Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 13 giugno 2018, n. 27165.
La massima estrapolata:
Per l’insinuazione fraudolenta non è sufficiente la semplice presentazione della domanda ma occorre anche la presentazione della relativa documentazione, in questo caso i titoli di credito in originale.
Sentenza 13 giugno 2018, n. 27165
Data udienza 27 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto Luig – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. RICCARDI Giusepp – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/01/2018 del Tribunale della liberta’ di Como;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RICCARDI GIUSEPPE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 11/01/2018 il Tribunale della liberta’ di Como ha rigettato l’istanza di riesame proposta da (OMISSIS) e dichiarato inammissibile l’analoga istanza proposta da (OMISSIS), confermando il sequestro preventivo, disposto dal Gip del Tribunale di Como il 02/12/2017, di cinque assegni con cui la curatela del fallimento (OMISSIS) aveva pagato i creditori (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) di (OMISSIS).
In particolare, e’ stata affermata la sussistenza del fumus commissi delicti del reato di cui alla L. Fall., articolo 232, comma 1, in quanto, dopo la presentazione della domanda di insinuazione al passivo del fallimento (OMISSIS) nel 2011, da parte dei creditori (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS), in mancanza della necessaria documentazione dei crediti (in particolare, di due dei tre assegni incorporanti il preteso credito), veniva disposta, da parte del Giudice delegato, l’ammissione con riserva di distribuzione della somma all’atto della produzione degli originali degli assegni; successivamente, nel 2016 l’Avv. (OMISSIS) comunicava al Curatore che i crediti delle due societa’ di cui era stata chiesta l’insinuazione al passivo non erano stati riscossi, ne’ in Italia, ne’ in Svizzera, e, il (OMISSIS), depositava gli originali dei due assegni (di Euro 120.000,00 in favore di (OMISSIS), di Euro 500.000 in favore di (OMISSIS)); a tale produzione seguiva lo scioglimento dell’originaria riserva, l’ammissione in via definitiva dei crediti con provvedimento del 15/03/2017, e il pagamento parziale delle somme (nella misura del 45%).
Tuttavia, i due assegni, emessi da (OMISSIS) quale amministratore di (OMISSIS), su cui era stata fondata l’istanza di insinuazione al passivo fallimentare dei crediti in essi incorporati, e depositati dall’Avv. (OMISSIS) alla curatela per ottenere il pagamento, erano i medesimi titoli sulla base dei quali le societa’ creditrici avevano gia’ intrapreso con successo, in Svizzera, azione esecutiva nei confronti di (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), deducendo la violazione di legge in relazione alla dichiarazione di inammissibilita’ della richiesta di riesame, in quanto erroneamente ritenuta proposta avverso il decreto d’urgenza del P.M., e non avverso il decreto del Gip, sostenendo che il riesame era stato proposto avverso quest’ultimo provvedimento.
Con un secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione alla L. Fall., articolo 232, comma 1, in quanto il Tribunale ha affermato che il momento consumativo del reato non coincida con la presentazione della domanda di insinuazione al passivo fallimentare, ma con gli artifizi (precedenti, concomitanti o susseguenti, in che consista la fraudolenta simulazione) idonei a presentare come reale un credito fittizio; lamenta che la norma incriminatrice individui quale condotta punibile la presentazione della domanda di ammissione al passivo con mezzi fraudolenti (inesistenza del credito o entita’ dello stesso); l’unica condotta rilevante e’ dunque la presentazione, rilevando, ai fini della fraudolenza, solo quegli artifizi riferiti all’inesistenza o alla diversa entita’ del credito insinuato al passivo fallimentare nel momento in cui avviene l’insinuazione.
Non rilevano, al contrario, eventuali artifizi successivi a tale momento, pena la violazione del principio di tassativita’ della norma penale.
Il credito vantato dal (OMISSIS) era effettivamente esistente e determinato nell’ammontare al momento della presentazione della domanda di ammissione al passivo, e nessun artifizio era stato posto in essere all’atto della presentazione della domanda di ammissione al passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l..
In tal senso deporrebbe anche la L. Fall., articolo 232, comma 2, nel prevedere una circostanza attenuante ad effetto speciale, specifica che il reato sussiste anche nel caso in cui “la domanda e’ ritirata prima della verificazione dello stato passivo”.
3. Ricorre altresi’ per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv, (OMISSIS), deducendo la violazione di legge in relazione alla L. Fall., articolo 232, comma 1; lamenta che il Tribunale, con una interpretazione creativa, in violazione del principio di tassativita’, abbia affermato la sussistenza del fumus commissi delicti in quanto la presentazione della domanda di ammissione del credito al passivo fallimentare ha riguardato un credito “fraudolentemente simulato”, poiche’ con atti successivi i concorrenti avrebbero taciuto alla procedura fallimentare che il credito era stato integralmente estinto, ed il (OMISSIS) avrebbe “equivocamente” affermato, cinque anni dopo la presentazione della domanda, “di non aver nulla riscosso dalla societa’ fallita ne’ prima ne’ dopo il fallimento ne’ tantomeno in Svizzera”; erroneamente l’ordinanza impugnata avrebbe affermato che il momento consumativo del reato di cui alla L. Fall., articolo 232, non coincida con la presentazione della domanda di insinuazione al passivo fallimentare depositata nel 2011, ma con gli artifizi (precedenti, concomitanti o susseguenti, in che consista la fraudolenta simulazione) idonei a presentare come reale un credito fittizio, in quanto l’ammissione dei crediti era avvenuta con riserva, con provvedimento privo del carattere di definitivita’.
La norma incriminatrice, assume il ricorrente, individua quale condotta punibile la presentazione della domanda di ammissione al passivo con mezzi fraudolenti, mentre il Tribunale ha postergato il momento consumativo del reato, integrando la “fraudolenta simulazione” per il tramite di artifizi susseguenti al momento dell’insinuazione al passivo; al contrario, trattandosi di un reato di pericolo istantaneo, l’unica condotta rilevante e’ la presentazione della domanda, cui la frode deve accompagnarsi, coincidendo con il momento consumativo; la condotta criminosa, in altri termini, e’ integrata dalla presentazione della domanda di ammissione al passivo, accompagnata o preceduta dalla fraudolenta simulazione del credito, ossia dalla predisposizione di elementi di prova caratterizzati da artifici o raggiri, documenti falsi, o altro, tali da far apparire reale un credito fittizio. In tal senso deporrebbe anche la L. Fall., articolo 232, comma 2, che, nel prevedere una circostanza attenuante ad effetto speciale, specifica che il reato sussiste anche nel caso in cui “la domanda e’ ritirata prima della verificazione dello stato passivo”.
Con un secondo motivo deduce, inoltre, che, per aversi una fraudolenta simulazione, occorre un quid pluris rispetto alla semplice simulazione, che non puo’ dunque ricorrere nell’ipotesi in cui il credito, al momento della domanda di insinuazione, era pacificamente esistente; e’ necessario che si aggiunga l’ulteriore condotta consistente nella predisposizione di artifici e raggiri idonei a indurre in inganno gli organi della procedura o nella allegazione di documentazione atta a perfezionare l’inganno.
L’ordinanza impugnata sarebbe incorsa in vizi logici, ritenendo che gli artifici e raggiri sarebbero stati integrati dall’equivoca comunicazione nel 2016 che avrebbe omesso di riferire l’identita’ dei titoli di credito azionati in Svizzera e avrebbe affermato che nulla era stato riscosso dalla societa’ fallita, e dal deposito, il 14 marzo 2017, degli originali di due assegni e correlativi atti di protesto; infatti, la consegna dei titoli in originale esclude l’utilizzo degli stessi per l’azione esecutiva in territorio elvetico, e la fraudolenta simulazione sarebbe descritta in termini omissivi, nonostante non sia sufficiente una mera condotta omissiva, occorrendo un’azione positiva di modificazione della realta’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
Con l’appello proposto, infatti, l’odierno ricorrente aveva proposto impugnazione con riferimento al solo decreto di sequestro preventivo d’urgenza disposto dal P.M. il 01/12/2017, chiedendo dichiararsi l’illegittimita’, e, solo in sede di richiesta conclusiva, l’annullamento del decreto di convalida.
Pertanto, appare immune da censure la declaratoria di inammissibilita’ pronunciata dal Tribunale del riesame, essendo conforme alla costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il decreto di sequestro preventivo emesso in via d’urgenza dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 3 bis, non e’ impugnabile. Si tratta, infatti, di un provvedimento avente carattere puramente provvisorio e non ricompreso nell’elencazione di cui all’articolo 322 bis c.p.p., – norma non suscettibile di interpretazione analogica, attesa la tassativita’ dei mezzi di impugnazione – che, come si evince dall’interpretazione letterale della disposizione, con il termine “ordinanza” intende fare chiaro riferimento ai provvedimenti adottati dal giudice e non dal pubblico ministero e, relativamente a quelli emessi da tale organo, ammette l’appello esclusivamente contro il decreto che dispone la revoca del sequestro (Sez. 3, n. 49448 del 08/10/2003, Piacentini, Rv. 227996; Sez. 3, n. 47710 del 09/10/2003, Borghesi, Rv. 226703: “in tema di misure cautelari reali, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in via d’urgenza del P.M. a norma dell’articolo 321 c.p.p., comma 3 bis, non e’ previsto alcun autonomo mezzo di impugnazione, atteso che l’articolo 322 bis, non include tale provvedimento nell’ambito di quelli avverso i quali e’ consentito l’appello, e, adoperando il termine “ordinanza”, intende fare chiaro riferimento a provvedimenti adottati dal giudice (mentre, relativamente a quelli emessi dal P.M., menziona esplicitamente soltanto il decreto che dispone la revoca del sequestro)”; di recente, Sez. 3, n. 5770 del 17/01/2014, Brancalente, Rv. 258936: “In tema di misure caute/ari reali, non sono impugnabili ne’ il decreto di sequestro preventivo disposto in via d’urgenza dal P,M. ne’ l’ordinanza con la quale il giudice, a norma dell’articolo 321 c.p.p., comma 3 bis, ne dispone la convalida (In motivazione, la Corte ha ribadito che il decreto del PM ha carattere provvisorio, in quanto destinato ad una automatica caducazione a seguito della mancata convalida ovvero, in caso di controllo positivo, ad essere sostituito per effetto dell’autonomo decreto di sequestro giudiziale che il giudice emette dopo l’ordinanza di convalida e che costituisce il titolo legittimante il vincolo reale sul bene sequestrato)”).
Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS) consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00.
2. Il ricorso di (OMISSIS) e’ infondato.
2.1. Nel richiamare la ricostruzione dei fatti accertata dal Tribunale di Como, che non e’ oggetto di contestazione, il fumus del reato di cui alla L. Fall., articolo 232, e’ stato affermato sulla base dell’unicita’ dei titoli di credito insinuati nel fallimento e azionati in Svizzera.
L’ordinanza impugnata, invero, ha affermato che la consumazione del reato non e’ coincisa con la presentazione della domanda di insinuazione al passivo depositata nel 2011, in quanto, mancando il deposito degli originali dei titoli, la stessa era stata ammessa con riserva; riserva sciolta, mediante ammissione definitiva, soltanto con la produzione dei due titoli in originale, e con la dichiarazione dell’Avv. (OMISSIS) di non avere in precedenza riscosso i crediti dalla fallita.
2.2. Tanto premesso, la doglianza con la quale il ricorrente deduce l’insussistenza del reato, in quanto la simulazione fraudolenta sarebbe successiva, e non precedente o concomitante alla condotta di presentazione della domanda di insinuazione al passivo, e’ infondata.
Il delitto di cui alla L. Fall., articolo 232, comma 1, punisce “chiunque, fuori dei casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona, presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato”.
Come osservato in dottrina, la ratio dell’incriminazione e’ quella di tutelare l’interesse della massa dei creditori “a che i crediti insinuati siano veridici e reali, evitando che dalla proposizione di crediti simulati venga ad essere diminuita o annullata la possibilita’ di soddisfacimento dei crediti effettivi”.
Proprio l’utilizzazione della clausola di esclusione “fuori dei casi di concorso in bancarotta”, rende evidente che la fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 232, comma 1, risponde all’esigenza di apprestare un’efficace tutela penale contro le condotte fraudolente poste in essere da soggetti diversi dall’imprenditore fallito ovvero da chi rivesta una delle qualita’ indicate nella L. Fall., articolo 223, comma 1, in pregiudizio della par condicio creditorum.
Per l’integrazione di tale fattispecie di reato e’, dunque, necessario presentare una domanda di ammissione al passivo fallimentare per un credito “fraudolentemente simulato”.
Si tratta, pertanto, di stabilire, innanzitutto, che cosa si debba intendere per “credito simulato”.
Al riguardo, tenuto altresi’ conto della ratio della disposizione in esame, deve ritenersi simulato ogni preteso diritto di credito, oggetto della domanda di ammissione al passivo da parte del soggetto attivo del reato, non corrispondente alla realta’ giuridica da esso formalmente rappresentata e, quindi, in quanto tale, idoneo ad incidere negativamente sul regolare soddisfacimento delle ragioni del ceto creditorio in sede di riconoscimento dei rispettivi diritti di credito e di ripartizione dell’attivo fallimentare.
Rientrano, pertanto, in tale categoria, non solo tutti i casi di c.d. “simulazione assoluta”, in cui manchi del tutto il diritto di credito, ma anche i casi di c.d. “simulazione relativa”, in cui la falsa rappresentazione della realta’ giuridica rappresentata dal diritto di credito vantato e’ solo parziale, ma decisiva per creare le condizioni (apparenti) per consentirne l’ammissione al passivo fallimentare.
Come esemplificato in dottrina, sono questi i casi: 1) del credito effettivamente esistente, ma di cui non e’ titolare il soggetto attivo del reato, che, nel presentare la domanda di ammissione, si sostituisce al creditore effettivo, il quale ha, invece, rinunciato ad insinuare il proprio credito, senza cederlo; 2) della domanda di ammissione al passivo di un credito ordinario, che viene fatto apparire falsamente come privilegiato; 3) del credito che viene insinuato per un’entita’ quantitativamente superiore a quella effettiva; 4) della domanda di ammissione al passivo di un credito estinto, che venga presentato come ancora esigibile (in tal senso, altresi’, Sez. 5, n. 7620 del 24/10/2016, dep. 2017, Zoppo, non massimata).
Non basta, tuttavia, che il credito sia simulato, occorrendo, come si e’ evidenziato, che si tratti di un credito “fraudolentemente simulato”. Occorre, in altri termini, per integrare l’elemento oggettivo del delitto in esame, un quid pluris rispetto alla semplice simulazione, che si traduce ontologicamente nella presentazione di una domanda di ammissione ideologicamente falsa nella misura in cui si fonda su di una pretesa creditoria non corrispondente alla realta’, vale a dire una condotta (come, ad esempio, la produzione di documentazione relativa al diritto di credito), che sia idonea a perfezionare l’inganno.
Orbene, applicando tali principi alla fattispecie in esame, non appare revocabile in dubbio che la condotta del ricorrente sia riconducibile, a livello di fumus commissi delicti, al paradigma normativo di cui alla L. Fall., articolo 232, comma 1: la domanda di ammissione al passivo fallimentare per un credito “fraudolentemente simulato” ha, infatti, riguardato un caso di c.d. simulazione relativa, avendo ad oggetto un credito estinto, ma presentato come ancora esigibile; ed il quid pluris che deve connotare il requisito della fraudolenza e’ stato integrato dalla comunicazione con cui l’Avv. (OMISSIS) aveva dichiarato al curatore, contrariamente al vero, che i crediti di cui si chiedeva l’insinuazione non erano stati gia’ riscossi, ne’ in Italia, ne’ in Svizzera (dove, invece, erano stati azionati).
2.3. Per quanto concerne la doglianza relativa alla irrilevanza degli artifici successivi alla presentazione della domanda di insinuazione al passivo, va invece osservato che la norma incriminatrice attribuisce rilevanza alla condotta di presentazione della domanda di ammissione in relazione ad un credito fraudolentemente simulato (“presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato”).
Va, tuttavia, chiarito che la presentazione di una domanda di ammissione al passivo integra un elemento normativo della fattispecie penale, non certo un elemento naturalistico; nel senso che la “domanda di ammissione”, per essere giuridicamente rilevante, anche ai fini penali, deve avere determinati requisiti previsti dalla legge.
La L. Fall., articolo 93, prevede, infatti, che il ricorso contenente la domanda di ammissione al passivo, oltre ad indicare la somma, la “ragione della domanda”, le eventuali ragioni di prelazione, debba essere altresi’ corredata dai documenti giustificativi del credito vantato (comma 6: “Al ricorso sono allegati i documenti dimostrativi del diritto del creditore”).
Ai fini della consumazione del reato, quindi, e’ necessario che la domanda di insinuazione al passivo sia completa dei requisiti di ammissibilita’ (indicazione della somma, della ragione della domanda, ecc.), e corredata dalla documentazione dimostrativa del diritto di credito preteso, quale requisito di proponibilita’.
Al contrario, la mera presentazione di una domanda di insinuazione, contenente una semplice “dichiarazione”, sprovvista di qualsivoglia documentazione del credito preteso, integrerebbe una mera manifestazione di intenzione, sarebbe, all’evidenza, priva di rilevanza, non soltanto ai fini della consumazione del reato (per inidoneita’ dell’azione), ma anche ai fini dell’ammissione al riparto. In altri termini, un ricorso per l’insinuazione non corredato dai documenti dimostrativi del credito sarebbe una domanda di ammissione incompleta, insuscettibile di produrre effetti giuridici non solo ai fini della partecipazione al riparto dell’attivo, ma anche ai fini penali, non integrando l’elemento normativo della fattispecie penale della “presentazione della domanda di ammissione al passivo fallimentare”, per carenza dei requisiti.
Al riguardo, anche autorevole dottrina si e’ espressa nel senso che per la sussistenza della fraudolenta simulazione non e’ sufficiente la mera presentazione della domanda, ma occorre che ad essa sia allegata una qualche documentazione atta a perfezionare l’inganno.
In tal senso, del resto, depone anche l’interpretazione elaborata al riguardo dalla giurisprudenza civile di questa Corte, che ha affermato il principio secondo cui, in sede di domanda di ammissione al passivo fallimentare, il portatore di un titolo di credito che eserciti azione causale deve produrre il titolo in originale ai sensi dell’articolo 66, Legge cambiaria e articolo 58, Legge assegno, posto che, in mancanza di tale produzione, il credito, pur provato, deve essere ammesso con riserva; detta riserva, peraltro, concerne documenti giustificativi richiesti, non quale integrazione di una prova, allegata ma non prodotta, bensi’ quale requisito di proponibilita’ della domanda, previsto a tutela del debitore, ad evitare la possibilita’ dell’insinuazione di altri creditori in via cambiaria, ovvero per assicurare al debitore l’esercizio di eventuali azioni cambiarie di regresso (Sez. 1, n. 13073 del 08/09/2003, Rv. 566626 – 01); invero, poiche’ la produzione in giudizio dei titoli cambiari originali costituisce requisito indefettibile per l’esercizio sia dell’azione cartolare, sia dell’azione causale, costituendo la produzione degli originali requisito per l’esame nel merito della domanda (Sez. 1, n. 22531 del 28/10/2011, Rv. 620393 – 01), in sede di domanda di ammissione al passivo fallimentare, anche il portatore di un titolo di credito che eserciti l’azione causale ha l’onere di produrre il titolo in originale ai sensi del Regio Decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, articolo 66 e Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, articolo 58, e, in mancanza, il credito deve essere ammesso con riserva, essendo la produzione del titolo (si configuri l’onere del deposito come requisito per l’esame del merito della domanda, ovvero quale requisito di proponibilita’ della domanda stessa) intesa ad evitare la possibilita’ di insinuazione da parte di altri creditori in via cambiaria, ovvero ad assicurare al debitore l’esercizio di eventuali azioni cambiarie di regresso (Sez. 1, n. 16859 del 25/08/2004, Rv. 576225 – 01).
La non plausibilita’ del’opinione contraria, sostenuta nel ricorso, e’, del resto, evidenziata dall’effetto interpretativo abrogans della norma incriminatrice, in quanto consentirebbe di eludere agevolmente e sistematicamente la fattispecie penale mediante presentazione di una domanda di ammissione formalmente regolare, benche’ non documentata, e successiva produzione di documentazione fraudolenta attestante l’esistenza di un credito simulato; secondo lo schema seguito, emblematicamente, proprio nel caso di specie, in cui all’originaria domanda apparentemente regolare, benche’ non documentata, e’ seguito l’esercizio dell’azione esecutiva con i titoli di credito in altro Stato, e, infine, la produzione dei medesimi titoli a corredo dell’originaria domanda di insinuazione, con il conseguimento di un evidente ingiusto profitto, rappresentato dalla duplicazione del pagamento del credito, ai danni del ceto creditorio.
2.4. Pertanto, essendo la produzione dei titoli originali, incorporanti si crediti di cui si intende chiedere l’insinuazione al passivo, requisito di proponibilita’ della stessa domanda di ammissione, ne consegue che il reato di cui alla L. Fall., articolo 232, comma 1, allorquando si tratti di crediti incorporati in titoli di credito, non puo’ ritenersi consumato con la presentazione della mera domanda di ammissione, nel caso in cui non siano stati prodotti gli originali dei titoli; la consumazione del reato, in altri termini, coincide con il momento in cui la domanda di insinuazione al passivo venga “presentata” regolarmente e compiutamente, corredata dalla indispensabile, ai fini della stessa proponibilita’, produzione dei titoli incorporanti i crediti di cui si intende chiedere l’insinuazione.
Nel caso in esame, dunque, la consumazione del reato non e’ stata “postergata”, sulla base di un’asserita interpretazione estensiva o analogica, ad un momento successivo alla presentazione della domanda di insinuazione al passivo depositata nel 2011 (allorquando i crediti erano effettivamente esistenti), in quanto tale domanda, non corredata dal deposito dei titoli in originale, era priva dei requisiti di proponibilita’ (e percio’ ammessa con riserva); la consumazione e’ invece coincisa con la produzione dei titoli in originale, che ha attribuito rilevanza giuridica, in termini di proponibilita’, alla presentazione della domanda di ammissione al passivo.
2.5. Al rigetto del ricorso di (OMISSIS) segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
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