Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 ottobre 2021| n. 29317.
Il regime di nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali, previsto dall’art. 40 della l. n. 47 del 1985, è inapplicabile, per il principio di irretroattività, ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, relativamente ai quali occorre riferirsi, al contrario, al sistema di sanzioni civili previsto dall’art. 10, comma 4, della l. n. 765 del 1967 e, in termini pressoché identici, dall’art. 15, comma 7, della l. n. 10 del 1977, disposizione che va interpretata nel senso che, ai fini della validità dell’atto, occorre il duplice requisito che l’acquirente sia consapevole della mancanza della concessione al momento della stipulazione e che tale conoscenza sia stata espressa nell’atto come manifestazione della volontà – anche implicita, ma non desumibile “aliunde” – di acquistare un’unità edilizia costruita senza la necessaria concessione.
Ordinanza|21 ottobre 2021| n. 29317
Data udienza 19 maggio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Vendita – Immobili – Nullità del contratto – Art. 40 l. 47/1985 – Regime delle nullità – Immobile non conforme alla disciplina urbanistica – Art. 15 l. 10/77 Nullità limitata agli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione se l’acquirente ne era ignaro – La costruzione in difformità non è affetta da nullità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24378/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 3731/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) citava dinanzi il Tribunale di Roma (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per accertare la nullita’ del contratto di compravendita stipulato il 14 dicembre 1979 tra l’attore e i convenuti con condanna di questi ultimi congiuntamente o disgiuntamente tra loro e previa restituzione degli immobili acquistati, al pagamento della somma di Lire 15.000.000 oltre rivalutazione e interessi e oltre al risarcimento del danno patrimoniale riferito alla differenza di valore degli immobili oggetto del contratto in relazione all’attuale valore di mercato immobiliare.
2. Il Tribunale accoglieva la domanda e dichiarava la nullita’ del contratto per essere l’immobile non conforme alla disciplina urbanistica con condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo versato di Euro 7746,85 ed al risarcimento del danno liquidato complessivamente in Euro 126.500 sulla base del presumibile valore commerciale di un immobile di caratteristiche simili a quello oggetto della compravendita.
3. Gli eredi dei convenuti, nelle more deceduti, ( (OMISSIS), in proprio e quale tutrice di (OMISSIS), (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) in qualita’ di genitori esercenti la patria potesta’ sul minore (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di genitori esercenti la patria potesta’ sul minore (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nella qualita’ di genitori esercenti la patria potesta’ sulla minore (OMISSIS) in qualita’ di eredi di (OMISSIS)) proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
4. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione e in riforma della sentenza di primo grado rigettava la domanda proposta da (OMISSIS).
In particolare, la Corte d’Appello evidenziava che il punto centrale della controversia era costituito dal regime giuridico della compravendita al momento della stipula del contratto avvenuta il 13 dicembre 1979. Nel contratto si specificava che il fabbricato di cui faceva parte la porzione immobiliare compravenduta era stato costruito in base alla licenza di costruzione n. 1097 del 1968 e della successiva voltura n. 2691 del 1973.
La Corte d’Appello riteneva che alla fattispecie dovesse applicarsi della L. n. 10 del 1977, articolo 15, che prevedeva la sanzione della nullita’ esclusivamente per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l’acquirente non fosse a conoscenza di tale assenza, con la conseguenza che, in caso di costruzione in difformita’ dalla concessione, nessuna nullita’ dell’atto poteva ipotizzarsi. La sanzione della nullita’ di un atto di disposizione, infatti, non poteva essere interpretata estensivamente al fine di ricondurvi anche il caso di costruzione in difformita’ dal permesso di costruire. Anche la successiva L. n. 47 del 1985, secondo la giurisprudenza di legittimita’ prevedeva, prescindendo dalla regolarita’ sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, la nullita’ degli atti di trasferimento di diritti reali di edifici esclusivamente per l’omessa menzione degli estremi della licenza edilizia da parte dell’alienante ovvero per la mancata allegazione della relativa domanda di sanatoria con allegata la prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione. La Corte d’Appello dava atto dell’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ che successivamente aveva adottato un’interpretazione sostanzialistica della nullita’ ma riteneva di aderire alla tesi che limitava l’ipotesi di nullita’ alla mancanza di concessione o alla mancata indicazione degli estremi della licenza edilizia. Peraltro, nel caso di specie, doveva farsi applicazione della L. n. 10 del 1977 e non della L. n. 47 del 1985, articolo 40.
5. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
6. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e quale esercente la patria potesta’ sulla figlia (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
7. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione della L. n. 10 del 1977, articolo 15.
La censura attiene alla statuizione secondo la quale l’assenza di concessione edilizia prevista a pena di nullita’ debba differenziarsi rispetto alla difformita’ totale, con particolare riferimento al disposto di cui della L. n. 10 del 1977, articolo 15. Il trasferimento di beni immobili viziati da incommerciabilita’, secondo il ricorrente, deve essere dichiarato nullo indipendentemente dal regime giuridico applicabile. La L. n. 10 del 1977, articolo 15, comma 7, sanciva la nullita’ dei trasferimenti degli immobili costruiti in assenza di concessione e, in tal modo, vietava il commercio di immobili abusivi. In sostanza cio’ che rileva nel caso in esame e’ l’incommerciabilita’ dei beni come accertata dal consulente tecnico d’ufficio. Peraltro, la stessa Corte d’Appello avrebbe evidenziato che non ogni abuso edilizio determina di per se’ stessa l’incommerciabilita’ del bene ma solo quelli di maggiore gravita’. A tal proposito il ricorrente riporta le conclusioni del consulente tecnico che aveva evidenziato la totale difformita’ dell’immobile costruito rispetto al titolo riabilitativo, concludendo nel senso che l’irregolarita’ edilizia e urbanistica fosse tale da rendere impossibile l’immissione in commercio degli immobili. Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimita’ che ha equiparato all’ipotesi di assenza di concessione edilizia il vizio di totale difformita’.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione della L. n. 10 del 1977, articolo 15 e della L. n. 47 del 1985, articoli 17 e 40.
Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimita’ che ha interpretato le norme citate in senso sostanziale e dopo aver ricostruito la successione delle leggi ritiene di individuare una linea di continuita’ che caratterizza la legislazione finalizzata a garantire il prevalente interesse pubblico all’incommerciabilita’ delle costruzioni abusive o totalmente difformi, in conformita’ con il principio generale della nullita’ di carattere sostanziale degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica. Peraltro, la legge del 1985 non ha sottratto alla sua applicazione le costruzioni ultimate entro la data della sua entrata in vigore e anzi ha offerto l’opportunita’ di procedere ad una sanatoria per gli abusi ultimati entro la data del 1 ottobre 1983. Di conseguenza le sanzioni introdotte dalla L. n. 47 del 1985, sarebbero retroattive. L’articolo 40 della Legge citata, infatti, era riferito alle costruzioni antecedente l’entrata in vigore della legge alle quali soltanto poteva far riferimento la sanatoria. Dunque, gli immobili di cui e’ causa avrebbero dovuto essere esaminati nel rispetto delle prescrizioni urbanistiche intervenute nel 1985 e, nella specie, non essendo stata attivata alcuna procedura di sanatoria o condono, doveva trovare applicazione della L. n. 47 del 1985, articolo 40.
2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
La Corte d’Appello ha individuato il punto centrale della controversia nel regime giuridico della compravendita al momento della stipula del contratto avvenuta il 13 dicembre 1979. Nella specie, ha ritenuto di fare applicazione della L. n. 10 del 1977, articolo 15, che prevedeva la sanzione della nullita’ esclusivamente per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l’acquirente non fosse a conoscenza di tale assenza, con la conseguenza che in caso di costruzione in difformita’ dalla concessione nessuna nullita’ dell’atto poteva ipotizzarsi. Nel contratto, infatti, si specificava che il fabbricato di cui faceva parte la porzione immobiliare compravenduta era stato costruito in base alla licenza di costruzione n. 1097 del 1968 e della successiva voltura n. 2691 del 1973.
La statuizione della Corte d’Appello di Roma e’ conforme alla giurisprudenza di legittimita’ ed e’ immune dalle censure sollevate dal ricorrente. Questa Corte, infatti, ha gia’ avuto modo di affermare che: “Il regime di nullita’ degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali, previsto dalla L. n. 47 del 1985, articolo 40, e’ inapplicabile per il principio della irretroattivita’, ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore; per essi trova applicazione il sistema di sanzioni civili previsto dalla L. n. 765 del 1967, articolo 10, comma 4 e, in termini pressoche’ identici, dalla L. n. 10 del 1977, articolo 15, comma 7, che subordina la nullita’ dell’atto alla mancata conoscenza da parte dell’acquirente della carenza di concessione edilizia (nella specie, si e’ esclusa la nullita’ del contratto di compravendita posto che la conoscenza da parte dell’acquirente della carenza della concessione edilizia emergeva inequivocabilmente dalla presenza di un patto aggiunto nel quale la parte venditrice aveva assunto l’obbligazione di tenere indenni gli acquirenti dalle conseguenze economiche della costruzione abusiva)” Sez. II, n. 3350 del 1992).
Inoltre, quanto all’interpretazione della L. n. 10 del 1977, articolo 15, deve darsi continuita’ al seguente principio di diritto: “La L. n. 10 del 1977, articolo 15, comma 7, relativo alla nullita’ degli atti giuridici aventi ad oggetto costruzioni abusive va interpretato nel senso che ai fini della validita’ dell’atto occorre il duplice requisito che l’acquirente sapeva della mancanza della concessione al momento della stipulazione e che tale conoscenza fu espressa nell’atto medesimo anche implicitamente in modo che si possa dire egli vi manifesto’ la volonta’ di acquistare un’unita’ edilizia costruita senza la necessaria concessione – manifestazione di volonta’ che – e’ bene precisare – non puo’ desumersi aliunde” (Sez. II, n. 6466 del 1990).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione degli articoli 1418 e 1346 c.c..
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto in ogni caso individuare il fondamento della nullita’ sostanziale del contratto del dicembre 1979 nel sistema codicistico ed in particolare nella disciplina generale della nullita’ di cui agli articoli 1418 e 1346 c.c.. In sostanza, nella specie il contratto sarebbe nullo per contrarieta’ a norme imperative e per impossibilita’ e illiceita’ dell’oggetto.
3.1 Il terzo motivo di ricorso e’ infondato.
In primo luogo, la censura e’ del tutto generica perche’ non indica quali siano le norme urbanistiche violate, facendo riferimento genericamente ad abusi edilizi. Ad ogni modo deve richiamarsi la recente pronuncia delle Sezioni Unite con la quale si e’ ritenuto che: “La nullita’ comminata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 46 e della L. n. 47 del 1985, articoli 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’articolo 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullita’ “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullita’ che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto e’ valido a prescindere dal profilo della conformita’ o della difformita’ della costruzione realizzata al titolo menzionato” (Sez. U., Sent. n. 8230 del 2019).
In tale pronuncia si e’ precisato che la nullita’ comminata dalle disposizioni in esame non puo’ esser sussunta nell’orbita della nullita’ c.d. virtuale di cui dell’articolo 1418 c.c., comma 1, che presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto non trova riscontro in seno allo jus positum, che, piuttosto, enuncia specifiche ipotesi di nullita’. Ne’ la conclusione puo’ fondarsi nella previsione della conferma degli atti nulli, mediante la redazione di un atto aggiuntivo, contemplata per l’ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati. Tale conferma e l’atto aggiuntivo che la contiene presuppongono, bensi’, che il titolo e la documentazione sussistano, ma, di per se’, non implicano che l’edificio oggetto del negozio ne rispecchi fedelmente il contenuto.
Le sezioni Unite hanno precisato anche che la tesi sostanzialista non puo’ fondarsi sul disposto di cui dell’articolo 1418 c.c., comma 2. La consentita disposizione testamentaria in ordine ad immobili non regolari urbanisticamente, e comunque la possibilita’ del loro trasferimento per successione mortis causa, la loro attitudine a costituire garanzie reali, la loro idoneita’, inoltre, ad esser contemplati in seno agli atti inter vivos (valga per tutti la locazione) ed in seno ad atti costituenti diritti reali di servitu’ escludono che il loro modo di atteggiarsi possa di per se’ solo valere ad integrare le vietate ipotesi d’illiceita’ o d’impossibilita’ dell’oggetto, o, ancora d’illiceita’ della prestazione (che, in tesi, dovrebbero colpire tutti gli atti e, dunque, anche quelli esentati) o della causa per contrarieta’ a norme imperative o al buon costume.
L’oggetto della compravendita, secondo la definizione data dall’articolo 1470 c.c., e’ il trasferimento della proprieta’ della res, che, in se’, non e’ suscettibile di valutazione in termini di liceita’ o illiceita’, attenendo l’illecito all’attivita’ della sua produzione, e, considerato che la regolarita’ urbanistica del bene e’ estranea alla causa della compravendita, tradizionalmente definita nello scambio – cosa contro prezzo – che ne costituisce la sua funzione economica e sociale, ed altresi’ il suo effetto essenziale. In costanza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile, il contratto sara’ in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformita’ o della difformita’ della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e cio’ per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullita’, in quanto, non e’ previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale secondo cui le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullita’ degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicche’ esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.
In conclusione, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto e’ valido a prescindere dal profilo della conformita’ o della difformita’ della costruzione realizzata rispetto al titolo menzionato.
4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione.
Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare l’inadempimento delle controparti che non avevano correttamente adempiuto la loro prestazione avendo venduto un bene abusivo e, dunque, avrebbe dovuto pronunciarsi sul risarcimento del danno. Tale richiesta sarebbe autonoma rispetto alla richiesta di risoluzione del contratto non riproposta in appello.
4.1 Il quarto motivo e’ infondato.
La Corte d’Appello ha accolto l’appello e rigettato le domande di (OMISSIS), precisando che questi sebbene in primo grado avesse proposto anche una domanda di risoluzione del contratto, non aveva in sede di appello riproposto la questione, sulla quale pertanto non poteva pronunciarsi.
Risulta evidente, pertanto, che non vi sia stato alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e che il ricorrente ha proposto nella sostanza una censura di omessa pronuncia che e’ del tutto infondata, in quanto la Corte d’Appello ha espressamente chiarito che nella specie non era stata riproposta la domanda di risoluzione e di risarcimento per inadempimento. D’altra parte, anche con il motivo in esame, il ricorrente non indica in alcun modo di aver riproposto in sede di appello la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento con conseguente domanda di risarcimento del danno. Viceversa, il risarcimento del danno riconosciuto dalla sentenza di primo grado si fondava sulla presunta nullita’ del contratto.
5. Il ricorso e’ rigettato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento alla parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 5300 piu’Euro 200.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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