Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 3 dicembre 2018, n. 54010.
La massima estrapolata:
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d’appalto, se è vero che il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle misure che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine, è comunque titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini o conoscenze.
Sentenza 3 dicembre 2018, n. 54010
Data udienza 25 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Presidente
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. BRUNO MARIAROSA – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/04/2017 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PERELLI SIMONE, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Preliminarmente viene depositata dall’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA, nomina a difensore di fiducia delle parti civili costituite (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
L’avv. (OMISSIS), associandosi alle conclusioni del Procuratore Generale deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta, chiedendo l’inammissibilita’ ed in subordine il rigetto del ricorso;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE difensore di (OMISSIS), che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Napoli, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, (OMISSIS), e dei coimputati non ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) con sentenza del 25/4/2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, emessa in data 22/10/2012, appellata dagli imputati, ha rideterminato la pena in anni 1 e mesi 8 di reclusione ciascuno, con sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la pronuncia di primo grado, ivi comprese le statuizioni civili e con condanna alla rifusione delle ulteriori spese della parte civile.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili, nelle rispettive qualita’ di datore di lavoro, responsabile di cantiere e per la sicurezza e di direttore dei lavori-committente del reato di cui all’articolo 41 c.p., comma 1, articolo 40 c.p., comma 2 e articolo 589 c.p., commi 1 e 2 per avere cagionato il decesso dell’operaio (OMISSIS) il quale, non adeguatamente formato in materia di sicurezza ed impiegato in un cantiere in cui non erano state adottate tutte, le misure necessarie, per prevenire gli infortuni, cadeva in una botola precipitando sul piano di calpestio sottostante ed impattando con il suolo dopo un volo di quattro metri. Da tale caduta derivava lesioni un “trauma cranico commotivo in policontuso”, che, dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale, ne provocava la morte per “arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria per stato comatoso in soggetto con trauma cranico e toracico, operato di craniotomia decompressiva ed evacuazione di ematoma sottodurale acuto”.
L’infortunio avveniva a (OMISSIS), mentre il decesso si registrava il (OMISSIS).
I profili di colpa addebitati all’odierno ricorrente in qualita’ di committente, e direttore dei lavori edili nel cantiere sito in via (OMISSIS), sono, dunque, quelli generici della negligenza, imprudenza ed imperizia nonche’ quelli concretatisi nell’inosservanza di specifiche norme antinfortunistiche a tutela dei lavoratori, su di lui gravanti quanto meno ai sensi della L. n. 494 del 1996, articolo 6 in quanto persona concretamente responsabile del controllo sul rispetto delle regole di sicurezza sul lavoro e sull’attuazione del piano di sicurezza del cantiere.
In particolare, come meglio specificato nei due capi di imputazione, cagionava la morte dell’ (OMISSIS) perche’ non sospendeva i lavori edili nel cantiere, nonostante fosse a conoscenza delle palesi violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo (aperture nei solai non adeguatamente protette e recintate), Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 12, comma 3 (mancata attuazione del piano di sicurezza e di coordinamento), Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 5, lettera a) (mancata verifica dell’applicazione di quanto riportato nel piano di sicurezza e di coordinamento), Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5 (mancato possesso del registro degli infortuni), Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 21 e 22 (mancanza di adeguata informazione dell’operaio (OMISSIS) in materia di sicurezza e salute dei lavoratori), Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 27, comma 1 (sottoponti di sicurezza non montati a distanza non superiore a metri 2,50), Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 64 (impalcati ed andatole di altezza superiore a metri 2 non muniti di correnti e tavole fermapiede sui lati verso il vuoto), Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 69 (scale non dotate di parapetti sui lati aperti), Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 70 (mancanza di opere provvisionali per l’esecuzione di lavori su tetti, lucernari, coperture e simili), Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 386 (lavoratori sforniti di cinture di sicurezza).
Ne derivava che, nel corso dell’illegale prosieguo delle attivita’ edilizie, il lavoratore portandosi verso una stanza al piano rialzato dello stabile in costruzione, passava su alcuni pannelli di legno che coprivano un’apertura nel solaio di tale piano rialzato non adeguatamente segnalata, protetta, o recintata, cosicche’ i pannelli di copertura, non idonei a sostenere il peso di una persona, si spezzavano determinandone una caduta nel vuoto dall’altezza di circa 4 metri.
In primo grado gli imputati venivano condannati alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con condanna al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, e al pagamento a titolo di provvisionale di Euro 30.000,00 per ciascuna delle parti civili costituite ed alla rifusione delle spese processuali in favore delle stesse parti civili.
La Corte partenopea, come detto, confermava l’affermazione di responsabilita’, pur riducendo la pena.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’eccepita incompetenza territoriale.
Il ricorrente precisa di aver invocato, con il primo motivo di appello, la nullita’ della sentenza per incompetenza territoriale, trattandosi di fatti commessi in (OMISSIS) localita’ rientrante nella competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione distaccata di Marcianise, dove effettivamente iniziava la trattazione del processo che veniva, per l’udienza del 8/5/2012, spostato presso la Sezione Distaccata di Caserta senza nessun avviso per l’imputato.
All’udienza del 14/05/2012 venivano eccepiti l’omesso avviso all’imputato e l’incompetenza per territorio. L’eccezione di incompetenza era rigettata.
La Corte di Appello, sul punto, rende, a detta del ricorrente, una motivazione confusa ponendo la questione tra Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e Sezione Distaccata di Marcianise, mentre l’eccezione proposta riguardava l’avvenuta celebrazione del processo a (OMISSIS) piuttosto che a (OMISSIS).
La sentenza risulta emessa a (OMISSIS).
Evidente sarebbe, quindi, la contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione e la violazione dell’articolo 8 c.p.p..
Con il secondo motivo di ricorso si deduce travisamento della prova, vizio di motivazione e violazione dei canoni di valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p., nonche’ inversione del corretto ragionamento logico-probatorio.
Il ricorrente riporta il contenuto del secondo motivo di appello con il quale aveva eccepito che l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato (OMISSIS) era stata frutto di un esame superficiale e parziale delle risultanze istruttorie, richiamate, nell’impugnato provvedimento, solo parzialmente ed evidentemente confuse, contraddittorie e artificiose.
In particolare, all’eccepita mancanza di riscontri esterni alle dichiarazioni testimoniali, tenuto conto delle tre contraddittorie ricostruzioni del fatto fornite, la corte di appello si limiterebbe, riportando quanto contenuto nella sentenza di primo grado, a fornire “giustificazioni” al comportamento delle persone offese, violando il principio secondo cui il convincimento del giudice deve fondarsi sulle certezze emergenti dal dibattimento e non su semplici sensazioni.
Il ricorrente ritiene che i giudici di appello abbiano operato una valutazione superficiale dell’ampia attivita’ dibattimentale come dimostrato dall’articolazione della sentenza che ricalca il provvedimento di primo grado.
Anche l’avvenuta acquisizione del contratto di appalto, in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, sarebbe stata superficialmente liquidata con l’affermazione di scarsa valenza del documento per l’assenza della data, che invece risulterebbe chiaramente indicata nella prima pagina del contratto, dove si legge: “…. l’anno 2004 il giorno 3 del mese di novembre….”
Cio’ dimostrerebbe una non attenta lettura della scrittura che costituirebbe il rapporto intervenuto tra il committente e l’impresa prevedendo l’affidamento dell’incarico della direzione del cantiere ad un tecnico abilitato.
Sarebbe evidente, quindi, la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) trattandosi di una prova decisiva.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e vizio di motivazione in quanto l’impugnato provvedimento non fornirebbe alcuna risposta ai motivi di appello limitandosi a riproporre le argomentazioni del primo giudice.
In particolare, sull’eccepita carenza di riscontri alle dichiarazioni e sull’analitica indicazione delle contraddizioni contenute nelle dichiarazioni dei testi la Corte distrettuale si limiterebbe richiamare quanto argomentato nella trattazione delle altre posizioni processuali tralasciando che le doglianze prospettate dalla difesa di (OMISSIS) erano relative a circostanze diverse da quelle sollevate dai difensori dei coimputati.
Il ricorrente riporta, quindi, le contraddizioni rilevate evidenziando l’inattendibilita’ del teste (OMISSIS), le cui dichiarazioni sono state determinanti, secondo la tesi del giudice di primo grado, per far ritenere verosimile la terza ricostruzione dei fatti ossia la collocazione del luogo dell’infortunio sul cantiere in via (OMISSIS).
Su tali doglianze, ulteriori rispetto a quelle rappresentate dalle difese degli altri imputati, nulla direbbe l’impugnato provvedimento, cosi’ come non fornirebbe adeguata motivazione alle doglianze difensive sull’estraneita’ del (OMISSIS) a qualsiasi forma di responsabilita’.
Ciascuna delle doglianze contenute nell’atto di appello, relative all’assenza di riscontri alla ritenuta ricostruzione del fatti in riferimento al luogo dell’infortunio, alla contraddittorieta’ delle dichiarazioni delle persone offese, alla non attendibilita’ del teste (OMISSIS), alla responsabilita’ del cantiere regolarmente attribuite a persone diverse dal (OMISSIS) che non aveva alcuna ingerenza nelle decisioni del cantiere chiuso come da verbali redatti dal coordinatore della sicurezza, sarebbe dotata di adeguata specificita’, coinvolgendo, rispetto ai passaggi della sentenza di primo grado, sicuri elementi di novita’ critica che il giudice di appello avrebbe del tutto trascurato di considerare, incorrendo in una palese violazione della funzione del doppio grado di giurisdizione.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilita’ dell’odierno ricorrente.
Il difensore ricorrente eccepisce il mancato riscontro negli atti della ritenuta posizione di datore di lavoro del (OMISSIS), nonche’ della sua costante presenza in cantiere. Precisa che il cantiere era chiuso, come da verbale dell’arch. (OMISSIS), che riferiva della presenza di (OMISSIS) solo al fine di verbalizzare la chiusura dello stesso cantiere, mentre la Corte distrettuale avrebbe valorizzato tale dichiarazione per affermarne erroneamente la costante presenza.
Del tutto priva di riscontro sarebbe anche la ritenuta non provata esclusione del (OMISSIS) dai poteri decisionali nella gestione dei lavori, che, lo si ripete, al momento dei fatti erano sospesi.
Nessun riscontro sarebbe, poi, stato fornito dalla sentenza impugnata sul profilo della conoscibilita’ della situazione di pericolo, dal momento che il ricorrente era privo della necessaria conoscenza tecnica che non gli potesse consentire certamente di percepire un pericolo dallo spessore delle tavole utilizzate di 3 cm, rispetto a quelle che sarebbero state adeguate dello spessore di 4 cm.
Pertanto, si duole il ricorrente, i giudici di merito avrebbero stravolto il consolidato orientamento giurisprudenziale sull’esclusione della responsabilita’ del committente: Sent. 17178 del 11/7/2013.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla rigettata sospensione della provvisionale.
Il ricorrente rileva vizio della motivazione posta a sostegno del giudizio negativo al fine della concessione delle attenuanti generiche dal momento che non sussisterebbe prova o indizio del coinvolgimento del (OMISSIS) nella ritenuta ipotesi di inquinamento delle indagini, ne’ tantomeno della conoscenza di lavoratori in nero. Il ricorrente ribadisce che (OMISSIS) riteneva il cantiere ormai chiuso.
Parimenti viziata sarebbe la motivazione del mancato accoglimento della richiesta sospensiva della sentenza. Chiaramente semplicistica appare l’affermazione che non risulta provato il danno grave ed irreparabile.
Certamente, conclude il ricorrente, puo’ costituire un danno essere sottoposto ad una procedura esecutiva per la somma di Euro 90.000,00 senza alcuna prospettiva di recupero sugli altri coimputati decisamente privi di solvibilita’.
La motivazione non risponderebbe alle doglianze difensive, limitandosi ad una soggettiva affermazione sulla eccessivita’ della somma senza alcun parametro di riferimento o motivazione specifica.
Chiede, pertanto, l’annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I proposti motivi appaiono tutti infondati e, pertanto, il ricorso va rigettato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, di natura processuale, dall’esame degli atti, cui questa Corte di legittimita’ ha ritenuto di accedere in ragione della natura processuale della doglianza, si evince che, effettivamente, il processo che ci occupa, cui man mano ne erano stati riuniti vari, fu celebrato dal GM (OMISSIS), fino all’udienza del 23/3/2012 presso la Sezione Distaccata di Marcianise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Dalla successiva udienza del 5/6/2012 in poi, invece, il processo prosegui’, per ragioni organizzative, con il medesimo giudice, presso la Sezione Distaccata di Caserta del medesimo Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Ebbene, il difensore lamenta che il proprio assistito, contumace, avrebbe dovuto essere informato che il processo proseguiva presso altra sede.
La doglianza, tuttavia, e’ infondata.
Il processo, infatti, non e’ stato spostato ad altro ufficio giudiziario, ma, per mere ragioni organizzative, e’ proseguito, con il medesimo giudice, in un luogo fisico diverso, presso una sede che, peraltro, e’ un’articolazione del medesimo tribunale (cfr. articolo 163bis disp. att. c.p.p.). E, come correttamente ebbe anche a rilevare lo stesso GM (OMISSIS) all’udienza del 5/6/2012, rigettando l’eccezione difensiva, i difensori erano ben edotti dello spostamento si sede, tanto e’ vero che erano presenti, ed essendo gli imputati contumaci, gli stessi erano rappresentati dai propri difensori e non avevano diritto ad alcuna notifica.
3. Infondati appaiono anche i motivi di ricorso fondati sulla mancanza di riscontri alle deposizioni rese ed alla scarsa attendibilita’ dei testi.
Perfettamente logica e congrua appare la ricostruzione dei fatti operata e anche la motivazione sull’iniziale reticenza delle parti civili e degli altri operai.
Legittimo appare il richiamo operato dai giudici di appello alla motivazione gia’ resa in relazione agli altri imputati sulla pretesa contraddittorieta’ delle dichiarazioni, dal momento che a prescindere dalla diversa posizione processuale degli imputati tutti lamentavano tale contraddittorieta’.
Come ricorda la Corte territoriale, il fatto attiene ad un infortunio sui lavoro avvenuto il (OMISSIS), a seguito del quale (OMISSIS) riportava un “trauma cranico commotivo in policontuso”, per cui, dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale, decedeva (per “arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria per stato comatoso, in soggetto con trauma cranico e toracico ed operato di craniotomia decompressiva ed evacuazione di ematoma sottodurale acuto) in data (OMISSIS).
I giudici del gravame del merito ricordano anche che la ricostruzione dell’incidente non fu facile, perche’ resa particolarmente complessa dai comportamento reticente delle persone informate sui fatti. Ma, alla fine, il giudice di primo grado, dopo un attento esame delle deposizioni testimoniali rese durante l’espletamento della lunga istruttoria dibattimentale, della documentazione acquisita e della relazione tecnica espletata dal Consulente del PM dott. (OMISSIS), ritenendo unica plausibile la ricostruzione offerta da (OMISSIS) (operaio che lavorava insieme all’ (OMISSIS) alle dipendenze di (OMISSIS) e che il giorno dell’infortunio si trovava sul cantiere) ebbe a ritenere veritiera la ricostruzione offerta da quest’ultimo.
(OMISSIS), l’operaio che ha dichiarato di essere stato testimone oculare dell’infortunio, ebbe a riferire – come ricorda il giudice di prime cure – che la mattina del (OMISSIS) stava lavorando con il collega (OMISSIS) alle dipendenze della (OMISSIS) presso il cantiere di via (OMISSIS) e che, nel corso della pausa pranzo, il collega, recandosi verso il camion dell’impresa, “era caduto in un’apertura ampia due metri per due coperta da tavole di legno, attraverso, la quale doveva realizzarsi la scala di collegamento tra il piano terra e il garage”. Il teste spiegava che l’apertura era protetta da alcune tavole di legno di due metri per cinquanta centimetri e dello spessore di tre centimetri, in uno stato talmente cattivo che egli le giudicava da buttare; riferiva che quelle tavole erano poggiate su quell’apertura da mesi e che il (OMISSIS) e il (OMISSIS) avevano raccomandato espressamente agli operai che non dovevano camminarci sopra. Ricordava che nei giorni seguenti all’infortunio questi ultimi gli avevano chiesto di mentire agli ispettori del lavoro, raccontando che i fatti si erano verificati presso il cantiere di via (OMISSIS) per, una caduta da uno scaletto; quando il (OMISSIS) aveva appreso che invece aveva raccontato la verita’, era stato licenziato (dopo avere lavorato per cinque anni “a nero” alle dipendenze di quei datori).
Ebbene, alla luce di tali elementi, con motivazione priva di aporie logiche, i giudici di merito hanno ritenuto che l’unica dinamica dei fatti possibile fosse la terza, ovvero quella raccontata dal (OMISSIS), secondo cui (OMISSIS) il (OMISSIS) stava lavorando presso il cantiere di via (OMISSIS) quando, camminando sopra delle tavole di legno che coprivano un’apertura sul piano di calpestio attraverso la quale doveva passare la scala di collegamento tra piano terra e garage, cadeva per il cedimento di tali tavole e, dopo un volo di quattro metri, impattava sul piano di calpestio sottostante. Da tale impatto violento derivavano le gravi lesioni toraciche e craniche che conducevano al suo, decesso dopo due settimane di ricovero in ospedale. D’altro canto – come rilevava gia’ il giudice di primo grado- tale dinamica dei fatti spiega anche piu’ agevolmente, rispetto ad una caduta da uno scaletto a libro alto circa un metro, le lesioni con esito letale riportate dall’ (OMISSIS).
4. Nell’immediatezza dei fatti, dunque, come raccontato dagli agenti di PS del Commissariato di Marcianise, che avevano svolto le indagini era risultato difficile stabilire anche il luogo in cui era occorso l’infortunio e, dalle dichiarazioni rese dalle persone presenti in ospedale (la moglie dell’ (OMISSIS) ed una vicina di casa) si era dapprima parlato di un incidente avvenuto nell’abitazione della vittima. Solo il giorno seguente sentite alcune persone informate sui fatti, le indagini erano state indirizzate verso un cantiere edile, sito in via (OMISSIS) a (OMISSIS), dove venne sequestrato uno scaletto in ferro dal quale sarebbe avvenuta la caduta dell’ (OMISSIS).
Solo dopo il decesso del predetto avvenuto il (OMISSIS), nel dubbio che l’infortunio potesse essersi verificato a causa della caduta da uno scaletto, furono approfondite le indagini, cio’ anche perche’ da fonti confidenziali si venne a conoscenza che l’infortunio si era verificato in un altro cantiere, gestito sempre da (OMISSIS) ma sito in (OMISSIS) alla (OMISSIS).
Eseguito un sopralluogo, insieme agli ispettori della ASL (in data 3/10/05), effettivamente, ivi veniva ritrovata un’apertura di due metri per due coperta da tavole, sovrastanti circa 4 metri dal piano di calpestio (in tale vano doveva essere posizionato un ascensore) dove era il garage.
Gli ispettori avevano rilevato una serie di violazioni alla normativa in materia di prevenzione di infortuni (le misure idonee da adottare per prevenire il rischio di caduta attraverso quell’apertura sarebbero state alternativamente quella di predisporre un parapetto lunghi i bordi dell’apertura o delle tavole dello spessore di almeno quattro centimetri fissate al suolo) perche’ le tavole erano di uno spessore inferiore a 4 cm ed erano semplicemente poggiate a terra. Non erano state riscontrate tracce ematiche.
Come si legge nella sentenza impugnata, la sopra ricordata deposizione di (OMISSIS), unitamente a quella di (OMISSIS), figlio della vittima, sono state ritenute chiarificatrici dell’intera vicenda.
(OMISSIS) era stato risentito presso il Commissariato P.5. di (OMISSIS) ed aveva specificato che nell’immediatezza aveva riferito che il padre si era fatto male, cadendo da uno scaletto mentre lavorava presso il cantiere di via (OMISSIS), in quanto tali circostanze gli erano state riferite in ospedale da (OMISSIS) e che, in realta’, (OMISSIS) ( (OMISSIS)), collega di lavoro del padre, gli aveva riferito circostanze differenti quando, subito dopo l’infortunio, si era recato presso il suo bar per comunicargli che il genitore era stato ricoverato in ospedale. Il predetto gli aveva raccontato che il padre era caduto attraverso una botola nel garage dello stabile in cui stavano lavorando e che al momento del fatto, sul cantiere si trovavano solo loro due e che, per trasportarlo in ospedale, aveva dovuto chiedere aiuto a (OMISSIS), che si trovava in un bar vicino al cantiere Precisava che (OMISSIS), quando si era presentato presso il suo bar, aveva ancora gli abiti sporchi di sangue, tanto che si era lavato nel suo bagno.
(OMISSIS), dal suo canto, aveva riferito che conosceva (OMISSIS) poiche’ lavoravano insieme alle dipendenze di (OMISSIS) e che il giorno dell’infortunio si trovava presso il cantiere di (OMISSIS) in (OMISSIS), e quella mattina su indicazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) dovevano realizzare i tramezzi e buttare la calce sui telai delle porte. Verso mezzogiorno lui e l’ (OMISSIS), dopo aver pranzato, (alle ore 13,10 circa), mentre (OMISSIS) si era allontanato e lui si era seduto nel cantiere al piano terra, l’ (OMISSIS) si era alzato per portare la borsa nel camion, quando lungo il tragitto era caduto attraverso “ui botola”, nel garage sottostante. Riferiva di avere sentito un rumore e poi, di avere visto a terra l’ (OMISSIS). Precisava che, sulla botola, erano posizionati dei pannelli di legno e che il rumore era stato causato proprio dal cedimento di uno di quei pannelli rotto dal peso dell’ (OMISSIS) mentre era intento a percorrerli. A seguito delle sue grida era immediatamente corso a chiamare il (OMISSIS) che, si trovava al bar vicino ed, insieme, avevano provveduto a trasportare l’infortunato all’ospedale di (OMISSIS), a bordo del camion. Riferiva, poi, che nei giorni successivi all’evento lesivo (OMISSIS) e (OMISSIS) gli avevano chiesto di mentire e di raccontare che l’infortunio non si era verificato nel cantiere di (OMISSIS), bensi’ in quello di (OMISSIS) e che l’ (OMISSIS) fosse caduto da uno scaletto, mentre faceva un rappezzo. Riferiva, inoltre che, quando il (OMISSIS) aveva saputo che aveva raccontato la verita’, l’aveva licenziato.
La conferma delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), circa il tentativo dell’imputato (OMISSIS) di sviare le indagini – ricorda ancora la sentenza impugnata – viene individuata nel racconto di (OMISSIS), pavimentista che, all’epoca dei fatti, pure lavorava alle dipendenze della (OMISSIS).
Il (OMISSIS) riferiva che la sera dell’infortunio era stato contattato dal (OMISSIS), il quale gli aveva raccontato l’accaduto, specificando che la caduta si era verificata presso il cantiere (OMISSIS) (dove egli non aveva mai visto lavorare l’ (OMISSIS)), mentre qualche giorno dopo gli aveva chiesto di dichiarare di aver assistito alla caduta dell’ (OMISSIS) dallo scaletto, sicche’ in un primo momento si era dichiarato disponibile, ma, poi, appresa la gravita’ dei fatti, aveva ritrattato il tutto, riferendo quanto realmente accaduto agli ispettori del lavoro.
(OMISSIS), coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione del cantiere di (OMISSIS) in (OMISSIS) (aveva anche redatto il piano di sicurezza di coordinamento), aveva, poi, riferito che nel mese di settembre era tornato sul cantiere ed aveva rilevato delle carenze in materia di sicurezza, per cui aveva invitato gli imputati a regolarizzare la situazione prima della ripresa delle lavorazioni (sospese per ferie) ed, in particolare, a sistemare i parapetti ed il ponteggio e, visto che essi non provvedevano, a fine settembre aveva, addirittura, minacciato di denunciare il mancato adeguamento. Recatosi, poi, il 4 ottobre al cantiere, lo aveva trovato chiuso.
Gia’ il giudice di primo grado, peraltro, pur avallando la ricostruzione fornita da (OMISSIS), perche’ ritenuta piu’ plausibile alla luce dell’intera istruttoria espletata non si e’ sottratto ad un attento vaglio delle altre ricostruzioni.
La sentenza impugnata, pertanto, sotto il profilo della ricostruzione del fatto, non si presta a censure di legittimita’.
5. E nemmeno si presta a censure sotto il profilo dell’individuazione delle responsabilita’.
L’odierno ricorrente (OMISSIS) – come si legge a pag. 11 della sentenza impugnata – era il committente, ed anche il direttore dei lavori, in quanto era stabilmente presente in cantiere, partecipando attivamente all’andamento dello stesso, e non risulta provata la sua esclusione dai poteri decisionali inerenti la gestione del cantiere.
Il (OMISSIS), come ricorda sempre il giudice di primo grado a pag. 8 della propria sentenza precisava che nel, corso dell’esecuzione dei lavori il committente (OMISSIS), proprietario dell’immobile e direttore dei lavori, frequentava il cantiere recandovisi quasi quotidianamente. E anche il responsabile per la sicurezza (OMISSIS) si recava in loco di frequente durante l’orario di lavoro, “un giorno si’ e un giorno no”. I lavori erano giunti alla fase della realizzazione delle tompagnature e la botola nella quale era caduto l’ (OMISSIS) doveva essere il vano di passaggio di una scala.
Il medesimo teste specificava che la persona che dirigeva il cantiere, e che dava le disposizioni sulle lavorazioni era (OMISSIS); il (OMISSIS) invece non impartiva loro ordini ma si confrontava con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), con i quali dava la sensazione “di concertare l’andamento delle lavorazioni”.
Il giorno dell’infortunio – riferiva ancora il (OMISSIS)- il (OMISSIS) non era presente sul cantiere ma vi era stato due o tre giorni prima; specificava, come detto, che la botola era coperta con quelle tavole in legno da mesi e (“loro”) il (OMISSIS) e il (OMISSIS) avevano avvisato di non camminarci sopra (pag. 23 della trascrizione della deposizione). Le tavole erano tre ed erano dello spessore di tre/quattro centimetri, larghe cinquanta centimetri per due metri ed erano vecchie in quanto il legno era deteriorato, marcio. “da buttare” (pag. 33 della trascrizione della deposizione).
L’odierno ricorrente, dunque, rivestiva una duplice posizione di garanzia, in quanto era il committente e dirigeva, di fatto, il cantiere.
Non sfugge che, in un caso come quello che ci occupa, basterebbe gia’ la prima a delinearne la responsabilita’ penale.
Costituisce, infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilita’ colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza scegliere l’appaltatore e piu’ in genere il soggetto al quale affida l’incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneita’ prescritti dalla legge, ma anche della capacita’ tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attivita’ commissionata ed alle concrete modalita’ di espletamento della stessa Egli ha l’obbligo di verificare l’idoneita’ tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita’ dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato, nella quale e’ stata ritenuta la responsabilita’ per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
E’ pur vero che e’ stato di recente precisato – e va qui riaffermato- che in tema di infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non puo’ tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacita’ organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificita’ dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonche’ alla agevole ed immediata percepibilita’, da parte del committente, di situazioni di pericolo. (cfr. Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016 dep. il 2017, Vettor, Rv. 270100 in una fattispecie in tema di appalto di lavori di pulizia all’interno dell’azienda, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilita’ del committente in relazione al reato di lesioni colpose, per aver dato incarico ad un lavoratore di pulire il piazzale della ditta usando soda caustica, senza assicurarsi che il datore di lavoro appaltatore avesse spiegato al dipendente la necessita’ di cambiare gli indumenti contaminati dalla predetta sostanza pericolosa; conf. Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi ed altri, Rv. 264974-75).
Rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria attivita’ in esecuzione di un contratto d’appalto, il committente e’ esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine (cosi’ la condivisibile Sez. 3, n. 12228 del 25/2/2015, Cicuto, Rv. 262757 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilita’ il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall’alto di un operaio operante su un lucernaio). Tuttavia va anche ribadito – ed e’ il caso che ci occupa – che il committente e’ titolare di una autonoma posizione di garanzia e puo’ essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282, in un caso di inizio dei lavori nonostante l’omesso allestimento di idoneo punteggio).
Vale anche l’ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica ditta appaltatrice (c.d. cantiere “sotto – soglia”), e’ titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilita’ per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa – essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dal Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, articolo 3, comma 8, – sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (cosi’ Sez. 4, n. 23171 del 9/2/2016, Russo ed altro, Rv. 266963, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilita’ a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l’idoneita’ tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entita’ e tipologia dell’opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell’impresa e delle evidenti irregolarita’ del cantiere).
6. Il (OMISSIS), in ogni caso, come si e’ detto, non solo era il committente dei lavori, ma era costantemente presente in cantiere, concordando con l’impresa i lavori da eseguire.
Sotto i suoi occhi si svolgeva un’attivita’, con maestranze al nero e con il totale spregio della normativa antinfortunistica, la cui pericolosita’ non poteva sfuggirgli.
Si palesa, peraltro evidente l’assoluta ininfluenza che vi fosse un contratto di appalto che prevedesse la nomina di un preposto ai lavori.
Costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione che, qualora vi siano piu’ titolari della posizione di garanzia, ciascuno e’ per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica e’ addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cosi’ questa Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilita’ del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto).
In relazione al motivo di ricorso fondato sull’avvenuta chiusura del cantiere in cui e’ avvenuto l’incidente, lo stesso oltre che inammissibile in quanto non e’ proponibile in questa sede un accertamento del merito, appare infondato in quanto chiaramente acclarata e congruamente motivata e’ la ragione per cui i giudici di merito hanno ritenuto accertato che l’incidente sia effettivamente accaduto nel cantiere formalmente chiuso. Anzi proprio l’avvenuta formale chiusura del cantiere rende il committente responsabile dell’incidente, dal momento che lo stesso, a prescindere da una sua effettiva ingerenza nella direzione dei lavori, non poteva in qualita’ di proprietario non sapere della continuazione dei lavori e della pericolosita’ del cantiere tanto da chiuderlo formalmente.
7. I giudici di merito fanno buongoverno dei principi piu’ volte affermati da questa Corte secondo cui l’applicazione del principio di colpevolezza d’altro canto esclude un automatico addebito di responsabilita’ a carico di chi ricopre una posizione di garanzia, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto della regola cautelare (generica o specifica) e della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la cosiddetta “concretizzazione del rischio”.
Ebbene nel caso che ci occupa correttamente e’ stato ritenuto che la caduta dell’ (OMISSIS), seguita al cedimento delle tavole di legno poste a copertura di un’apertura delle dimensioni di due metri per due presente nel cantiere dove stava lavorando, rappresenti proprio la concretizzazione dell’unico rischio ipotizzabile legato all’esistenza di quell’apertura, appunto la caduta dall’alto.
Quell’ampio vano, infatti, si apriva in un solaio che distava quattro metri. dal piano di calpestio sottostante, di guisa che la caduta da tale altezza era altamente probabile data l’ampiezza dell’apertura, oltre che pericolosissima, poiche’ un volo di quattro metri con impatto su una superficie dura importa certamente lesioni gravissime se non, la morte dell’infortunato.
Le uniche due misure di sicurezza utilizzabili per, ovviare a tale unico prevedibile rischio, di facile individuazione ed adozione, anche, in considerazione del loro esiguo costo, erano alternativamente, quella della predisposizione di un parapetto sui bordi dell’apertura – sufficientemente alto e resistente -, o quella della copertura del vano con tavolate fissate al suolo fatte di materiale calpestabile e, se in legno, dello spessore non inferiore a quattro centimetri (come riferito dell’ispettore del lavoro (OMISSIS)).
Nel caso che ci occupa, invece, nessuna delle due misure e’ stata adottata, ne’ quella del parapetto ne’ quella della copertura idonea atteso che, per come riferito dal teste (OMISSIS), le tavole utilizzate non erano fissate al suolo ed erano in cosi’ cattivo stato che le aveva giudicate “da buttare”.
Non va trascurato, a riscontro delle dichiarazioni del (OMISSIS), che il mese successivo all’infortunio l’ispettore (OMISSIS), in occasione del sopralluogo effettuato presso quel cantiere, ebbe a riscontrare che l’apertura era ancora esistente e che era coperta da tavole di legno semplicemente poggiate al suolo e non fissate e di uno spessore inferiore ai quattro centimetri.
Tale ultimo elemento – rilevano condivisibilmente i giudici del merito-sconcerta se si pensa che nemmeno l’infortunio mortale dell’ (OMISSIS), gia’ deceduto al momento del sopralluogo degli ispettori dell’A.S.L. presso il cantiere di (OMISSIS), ha rappresentato un motivo sufficiente per mettere in sicurezza quell’amplissima apertura.
8. Ancora, va rilevata l’infondatezza del motivo di ricorso che attiene alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente, per tutti gli imputati, come la condotta sia gravissima, se si considera che i lavoratori impiegati su quel cantiere erano tutti assunti in nero, ovvero sicuramente l’ (OMISSIS) e il (OMISSIS) ma anche i muratori albanesi cui ha fatto cenno quest’ultimo nel corso dell’esame dibattimentale. Inoltre (OMISSIS), coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione del cantiere di (OMISSIS), aveva contestato ripetutamente nel mese di settembre l’inadeguatezza delle misure di sicurezza adottate in quel cantiere, facendo espresso riferimento all’assenza di parapetti e ponteggi, giungendo fino alla sospensione del cantiere e alla minaccia di sporgere, denuncia alle autorita’ competenti.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimita’, che ha piu’ volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cosi’ Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonche’ al suo negativo comportamento processuale).
Va ricordato che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non piu’ idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che sarebbe stato assolutamente sufficiente che il giudice si fosse limitato a dar conto, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.
E in ogni caso e’ pacifico il dictum di questa Corte secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’ essere sufficiente in tal senso (cosi’ sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Sermone ed altri, rv. 249163; conf., ex plurimis, sez. 6, n. 7707 del 4.12.2003 dep. il 23.2.2004, Anaclerio ed altri, rv. 229768).
In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa e’ quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu’ favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e’ reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non puo’ mai essere data per scontata o per presunta, si’ da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte Suprema, e’ la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’ imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio’ comporti tuttavia la stretta necessita’ della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (cosi’, ex plurimis, Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891; Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/6/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882).
9. In ultimo, va rilevata l’infondatezza della doglianza circa la mancata sospensione della provvisionale, che la Corte territoriale motiva con la mancata prova del danno grave ed irreparabile cui andrebbe incontro l’appellante con il pagamento della somma indicata in sentenza.
Ebbene, la sentenza impugnata, anche sul punto, si colloca nell’alveo della costante giurisprudenza di legittimita’ secondo cui, ai fini dell’accoglimento della richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile al pagamento di una provvisionale e’ necessaria la ricorrenza di un pregiudizio eccessivo per il debitore, che puo’ consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilita’ del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile o altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna (cosi’ Sez. 5, n. 19351 del 18/12/2017 dep. il 2018, Zambrelli, Rv. 273202 in relazione ad una fattispecie in cui il ricorrente non aveva esposto, se non genericamente, le ragioni a sostegno della richiesta di sospensione, lamentando l’esistenza di un danno grave ed irreparabile in ragione dell’esiguita’ della pensione da egli percepita, non adempiendo all’onere probatorio richiesto; conf. Sez. 4, ord. n. 28589 del 2/2/2016, Masini, Rv. 267819).
In altri termini, la irreparabilita’ del danno per chi e’ chiamato a corrispondere una provvisionale puo’ derivare o dalla circostanza che la somma di denaro liquidata sia particolarmente elevata in rapporto alla disponibilita’ dell’obbligato, si’ che questi corra il rischio di essere privato di beni necessari per le sue esigenze esistenziali; o dalla circostanza che la futura insolvenza del creditore possa mettere in pericolo la possibilita’ di recupero della futura somma (vedasi al riguardo l’insegnamento di Sez. 4, ord. n. 40075 del 08/05/2015, Montermini e altri, Rv. 264513; Sez. 2, n. 4188 del 14/2010 dep. 2011, Manganello, Rv. 249401; Sez. 4, ord. n. 1813 del 04/10/2005 dep. 2006, Mastropasqua, Rv. 233180).
Tanto precisato, si osserva che in ordine alle capacita’ economiche delle parti civili, nulla di specifico veniva detto nell’atto di appello al fine di un giudizio sulla capacita’ risarcitoria delle stesse ove la condanna civile venisse a cadere.
La presenza del pregiudizio grave ed irreparabile non puo’, infatti, essere desunta dall’entita’, in se’, della somma in concreto liquidata a titolo di provvisionale (30.000,00 Euro per ciascuna delle parti civili), poiche’ essa non e’ particolarmente sproporzionata rispetto al danno arrecato dal delitto contestato (la perdita della vita di (OMISSIS)).
10. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida in complessivi Euro quattromila oltre accessori come per legge.
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