ di fatto intercorsa fra i due e avente quale illecito oggetto l’aggiudicazione di appalti. All’esito della necessaria rinnovazione istruttoria la Corte d’appello ha logicamente rilevato come, in relazione alla specifica dazione, da parte della vittima, della somma di Euro 10.000,00, il quadro accusatorio fosse eloquente. Ed invero, prescindendo dalle parti di dichiarazioni relative a condotte diverse da quelle contemplate nel capo di imputazione in discorso, la Corte territoriale ha individuato il riscontro del versamento di Euro 10.000 in quanto personalmente e direttamente vissuto e riferito dal (OMISSIS) (che ha anche precisato che la somma in contanti era stata consegnata a suo cugino all’interno di un bar). Anche la discrasia, quanto all’ammontare dell’importo, fra le dichiarazioni del (OMISSIS) e quelle del (OMISSIS), viene adeguatamente e ragionevolmente giustificata con il ricordo non nitido della parte offesa, dovuto al fatto che nel corso degli anni era stata costretta a versare innumerevoli somme in favore dello (OMISSIS), oltre alla lontananza nel tempo dell’episodio riferito (risalente alla fine del 2008) rispetto all’epoca in cui sono state rese le dichiarazioni (del 25 giugno 2013). Ne’ sono emerse discordanze per il resto, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice.
Manifestamente erroneo, come gia’ detto, e’ poi l’argomento assolutorio del GUP in tema di sussistenza di preteso credito dello (OMISSIS) nascente dalla piu’ volte citata societa’ di fatto a contenuto illecito con il (OMISSIS).
2.5.3.4. Quanto al capo W, ascritto sia al (OMISSIS) che allo (OMISSIS) (in concorso fra loro, con (OMISSIS) e con (OMISSIS), separatamente giudicati), relativo alla estorsione della cessione di un capannone con annesso terreno in (OMISSIS), la corte territoriale, alle pagg. 43 e seguenti, ripercorre le dichiarazioni del (OMISSIS), del di lui figlio (OMISSIS) e dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), ravvisando logicamente una sostanziale convergenza del narrato, oggetto anche di diretta percezione da parte del (OMISSIS), rivestente senza dubbio la qualita’ di teste (seppure costituito parte civile).
I dubbi che avevano portato il primo giudice all’assoluzione si erano appuntati sulla natura “de relato” delle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS), inserendo ancora una volta la cessione del magazzino nella dinamica dei rapporti di dare e avere esistenti fra lo (OMISSIS) e il (OMISSIS) in ragione della detta societa’ occulta esistente fra i due.
La Corte territoriale, dopo aver ribadito il giudizio di sostanziale credibilita’ del (OMISSIS) e valorizzato i plurimi riscontri forniti al nucleo centrale delle dichiarazioni accusatorie del medesimo da quelle rilasciate dal di lui figlio (OMISSIS) e dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) (che avevano anche fornito numerosi particolari dell’episodio delittuoso), ha logicamente concluso nel senso ricordato, a conforto del quale milita anche l’avvenuta acquisizione della copia del contratto preliminare di cessione del capannone.
Aspecifiche risultano poi le censure volte ad evidenziare un preteso travisamento delle dichiarazioni del (OMISSIS) (a proposito dell’indicazione del (OMISSIS) come responsabile della famiglia mafiosa di (OMISSIS) o della presenza del medesimo ai colloqui tra (OMISSIS) e lo (OMISSIS)); a tal fine si e’ allegato al ricorso il verbale delle dichiarazioni rese in appello dal (OMISSIS). Infatti, ad avviso del Collegio, il motivo sul preteso travisamento si fonda sulla parcellizzazione degli elementi dichiarativi, mancando la necessaria considerazione di quanto gia’ verbalizzato dal collaboratore nelle precedenti fasi processuali, a partire da quella delle indagini, dati peraltro risultanti dalla sentenza di primo grado (cfr. pag. 69 e seg.), costituenti quindi corredo probatorio che doveva essere necessariamente considerato per potersi integrare la necessaria specificita’ del motivo. Manca poi qualsiasi accenno alla c.d. prova di resistenza rispetto agli ulteriori elementi accusatori; profilo che costituisce comunque ulteriore ragione di inammissibilita’ del motivo sul (preteso) travisamento.
Ne’ pregio rivestono, come gia’ affermato, gli argomenti del primo giudice relativi alla qualificazione giuridica di tali condotte, da inserire, a pieno titolo, nel paradigma del reato estorsivo, come gia’ in precedenza evidenziato.
2.6. Infondato e’ anche il motivo proposto dalla (OMISSIS) con riferimento alla affermazione di penale responsabilita’ fatta dalla corte territoriale in relazione alla estorsione aggravata (ai danni di (OMISSIS), poi deceduto) di cui al capo L2.
In tale addebito si e’ imputato allo (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) (separatamente giudicato), l’estorsione di somme (Euro 5.000 a Natale ed a Pasqua, dal Natale del 2007 a Natale del 2008, poi aumentata a 7.500 dalla Pasqua del 2008) ai danni di (OMISSIS), titolate di una ditta operante in (OMISSIS) nel settore del commercio di ortofrutta.
Il G.U.P. ha motivato la propria statuizione assolutoria evidenziando che le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e (OMISSIS), divergevano su punti essenziali, cosi’ che non si riscontravano vicendevolmente, con le ovvie conseguenze ai fini della prova di reita’.
A seguito dell’impugnazione della pubblica accusa, nel giudizio di secondo grado e’ stata disposta la rinnovazione istruttoria relativamente alla audizione dei due collaboratori di giustizia; mentre il (OMISSIS) ha confermato le dichiarazioni gia’ rese nella prima fase del giudizio, il (OMISSIS) si e’ avvalso della facolta’ di non rispondere.
La Corte territoriale ha ribaltato il giudizio assolutorio, osservando come il (OMISSIS) abbia puntualmente riferito circostanze chiare e apprese per scienza diretta (ha dichiarato di essere stato incaricato dallo (OMISSIS) di chiedere il cosiddetto “pizzo” alla vittima (OMISSIS), e ha confermato ogni circostanza relativa alla condotta contestata, con particolare riferimento agli importi versati dall’ (OMISSIS) e ai periodi indicati nell’imputazione). Quanto al (OMISSIS), pur avvalsosi in appello della facolta’ di non rispondere, sono state legittimamente valorizzate, a fini di riscontro, le dichiarazioni dal medesimo rese in precedenza (che, come risulta dalla sentenza di primo grado alle pagg. 168 e seg., contengono il riscontro circa l’effettiva verificazione della vicenda estorsiva, il ruolo di mandante dello (OMISSIS) e quello di emissario in capo al (OMISSIS)). E’ ben vero, pure secondo la Corte territoriale, che tra i due narrati e’ rimasta irrisolta la discrasia relativa al diretto versamento del “pizzo” nella mani del (OMISSIS); purtuttavia, il nucleo essenziale della vicenda e, in particolare, il ruolo dell’attuale giudicabile, (e cioe’ la sottoposizione a “pizzo” dell’ (OMISSIS), in occasione delle festivita’ di Natale e Pasqua, su mandato dello (OMISSIS), reggente della famiglia mafiosa di (OMISSIS)) risulta nitidamente accertato in base ad affermazioni di collaboratori che neppure il primo giudice ha giudicato inattendibili.
Per giunta, entrambi i collaboratori di giustizia, sempre secondo la Corte territoriale, hanno riferito circostanze apprese per scienza diretta (ciascuno rispetto a differenti segmenti della vicenda storica), essendo stato il (OMISSIS) personale latore della prima richiesta estorsiva e il (OMISSIS) direttamente interessato dalla vittima (che quindi gli ha riferito dell’estorsione in atto) per fare da mediatore. Come accennato, il principale elemento di contrasto tra i dichiarati e’ relativo alle modalita’ di versamento delle somme di denaro da parte della vittima: il (OMISSIS) ha affermato di avere ricevuto tali somme per mezzo di un terzo (tale (OMISSIS)); il (OMISSIS) ha invece a suo tempo dichiarato che i versamenti sono stati fatti direttamente nelle mani del (OMISSIS). Ma, a ben vedere, mai viene messo in dubbio l’effettivo versamento del “pizzo” da parte della persona offesa; la discrasia risulta quindi marginale, avendo entrambi i collaboratori riferito in maniera concorde rispetto ai tratti essenziali della vicenda, indicando lo (OMISSIS) quale mandante e il (OMISSIS) quale esecutore del reato; del resto, e’ del tutto logico che il (OMISSIS), avendo appreso dei fatti dalla vittima, dalla quale e’ stato coinvolto solo per il tentativo di mediazione, ben possa avere conoscenza di una parte limitata della vicenda (nei termini e nei limiti di quanto riferitogli) e, per tale ragione, mantenerne comunque un ricordo meno nitido o dettagliato (trattandosi di fatti non vissuti direttamente, ma solo raccontatigli).
Peraltro, l’esito complessivo del giudizio di appello ha comunque consentito di accertare l’esistenza di plurime vicende estorsive, sempre ai danni di operatori economici insediati nel territorio controllato dalla famiglia mafiosa di (OMISSIS), della quale lo (OMISSIS) e’ stato indicato come reggente (da parte di collaboratori di giustizia giudicati credibili; per giunta confortati dalla presenza, a carico dello (OMISSIS), di un precedente penale per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p. – cfr. pag. 64 della sentenza d’appello); fattore che, nella necessaria valutazione globale degli indizi, e’ illegittimo e illogico pretermettere del tutto e che anzi, in ottica complessiva, coopera funzionalmente al raggiungimento della maggiore valenza persuasiva richiesta per le ipotesi di condanna alle quali necessita, quale quella di specie, la c.d. “motivazione rinforzata”.
Nessuna rilevanza di rilievo puo’ invece rivestire la circostanza secondo la quale, in concomitanza dell’estorsione, e’ intervenuta la detenzione dello (OMISSIS) (dal 16.12.2008), ricoprendo l’imputato in parola, nella vicenda in esame, il ruolo di mandante dell’estorsione.
Ne’ dubbi di rilievo si prospettano in relazione alla utilizzazione di quanto dichiarato dal (OMISSIS) in fase di indagini, nonostante che il collaboratore, in sede di rinnovazione istruttoria, si sia avvalso della facolta’ di non rispondere. Del resto, e’ stato infatti adempiuto da parte della Corte territoriale il dovere di disporre la rinnovazione istruttoria; la legittima scelta processuale del collaboratore di giustizia non impedisce tuttavia, in forza della adozione del rito abbreviato, l’utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese dal medesimo, peraltro in funzione di riscontro.
2.7. Infondato e’ pure il motivo dello (OMISSIS) relativo all’estorsione mafiosa di cui al capo M2. L’addebito e’ relativo all’estorsione posta in essere dall’imputato, in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari della sala bowling di (OMISSIS), avente ad oggetto la consegna, a titolo di “pizzo” in favore della locale consorteria mafiosa, di Euro 6.000,00 a Natale e a Pasqua, dal Natale del 2007 al Natale del 2008, poi aumentata ad Euro 7.500,00 dalla Pasqua del 2008 fino alla Pasqua del 2013).
Il primo giudice, nel motivare la propria statuizione assolutoria, evidenziava alcuni aspetti di contraddizione fra le dichiarazioni rese, ritenendo che non fosse stata raggiunta la piena prova di reita’ a carico del prevenuto.
Anche in questo caso la Corte territoriale, all’esito della rinnovazione istruttoria, ha ribaltato il giudizio assolutorio, osservando come dovesse assumersi, quale dato di partenza, l’accertata sottoposizione della sala bowling di (OMISSIS) a stabile azione estorsiva ad opera di esponenti della locale famiglia mafiosa (in tal senso convergono pienamente i collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che la stessa parte offesa (OMISSIS)); inoltre, formidabile elemento di riscontro di tale circostanza e’ rappresentato dal fatto che il nome del bowling risulta annotato nel libro mastro, fatto oggetto di sequestro, sul quale veniva riportato l’elenco degli esercizi commerciali sottoposti a richieste estorsive. Tanto premesso, il sicuro coinvolgimento del prevenuto (oltre che del coimputato (OMISSIS), giudicato a parte) nella vicenda viene desunto – secondo lo stringente ragionamento del giudice d’appello- dal concorde tenore delle dichiarazioni dei due collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) (per quest’ultimo, considerato che si e’ avvalso in appello della facolta’ di non rispondere, sono state considerate le dichiarazioni rilasciate in sede di indagini riportate a pag. 145 e seg. della sentenza di primo grado).
E dunque, anche in relazione all’addebito in esame, come per quello che precede, la Corte di appello ha raggiunto, ad avviso del Collegio, la soglia della maggiore efficacia persuasiva, evidenziando come, a fronte del quadro descritto, le lievi e marginali discrasie relative all’ammontare delle somme versate e ai periodi in cui i versamenti sono stati effettuati non possono escludere valenza dimostrativa alle nitide affermazioni dei collaboratori di giustizia, relative a circostanze apprese direttamente (riferibilita’ dell’estorsione in discorso, come mandanti, prima allo (OMISSIS) e, dopo l’arresto di questi, al (OMISSIS) -posizione stralciata dal presente giudizio-) e specificamente al ruolo di mandante dell’imputato.
Ad ulteriore conforto della soluzione accolta viene anche in questo caso richiamata la riconosciuta posizione apicale del prevenuto all’interno della locale famiglia mafiosa (come concordemente affermato dai dichiaranti), dato che ben si allinea con il gia’ ricordato precedente penale per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p. in capo allo (OMISSIS).
2.8. Analogo giudizio di infondatezza merita il motivo di (OMISSIS) in relazione al capo U4, al cui interno viene contestato al medesimo (in concorso a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) -posizioni separatamente giudicate-) l’estorsione con metodi mafiosi (richieste di somme di denaro da utilizzare per il mantenimento delle famiglie dei carcerati), ai danni di (OMISSIS), pari ad Euro 2.500,00 in occasione delle feste natalizie e pasquali.
Il G.U.P. ha assolto sul rilievo che sussistessero discrasie tra le dichiarazioni raccolte al riguardo (quella della parte offesa (OMISSIS) e del collaboratore di giustizia (OMISSIS), non perfettamente coincidenti circa i profili relativi agli eventi successivi alla formulazione della richiesta estorsiva formulata dal (OMISSIS) e all’azione di mediazione posta in essere da (OMISSIS)).
La rinnovazione istruttoria disposta in appello consisteva nella nuova audizione del (OMISSIS) e del (OMISSIS), che confermavano le rispettive dichiarazioni rese in precedenza.
Venivano anche acquisiti al processo d’appello -ma con utilizzabilita’ limitata solo nei suoi confronti-, i verbali di interrogatorio del neo-collaboratore (OMISSIS) (che confessava di avere posto in essere la condotta ascrittagli, ma accusava anche (OMISSIS)). Sulla base di tali elementi la Corte territoriale pronunciava sentenza di condanna nei confronti del (OMISSIS) (oltre che del (OMISSIS)); questo il ragionamento: senza considerare che il (OMISSIS) ha reso ampia confessione in relazione alle proprie condotte relative al reato in discorso, quanto alla posizione di (OMISSIS) si e’ osservato che la responsabilita’ di costui emerge in maniera piana dal tenore delle dichiarazioni della parte offesa (OMISSIS) che, anche in sede di rinnovazione istruttoria, ha costantemente dichiarato che e’ stato il (OMISSIS) ad avanzare la prima richiesta estorsiva avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 20.000,00. Dal momento che, alla luce del complessivo quadro istruttorio, non e’ emersa ragione alcuna per dubitare in alcun modo della genuinita’ dell’accusa del (OMISSIS) o per ravvisare, in capo al teste-persona offesa, un intento calunniatorio in danno dell’imputato (evenienza davvero inverosimile nella situazione data), detta deposizione risulta pienamente idonea a supportare la condanna.
Ne’ puo’ omettersi di considerare che, rispetto alla decisione in parola, i dubbi che avevano indotto il primo giudice ad assolvere (cfr. pagg. 122-125) risultano consistere in opinioni personali fondate su dubbi tanto ipotetici quanto astratti (pretesa incertezza quanto alla attendibilita’ della individuazione dell’imputato -laddove, in realta’, quest’ultimo risulta essersi direttamente presentato alla persona offesa come ” (OMISSIS) di Casteldaccia”- e pretesa inverosimiglianza di una condotta attribuita ad un soggetto che si ipotizza avrebbe dovuto essere attentamente controllato dalle Forze dell’ordine -perche’ sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di dimora in (OMISSIS)- senza considerare che la condotta di specie si e’ verificata proprio all’interno del Comune di (OMISSIS) e che la presunta vigilanza non ha impedito al soggetto di realizzare le condotte che, nel giro di pochi mesi, hanno comunque condotto al suo arresto).
In definitiva, anche per il capo in parola, ad avviso del Collegio, sembra evidente che la Corte territoriale abbia offerto, alla luce del corretto inquadramento normativo degli apporti dichiarativi, legittima valutazione di una prova testimoniale e ricostruzione non atomistica del complessivo panorama accusatorio, che ben puo’ considerarsi letto con forza logica ed efficacia dimostrativa assai piu’ convincenti di quelle espresse dal primo giudice.
Radicalmente inammissibili in questa sede, perche’ proposti personalmente dall’imputato, sono i motivi aggiunti formulati dal ricorrente con atto pervenuto in cancelleria il 17 febbraio 2020. 2.9. Quanto poi al motivo di (OMISSIS) relativo alla affermazione di penale responsabilita’ operata dalla corte territoriale con riferimento al capo S3, si impone nuovamente pronuncia di rigetto. Al capo in esame si contesta al (OMISSIS) di avere, in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS) (separatamente giudicati), tentato di convincere l’imprenditore edile (OMISSIS), con la minaccia dell’appartenenza mafiosa e incendiando due automezzi della vittima, a rinunciare all’assegnazione di alcuni lavori o a versare una somma di denaro.
Anche per tale imputazione il primo giudice ha motivato l’assoluzione affermando che le dichiarazioni rese al riguardo da due collaboratori di giustizia ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) erano assai scarne e prive di riscontri individualizzanti; ha aggiunto che la parte offesa (OMISSIS), pur ammettendo la ricorrenza degli incendi, aveva negato la ricorrenza di alcun tentativo di estorsione.
La Corte territoriale, all’esito della rinnovazione istruttoria, e’ logicamente giunta a conclusioni opposte: partendo dalla logica deduzione della assoluta reticenza della persona offesa (OMISSIS) (che, nel riferire dei due gravi attentati incendiari, ha detto di averli considerati quale semplice “scherzo”), la convincente prova del ruolo del (OMISSIS) quale mandante dell’estorsione in parola viene ancora una volta raggiunta tramite l’attenta lettura delle dichiarazioni dei due collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), che si riscontrano vicendevolmente quanto ai profili essenziali dell’addebito. Infatti, i collaboranti concordano sull’attribuzione al (OMISSIS) (quale mandante), dell’incendio dei mezzi di proprieta’ del (OMISSIS), materialmente appiccato da tali (OMISSIS) e (OMISSIS); il (OMISSIS), gia’ considerato particolarmente preciso e attendibile dal primo giudice, ha anche indicato la finalita’ specifica dell’attentato (intimidazione compiuta con l’intento di indurre il (OMISSIS) a rinunciare ad effettuare una certa fornitura di sabbia che la stessa parte offesa avrebbe dovuto effettuare in favore di tale ing. (OMISSIS)). In appello si e’ anche accertato che le accuse del (OMISSIS) non provenissero dal generico patrimonio conoscitivo comune agli associati mafiosi (ragione posta dal GIP a svalutazione del dichiarato), ma avessero una fonte precisa e diretta (cfr. pag. 3 del ricorso per cassazione), cosi’ superandosi ogni perplessita’ sull’attendibilita’ del dichiarato, che nella specie, peraltro, funge solamente da riscontro delle accuse assai precise formulate dal (OMISSIS); comprensibilmente marginale viene poi considerata la lieve discrasia tra data di consumazione indicata in contestazione (nel 2005) e la risultanza dello stato di detenzione dell’imputato a partire dal 25.1.2005. Peraltro, gia’ in primo grado (cfr. pag. 86) era stato chiarito che l’addebito si riferiva a periodo antecedente all’arresto del (OMISSIS) in data 25.1.2005 (operazione grande mandamento); ed infatti il (OMISSIS) ha collocato il danneggiamento nella primavera del 2004, data quindi emergente dagli atti e ben conosciuta dalla difesa.
Neppure puo’ ravvisarsi lesione di diritti difensivi in relazione al luogo di commissione dei fatti (contestati come avvenuti a (OMISSIS) mentre gli incendi si sarebbero verificati a (OMISSIS)), posto che sia l’atto di gravame del PM, sia comunque le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ben conosciute dalla difesa, evidenziavano nitidamente che a (OMISSIS) era stata fatta la richiesta di pizzo proveniente dal (OMISSIS), mentre gli incendi si erano verificati a (OMISSIS) e zone limitrofe, tutti territori ove comunque il (OMISSIS) operava.
Anche per tale fattispecie, dunque, puo’ ritenersi adeguatamente raggiunta, in forza della corretta lettura dei dati salienti del narrato dei collaboratori, prova convincente della commissione del reato e del ruolo rivestito dall’imputato.
3. Passando infine alla trattazione dei motivi relativi al trattamento sanzionatorio, possono per prime prendersi in considerazione le doglianze del (OMISSIS) e dello (OMISSIS) relative al diniego delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
Quanto al primo, si lamenta la genericita’ degli argomenti posti a base del diniego, a fronte dell’assenza di personale arricchimento dell’imputato, estraneo ai rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), e dalla assenza di condotte violente o minacciose come pure del ruolo secondario e fungibile. Quanto al secondo, si eccepisce l’omessa valutazione di eventuali elementi favorevoli.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
Secondo la condivisa giurisprudenza di legittimita’, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche’ la stessa motivazione, purche’ congrua e non contraddittoria, non puo’ essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/ 2008, Caridi, RV 242419). Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo. Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo’ essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione, comunque idoneo a fondare un giudizio di disvalore sulla personalita’ dell’imputato (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, RV. 265826; n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, RV. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, RV. 248737). Nel caso di specie si e’ rilevato che i fatti ritenuti a carico di tutti gli imputati sono connotati di particolarissima gravita’, inserendosi gli stessi in un contesto delinquenziale di natura mafiosa e, in quest’ambito, nella diffusa attivita’ di taglieggiamento, fonte di lucrosi proventi parassitari, attuata da una delle piu’ pericolose articolazioni di Cosa Nostra a mezzo di atti di intimidazione ai danni di numerosissimi esercizi commerciali, atti idonei a gettare nell’angoscia e nel terrore i malcapitati titolari degli stessi. Il conseguente, notevolissimo allarme sociale che suscita tale sistematica attivita’ criminale ed i suoi negativi riflessi sugli operatori commerciali e sulle stesse possibilita’ di sviluppo dell’economia ne radicano la estrema pericolosita’, che si trasmette a ciascuno dei fatti esaminati, il cui impatto, specie per quelli attuati a mezzo di eclatanti atti di danneggiamento o di altre pesanti minacce all’incolumita’ fisica, travalica, per intuitive ragioni, il significato del singolo episodio, determinando un diffuso clima di timore e di soggezione.
Viene altresi’ considerata l’assenza di alcun segno di resipiscenza e la presenza di precedenti condanne, elementi tutti in grado di offrire giustificazione al diniego in questione, che dunque non puo’ essere censurato in questa sede.
3.1. Anche in relazione alla entita’ della pena, che si discosta dal minimo edittale, viene eccepita l’assenza di adeguata giustificazione, anche in relazione agli aumenti di pena a titolo di continuazione (e’ il caso dello (OMISSIS)).
Trattasi nuovamente di motivi inammissibili.
Secondo condivisa giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio’ che – nel caso di specie – non ricorre. Infatti, per tutti gli imputati, oltre ai profili suddetti si valorizzano gli aspetti del grave disvalore dei fatti, con particolare riguardo al contesto mafioso in seno al quale gli stessi sono stati posti in essere.
Quanto alla mancanza, per lo (OMISSIS), di specifica motivazione per ogni singolo aumento nel reato continuato, il Collegio aderisce alla dominante giurisprudenza secondo la quale e’ sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (cfr. Sez. 1, n. 39350 del 19/07/2019, Rv. 276870 – 02; nello stesso senso, massime precedenti conformi: n. 34662 del 2016, Rv. 267721; nn. 44931 del 2017, Rv. 271787 e altre).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili nei termini di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS) e lo condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili che liquida per ciascuna:
quanto ad Associazione (OMISSIS), in complessivi Euro 5.616,00 oltre spese generali nella misura del 15 %, IVA e CPA come per legge;
quanto a Confcommercio Imprese per l’Italia Palermo, in complessivi Euro 5.616,00 oltre spese generali nella misura del 15 %, IVA e CPA come per legge;
quanto a (OMISSIS) in complessivi Euro 5.616,00 oltre spese generali nella misura del 15 %, IVA e CPA come per legge;
quanto a (OMISSIS) Onlus in complessivi Euro 2.808,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;
quanto a (OMISSIS), in complessivi Euro 2.808,00 oltre spese generali nella misura del 15 %, IVA e CPA come per legge;
quanto a Confindustria Palermo e (OMISSIS), assistite dal medesimo difensore, in Euro 3.500,00 ciascuna, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Condanna (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), assistite da unico difensore, liquidate per ciascuno in Euro 2.500,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), assistite da unico difensore, liquidate per ciascuno in Euro 2.000,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 1.755,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 1.755,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;
Condanna (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Comune di (OMISSIS) liquidate in Euro 4.914,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Comune di (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3,510,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile costituita Comune di Altavilla Milicia che liquida in complessivi Euro 3,510,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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