Consiglio di Stato, Sentenza|7 gennaio 2022| n. 70.
Devono considerarsi operatori del settore alimentari, in quanto esercenti attività soggette a registrazione ai sensi dell’art. 6 del Regolamento CE n. 852/2004, e perciò vincolati all’effettuazione della notifica sanitaria D.Lgs. n. 193 del 2007, ex art. 6, comma 3, non soltanto le strutture di ristorazione che si svolgono in pubblici esercizi e che sono rivolte ad un consumatore indifferenziato, ma anche le strutture di ristorazione che sono destinate ad un consumatore finale identificabile, quali le mense di comunità religiose, gli ospedali, le case di cura o di riposo per anziani.
Sentenza|7 gennaio 2022| n. 70. Operatori del settore alimentari
Data udienza 25 novembre 2021
Integrale
Tag- parola chiave: Igiene e sanità – Alimenti – Attività di somministrazione – Soggetto avente natura imprenditoriale – Operatori del settore alimentari – Qualifica
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4937 del 2021, proposto da Asl Roma 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. De., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Pr. S.r.l., Co. Eu., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’avvocato Lu. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 05128/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pr. S.r.l. e di Co. Eu.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Operatori del settore alimentari
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 5128/2021, pubblicata il 3 maggio 2021, il T.A.R. del Lazio, sede di Roma, ha accolto il ricorso proposto dal Co. Eu. (d’ora in avanti anche solo “Condominio”) e dalla s.r.l. Pr. per l’annullamento del provvedimento n. 165363 emesso dalla A.S.L. Roma 2 (d’ora in avanti anche solo “Azienda”), Dipartimento di Prevenzione, U.O.C. Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (S.I.A.N.) in data 9 ottobre 2020.
Con ricorso in appello notificato e depositato il 27 maggio 2021 l’Azienda ha impugnato l’indicata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio, con unica memoria di costituzione, le parti ricorrenti in primo grado.
Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 25 novembre 2021.
2. Il provvedimento impugnato in primo grado ha ordinato alcune modifiche strutturali ed organizzative dell’area adibita a somministrazione alimenti e bevande presso il Co. Eu. To., gestita dalla Pr. s.r.l.: a seguito di sopralluogo eseguito congiuntamente a personale dei N.A.S. in data 23 settembre 2020 era infatti emerso che in tale area si svolgesse attività di somministrazione di cibo e bevande aperta al pubblico, non previamente notificata alla competente autorità e priva di alcuni requisiti previsti dalla normativa di tutela dell’igiene alimentare..
Le modifiche in questione – che trovano fondamento nelle prescrizioni del Regolamento del Parlamento europeo (CE) 29/04/2004, n. 852/2004/CE (sull’igiene dei prodotti alimentari) – riguardano:
la necessità di adibire un’area idonea allo spogliatoio del personale, essendo quella attuale non idonea, e di fornire sempre nello spogliatoio idonei armadietti a doppio scomparto per il personale;
la necessità di dotare il lavabo, nel servizio igienico del personale, di rubinetteria a comando non manuale;
la necessità di allocare il pozzetto congelatore in locale idoneo;
l’obbligo di presentare agli uffici competenti la segnalazione certificata di inizio attività corredata da notifica sanitaria per l’attività svolta.
Il T.A.R., con la sentenza gravata, ha quindi accolto il ricorso proposto congiuntamente dal Condominio e dalla Pr. per l’annullamento di tale provvedimento, sul presupposto della natura privata (e domestica) dell’attività di somministrazione, desunta dal regolamento condominiale e dal contratto con cui le due parti ricorrenti in primo grado hanno regolato tale attività, e sulla sua conseguente estraneità all’ambito applicativo dei poteri esercitati dall’Azienda.
Operatori del settore alimentari
3. Contro tale sentenza ha proposto ricorso in appello l’Azienda, deducendo – nell’unica, articolata censura – “Error in iudicando, motivazione apparente ed inconferente, violazione e falsa applicazione del Regolamento CE 852/2004 e del d.lgs 193/2007, carenza di istruttoria, omessa ponderazione di atti, sviamento”.
Le parti ricorrenti in primo grado si sono costituite per resistere al gravame a mezzo del medesimo ministero, chiedendo la conferma della sentenza appellata.
4. Il thema decidendum devoluto con i motivi di appello, coincidente specularmente e simmetricamente con quello oggetto dei motivi del ricorso di primo grado, concerne la natura dell’attività accertata e la sua sottoponibilità o meno al potere dell’azienda esercitato con il provvedimento impugnato.
Il provvedimento impugnato in primo grado è stato emanato in esercizio del potere disciplinato dal citato Regolamento Reg. (CE) 29/04/2004, n. 852/2004/CE: il quale (art. 1, par. 1) “stabilisce norme generali in materia di igiene dei prodotti alimentari destinate agli operatori del settore alimentare”, con esclusione [art. 1, par. 2, lett. a)] della “produzione primaria per uso domestico privato”.
L’allegato II disciplina nello specifico – al Capitolo I – i “Requisiti generali applicabili alle strutture destinate agli alimenti” il cui rispetto è stato verificato dall’Azienda nella struttura in questione, con la prescrizione delle dovute misure in relazione ai punti (sopra richiamati) per i quali il sopralluogo aveva rivelato, nella concreta strutturazione ed organizzazione delle relative attività, una difformità da tale disciplina.
L’Azienda ha inoltre constatato, da un punto di vista più generale, la violazione dell’art. 6, paragrafo 2, del citato Regolamento, il quale prescrive che “ogni operatore del settore alimentare notifica all’opportuna autorità competente, secondo le modalità prescritte dalla stessa, ciascuno stabilimento posto sotto il suo controllo che esegua una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti ai fini della registrazione del suddetto stabilimento. Gli operatori del settore alimentare fanno altresì in modo che l’autorità competente disponga costantemente di informazioni aggiornate sugli stabilimenti, notificandole, tra l’altro, qualsivoglia cambiamento significativo di attività nonché ogni chiusura di stabilimenti esistenti”: ed ha conseguentemente imposto all’esercente di dotarsi di titolo abilitativo (ancorché mediante mera segnalazione).
5. Questa essendo la disciplina del potere esercitato con il provvedimento impugnato in primo grado, il T.A.R. ha ritenuto l’attività in questione ad esso estranea, in quanto, “L’indicata norma, all’art. 1, comma 2, lettera a), esclude l’applicazione delle riportate previsioni alla produzione primaria per uso domestico privato”.
Il T.A.R., in forza della richiamata valorizzazione del regolamento condominiale e del negozio regolante la somministrazione di alimenti intercorso fra il condominio ed il gestore, ha escluso che tale qualificazione possa essere impedita:
dal numero elevato di persone (condò mini, ed eventuali ospiti) aventi accesso all’area in questione e alla somministrazione di alimenti in essa condotta (la stessa sentenza di primo grado dà atto del fatto che il Condominio si compone di n. 302 unità immobiliari);
dalla “applicazione le norme tributarie relative alla somministrazione di bevande ed alimenti”;
dalla “attribuzione del Responsabile dell’HACCP”;
dalla presenza nella struttura di “strumenti professionali” (macchina professionale per l’erogazione del caffè ; forno elettrico; forno a microonde ecc.), in quanto “essi sono di proprietà dei condomini e non dimostrano affatto la natura pubblicistica dell’area”.
6. La riportata motivazione non resiste alla critica posta a fondamento del ricorso in appello
Il primo giudice ha operato una qualificazione giuridica puramente formale dell’attività in questione, sulla base di disposizioni di natura civilistica aventi un diverso oggetto e soprattutto una diversa funzione rispetto alle disposizioni regolanti l’esercizio dei poteri di controllo sulla somministrazione degli alimenti.
Operatori del settore alimentari
Sarebbe bastato, per escludere la qualificazione come utenza domestica dell’esercizio in questione, e la conseguente fondatezza del ricorso di primo grado, il rilievo del fatto che l’attività di somministrazione di cibi e bevande è svolta da un soggetto avente natura imprenditoriale (la s.r.l. Pr. ) in favore di una platea numerosa di utenti (ancorché selezionata in forza di un titolo di accesso).
Non va in proposito confusa la natura privata del sito ove avviene la somministrazione con la natura non domestica di tale attività : il criterio discretivo deve avere riguardo evidentemente non ad un dato formale, ma ad un dato sostanziale, che nel caso di specie converge univocamente (sia sul piano strutturale, che su quello funzionale) nel senso dell’accesso di una pluralità di persone ad un esercizio di somministrazione di sostanze alimentari gestito imprenditorialmente (ancorché allocato in un’area avente natura giuridico-formale non pubblica).
La sopra richiamata disposizione esonera dal regime in questione non già la somministrazione di alimenti in luogo formalmente privato (ammesso che tale aggettivo sia sinonimo di “domestico”), ma la produzione primaria per uso domestico privato: laddove il riferimento sia all’attività di “produzione”, sia la sua destinazione all'”uso domestico privato”, evidenziano chiaramente come tale disposizione si riferisca a fattispecie totalmente difforme rispetto a quella dedotta nel presente giudizio.
7. L’impropria equiparazione del regime privatistico dell’area alla qualificazione come domestica dell’attività di somministrazione ivi svolta si coglie allorché il primo giudice afferma che “il servizio ed i locali adibiti a tale attività, hanno, a tutti gli effetti, natura esclusivamente privatistica conseguente alla comproprietà della porzione immobiliare. Ebbene, tale aspetto negoziale assume una primaria valenza probatoria circa l’attività e la funzione ivi esercitata che può essere superata unicamente attraverso una oggettiva e rigorosa prova contraria che dimostri, in modo inequivoco, la violazione delle prescrizioni regolamentari e la utilizzazione pubblica della struttura. Si tratta cioè di una preliminare e necessaria attività istruttoria volta a dimostrare l’intento fraudolento delle previsioni negoziali. Tale prova non è stata fornita dall’amministrazione”.
In realtà la comproprietà delle parti comuni condominiali non esonera il condominio ed i singoli condomini dal rispetto delle norme di natura pubblicistica, poste a presidio di interessi superindividuali, il cui ambito applicativo è definito dalla natura (e dalla connessa, astratta pericolosità ) dell’attività svolta.
L’Azienda non avrebbe pertanto dovuto provare altro che quanto accertato in sede di sopralluogo: vale a dire l’esercizio di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande in favore di una pluralità di soggetti da parte di un imprenditore dietro corrispettivo.
Al contrario, il dato- anch’esso di natura formale – valorizzato dal T.A.R., per cui il corrispettivo corrisposto dal Condominio alla Pr. avrebbe come controprestazione non una fornitura ma un servizio (da prestare in area condominiale, con accesso regolato), in quanto “I generi alimentari somministrati ai condomini sono acquistati, anche tramite il condominio, dai predetti e non potranno essere venduti dalla società fornitrice il servizio che, eventualmente, ha titolo al solo rimborso del costo dell’acquisto”, è del tutto irrilevante ai fini dell’applicazione della normativa di cui si tratta, e non può evidentemente costituire espediente per alterare per ciò solo la qualificazione sostanziale dell’attività in parola, e per eludere conseguentemente l’applicazione del relativo regime posto a presidio della tutela dell’igiene dei prodotti alimentari.
Operatori del settore alimentari
8. In ogni caso, per quanto fin qui argomentato, non assume alcun rilievo, nel senso della sottrazione dell’attività in questione al potere esercitato dall’Azienda, né il fatto che l’accesso alla somministrazione fosse in qualche modo regolato e non indiscriminato, né la pretesa estraneità della Pr. s.r.l. (in ragione del peculiare regime delle prestazioni definito inter partes nel negozio regolante tale attività ) alla categoria dell'”operatore del settore alimentare” ai fini dell’applicazione della normativa di cui si tratta (estraneità che le parti appellate in memoria riconducono – oltre che alla limitazione ai soli condò mini dell’accesso all’era di somministrazione, ea gli altri elementi di natura formale sopra richiamatai – all’asserita assenza di uno scopo di lucro della Pr., e all’asserzione per cui tale società opererebbe “alla stregua di un dipendente condominiale”).
In giurisprudenza è stato infatti chiarito in termini molto netti, che il Collegio condivide, che devono “considerarsi operatori del settore alimentari, in quanto esercenti attività soggette a registrazione ai sensi dell’art. 6 del Regolamento CE n. 852/2004, e perciò vincolati all’effettuazione della notifica sanitaria D.Lgs. n. 193 del 2007, ex art. 6, comma 3, non soltanto le strutture di ristorazione che si svolgono in pubblici esercizi e che sono rivolte ad un consumatore indifferenziato, ma anche le strutture di ristorazione che sono destinate ad un consumatore finale identificabile, quali, come nella specie, le mense di comunità religiose, gli ospedali, le case di cura o di riposo per anziani” (Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza n. 34039 del 19 dicembre 2019).
Pertanto, l’attività in questione non soltanto avrebbe dovuto rispettare le prescrizioni di dettaglio contenute nel richiamato Allegato II del Regolamento 852/2004, ma avrebbe dovuto altresì prima ancora – in base all’art. 6 di tale regolamento – essere preceduta dalla notifica sanitaria prevista dal d.lgs. n. 193 del 2007.
Il provvedimento dell’Azienda risulta conseguentemente, in tutte le sue componenti precettive, pienamente conforme al relativo paradigma normativo e come tale resiste alle censure che contro lo stesso sono state formulate con il ricorso di primo grado.
9. In accoglimento del ricorso in appello, e in riforma della sentenza gravata, il ricorso di primo grado deve essere pertanto respinto perché infondato.
Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso di primo grado.
Condanna il Co. Eu. e la Pr. s.r.l., in solido fra loro, al pagamento in favore della A.S.L. Roma 2 delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi euro seimila/00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Michele Corradino – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Giovanni Tulumello – Consigliere, Estensore
Antonio Massimo Marra – Consigliere
Operatori del settore alimentari
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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