Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 14234.
Opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo giudiziale non è consentita un’integrazione del titolo esecutivo
Nell’opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo giudiziale, non è consentita un’integrazione, tanto meno extratestuale, del titolo esecutivo quando è univoca e certa la struttura del suo comando e quando gli ulteriori elementi potevano essere sottoposti, nel giudizio in cui quel titolo si è formato, al giudice della relativa cognizione e, se del caso, con l’idoneo gravame avverso il medesimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, pronunciandosi in sede di opposizione all’esecuzione, aveva escluso che il titolo esecutivo – rappresentato da un lodo arbitrale che faceva riferimento, per il calcolo degli interessi, esclusivamente al criterio di cui all’art. 9 della l. n. 143 del 1949 – potesse essere integrato con il riconoscimento degli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2002, non essendo stata posta la relativa questione dinanzi al giudice della cognizione).
Sentenza|| n. 14234. Opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo giudiziale non è consentita un’integrazione del titolo esecutivo
Data udienza 18 aprile 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti ed obbligazioni – Redazione di progetto esecutivo – Pagamento somme – Presupposti – Legge 143 del 1949 – Criteri – Decreto legislativo 231 del 2002 – Intangibilità del titolo esecutivo – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 5633 del 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23814/2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), domiciliati per legge in ROMA, alla piazza CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));
– ricorrenti –
contro
ASUR MARCHE, in persona del legale rappresentante in carica, domiciliato per legge in ROMA alla piazza CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) ((OMISSIS)) e (OMISSIS) ((OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO ANCONA n. 387/2021 depositata il 01/04/2021.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 18/04/2023, dal Consigliere Cristiano Valle, la Corte osserva quanto segue.
Opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo giudiziale non è consentita un’integrazione del titolo esecutivo
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) proposero domanda di condanna al pagamento di somme di denaro nei confronti dell’ASL (ora ASUR Marche), per la redazione di progetto esecutivo, direzione e contabilita’ dei lavori relativi alla costruzione di un’unita’ funzionale all’interno della struttura ospedaliera di Fano e per la ristrutturazione dei padiglioni gia’ esistenti, quali ingegneri professionisti ritualmente incaricati dall’ente pubblico competente (Comune di Fano, poi Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Fano ed infine Azienda Sanitaria Unica Marche, di seguito ASUR) e, ottenuto, a seguito di arbitrato, lodo a essi favorevole, dichiarato esecutivo, notificarono precetto nel quale quantificarono l’importo loro dovuto pari a oltre Euro quattrocento novantacinquemila (Euro 495.924,63) a titolo di compensi e interessi, computati ai sensi della L. 2 marzo 1949, n. 143, articolo 9 nonche’ in base al Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, articolo 5.
L’ASUR propose opposizione all’esecuzione, che venne in parte accolta dal Tribunale di Ancona, che affermo’ dovuti gli interessi nella sola misura di cui alla legge professionale L. n. 143 del 1949.
Avverso detta sentenza proposto appello i due ingegneri.
La Corte d’appello di Ancona, nel ricostituito contraddittorio delle parti, ha, con sentenza n. 387 del 1/04/2021, rigettato l’appello, condannando i due professionisti al pagamento delle spese di lite.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono, con atto affidato a tre motivi, (OMISSIS) e (OMISSIS).
Resiste con controricorso l’ASUR Marche.
Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte di rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti propongono i seguenti motivi.
Il primo motivo deduce ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione dell’articolo 15 preleggi, articoli 1224 e 1284 c.c., L. n. 143 del 1949, articolo 9 e Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5 anche con riferimento alla direttiva CEE 2000/35/CE, nonche’ in relazione agli articoli 324, 615, 616 e 829 c.p.c. e articolo 2909 c.c..
I ricorrenti ritengono che la Corte territoriale abbia ritenuto erroneamente che fosse pretesa l’applicazione di una norma diversa da quella di cui al lodo arbitrale, trattandosi viceversa di una integrazione di norme succedutesi nel tempo.
Il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. violazione e falsa applicazione degli articoli 1224 e 1284 c.p.c. e articolo 112 c.p.c., L. n. 143 del 1949, articolo 9 Decreto Legislativo n. 231 del 2002, per avere entrambi i ricorrenti chiesto, in via subordinata, di individuare a quale saggio gli interessi dovevano essere calcolati a seguito dell’intervenuta soppressione della individuazione del tasso ufficiale di sconto da parte della banca d’Italia, a decorrere dall’anno 2004, indicando, quale concreto parametro, ai fini di cui agli articoli 1224 e 1284 c.c., quello fissato dalla Banca Centrale Europea.
Il terzo, e ultimo mezzo, pone censura ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3., di violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, in merito alla statuizione di condanna al pagamento delle spese di lite, in quanto l’opposizione a precetto era stata soltanto parzialmente accolta ed essi, quindi, non potevano essere ritenuti integralmente soccombenti.
Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Il lodo arbitrale assunto quale titolo esecutivo dai ricorrenti e’ stato emanato il 16/02/2012 e, quindi, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, introduttivo nell’ordinamento del diverso criterio di computo degli interessi per le transazioni commerciali, ed aveva riferimento esclusivamente al criterio di calcolo degli interessi di cui alla L. n. 143 del 1949, articolo 9. Il primo motivo di ricorso si incentra, pertanto, su di una richiesta di modifica del titolo esecutivo sulla quale, salvo modifiche intervenute nelle competenti sedi giurisdizionali, il giudice dell’esecuzione (e lo stesso giudice della parentesi di cognizione che si apre con l’opposizione esecutiva) non puo’ intervenire in senso modificativo, e tanto neppure in via interpretativa.
Gli odierni ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), a fronte dell’appello proposto dalla ASUR, avrebbero potuto adeguatamente proporre appello incidentale, se non prospettare o riproporre la questione del mancato riferimento al disposto del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5 al giudice dell’impugnazione di merito.
Il principio dell’intangibilita’ del titolo esecutivo fissato dalla risalente giurisprudenza di questa Corte (di cui a Cass. n. 22457 del 27/09/2017 Rv. 645770 – 01) e’ stato di recente ribadito, (Cass. n. 1942 del 23/01/2023 Rv. 666694 – 01) pur nell’ottica risultante dalla giurisprudenza nomofilattica intervenuta in materia: In definitiva, ne’ alla stregua dell’orientamento inaugurato dalla richiamata Sez. U, n. 11066 del 2012, ne’ del successivo intervento di Sez. U n. 5633 del 21/02/2022 Rv. 664034 – 01, e’ consentita un’integrazione, tanto meno extratestuale, del titolo esecutivo quando e’ univoca e certa la struttura del suo comando e quando gli ulteriori elementi potevano essere sottoposti nel giudizio in cui quel titolo e’ stato reso, al giudice della relativa cognizione e, se del caso, con l’idoneo gravame avverso il medesimo”.
In ogni caso, anche la richiesta, che sarebbe comunque stata proposta in via impropria, ossia al giudice dell’opposizione esecutiva e non al giudice della cognizione sul lodo arbitrale, di ritenere che tra la L. n. 143 del 1949 e il Decreto Legislativo n. 231 del 2002 si sia verificato un ordinario fenomeno di successione delle leggi nel tempo, con specifico riferimento al criterio di calcolo degli interessi, comporterebbe un’operazione di modifica, in via meramente interpretativa, facente perno sul disposto dell’articolo 15 preleggi, del titolo esecutivo, preclusa, in quanto tale, al giudice dell’esecuzione (che, viceversa, sarebbe stato necessario demandare al giudice della cognizione). Seguendo la linea proposta dai ricorrenti ai fini dell’individuazione del tasso degli interessi si sarebbe dovuto tenere conto anche delle modifiche all’originario disposto del Decreto Legislativo n. 231 del 2002 intervenute successivamente e segnatamente ad opera del Decreto Legislativo n. 192 del 2012: cio’ che rende evidente il carattere di autentica integrazione sostitutiva di una cospicua parte del titolo esecutivo giudiziale azionato, operazione che resta vietata al giudice dell’esecuzione ed a maggior ragione a quello della relativa opposizione.
Il secondo motivo di ricorso, che fa perno sul disposto dell’articolo 112 c.p.c., in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e’ del pari infondato sotto tutti i profili prospettati, poiche’ parte partendo dall’erroneo presupposto che il Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5 abbia automaticamente sostituito la L. n. 143 del 1949, articolo 9: da un lato, questo non e’ dato affermare, trattandosi di ambiti di riferimento del tutto diversi e avendo questa Corte ritenuto, in plurime occasioni, non ultima quella cui fa riferimento la stessa pronuncia richiamata dalla difesa dei ricorrenti (Cass. n. 19647 del 4/08/2017, non massimata,) applicabile, anche dopo il 2002, la L. n. 143 del 1949, articolo 9, u.c., (approvazione delle tariffe professionali degli ingegneri ed architetti); dall’altro lato, come detto illustrando l’infondatezza del primo motivo, non e’ operazione consentita al giudice dell’esecuzione o della relativa opposizione.
A identica conclusione deve giungersi in ordine alla richiesta di ammissione di consulenza tecnica di ufficio, di carattere contabile, poiche’ una volta escluso che potesse farsi luogo ad applicazione del tasso di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5 il compito demandato al consulente di ufficio sarebbe stato privo di oggetto, se non meramente, ed altrettanto inammissibilmente, esplorativo.
Il terzo e ultimo motivo, in ordine alle spese di lite, per avere i giudici di merito ritenuto che l’ (OMISSIS) e il (OMISSIS) fossero integralmente soccombenti, e’ infondato.
La giurisprudenza di questa Corte e’ oramai stabile nel ritenere che (Sez U n. 32061 del 31/10/2022 Rv. 666063 – 01) “l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non da’ luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralita’ di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in piu’ capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma puo’ giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’articolo 92 c.p.c., comma 2”. Nella specie l’opposizione dell’ASUR Marche e’ stata accolta in maniera integrale con riferimento al criterio di computo degli interessi fondato sul disposto del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5 con ogni evidenza integrante la centrale ragione del contendere, cosicche’ l’ (OMISSIS) e il (OMISSIS) sono stati correttamente considerati quali integralmente soccombenti; mentre neppure ci si puo’ fondatamente dolere in questa sede, per consolidata giurisprudenza di legittimita’, di una mancata compensazione delle spese di lite.
Sotto il diverso profilo della mancata compensazione delle spese la sentenza della Corte territoriale e’ del pari conforme a diritto, atteso che (Cass. n. 26912 del 26/11/2020 Rv. 659925 – 01) il sindacato di legittimita’ sulle pronunzie dei giudici del merito e’ diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non e’ tenuto a motivare.
Il ricorso e’, pertanto, rigettato.
Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e, tenuto conto dell’attivita’ professionale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso comporta che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
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