Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 8 luglio 2019, n. 4761.
La massima estrapolata:
L’ordine di demolizione delle opere abusive impartito dal giudice penale in sentenza di condanna per violazioni alla normativa urbanistico-edilizia non deve essere eseguito dalla pubblica amministrazione ma, al contrario, la caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in cui viene adottato conferma la giurisdizione del giudice ordinario riguardo alla pratica esecuzione dello stesso.
Sentenza 8 luglio 2019, n. 4761
Data udienza 23 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2499 del 2019, proposto da
Fe. Me. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Li. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia. sezione staccata di Brescia, 21 febbraio 2019 n. 169, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2019 il Cons. Diego Sabatino e udito per le parti l’avvocato Li. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 2499 del 2019, Fe. Me. ed altri propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia. sezione staccata di Brescia, 21 febbraio 2019 n. 169 con la quale è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso proposto contro il Comune di (omissis), per l’annullamento, previa sospensione cautelare, dell’ordinanza di demolizione delle opere edilizie abusive e ripristino dello stato dei luoghi, prot. gen n. 4321 reg. ord. n. 13/2018, del 29 ottobre 2018, emessa dal sindaco del Comune di (omissis), inerente alla costruzione di n. 3 edifici siti in Comune di (omissis) loc. Ganda.
Con ricorso in primo grado depositato in data 17 dicembre 2018, i ricorrenti hanno impugnato, formulando anche istanza di sospensione cautelare, l’ordinanza sopra citata, con cui il sindaco del Comune di (omissis) ha ordinato ai responsabili dell’abuso e ai proprietari degli immobili e di provvedere alla demolizione di “tre fabbricati ad uso residenziale (non ancora completati) abusivi censiti al catasto fabbricati come in corso di costruzione con le particelle (omissis)”, nonché di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi.
La detta ordinanza risulta esclusivamente fondata sulla “sentenza n. 1740/2017 del 24.5.2017 della Suprema Corte di Cassazione Terza Sezione con la quale veniva impartito “…ordine di demolizione delle opere abusive”.
I ricorrenti, in punto di fatto, hanno esposto quanto segue.
In data 1 giugno 2009 i coniugi Me.- No. presentavano al Comune di (omissis) una richiesta volta ad ottenere un permesso per ampliare la propria azienda agricola costruendo tre nuovi distinti fabbricati. Il Comune di (omissis) rilasciava il permesso di costruire n. 5/2011.
L’associazione WW. It. ON. Onlus in data 8 luglio 2011 presentava ricorso presso il Tar Lombardia sez. di Brescia chiedendo l’annullamento.
Con sentenza n. 274 dell’11 gennaio 2012 il Tar annullava il permesso di costruire ritendendolo carente dei requisiti previsti dalla legislazione vigente per il rilascio.
Il 28 marzo 2012 i coniugi Me.- No. proponevano appello.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5941 del 6 novembre 2012, annullava la pronuncia del TAR Lombardia e respingeva il ricorso del WW., ritenendo legittimo il permesso di costruire n. 5/2011; con successiva sentenza n. 961/2015, era altresì dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione della predetta sentenza presentato dal WW..
La costruzione degli edifici sul terreno di proprietà dei ricorrenti terminava solo dopo il 2014.
A seguito di una denuncia presentata dal WW. per gli stessi fatti portati all’attenzione del giudice amministrativo, la Procura della Repubblica di Bergamo avviava, per quanto in questa sede rileva, un procedimento penale nei confronti dei coniugi – Fe. Me. e Eu. No. (proprietari), del figlio – Ro. No. (costruttore) per reati connessi a violazioni della normativa in materia di edilizia/urbanistica e paesaggio in relazione alla illegittimità del permesso di costruire.
Il Tribunale di Bergamo con sentenza n. 3525 dell’1 dicembre 20114, pronunciava l’assoluzione dei ricorrenti “perché il fatto non sussiste”.
Con sentenza del 21 aprile 2016, la Corte d’Appello di Brescia riformava la pronuncia di assoluzione e condannava la signora Fe. Me. e il figlio Ro. No. alla pena di un anno di arresto e di euro 25.000 di ammenda per il reato di esecuzione di lavori edili in assenza di un legittimo permesso di costruire, oltre che per il reato di deturpamento di bellezze naturali.
Con sentenza n. 31282 del 24 maggio 2017, la Corte di Cassazione confermava la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, condannando la signora Merelli ad un anno di arresto ed euro 25.000,00 di ammenda per avere costruito, assieme al figlio Ro. No., comproprietario per successione ereditaria (a seguito della morte del padre Eu. No.), tre edifici ad uso residenziale “in assenza del permesso di costruire”.
Con la suddetta sentenza era, altresì, ordinata la demolizione degli edifici ritenuti abusivi da eseguirsi entro un anno dalla pronuncia.
I ricorrenti impugnavano il provvedimento di demolizione delle opere edilizie abusive, chiedendone l’annullamento previa sospensione.
Il comune di (omissis) non si costituiva in giudizio.
Alla camera di consiglio del 17 gennaio 2019, sentita parte ricorrente e reso avvertimento ex art. 73, comma 3, c.p.a, il ricorso è stato trattenuto in decisione, e definito con la sentenza gravata, in cui il T.A.R. dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione.
Contestando le statuizioni del primo giudice la parte appellante, ritenuta la sentenza ingiusta e lesiva dei propri diritti, propone appello per i motivi che verranno meglio indicati nella parte di diritto.
In assenza di costituzione della controparte, alla pubblica udienza del 23 maggio 2019, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. – L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.
2. – Con un unico motivo di diritto, viene evidenziata la violazione dell’art. 133 comma 1 lett. f) del CPA per errata applicazione del difetto di giurisdizione per travisamento dei fatti e violazione dell’art. 11 dello stesso C.P.A., nella parte in cui il T.A.R. ha affermato che il Comune di (omissis) avrebbe agito nell’ambito di un’attività di cooperazione con l’Autorità giudiziaria penale adottando un atto solo formalmente amministrativo ma sostanzialmente imputabile all’Ufficio della Procura.
2.1. – La censura è fondata e va accolta.
Il perimetro dei soggetti coinvolti nella fase dell’esecuzione di un ordine di demolizione conseguente a sentenza penale è stato ampiamente vagliato dalla giurisprudenza penale e amministrativa.
Questo Consiglio (VI, 24 novembre 2015, n. 5324), proprio riprendendo le affermazioni del giudice penale (Cass., sez. un., 24 luglio 1996, n. 15; III, 12 dicembre 2006; 8 settembre 2010, n. 32952; 21 novembre 2012, n. 3456) ha affermato che “l’ordine di demolizione delle opere abusive impartito dal giudice penale in sentenza di condanna per violazioni alla normativa urbanistico-edilizia non deve essere eseguito dalla pubblica amministrazione ma, al contrario, la caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in cui viene adottato conferma la giurisdizione del giudice ordinario riguardo alla pratica esecuzione dello stesso.
“La giurisprudenza penale della Corte di Cassazione ha affermato la natura autonoma dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale di condanna, rilevando l’assenza di norme specifiche che riconducano all’autorità amministrativa l’esecuzione dell’ordine di demolizione emesso dal giudice penale e, dunque, l’assoggettamento della demolizione alla disciplina dell’esecuzione prevista dal Codice di procedura penale.”
In conseguenza coerente di questo approccio, la giurisprudenza ha quindi tenuta ferma l’idea che la deroga alla competenza del pubblico ministero (come chiaramente affermato da Cass. pen., III, 20 maggio 2016, n. 31029 per cui “non è plausibile che per l’abbattimento di uno stesso bene si instaurino due procedure esecutive, l’una, da parte dell’autorità giudiziaria, e l’altra, da parte dell’Ufficio Tecnico Regionale. La procedura deve essere unica ed ai sensi dell’art. 31 TUE in quanto la deroga al generale principio che attribuisce al Pubblico Ministero la esecuzione dei provvedimenti giudiziali deve essere di stretta interpretazione e limitata ai casi nei quali la demolizione è collegata in via esclusiva alla condanna per contravvenzioni in materia antisismica”), evidenziando anche come nell’ordinamento sia agevole cogliere lo strumento per discriminare le diverse attribuzioni, sulla scorta dell’esistenza di un indice di pertinenzialità penale (“il quadro normativo che disciplina la demolizione delle opere abusive esclude, innanzitutto, che ricorra l’indice, indiziante la natura penale della misura, della pertinenzialità rispetto ad un fatto-reato; invero, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27 disciplina la c.d. demolizione d’ufficio, disposta dall’organo amministrativo a prescindere da qualsivoglia attività finalizzata all’individuazione di responsabili, sul solo presupposto della presenza sul territorio di un immobile abusivo; una demolizione, dunque, che ha una finalità esclusivamente ripristinatoria dell’originario assetto del territorio” Cass. pen., III, 7 giugno 2016, n. 41498).
Le dette coordinate escludono quindi che il Comune possa essere considerato tra gli organi partecipanti alla funzione dell’esecuzione penale, rendendo impossibile condividere la soluzione adottata dal primo giudice che, valorizzando peraltro un precedente non del tutto perspicuo (Cass. pen., III, 4 marzo 2014, n. 11993 dove invece era stato il pubblico ministero a chiedere la collaborazione e dove la Suprema Corte evidenzia che non si tratta di delega, escludendo implicitamente un obbligo giuridico di adempiere in carico all’ente locale), ha invece ritenuto che “il Comune abbia agito nell’ambito della fase dell’esecuzione penale adottando un atto solo formalmente amministrativo ma sostanzialmente imputabile all’Ufficio della Procura Generale”, quasi in funzione di esecutore.
L’atto gravato, non potendo quindi essere ricondotto nell’ambito dell’esecuzione penale, deve essere considerato come espressione delle ordinarie attribuzioni del Comune di tema di governo dell’attività edilizia, e quindi pienamente ricompreso nell’ambito della giurisdizione amministrativa, giusta la previsione dell’art. 133, comma 1, lett. f).
Il primo giudice, a cui la causa andrà rimessa a norma dell’art. 105 CPA per errata declinatoria della giurisdizione, potrà quindi valutare l’atto gravato nell’integrità dei suoi poteri, anche in relazione all’esistenza o meno della competenza in materia dell’ente locale.
3. – L’appello va quindi accolto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali saranno liquidate al definitivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Accoglie l’appello n. 2499 del 2019 e, per l’effetto, annulla con rinvio la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per Lombardia. sezione staccata di Brescia, 21 febbraio 2019 n. 169;
2. Spese al definitivo.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
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