Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 19 febbraio 2020, n. 6529.
Massima estrapolata:
Non vale la competenza territoriale legata al domicilio fiscale del contribuente se non è individuabile il luogo di commissione facendo scattare la competenza del giudice del luogo di prima iscrizione del reato (nel caso si trattava di compensazione di debiti societari con crediti erariali di terzi a seguito di contratto di accollo)
Sentenza 19 febbraio 2020, n. 6529
Data udienza 12 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 20/05/2019 del Tribunale di Bergamo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere REYNAUD Gianni Filippo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale SECCIA Domenico, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 maggio 2019, il Tribunale di Bergamo, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento con cui il g.i.p. aveva respinto la richiesta di misura cautelare reale, ha disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente in relazione al profitto del reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 quater, della somma di Euro 219.039,03 nei confronti di (OMISSIS) Srl e, in caso di impossibilita’, nei confronti di (OMISSIS), indagato nel procedimento quale amministratore che aveva compensato debiti della societa’ con crediti erariali di terzi soggetti oggetto di contratto di accollo.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del suddetto indagato, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell’articolo 8 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, per essere territorialmente incompetente il Tribunale di Bergamo, verosimilmente adito – rileva il ricorrente – quale giudice del luogo di prima iscrizione della notizia di reato. Si lamenta che, trattandosi di reato in dichiarazione, sarebbe invece competente, a norma del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, il giudice del luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, vale a dire il Tribunale di Monza essendo il domicilio fiscale della (OMISSIS) Srl in (OMISSIS). Qualora il primo atto di commissione del reato fosse invece da identificare nel luogo in cui sono stati sottoscritti i contratti di accollo che hanno poi determinato la compensazione ritenuta illecita, sarebbe competente il Tribunale di Milano.
3. Con il secondo motivo, si deducono, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza e manifesta contraddittorieta’ della motivazione anche per mancata o erronea valutazione di prove documentali. Contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza, la (OMISSIS) Srl aveva infatti stipulato contratti di accollo di crediti fiscali, regolarmente registrati presso l’Agenzia delle Entrate, sia con (OMISSIS) Srl, sia con (OMISSIS). In ogni caso, era insufficiente e comunque mancante la motivazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, correttamente escluso dal g.i.p. che aveva respinto la richiesta di misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non e’ fondato.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, nel caso di specie non puo’ trovare applicazione la disposizione prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, giusta la quale il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale – dettata, nel comma 2 della disposizione, soltanto “per i delitti previsti dal capo 1 del titolo 2” – ma deve farsi applicazione della generale previsione, contenuta nel comma 1 della disposizione, secondo cui “se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non puo’ essere determinata a norma dell’articolo 8 c.p.p., e’ competente il giudice del luogo di accertamento del reato”.
Ed invero, il disposto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, comma 2, non puo’ trovare applicazione poiche’ il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater e’ contenuto nel capo H (e non gia’ nel capo I) del titolo secondo del provvedimento legislativo e, diversamente da quanto opina il ricorrente, non e’ un mero reato dichiarativo perche’ si consuma nel momento e nel luogo in cui e’ omesso il versamento di imposte dovute per un importo superiore a Euro 50.000.
Come gia’ si e’ avuto modo di precisare in relazione agli analoghi delitti di omesso versamento di IVA o di ritenute certificate di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10-ter e 10-bis, la competenza per territorio va dunque individuata in base al disposto di cui all’articolo 18, comma 1 del citato decreto. Secondo un orientamento di questa Corte, in tali casi il luogo in cui si verifica l’omissione del versamento del tributo ex articolo 8 c.p.p., deve ritenersi coincidente con il luogo ove si trova la sede effettiva dell’azienda, nel senso di centro della attivita’ amministrativa e direttiva dell’impresa (Sez. 3, n. 27701 del 01/04/2014, Santacroce, Rv. 260110; Sez. 3, n. 23784 del 16/12/2016, dep. 2017, Mosetter, Rv. 269983); secondo un diverso indirizzo, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, siccome l’adempimento dell’obbligazione tributaria puo’ essere effettuato anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va invece applicato il criterio sussidiario del luogo dell’accertamento del reato indicato dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, comma 1, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’articolo 9 c.p.p. (Sez. 3, n. 17060 del 10/01/2019, Lupo, Rv. 275942; Sez. 1, n. 44274 del 24/09/2014, Tirabasso, Rv. 260801). Certamente non applicabile, invece, e’ il criterio del domicilio fiscale, quello su cui si fonda la doglianza dedotta in ricorso.
Il ricorrente, di fatti, non precisa quale sia la sede effettiva dell’impresa (e non invoca, quindi, il primo degli orientamenti interpretativi piu’ sopra citati) ma – prendendo in esame, in via subordinata rispetto al domicilio fiscale, la necessita’ di fare applicazione delle regole generali di cui all’articolo 8 c.p.p..
– sostiene che sarebbe competente il Tribunale di Milano quale luogo di sottoscrizione dei contratti di accollo. Questa prospettiva, tuttavia, e’ infondata, per l’assorbente ragione che il delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater e’ reato omissivo istantaneo, sicche’ la sottoscrizione di quei contratti quand’anche fosse stata preordinata alla successiva commissione del reato – non puo’ essere ritenuta quale porzione di condotta penalmente rilevante. In ogni caso, anche in questa prospettiva – che richiamerebbe l’applicazione dell’articolo 9 c.p.p., – la tesi sarebbe errata, poiche’ il criterio residuale che per i reati fiscali diversi da quelli previsti dal capo primo del primo titolo del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, radica la competenza nel luogo di prima iscrizione della notizia di reato deve trovare applicazione in tutti i casi in cui non sia possibile individuare il luogo di consumazione, prevalendo sui criteri suppletivi di cui all’articolo 9 c.p.p. (come specificato dalle citate sentenze Lupo e Tira basso).
2. Il secondo motivo e’ inammissibile, perche’ afferente a doglianza non proponibile.
Ed invero, il ricorso per cassazione proposto contro provvedimenti adottati in sede di impugnazione in materia di sequestri e’ consentito – a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, – soltanto per violazione di legge e, quanto alla giustificazione della decisione, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua contraddittorieta’ o illogicita’ manifesta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129).
Al proposito, il ricorrente si limita a contestare la contraddittorieta’ della motivazione rispetto alla documentazione in atti e l’insufficienza della stessa quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo. Si tratta, dunque, di doglianze non proponibili, avendo il Tribunale reso effettiva motivazione circa il fumus del reato contestato ed escluso che l’elemento soggettivo potesse ritenersi ictu oculi insussistente, cosi’ peraltro adeguandosi al consolidato orientamento che soltanto in tal caso consente di rilevare il difetto di elemento soggettivo nei procedimenti cautelari reali (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521).
3. Il ricorso, complessivamente infondato, va dunque rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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