Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 23 maggio 2019, n. 3346.
La massima estrapolata:
Necessita del permesso di costruire la realizzazione di un’opera edilizia autonoma che, comportando un mutamento nell’assetto dei luoghi e una trasformazione del territorio, risulta priva del carattere pertinenziale; gli elementi che caratterizzano le pertinenze sono, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente.
Sentenza 23 maggio 2019, n. 3346
Data udienza 16 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3608 del 2014, proposto da
Im. St. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Um. Gr., Gu. Fr. Ro., con domicilio eletto presso lo studio Gu. Fr. Ro. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Cl. Co., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Gr. in Roma, via (…) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Da. Gi. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale (…);
ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE II, n. 709/2014, resa tra le parti, in tema di demolizione e riduzione in pristino di opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Um. Gr. e Da. Da. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con l’appello in esame la Im. St. s.r.l. (di seguito “IS”) ha impugnato la sentenza del Tar per la Lombardia, Milano, n. 709/2014, pubblicata il 19.3.2014, che – a spese compensate – le ha respinto il suo originario ricorso proposto per l’annullamento: – del provvedimento del Comune di (omissis) (“Comune”) prot. n. 14337 del 23.5.2013 recante ingiunzione di demolizione; – della comunicazione di avvio del procedimento prot. n. 9665 del 23.5.2012; – del rapporto di sopralluogo della Polizia locale del 10.3.2012, richiamato nei predetti atti; – della delibera consiliare n. 11 del 28.2.2013 di individuazione delle aree da acquisire al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31 del TU edilizia in caso di inottemperanza all’ingiunzione sopra detta.
2. In sintesi, la sentenza impugnata, premesso che l’ingiunzione di demolizione era rivolta ad una serie di soggetti, fra cui la IS, quale proprietaria di parte degli immobili interessati dai ritenuti abusi commessi in un’area della Via (omissis) del Lavoro nel territorio comunale, ha respinto nel merito le sette censure formulate dall’originaria ricorrente.
In particolare, in ordine alla prima di esse, la sentenza – pronunciandosi in ordine all’eccezione di parte secondo la quale il Comune non avrebbe tenuto conto, in fase istruttoria, che la IS non sarebbe stata la proprietaria dei sedimi sui quali sarebbero stati riscontrati alcuni degli abusi e che dunque essi non le potevano conseguentemente essere imputati – ha detto che “Il provvedimento impugnato (…), allorché individua, fra i mappali ove insistono le opere abusive, quello n. 96, indica che si tratta di porzione immobiliare di proprietà di Al. Spa (“…96 (Al. S.p.a.)- “) (…) Neppure nel citato verbale di sopralluogo del 10.3.2012, richiamato nell’ordinanza impugnata, si afferma che il mappale (omissis) sarebbe di proprietà della società esponente e, per quanto attiene alla responsabilità nella realizzazione dell’abuso di cui al citato punto 1.10 dell’ingiunzione, nel menzionato verbale del 10.3.2012 l’autore dell’abuso è identificato – presumibilmente – nella società Ma. & Go Srl, peraltro destinataria, insieme all’esponente, dell’ingiunzione ivi gravata (…). In conclusione, non risulta che il Comune (…) mai abbia attribuito la proprietà del menzionato mappale 96 alla ricorrente (…)”.
3. Nella presente sede la società originaria ricorrente censura la sentenza per ritenuta erroneità della sentenza sotto diversi profili, a partire da quello della mancata considerazione della carenza di una ‘legittimazione passivà della IS in ragione dell’eccepita non proprietà sua del sito interessato dai pretesi abusi.
Introduttivamente, peraltro, con l’appello si eccepisce che:
– il Comune aveva notificato alla IS anche il suo ulteriore provvedimento n. 15154 del 30.5.2013 avente ad oggetto un sostanziale diniego al rilascio del permesso di costruire domandato con istanza del 26.4.2013, n. 12263, avente ad oggetto “ripristino della pavimentazione (CE in sanatoria n. 4150 n. 4150/145/649 del 13/10/1997), in battuta di cemento impermeabilizzato con carrozzatura superficiale composta da spolvero di miscela di cemento-quarzo, in quanto risulta danneggiata in diversi punti e ripristino della recinzione esistente lato nord (concessione edilizia n. 12489/316/2998 del 24/11/1998)”;
– la IS aveva impugnato anche questo ulteriore provvedimento con ricorso di primo grado n. r.g. 1649/2013 (dalla cui epigrafe si ricava, appunto, quanto indicato al trattino che precede);
– all’udienza cautelare di primo grado celebrata il 29.8.2013 relativamente a tale nuovo giudizio, il Tar, con ordinanza n. 926/2013, pubblicata il 30.8.2013, aveva sì respinto la domanda di parte ma al contempo aveva pure “Considerato (…) che, peraltro, il presente giudizio va riunito ad altro pendente tra le stesse parti (n. 1785/2013) e deciso con separata ordinanza, che ne fissa la trattazione del merito”;
– riguardo poi all’originario ricorso n. r.g. 1785/2013 (che ha condotto al presente appello), all’udienza cautelare di primo grado celebrata sempre il 29.8.2013, contestualmente, il Tar aveva accolto invece la domanda di parte, tra l’altro “Considerato che le complesse questioni attinenti al fumus del gravame meglio potranno essere trattate in sede di udienza pubblica, da fissarsi unitamente a quella del connesso ricorso RG 1649/2013” e comunque decidendo di “fissa[re] per la trattazione di merito del presente ricorso e del ricorso RG 1649/2013 l’udienza pubblica del 6 marzo 2014”;
– il tenore di queste ordinanza parallele o faceva ritenere che il Tar avesse già disposto la riunione dei due giudizi o lasciava comunque intendere, quanto meno, che il Tar la ritenesse necessaria od opportuna in occasione della chiamata dei due giudizi ad una medesima pubblica udienza da celebrare in data 6.3.2014, conseguentemente inducendo la IS ad articolare le proprie difese distribuendole tra i due fascicoli di causa in modo da esaltarne le interconnessioni;
– tuttavia il Tar ha poi introitato e deciso soltanto il ricorso n. r.g. 1785/2013, lasciando ancora pendente quello n. r.g. 1649/2013;
– tutto ciò però, oltre ad incidere sulla difesa della IS, s’è riverberato negativamente sulla decisine resa con la sentenza impugnata, anche perché il Tar si è impedito di poter valutare le evidenze che sarebbero emerse con la decisione del ricorso n. r.g. 1649/2013, onde per ciò solo la sentenza gravata merita riforma con rinvio della causa al primo grado per l’effettiva riunione tra i due giudizi o quanto meno la loro contestuale delibazione occorrente per un’appropriata valutazione del complessivo materiale probatorio.
4. Si è costituito il Comune replicando, con memoria del 15.3.2018, nel merito agli argomenti avversari ed obiettando, quanto alla preliminare eccezione di controparte, che in realtà i due giudizi di primo grado, all’evidenza, non erano stati riuniti e che pertanto era da imputare alla IS il non essersi adeguatamente cautelata, in sede difensiva, per l’eventualità che, dei due giudizi, nel fosse deciso nel merito solo uno.
Alla pubblica udienza del 19\4\2018, in vista della quale pe parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
5. La sezione adottava quindi ordinanza collegiale n. 2713\2018 con cui, dopo aver respinto le deduzioni di cui al primo e preliminare motivo di appello, disponeva procedersi a verificazione sui i seguenti quesiti:
1) quali esattamente sono, tra quelli per cui è causa, i terreni di proprietà della società appellante, descrivendo l’attuale stato dei luoghi;
2) quali esattamente sono le opere ed i manufatti per i quali la società appellante non abbia già conseguito (ed in quale data) permesso di costruire, anche in sanatoria, od altro atto di assenso edilizio equipollente, descrivendoli in modo preciso ed eventualmente rilevandoli mediante apposite fotografie di corredo;
3) dove sono dislocate geograficamente le opere e i manufatti per cui è causa, precisando quali fra essi insistono su terreni di proprietà della società appellante e quali, invece, su terreni di proprietà di soggetti terzi, indicandone in tal caso la relativa titolarità ;
4) quali sono gli strumenti di regolazione edilizia (regionali e/o comunali, anche eventualmente a livello di NTA) operanti in zona e se per quest’ultima vigano particolari vincoli, anche di natura paesaggistica e/o ambientale;
5) quali sono, tra quelli originariamente contestati e per i quali sia stata originariamente ordinata la demolizione, le opere ed i manufatti già eventualmente rimossi – in modo spontaneo ovvero in attuazione dei provvedimenti in contestazione – da parte della società appellante.
6. Successivamente alla concessione della richiesta proroga da parte del verificatore, disposta con ordinanza n. 4773\2019, in seguito al deposito della relazione e della documentazione allegata (nonché alla liquidazione del compenso con ordinanza n. 440\2019), alla pubblica udienza del 16\5\2019 la causa passava in decisione, previo ulteriore deposito di memorie delle parti.
7. Preliminarmente, vanno richiamate e ribadite le considerazioni già svolte nell’ordinanza n. 2713\2018 cit., in relazione all’infondatezza del primo ordine di rilievi di appello, diretto, nella sostanza, ad ottenere un annullamento della sentenza impugnata ed un contestuale rinvio della causa al Tar per la Lombardia, Milano, affinchè il suo originario ricorso n. r.g. 1785/2013 (da cui è scaturita la decisione qui in esame) venga delibato contestualmente a quello n. r.g. 1649/2013 ivi ancora pendente.
7.2 Come già rilevato, con l’ordinanza n. 921/2013 (di accoglimento) il Tribunale ha detto, fra l’altro, “Considerato che le complesse questioni attinenti al fumus del gravame meglio potranno essere trattate in sede di udienza pubblica, da fissarsi unitamente a quella del connesso ricorso RG 1649/2013”. Con la coeva ordinanza n. 926/2013 (di rigetto) il Tribunale ha detto, fra l’altro, “che, peraltro, il presente giudizio va riunito ad altro pendente tra le stesse parti (n. 1785/2013) e deciso con separata ordinanza, che ne fissa la trattazione del merito”.
Nell’occasione, tuttavia, il Tribunale non ha obiettivamente né formalmente riunito i due originari ricorsi (trattati contestualmente nel corso della stessa camera di consiglio del 29.8.2013) dato che, altrimenti, lo stesso non avrebbe adottato due separate ordinanze quanto piuttosto una sola ordinanza recante, in epigrafe, i nn. rr.gg. 1649/2013 e 1785/2013 relativi ai due contenziosi.
Il significato da attribuire ai contenuti riportati delle due ordinanze citate non può dunque che essere quello di una anticipazione del fatto che le due cause sarebbero state chiamate alla medesima udienza pubblica di discussione (anticipata per il giorni 6.3.2014) per una loro possibile, futura (non attuale, perciò ) riunione.
Inoltre, da quanto è dato desumere dal sistema informatico di gestione del p.a.t., all’udienza pubblica del 6.3.2014 è stato poi chiamato soltanto l’originario ricorso n. r.g. 1785/2013 e il relativo ‘estratto verbalè (riportato in detto sistema) riporta la seguente dicitura: “Presenti gli avvocati A. Vi. per la parte ricorrente, A. St. per l’Amministrazione intimata, entrambi con delega che, alle preliminari, si rimettono agli atti. La causa passa in decisione.”.
7.3 Conseguentemente, dagli elementi evidenziati emerge che: per quella causa non è stata tenuta la pubblica discussione, in quanto la stessa è stata passata in decisione nella fase dell’udienza c.d. delle ‘preliminarà ; i difensori delle parti (segnatamente quello della IS, che sul punto sarebbe dovuto essere quello maggiormente interessato) non hanno mosso obiezioni al fatto che non risultavano chiamati contestualmente i due ricorsi sopra detti né eccepito che tanto invece sarebbe dovuto avvenire in quanto gli stessi (a loro avviso o, quanto meno, ad avviso del solo difensore della IS) si dovevano considerare già riuniti in fase cautelare.
Pertanto, come già concluso in sede di ordinanza 2713\2018 cit., i due ricorsi predetti non sono stati tecnicamente riuniti in fase cautelare e che il mancato avveramento della loro possibile riunione in occasione della decisione di merito non ha formato oggetto di eccezione ad opera delle parti, il cui orientamento perciò deve essere ora ricostruito nel senso che nulla esse avevano (in primo grado) da obiettare in ordine al fatto che i predetti giudizi fossero decisi anche separatamente.
In definitiva, non è rilevabile l’invocato errore dei Giudici di primo grado nell’ambito del primo motivo di appello.
8. Passando all’analisi degli ulteriori vizi di appello, va premessa la piena riferibilità, in punto elementi di fatto (impregiudicata la qualificazione giuridica), alle risultanze di cui alla disposta verificazione.
In proposito, premessa la condivisione degli esiti della relazione ed il rinvio agli stessi, le opere abusive residue emergono particolarmente dall’allegato n. 4 alla relazione stessa e riguardano le recinzioni e le pavimentazioni ivi indicate.
In relazione alla relativa titolarità assume rilievo dirimente la tabella di cui alla risposta al quesito numero 3.
9. Sulla scorta di tali condivise risultanze di fatto, in termini di abusività riferibile alla società odierna appellante, in territorio comunale di Desio residuano opere concernenti una recinzione ed una pavimentazione; quest’ultima peraltro di dimensioni inferiori a quanto oggetto di contestazione, come evidenziato dal verificatore in calce alla risposta al quesito n. 2.
Al riguardo, l’appello appare conseguentemente fondato in parte qua, in relazione sia alla corretta individuazione (in specie per la pavimentazione) e qualificazione (in specie per la recinzione) dei manufatti abusivi.
9.1 Per ciò che concerne la recinzione, infatti, costituisce jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell’intervento, non derivi un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 14/06/2018, n. 3661 e 15/12/2017, n. 5908).
Nel caso di specie, anche in assenza di specifici e puntuali vincoli ambientali e paesaggistici, non risulta dimostrata alcuna specifica alterazione nei termini predetti; piuttosto, la collocazione della recinzione metallica appare coerente alla delimitazione di un’area destinata allo svolgimento di una delicata attività produttiva, con conseguente palese utilità della chiara ripartizione fra accessibilità e non accessibilità degli spazi.
Entro tali limiti la recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “jus ex-cludendi alios”.
In ogni caso, nella presente fattispecie la recinzione appare qualificabile in termini di pertinenza rispetto all’area ed alle opere destinate all’esercizio di impresa così recintate.
In proposito, va ribadito il principio per cui necessita del permesso di costruire la realizzazione di un’opera edilizia autonoma che, comportando un mutamento nell’assetto dei luoghi e una trasformazione del territorio, risulta priva del carattere pertinenziale. Gli elementi che caratterizzano le pertinenze sono, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente. Pertanto un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da considerarsi principale, quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 4/1/2016, n. 19).
Nel caso di specie il collegamento funzionale appare evidente, nei termini predetti, in relazione alla necessità di delimitare con chiarezza la proprietà e soprattutto anche le aree destinate ad attività produttiva.
9.2 A conclusioni parzialmente diverse, in termini di qualificazione, deve giungersi in ordine all’accertata e contestata pavimentazione, seppur nei più ridotti limiti dimensionali accertati all’esito della verificazione.
In proposito va ribadito che sia da considerarsi legittimo l’ordine di rimozione di una pavimentazione esterna se l’intervento in parola non è contenuto entro l’indice di permeabilità previsto dal vigente strumento urbanistico comunale, costituendo tale requisito una condizione essenziale per qualificare le opere di pavimentazione e finitura esterna come attività libera ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 13/05/2016, n. 1951).
In proposito, nel caso di specie nell’area in questione è emersa la sussistenza di diversi limiti in materia, con particolare riferimento allo specifico divieto di impermeabilizzazione del suolo (cfr. relazione del verificatore sub risposta al quesito n. 4).
Analogamente, va altresì ribadito che la pavimentazione di un’area già allo stato naturale, e la destinazione della stessa a parcheggio di autoveicoli, non possa in alcun modo configurarsi come intervento di manutenzione (ordinaria o straordinaria), consolidamento statico o restauro conservativo, trattandosi di opera edilizia nuova (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 12/08/2016, n. 3620).
Peraltro, in relazione a tale seconda tipologia di abuso residuo, così come individuato all’esito della verificazione, il gravame appare fondato in parte qua, in ordine alla errata individuazione della relativa estensione, con conseguente illegittimità degli atti impugnati anche nella parte in cui è stata individuata l’area a fini di successiva acquisizione; fatti salvi gli ulteriori eventuali provvedimenti.
10. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato nei termini predetti; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado in parte qua.
Sussistono giusti motivi, anche a fronte del necessario svolgimento di approfondimenti istruttori, per compensare fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado in parte qua.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
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