Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 19 giugno 2020, n. 3945.
La massima estrapolata:
È elusiva del provvedimento di interdittiva antimafia, adottato dal Prefetto nei confronti di una società il cui consulente esterno è vicino agli ambienti della malavita organizzata, la misura di self cleaning posta in essere dalla società qualche giorno dopo il provvedimento antimafia e consistente nella revoca dell’incarico per giusta causa, essendo stata tale revoca adottata subito dopo l’informazione interdittiva e quindi al presumibile solo scopo di eliminare gli effetti del provvedimento antimafia, ferma restando l’inerenza del consulente nella società; è pertanto legittimo il diniego di aggiornamento del provvedimento interdittivo opposto per elusività della misura di self cleaning.
Sentenza 19 giugno 2020, n. 3945
Data udienza 21 maggio 2020
Tag – parola chiave: Informativa antimafia – Self cleaning – Rimozione consulente vicino agli ambienti della criminalità organizzata – Richiesta di aggiornamento della misura interdittiva – A distanza di pochi giorni dalla revoca dell’incarico al consulente – Diniego – Per elusività della misura – Legittimità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9289 del 2019, proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura – UTG di Caserta, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…),
contro
l’Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-“, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lo. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Pl. in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, -OMISSIS- del 30 luglio 2019, non notificata, con la quale è stato accolto il ricorso proposto per l’annullamento, tra l’altro, della conferma, a seguito di istanza di aggiornamento, dell’informazione antimafia interdittiva adottata nei confronti dell’Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-“.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive dell’Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-“, depositate in date 9 dicembre 2019 e 18 maggio 2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 21 maggio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, il Cons. Giulia Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-” (d’ora in poi, Associazione) è attiva nel settore della tutela degli animali, gestendo -OMISSIS- una struttura in -OMISSIS- per il ricovero dei cani.
A seguito dell’aggiudicazione dell’appalto per l’affidamento del servizio “di custodia e mantenimento dei cani randagi vaganti sul territorio comunale in -OMISSIS- attrezzato”, indetto dal Comune di -OMISSIS-, la Prefettura di Caserta ha adottato, in data -OMISSIS- 2018, un’informazione interdittiva antimafia (prot. -OMISSIS-) nei confronti della suddetta associazione.
Il provvedimento interdittivo ha tratto fondamento dalla circostanza che, nel corso della procedura di gara indetta dal Comune di -OMISSIS- per l’affidamento del servizio per -OMISSIS-, era presente quale rappresentante dell’Associazione -OMISSIS- il signor -OMISSIS-, il quale era stato condannato per il reato di corruzione elettorale ordinaria senza aggravante mafiosa; che i -OMISSIS- erano dipendenti dell’Associazione stessa; che il signor -OMISSIS- ha, nel tempo, consapevolmente tenuto un’assidua frequentazione con alcuni esponenti del -OMISSIS- (-OMISSIS- e -OMISSIS-); che è stato adottato un provvedimento di sequestro conservativo penale di un immobile di proprietà della -OMISSIS- del signor -OMISSIS-; che quest’ultimo è stato controllato unitamente al signor -OMISSIS-, amministratore unico dell’Associazione.
L’Associazione -OMISSIS-, dopo l’adozione di tale misura interdittiva, ha posto in essere misure volte a stabilire una cesura netta con il signor -OMISSIS-, revocando l’incarico di consulenza legale che gli era stato conferito e licenziando i -OMISSIS-. Per tale motivo, l’Associazione ha proposto un’istanza di aggiornamento dell’informazione interdittiva.
All’esito di una nuova istruttoria, la Prefettura di Caserta, in data -OMISSIS- 2018, ha confermato il provvedimento interdittivo (prot. -OMISSIS-), ritenendo che le asserite misure di self cleaning adottate dall’Associazione, per circostanze di tempo, avessero assunto la veste di provvedimenti tesi ad eludere la normativa antimafia.
2. Con un primo ricorso proposto innanzi al Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, l’Associazione -OMISSIS- ha impugnato l’informazione interdittiva antimafia emessa con il provvedimento (prot. -OMISSIS-) del -OMISSIS- 2018, lamentando che gli elementi fondanti l’atto avversato non fossero sufficienti a far desumere indizi di un condizionamento mafioso.
3. Con un secondo ricorso, l’Associazione ha impugnato il provvedimento di conferma dell’interdittiva (prot. -OMISSIS-), emesso dalla Prefettura di Caserta in data -OMISSIS- 2018, censurando, in particolare, il difetto di motivazione e di istruttoria, per non aver considerato le misure dissociative adottate al precipuo fine di rimuovere i fattori di pericolo di infiltrazione mafiosa.
4. Con sentenza -OMISSIS- del 30 luglio 2019 il Tar Napoli, previa riunione -OMISSIS- ricorsi, ha dichiarato improcedibile il primo ed ha accolto il secondo.
In particolare, il primo giudice ha ritenuto sussistente il difetto di motivazione e di istruttoria, rilevando che la Prefettura avrebbe dovuto evidenziare gli elementi fondanti il persistente condizionamento da parte del signor -OMISSIS- sull’Associazione stessa, nonostante la revoca dell’incarico e il licenziamento dei -OMISSIS-, non potendo ancorare il provvedimento avversato ad una forma di presunzione assoluta, fondata esclusivamente sullo scarso lasso temporale decorso tra l’adozione dell’informazione antimafia e le misure poste in essere dall’Associazione.
5. La citata sentenza -OMISSIS- del 30 luglio 2019 è stata impugnata dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura – UTG di Caserta con appello notificato in data -OMISSIS- 2019 e depositato il successivo -OMISSIS-.
In particolare, il Tar avrebbe erroneamente valutato le circostanze di fatto e le risultanze documentali che avrebbero sorretto l’atto prefettizio. Quest’ultime, infatti, guardate in maniera unitaria e non atomistica, avrebbero fatto emergere, secondo la logica “del più probabile che non”, una plausibile vicinanza e un condizionamento dell’Associazione -OMISSIS- ad organizzazioni criminali operanti sul territorio locale.
L’Amministrazione avrebbe adeguatamente motivato come le misure di self cleaning poste in essere dall’appellata sarebbero tese ad eludere la normativa antimafia. Infatti, da una ricerca effettuata su fonti libere, è emerso che l’Associazione ben avrebbe potuto sapere chi fosse il signor -OMISSIS- già prima dell’intervento della Prefettura di Caserta; consultando il sito web -OMISSIS-, è comparso, quale -OMISSIS- autorizzato presso la ASL di Caserta, -OMISSIS- di -OMISSIS-, il cui indirizzo coincideva con quello della Associazione appellata; è risultato, altresì, un telefono intestato alla stessa associazione e utilizzato dal signor -OMISSIS-.
6. L’Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-” si è costituita in giudizio sostenendo l’infondatezza dell’appello.
7. Con ordinanza cautelare -OMISSIS- dicembre 2019, è stata accolta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, -OMISSIS- del 30 luglio 2019.
8. All’udienza del 21 maggio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto della controversia è la conferma, disposta dalla Prefettura di Caserta il -OMISSIS- 2018, dell’informazione antimafia interdittiva, che era stata adottata il -OMISSIS- 2018 nei confronti dell’Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-” (d’ora in poi, Associazione) per essere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa nella vita economica della stessa Associazione, essendo un suo consulente esterno, il sig. -OMISSIS-, ritenuto contiguo al -OMISSIS- per una condanna per reato elettorale in occasione delle elezioni amministrative del Comune di -OMISSIS- del 2010.
Alla base della conferma è stato il rilievo che le misure di self cleaning poste in essere dall’Associazione dopo il primo provvedimento antimafia – consistenti nella revoca (in data -OMISSIS- 2018) dell’incarico del sig. -OMISSIS- per giusta causa e nel licenziamento, sempre per giusta causa (in data -OMISSIS- 2018), dei -OMISSIS-, che lavoravano nell’Associazione – avevano carattere elusivo, in quanto adottate subito dopo la prima informazione interdittiva e quindi al presumibile scopo di eliminare gli effetti del provvedimento antimafia.
La conferma è stata annullata dal Tar Napoli, con sentenza -OMISSIS- del 30 luglio 2019, sul rilievo che seppure sia da ritenere plausibile che le misure adottate dalla ricorrente rispondano allo scopo di eliminare l’interdittiva, tale finalità non è da sola sufficiente a ravvisare il carattere elusivo delle misure stesse atteso che ciò che occorre verificare nel caso di adozione di misure di self cleaning non è lo scopo soggettivamente perseguito dall’ente attinto dall’informativa e dai suoi esponenti, bensì l’effettiva idoneità delle misure stesse a recidere quei collegamenti e cointeressenze con le associazioni criminali che hanno fondato l’adozione della precedente informazione antimafia. Ad avviso del Tar, diversamente argomentando, portando cioè alle estreme conseguenze l’iter argomentativo della Prefettura, si perverrebbe alla conclusione per cui qualunque misura di self cleaning posta in essere immediatamente dopo essere stata attinta da informazione interdittiva, sarebbe presuntivamente elusiva, quasi che debba comunque trascorrere un lasso temporale ampio e, comunque, ritenuto sufficiente ad eliminare il sospetto che la misura adottata sia di tipo opportunistico.
2. L’appello si fonda su un unico motivo volto a contestare la mancanza di motivazione a supporto del diniego di aggiornamento e il difetto di istruttoria, rilevati dal giudice di primo grado.
L’appello è fondato.
Per consolidata giurisprudenza, il superamento del rischio di inquinamento mafioso che è alla base della istruttoria posta in essere dalla Prefettura a seguito di istanza di aggiornamento è da ricondursi al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza (Cons. St., sez. III, 7 gennaio 2019, n. 161; 17 febbraio 2017, n. 739).
Alla stessa conclusione è pervenuta anche la giurisprudenza della Cassazione (sez. Un., 30 novembre 2017, n. 111) in materia di misure di prevenzione personali, laddove ricorda che “occorre confrontarsi, al fine della valutazione di persistente pericolosità, con qualsiasi elemento di fatto suscettibile, anche sul piano logico, di mutare la valutazione di partecipazione al gruppo associativo, al di là della dimostrazione di un dato formale di recesso dalla medesima – anche lì dove sia possibile evocare astrattamente un recesso, che si può connettere solo ad attività partecipativa -, quale può ravvisarsi nel decorso di un rilevante periodo temporale o nel mutamento delle condizioni di vita, tali da renderle incompatibili con la persistenza del vincolo”.
La doverosa attualizzazione del pericolo infiltrativo, anche per quanto attiene alle informazioni antimafia, richiede di valutare se siano intervenuti elementi di fatto suscettibili di mutare, anche sul piano logico, la valutazione di contiguità mafiosa, che non può ritenersi elisa o attenuata neanche dal mero trascorrere del tempo, stante la ininterrotta “contiguità ” a logiche mafiose.
Nella specie, al fine di rimuovere il presupposto che era stato posto dalla Prefettura di Caserta a fondamento della interdittiva antimafia del -OMISSIS- 2018 – id est la presenza nella stessa del sig. -OMISSIS-, che aveva tenuto un’assidua frequentazione con alcuni esponenti del -OMISSIS- (-OMISSIS- e -OMISSIS-) – l’Associazione, in data -OMISSIS- 2018 (dunque -OMISSIS- dopo l’adozione del provvedimento interdittivo) ha reciso tutti i rapporti con la famiglia -OMISSIS-, revocando l’incarico di consulenza al sig. -OMISSIS- e licenziando i -OMISSIS-. Solo cinque giorni dopo, -OMISSIS- 2018, l’Amministratore unico dell’Associazione, sig. -OMISSIS- ha chiesto l’aggiornamento della posizione antimafia dell’Associazione, assumendo la sopravvenienza di nuovi elementi.
Il Collegio ritiene – confermando quanto già chiarito in sede cautelare (ordinanza -OMISSIS- dicembre 2019, resa sulla richiesta di sospensione della sentenza del Tar Napoli -OMISSIS- del 30 luglio 2019) – assorbente, per dimostrare l’elusività del self cleaning, che già “ab origine” l’amministratore della Associazione appellata avrebbe potuto e dovuto conoscere il ruolo e la figura complessiva del sig. -OMISSIS-. In effetti, con la memoria depositata il 18 maggio 2020 l’Associazione sembra riconoscere di essersi avvalsa “consapevolmente”, nel passato, delle prestazioni di soggetto ritenuto controindicato, ma ritiene che ciò non mini l’effettività degli atti di discontinuità .
Tale conclusione non è condivisibile, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che l’Associazione ha per anni avuto come consulente un professionista che interveniva in occasioni rilevanti quali l’attività di gara qualificandosi come rappresentante della stessa Associazione, a conferma della fiducia personale di cui godeva, e del quale conosceva la vicinanza a soggetti ritenuti collegati alla criminalità organizzata del -OMISSIS- (che era stato condannato per il reato di corruzione elettorale ordinaria, senza aggravante mafiosa, in occasione delle elezioni amministrative del Comune di -OMISSIS- del 2010), senza condividerne o comunque essere influenzata e subire l’ingerenza della criminalità organizzata. Corollario obbligato di tale premessa è che se l’Associazione ha subito o cercato l’ingerenza di -OMISSIS-, circostanza questa posta a base dell’interdittiva del -OMISSIS- 2018, certamente non è l’allontanamento del sig. -OMISSIS- (e -OMISSIS- -OMISSIS-), intervenuto a soli pochi giorni di distanza dall’adozione della stessa interdittiva, a dare piena garanzia dell’effettiva netta cesura dai contesti mafiosi.
La vicinanza del sig. -OMISSIS- all’Associazione e al -OMISSIS- costituisce, insomma, un dato ancora attuale che pienamente giustifica la valutazione, compiuta dalla Prefettura di Caserta, di permeabilità mafiosa, con tutto ciò che ne consegue sul piano interdittivo. Ragionevolmente, dunque, il Prefetto ha ritenuto che fosse ancora “più probabile che non” la vicinanza della Associazione agli ambienti della criminalità organizzata.
Va peraltro rilevato che lo stesso giudice di primo grado ha affermato che “vero è che il dato della formale dell’interruzione dei rapporti lavorativi tra l’associazione ricorrente e il sig. -OMISSIS- e -OMISSIS- non è decisiva ai fini della prognosi di cessazione della situazione di condizionamento mafioso, ma occorreva che la Prefettura mettesse in evidenza la perduranza di ulteriori legami diretti dell’associazione con associazioni criminali oppure con lo stesso sig. -OMISSIS-, ma tali elementi dalla gravata informazione antimafia e dal rapporto del GIA non emergono, venendo, invece, semplicisticamente ribaditi gli indizi di condizionamento contenuti della precedente informazione antimafia, sull’indimostrato presupposto che le misure di self cleaning siano state adottate a scopo meramente elusivo”.
Ma è proprio il principio del “più probabile che non”, che governa non solo il procedimento di rilascio dell’informativa antimafia ma anche quello dell’aggiornamento, che ha portato il Prefetto a ritenere che l’ingerenza della malavita organizzata nella vita economica dell’Associazione -OMISSIS- – che aveva portato ad emettere il provvedimento interdittivo antimafia il -OMISSIS- 2018 – non potesse essere ancora venuta meno.
A tale conclusione il Prefetto è pervenuto, contrariamente a quanto assume il giudice di primo grado, con una motivazione articolata, sebbene sintetica, che mette in luce, tra l’altro: come già ab origine l’amministratore della associazione appellata avrebbe potuto e dovuto conoscere il ruolo e la figura complessiva del sig. -OMISSIS-; che la appellata Associazione aveva, infatti, tra i suoi dipendenti -OMISSIS- del sig. -OMISSIS- e quest’ultimo interveniva in occasioni rilevanti, quali l’attività di gara qualificandosi come rappresentante della stessa associazione, a conferma della fiducia personale di cui godeva; che la frequentazione dello stesso del sig. -OMISSIS-, tanto da essere con loro coimputato, con esponenti vicini a -OMISSIS-, in particolare per attività di compravendita di voti, era nota anche per notizie apparse sulla stampa locale, che certo l’associazione appellata non poteva ignorare ben prima che intervenisse la prima interdittiva antimafia
Tali argomentazioni sono per il Collegio sufficienti all’accoglimento dell’appello, in applicazione del principio del “più probabile che non”.
Il Collegio concorda con il Tar nel ritenere che ciò che occorre verificare, nel caso di adozione di misure di self cleaning, non è lo scopo soggettivamente perseguito dall’ente attinto dall’informativa e dai suoi esponenti, bensì l’effettiva idoneità delle misure stesse a recidere quei collegamenti e cointeressenze con le associazioni criminali che hanno fondato l’adozione della precedente informazione antimafia; contrariamente a quanto assume lo stesso giudice di primo grado ritiene però che nella fattispecie siano stati individuati gli elementi in base ai quali dovesse ritenersi persistente il condizionamento
D’altra parte, è consolidato indirizzo interpretativo di questa Sezione che alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con il passato continuando a subire, consapevolmente o non, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707; 7 marzo 2013, n. 1386).
Come si è detto, l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
Ha ancora chiarito la Sezione (5 settembre 2019, n. 6105) che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell’art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio ai principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).
E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel “tenere il passo con il mutare delle circostanze” secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché “il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale” (Cass. pen., sez. II, 9 luglio 2018, n. 30974).
3. Per tutte le ragioni sopra esposte l’appello è fondato, perché correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Caserta sufficiente ad evidenziare la persistenza del pericolo di contiguità con -OMISSIS-, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
4. L’appello deve quindi essere accolto e, in riforma della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, -OMISSIS- del 30 luglio 2019, deve essere respinto il ricorso proposto, dinanzi al Tar Napoli, dalla Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-“.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, -OMISSIS- del 30 luglio 2019, respinge il ricorso proposto, dinanzi al Tar Napoli, dalla Associazione -OMISSIS- “-OMISSIS-“.
Condanna l’appellata alla rifusione delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 8.000,00 (euro ottomila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellato e dei fatti allo stesso riconducibili.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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