Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 19 marzo 2020, n. 1961.
La massima estrapolata:
Nell’ipotesi di rischio di dispersione di fibre di amianto nell’ambiente a causa del degrado di una ex fabbrica e del concreta possibilità di aggravarsi della situazione anche a causa dell’azione degli agenti atmosferici sussistono i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità ed urgenza per l’emissione dell’ordinanza contingibile ed urgente di cui all’articolo 54. Dlgs n. 267 del 2000.
Sentenza 19 marzo 2020, n. 1961
Data udienza 27 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4578 del 2019, proposto da Fallimento Br. In. S.r.l. in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Si. Ca., Vi. Do. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Si. Ca. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ri. Di Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell’Interno Comando Provinciale Vigili del Fuoco Firenze, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana Area Vasta Centro Dipartimento Firenze, Corpo di Polizia Municipale Arno-Sieve dei Comuni di (omissis) e (omissis), Fallimento Br. S.r.l. in Liquidazione non costituiti in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 4586 del 2019, proposto da Fallimento Br. S.r.l. in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Si. Ca., Vi. Do. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Si. Ca. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ri. Di Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell’Interno Comando Provinciale Vigili del Fuoco Firenze, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana Area Vasta Centro Dipartimento Firenze, Corpo di Polizia Municipale Arno-Sieve dei Comuni di (omissis) e (omissis), Fallimento Br. In. S.r.l., non costituiti in giudizio;
per la riforma
in entrambi i ricorsi n. 4578 del 2019 e n. 4586 del 2019, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (sezione Seconda) n. 00166/2019, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in entrambi i giudizi del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti delle due cause;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Roberto Proietti; nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorsi proposti dinanzi al TAR per la Toscana R.G. n. 541/2018 e R.G. n. 495/2018, rispettivamente dalla Curatela del Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione e dalla Curatela del Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione, sono stati impugnati l’ordinanza del Comune di (omissis) contingibile e urgente n. 96 del 23 febbraio 2018, emessa per la messa in sicurezza dell’area ex Br., località (omissis), via (omissis), con riguardo alle coperture in cemento armato, alla presenza di rifiuti contenenti amianto e alla presenza di rifiuti derivanti dall’attività pregressa dell’ex insediamento produttivo; nonché, tutti i provvedimenti presupposti, connessi o consequenziali, ivi compresi, ove occorra: l’ordinanza contingibile e urgente n. 82 del 12 febbraio 2018, avente ad oggetto la messa in sicurezza dell’area abbandonata delle ex Ceramiche Br. in località (omissis), via (omissis); la comunicazione n. 5119 del 9 gennaio 2018 del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco Firenze; la nota 25 gennaio 2017 (rectius 2018) del Corpo di Polizia Municipale Arno-Sieve, prot. 2332/2018 (esito sopralluogo ex Fabbrica Ceramiche Br. a (omissis)); la nota ARPAT Area Vasta Centro – Dipartimento di Firenze avente ad oggetto “comunicazione in merito alle verifiche condotte in relazione all’incendio occorso il 9 gennaio 2018 presso la ex Br. In., via (omissis), località (omissis) (omissis)”, n. 17.31/68.11 del 16 gennaio 2018 e della nota 19 febbraio 2018 prot. 4914 del Dirigente dell’Area Governo del Territorio del Comune di (omissis).
Con sentenza n. 166 del 2019, il TAR per la Toscana ha respinto i ricorsi riuniti n. 541/2018 e n. 495/2018.
Avverso tale sentenza sia il Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione, che Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione, hanno proposto appello (rubricati, rispettivamente, R.G. n. 4578/2019 e R.G. n. 4586/2019), dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo i seguenti motivi di ricorso: 1) violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti; 2) violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D.Lgs. n. 152/2006, violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti; 3) violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 240, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D.Lgs. n. 152/2006, in relazione agli articoli 27, 31, 42 del R.D. 15 marzo 1942 (legge fallimentare), violazione e falsa applicazione degli articoli 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000; eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti; 4) violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 240, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D. Lgs. n. 152/2006, in relazione agli articoli 27, 31, 42 del R.D. 15 marzo 1942 (legge fallimentare), violazione e falsa applicazione degli articoli 50 e 54 del D. Lgs. 18 n. 267/2000; eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti, omesso esame di circostanze decisive; 5) Violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 240, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D. Lgs. n. 152/2006, violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti; 6) violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 240, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D. Lgs. n. 152/2006, violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti; 7) violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 240, 242, 250, 252, 252 bis, 253 del D. Lgs. n. 152/2006, violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, della contraddittorietà, del travisamento dei fatti.
Il Comune di (omissis), costituitosi in entrambi i giudizi, ha chiesto di dichiarare gli appelli irricevibili, improponibili, inammissibili o, comunque, infondati nel merito.
L’Agenzia Regionale per la protezione ambientale della Toscana – Area Vasta Centro – Dipartimento di Firenze, ed il Ministero dell’Interno – Comando Provinciale Vigili del Fuoco Firenze, invece, non risultano costituiti nei giudizi d’appello.
Con ordinanze n. 3216 e n. 3217, entrambe del 20 giugno 2019, questa Sezione ha respinto le istanze cautelari proposte dalle parti appellanti nei due giudizi, ritenendo gli estremi di danno allegati recessivi a fronte degli interessi di rilievo pubblico generale sottesi agli atti impugnati.
Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio, riunisce i due ricorsi, ai sensi dell’art. 96, co. 1, c.p.a., essendo stati proposti avverso la medesima sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II, n. 166/2019.
2. Ciò premesso, va rilevato che con il ricorso n. 4578/2019 Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione ha rappresentato che la Società medesima è stata costituita il 25 marzo 2004 e che aveva ad oggetto l’attività di produzione e commercio, anche all’ingrosso, di materiali per pavimenti e rivestimenti.
Fin dalla costituzione, la Società è stata controllata da Co. Ma. S.p.A., alla cui attività di direzione e coordinamento ex art. 2497sexies c.c. è stata costantemente soggetta.
Con atto del 20 dicembre 2006, la società Br. In. ha acquistato da Br. S.r.l. il ramo d’azienda per la produzione di materiali ceramici, nel Comune di (omissis), località (omissis), che comprendeva attrezzature, arredi e ogni altro bene funzionalmente organizzato per l’esercizio dell’impresa, ad esclusione dei beni immobili.
Nel 2007, il Consiglio di Amministrazione di Br. In. S.r.l. ha redatto un piano industriale che prevedeva, nel triennio a seguire, di trasferire la produzione in un nuovo stabilimento e di consentire la riqualificazione urbanistica dell’area dello stabilimento di (omissis).
Appena acquistato il nuovo stabilimento in località (omissis), a (omissis), e iniziata la ristrutturazione per trasferirvi la produzione entro la fine del 2009, la società controllante Co. Ma. S.p.A. è caduta in una grave crisi di liquidità e ha avviato l’elaborazione di un piano di ristrutturazione del debito.
Conseguentemente, l’attuazione del suddetto piano industriale è stata sospesa in attesa della definizione del piano di ristrutturazione dell’intero gruppo Ma..
Vista l’impossibilità di dare corso agli investimenti programmati, il perdurare del blocco della produzione, ed il bilancio chiuso al 31.12.2009 (che rilevava una perdita tale da causare l’azzeramento totale del capitale), il socio unico ha deliberato lo scioglimento della Società, ai sensi dell’art. 2484, n. 4, c.c. e l’ha messa in liquidazione.
Br. In. S.r.l. ha così cessato la propria attività produttiva e nell’ottobre 2011, con sentenza n. 189 del Tribunale di Firenze, ne è stato dichiarato il fallimento.
A seguito dell’accertamento da parte dell’ARPAT di Firenze dell’abbandono e del deposito incontrollato di rifiuti speciali, pericolosi e non, nell’area ex Br. di proprietà della Società immobiliare Co. Ma. in liquidazione, nonché il mancato aggiornamento dei registri di carico e scarico dei rifiuti, il Comune di (omissis), con l’ordinanza n. 355/2012 dell’Area Governo del Territorio, ha ordinato a Ma. Ma., in quanto socio unico di Co. Ma. S.r.l. in liquidazione (già Co. Ma. S.p.A.) – che aveva rilevato Ceramiche Br. S.r.l. -, a Paolo Chiaratti, nella sua qualità di liquidatore di Co. Ma. S.r.l., ad Adria Franceschini, in qualità di curatore del Fallimento Br. In. S.r.l. e ad Andrea Berti, prima amministratore delegato, poi amministratore unico e infine liquidatore di Br. In. S.r.l., di: – “intervenire immediatamente sui rifiuti depositati negli spazi all’aperto e all’interno degli edifici che non presentano problematiche strutturali, provvedendo all’immediato censimento e alla successiva classificazione, rimozione e smaltimento dei rifiuti stessi, fornendo agli Enti coinvolti, entro 30 giorni dalla notifica del presente atto, la relazione finale descrittiva degli interventi comprensiva della documentazione relativa ai rifiuti allontanati”; – di presentare, nell’eventuale impossibilità di interventi immediati, “al Comune entro 15 giorni dalla notifica della presente ordinanza un progetto di messa in sicurezza strutturale ed un piano per la gestione e messa in sicurezza dei rifiuti speciali pericolosi e non, con indicazione dell’esatto cronoprogramma dei lavori”; – di provvedere altresì “alla conclusione della messa in sicurezza degli edifici e dei rifiuti, all’immediato censimento e alla successiva classificazione, rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti ancora presenti, fornendo entro 10 giorni dal completamento dei lavori previsti dal cronoprogramma la relazione finale descrittiva degli interventi realizzati, comprensiva della documentazione relativa ai rifiuti allontanati” e della verifica delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC), ai sensi dell’art. 192 del Codice dell’Ambiente.
Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione ha, poi, affermato di aver venduto, nel corso del 2012, la totalità dei materiali di sua proprietà che si trovavano all’interno dello stabilimento; di aver smaltito parte dei rifiuti indicati nelle comunicazioni trasmesse ad ARPAT; di aver collaborato con la Curatela del Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione, proprietaria dell’area in località (omissis), allo smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi oggetto di possibile diffusione nell’ambiente, con potenziali rischi per la collettività .
2.1. Con il ricorso n. 4586/2019 Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione ha rappresentato che la Società medesima è stata costituita il 4 febbraio 1999 con la denominazione di In. In. S.r.l. e che aveva ad oggetto l’attività di produzione e commercio, anche all’ingrosso, di materiali per pavimenti e rivestimenti in ceramica ed in cotto pregiati; inoltre, la Società poteva acquistare, vendere, costruire, ristrutturare fabbricati e compiere attività correlate all’edilizia.
Il 5 luglio del medesimo anno la denominazione sociale è stata modificata in Br. S.r.l. e la sede legale è stata trasferita a (omissis), Frazione (omissis), presso lo stabilimento oggetto di causa.
Fin dal 2003 la Società è stata controllata, ai sensi dell’art. 2359 c.c., da Co. Ma. S.p.A., alla cui attività di direzione e coordinamento è stata costantemente soggetta.
Il 20 dicembre 2006, la Società ha ceduto a Br. In. S.r.l. il ramo d’azienda esercente l’attività produttiva e commerciale, mantenendo esclusivamente la proprietà del complesso immobiliare di (omissis), che avrebbe dovuto formare oggetto di un programma di riqualificazione urbanistica a seguito del trasferimento in altra sede dell’attività produttiva.
Come già detto, a seguito della crisi finanziaria che ha interessato l’intero gruppo, Co. Ma. S.p.A. ha promosso un piano di ristrutturazione del debito, bloccando di fatto ogni nuovo investimento, compresa la riconversione urbanistica dell’immobile industriale di proprietà Br..
Anche Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione ha dedotto che, a seguito dell’accertamento da parte dell’ARPAT di Firenze dell’abbandono e del deposito incontrollato di rifiuti speciali, pericolosi e non, nell’area ex Br. di proprietà della Società immobiliare Co. Ma. in liquidazione, il Comune di (omissis) ha adottato la citata ordinanza dirigenziale n. 355/2012.
2.2. Entrambe le parti appellanti hanno, poi, rappresentato che il 9 gennaio 2018 uno dei capannoni dello stabilimento, posto lungo la linea ferroviaria Firenze-(omissis), è stato interessato da un incendio causato da terzi rimasti ignoti e il Comune di (omissis), con ordinanza n. 82 del 12 febbraio 2018, emessa nei confronti della sola Curatela del Fallimento Br. S.r.l. (nella persona di Si. De La.), ha ordinato di porre in essere misure atte a impedire l’accesso agli estranei, in quanto gli immobili erano risultati soggetti ad occupazioni abusive, e di rimuovere, entro 30 giorni, le bombole di gas propano liquido presenti nell’area dell’ex fabbrica.
Successivamente, con ordinanza n. 96 del 23 febbraio 2018, l’Amministrazione comunale ha ordinato a Si. De La. e ad Adria Franceschini, quali curatori fallimentari, rispettivamente, dell’impresa Br. in liquidazione e Br. In. in liquidazione, di predisporre e presentare alla Azienda USL, avvalendosi di un’impresa specializzata, il Piano di Lavoro preordinato alla rimozione di tutto l’amianto presente nell’area ex Br.; – di bonificare, entro 90 giorni dall’approvazione del Piano di Lavoro, tutti i materiali (coperture, coibentante e rifiuti) contenenti amianto siti nell’area industriale dismessa; di effettuare entro 30 giorni la messa sicurezza dei rifiuti abbandonati presentando agli enti interessati un cronoprogramma delle operazioni per il successivo allontanamento degli stessi; – di provvedere, entro 90 giorni, a rimuovere e a smaltire i rifiuti tramite una ditta specializzata, fornendo agli enti agli enti interessati la relazione finale descrittiva degli interventi comprensiva dei formulari dei rifiuti allontanati.
2.3. Tali provvedimenti sono stati impugnati da Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione e da Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione rispettivamente con ricorsi n. 541/2018 e n. 495/2018, poi riuniti e respinti con la sentenza n. 166/2018 in questa sede impugnata.
3. Tutto ciò premesso, il Collegio rileva che, in via preliminare, l’Amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità di entrambi i ricorsi nella parte in cui si chiede l’annullamento dell’ordinanza sindacale n. 82/2018, che ha imposto gli interventi di messa in sicurezza dell’area, dal momento che le stesse Curatele avrebbero dichiarato di aver provveduto alla sua esecuzione, manifestando acquiescenza al provvedimento impugnato.
3.1. Sempre in via preliminare, per quanto attiene al ricorso in appello R.G. n. 4578/2019, proposto dal Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione, la difesa comunale ne ha eccepito l’inammissibilità relativamente all’impugnazione dell’ordinanza sindacale n. 82/2018, atteso che tale ordinanza non è stata adottata nei confronti di Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione.
3.2. Il Collegio ritiene di poter procedere all’esame della presente controversia, prescindendo dall’eccezione di inammissibilità (inerente all’impugnativa dell’ordinanza n. 82/2018) dei ricorsi riuniti formulata dall’Amministrazione comunale, in quanto le parti appellanti non hanno mosso alcuna censura autonoma nei confronti dell’ordinanza n. 82/2018.
In ogni caso, poiché l’ordinanza n. 82/2018 è stata presa in considerazione anche nell’ambito dell’appello n. 4586/2019 promosso dal Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione (destinataria della stessa) e, quindi, stante la riunione dei ricorsi, di tale provvedimento occorre tenere, comunque, conto ai fini della decisione.
4. Passando all’esame del merito dei ricorsi, il Collegio rileva che il primo, il secondo, il terzo ed il settimo dei motivi formulati negli appelli possono essere esaminati congiuntamente, poiché strettamente connessi tra loro.
4.1. Con il primo motivo di appello, la sentenza impugnata è stata contestata nella parte in cui il TAR per la Toscana ha statuito che alle “Curatele non è stato surrettiziamente imposto l’obbligo di effettuare la bonifica dei terreni interessati da fenomeni di inquinamento, bensì quello di adottare misure atte a prevenire eventi dannosi per la salute e l’incolumità pubblica”, nonché di “mettere in sicurezza l’area per evitare il prodursi di danni alla salute pubblica conseguenti alla presenza di amianto nei rifiuti abbandonati nel sito e nelle coperture degli immobili, e a evitare l’accesso abusivo nell’area sia per motivi di sicurezza, che per impedire il verificarsi di atti di vandalismo i quali potrebbero ulteriormente aggravare i rischi ambientali”.
Secondo le parti appellanti, il TAR per la Toscana non avrebbe considerato che i ricorsi di primo grado riguardavano principalmente l’ordinanza sindacale n. 96/2018, che avrebbe illegittimamente imposto alle Curatele l’obbligo di bonifica dall’amianto dell’area interessata; invece, il giudice di primo grado avrebbe attribuito rilevanza esclusivamente agli interventi prescritti con ordinanza n. 82/2018, asseritamente preordinati alla rimozione delle conseguenze causate dall’incendio verificatosi il 9 gennaio 2018 nell’area de qua.
Infatti, secondo quanto deducono le appellanti, il Piano di Lavoro (prescritto con l’ordinanza n. 96/2018) non avrebbe dovuto essere limitato alla rimozione del materiale residuato dall’incendio o di materiali infiammabili abbandonati sul posto, ma avrebbe dovuto comprendere anche le “coperture degli immobili in fibrocemento contenente amianto”, nonché tutti gli “altri rifiuti contenenti amianto provenienti dallo smontaggio dei macchinari (materiale coibente raccolto in scatole oltre a quello presente come residuo negli inerti accumulati durante le operazioni di smontaggio)”.
La citata ordinanza n. 96/2018 avrebbe poi imposto alle Curatele di “bonificare tramite rimozione, entro 90 giorni dall’approvazione del Piano di Lavoro da parte della ASL, tutti i materiali (coperture, coibentante e rifiuti) contenenti amianto presenti nell’area industriale dismessa” e di “far rimuovere e smaltire tutti i rifiuti abbandonati ancora presenti nell’area”, avvalendosi di un’impresa specializzata.
Pertanto, l’Amministrazione comunale avrebbe imposto “l’obbligo di effettuare la bonifica dei terreni interessati da fenomeni di inquinamento” e, al contrario di quanto affermato dal primo giudice, non si sarebbe limitato ad “adottare misure atte a prevenire eventi dannosi per la salute e l’incolumità pubblica”.
4.2. Con il secondo motivo di appello, si contesta la decisione impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado ha affermato che il potere di ordinanza esercitato dal Sindaco di (omissis) trova fondamento nell’articolo 54, comma 4, del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Invero, ad avviso delle parti appellanti, nel caso di specie, la rimozione dei rifiuti e dell’inquinamento rientrerebbero tra gli atti di pura gestione e non tra i provvedimenti extra ordinem del Sindaco ex art. 54 del D.lgs. n. 267/2000.
Peraltro, si censura la violazione della disciplina di settore (e segnatamente, degli articoli 242, 244, 245, 250, 253 del D.lgs. n. 152/2006), la quale non consentirebbe di imporre alle Curatele le attività indicate nei provvedimenti impugnati.
4.3. Con il terzo motivo di appello, si afferma l’erroneità della sentenza impugnata laddove il TAR per la Toscana non avrebbe approfondito il profilo (segnalato con ordinanza n. 3495/2018, dalla Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato) in ordine alla possibilità da parte dell’Amministrazione comunale di ricorrere allo strumento dell’ordinanza tipica prevista dal codice dell’ambiente, anziché a quello dell’ordinanza contingibile e urgente.
Difatti, con ordinanze n. 3493/2018 e n. 3495/2018, la Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato, in riforma, rispettivamente, dell’impugnate ordinanze cautelari del TAR per la Toscana n. 241/2018 (resa nel procedimento n. 495/2018) e n. 242/2018 (resa nel procedimento n. 541/2018), ha disposto la trattazione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 55 del c.p.a., per verificare, fra l’altro, “la possibilità dell’utilizzo dell’ordinanza contingibile e urgente in luogo di quella tipica prevista dal codice dell’ambiente alla stregua delle modalità e della tempistica dell’adozione del provvedimento rispetto al fatto, in sé, dell’inquinamento ambientale o del pericolo di verificazione dello stesso”.
Secondo quanto prospettato dalle parti appellanti, l’inquinamento dell’area dell’ex fabbrica deriverebbe proprio dalla pregressa attività industriale svolta dalle aziende dichiarate fallite e lo stato di contaminazione ambientale dell’area sarebbe già stato accertato con ordinanza n. 355/2012.
4.4. Con il settimo motivo di appello si denuncia il presunto contrasto tra le contestate ordinanze contingibili e urgenti e la disciplina del codice dell’ambiente: infatti, con l’ordinanza sindacale n. 96/2018 sarebbero stati imposti alle appellanti una serie di interventi che rientrerebbero, ai sensi degli articoli 244 e 250 del D.lgs n. 152/2006, nelle competenze dell’Amministrazione comunale.
In sostanza, secondo quanto prospettato dalle parti appellanti, il Comune di (omissis) avrebbe, quindi, fatto ricorso al potere di ordinanza contingibile e urgente per sottrarsi all’onere di finanziare l’intervento di bonifica.
4.5. Il Collegio rileva che la controversia ha ad oggetto l’ordinanza ex art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, con la quale il Sindaco del Comune di (omissis), sulla base degli accertamenti tecnici e dei sopralluoghi compiuti dall’ARPA Toscana e dal Comando Polizia Municipale Arno-Sieve, ha imposto alle Curatele appellanti una serie di interventi per la messa in sicurezza dell’area ex Br..
Le parti ricorrenti essenzialmente contestano la sussistenza dei presupposti di urgenza e di pericolo per la pubblica incolumità individuati dall’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000 e deducono l’incompetenza del Sindaco del Comune di (omissis) ad adottare il provvedimento, dovendo questo inquadrarsi tra gli atti di pura gestione, con conseguente applicazione della normativa del Codice dell’Ambiente.
4.6. Al riguardo, va osservato che con l’ordinanza n. 82/2018, l’Amministrazione comunale ha ordinato alla Br. S.r.l. in liquidazione di provvedere: – all’immediata attuazione di misure atte ad impedire l’accesso all’area, mediante il ripristino della funzionalità della ricezione perimetrale; – alla realizzazione di interventi ritenuti idonei allo scopo al fine di impedire per quanto possibile ad estranei l’accesso e l’utilizzo degli immobili risultati soggetti ad occupazione abusiva; – alla rimozione delle bombole di gas propano liquido presenti nell’area dell’ex fabbrica, con contestuale presentazione al Comando di Polizia Municipale Arno-Sieve della documentazione attestante l’avvenuto regolare smaltimento.
Con la successiva ordinanza n. 96 del 23 febbraio 2018, il Comune di (omissis) ha ordinato sia al Curatore fallimentare di Br. S.r.l., che al Curatore fallimentare di Br. In. S.r.l. in liquidazione, di provvedere: – alla presentazione presso l’USL (avvalendosi di un’impresa abilitata a smaltire materiale contenente amianto) il Piano di Lavoro preordinato alla rimozione di tutto l’amianto presente nell’area ex Br. (con particolare riferimento alle coperture degli immobili in fibrocemento contenente amianto; ai frammenti delle coperture contenenti amianto caduti a terra e sparsi sia all’interno dei locali che sui vialetti esterni; agli altri rifiuti contenenti amianto provenienti dallo smontaggio di macchinari); – a bonificare tramite rimozione, entro 90 giorni dall’approvazione del Piano di Lavoro, tutti i materiali (coperture, coibentante e rifiuti) contenenti amianto presenti nell’area industriale in oggetto; – ad eseguire la messa in sicurezza di tutti i rifiuti abbandonati ancora presenti nell’area; – a rimuovere e smaltire i rifiuti di cui al punto precedente mediante una ditta specializzata.
La sussistenza in concreto del presupposto del danno grave ed imminente per la salute pubblica risulta esplicitata nell’ordinanza n. 96/2018, con la quale si fa riferimento alle criticità riscontrate con nota prot. n. 3236/2018 del Responsabile del Dipartimento ARPAT di Firenze (acquisita al protocollo comunale con n. 1309 del 16.01.2018) e cioè : a) la presenza di coperture del tetto del capannone facente parte dello stabilimento industriale in fibrocemento contenente amianto; b) frammenti di coperture dispersi sia all’interno del capannone che nelle aree esterne circostanti, e necessità di verificare la presenza di amianto negli altri rifiuti rinvenuti nell’area; c) immediata messa in sicurezza e successivo allontanamento di tutti i rifiuti abbandonati tutt’ora presenti nell’area; d) adozione di misure atte ad impedire l’accesso abusivo all’area, sia per motivi di sicurezza che per evitare atti di vandalismo che potrebbero ulteriormente aggravare i rischi ambientali.
In relazione a tali criticità – risultanti anche dalla nota del Corpo Polizia Municipale Arno-Sieve del 25 gennaio 2017 (rectius 2018) prot. n. 2332/2018 -, l’ARPAT di Firenze, con la sopra citata nota, ha rappresentato la necessità e l’urgenza di emanare provvedimenti volti a mettere in sicurezza l’area dell’ex fabbrica.
Peraltro, dalla nota dell’ARPAT Fl.01.17.31/68.11 (con allegata documentazione fotografica) emerge, quanto segue: “Vista la datazione dell’edificio ed il contenuto di varie comunicazioni intercorse fra la proprietà ed il Comune è pressoché certa la presenza di amianto nelle coperture mentre non si può escludere che lo stesso materiale sia tuttora presente come materiale coibente sia dei forni ancora presenti che nelle macerie presenti all’interno di alcuni edifici e presumibilmente derivanti dalla rimozione, fatta in maniera approssimativa, dei macchinari. Materiale in fiocco è stato inoltre rinvenuto in alcune scatole poste all’interno di uno dei capannoni”.
Secondo il Collegio, quindi, nella fattispecie sussistevano tutti i presupposti utili per adottare, ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, l’ordinanza contingibile ed urgente in luogo dell’ordinanza prevista dal codice dell’ambiente.
Infatti, il rischio di dispersione delle fibre di amianto nell’ambiente, eziologicamente riconducibile all’accertato stato di degrado dell’ex fabbrica, e la concreta possibilità di aggravarsi della situazione anche a causa dell’azione di agenti atmosferici inducono a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
4.7. In considerazione di quanto sopra, il Collegio ritiene di condividere le statuizioni del TAR per la Toscana (censurate dalle parti appellanti con il primo, secondo, terzo e settimo dei motivi di appello), atteso che l’Amministrazione comunale ha ordinato alle Curatele di adottare misure atte a prevenire eventi dannosi per la salute e l’incolumità pubblica.
Infatti, lo stato di contaminazione dei terreni in oggetto non può ritenersi identico a quello accertato con ordinanza n. 355/2012, considerato che in tale ordinanza non si è dato atto della presenza di amianto. A differenza di quanto affermato dalle appellanti, l’attuale stato di inquinamento è radicalmente diverso rispetto a quello contestato con ordinanza n. 355/2012.
Peraltro, dalla nota dell’ARPAT – Area Vasta Centro – Dipartimento di Firenze Fl.01.17.31/68.11, si evince che l’ordinanza n. 355/2012 è stata ottemperata solo in parte, considerato che non risultano essere stati presentati: – il piano di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti speciali e non pericolosi, con l’indicazione del cronoprogramma dei lavori, redatto conformemente al Piano di Sicurezza e Coordinamento; – il censimento e la classificazione dei rifiuti; – non sono stati rimossi e smaltiti tutti i rifiuti presenti all’interno ed all’esterno dei fabbricati dello stabilimento industriale, come emerso dai sopralluoghi espletati il 9 gennaio 2018 ed il 28 febbraio 2018.
Pertanto, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, il potere di ordinanza esercitato dal Sindaco di (omissis) trova fondamento nell’articolo 54, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale l’organo comunale deve adottare provvedimenti anche in via contingibile e urgente laddove si verifichino gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica o la sicurezza urbana, presupposti che ricorrono nel caso di specie.
Relativamente alla circostanza che il Comune di (omissis) ha indicato come base normativa del provvedimento l’art. 50 del D.lgs. n. 267/2000, si osserva che tale riferimento, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, non è vincolante in sede giudiziaria, essendo invece determinante il contenuto ed i presupposti sostanziali sui quali esso si fonda.
5. Con il quarto motivo di appello, le appellanti hanno contestato la sentenza impugnata in quanto il TAR per la Toscana non avrebbe esaminato un altro profilo segnalato dalla Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato con ordinanze n. 3495/2018 e n. 3493/2018, cioè, la necessità di verificare “l’imputabilità alla Curatela fallimentare, ai fini della responsabilità, del compimento dell’attività intimata, pur in mancanza della prosecuzione dell’impresa”.
In particolare, si afferma che i rifiuti presenti nell’area de qua sarebbero da ricondursi all’esercizio dell’attività produttiva svolta antecedentemente alla nomina dei Curatori fallimentari (come attesterebbe anche la relazione dell’ARPAT).
Pertanto, le Curatele fallimentari non potrebbero essere destinatarie, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento (omissivo o commissivo) delle imprese fallite, né potrebbe essere ascritta una tale responsabilità ai Curatori ai sensi del comma 3 dell’art. 192 D.lgs. n. 152/2006.
5.1. Sul punto, il Collegio ritiene condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado con la sentenza impugnata, e cioè che l’attuazione di misure volte a mettere in sicurezza il sito è stata imposta alle Curatele fallimentari, “poiché se la curatela non è chiamata a succedere in obblighi o responsabilità del fallito, è tuttavia tenuta all’adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati alla sua situazione di attuale possessore o detentore del bene (T.A.R. Friuli Venezia Giulia I, 24 settembre 2018 n. 305)”.
Infatti, nel caso di presenza di amianto l’attività che si richiede al detentore attuale del bene è di mera sorveglianza ed è, quindi, attività che si può esigere anche da colui che risulti possessore nel momento in cui vengono rilevate le problematiche di cui alla legge n. 257/1992 e relativo regolamento attuativo.
Infatti, la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali (come nel caso in esame, dove è stata presumibilmente l’azione del vento a strappare via una parte delle coperture del tetto contenenti amianto) rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. sentenza del TAR per il Piemonte, 6.03.2014, n. 480).
6. Con il quinto motivo di appello, si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui il TAR per la Toscana ha affermato che, con ordinanza contingibile e urgente, si possono imporre misure di contenimento delle minacce imminenti per la salute e l’ambiente al proprietario o al possessore delle aree interessate, anche se non responsabili dell’inquinamento.
Al riguardo, le parti appellanti deducono che dalla relazione dell’ARPAT del 15 gennaio 2018 risulterebbe la presenza di materiale altamente infiammabile e potenzialmente inquinante: una situazione tale da consentire l’esercizio del potere di ordinanza disciplinato dall’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000.
Ribadito che il fondamento normativo della contestata ordinanza n. 96/2018 non può essere rinvenuto nell’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, le appellanti affermano che con tale ordinanza l’Amministrazione comunale non avrebbe disposto la rimozione di materiali infiammabili, non avrebbe fatto riferimento all’esigenza di evitare accessi abusivi nell’area, né a quella di evitare ulteriori fenomeni di combustione, ma avrebbe sostanzialmente imposto l’obbligo di bonifica dell’area dall’amianto e dai rifiuti presenti nell’area anteriormente al 2014.
La documentazione fotografica e le riprese video depositate in giudizio dimostrerebbero che non vi sarebbe stata alcuna sostanziale modifica dello stato dei luoghi dalla quale possano derivare nuove situazioni di pericolo per la pubblica incolumità, rispetto alla situazione descritta nell’ordinanza del 2012 e al quadro che emerge dal verbale del 12 marzo 2014: i residui di lavorazione (mattoni rotti e materiale da costruzione) sono gli stessi accumulatisi nel lungo periodo di attività dello stabilimento (attivo da oltre 25 un secolo e cospicuo esempio di archeologia industriale); i forni e le apparecchiature smontati sono all’interno di capannoni chiusi e dalle coperture non compromesse (ed erano già stati smontati, ceduti e consegnati agli acquirenti nel 2013); le lastre di amianto bruciate e gli altri residui dall’incendio sono stati rimossi in esecuzione dell’ordinanza n. 82/2018, prima della relazione Arpat del 2018, secondo un procedimento avviato prima ancora dell’ordinanza n. 96 (si sono prodotti anche i formulari di identificazione materiale ferroso e da costruzione contenente amianto: le balle, in involucri di sicurezza, ancora presenti al 7 giugno 2018 data del filmato, contengono detriti non pericolosi e sono stati poi asportati).
Le appellanti affermano, altresì, che l’incendio, avvenuto nel gennaio 2018, è stato pacificamente imputato a terzi sconosciuti, abusivamente insediatesi nell’area in questione.
6.1. Il Collegio ritiene infondato anche tale motivo di ricorso, atteso che l’ordinanza n. 96/2018 ha ad oggetto la messa in sicurezza dell’area dell’ex fabbrica anche con riguardo ai rifiuti ivi presenti, ossia (come indicato nella relazione dell’ARPAT del 15 gennaio 2018) ai rifiuti costituiti da bancali in legno, cataloghi in carta e imballaggi in carta e policarbonato, tutti materiali altamente infiammabili, la cui presenza potrebbe determinare il ripetersi dell’incendio verificatosi il 9 gennaio 2018.
7. Per le ragioni già illustrate al precedente punto 5.1., analoga sorte va riservata al sesto motivo di appello, con il quale si afferma l’erroneità della sentenza impugnata laddove il giudice di primo grado ha ritenuto che le misure di contenimento delle minacce imminenti per la salute e l’ambiente possono essere imposte al proprietario o al possessore delle aree interessate, anche se non responsabili dell’inquinamento, con la conseguenza che le Curatele fallimentari sono tenute all’adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza delle aree per la loro condizione di possessori o detentrici del bene.
8. Va, infine, rilevato che con memoria del 27 gennaio 2020, l’Amministrazione comunale ha rappresentato che Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione ha depositato in giudizio un riepi dell’andamento del c/c al 31 luglio 2018, un rendiconto finanziario del Fallimento al 20 dicembre 2018, il decreto penale di condanna del Giudice per le Indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze dell’8 marzo 2019, nonché l’opposizione proposta avverso il suddetto decreto penale. Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione, invece, ha depositato in giudizio soltanto il decreto penale di condanna ed il relativo atto di opposizione.
8.1. Secondo la difesa comunale, tale documentazione sarebbe irrilevante, atteso che il decreto penale di condanna è la conseguenza diretta della mancata ottemperanza alle ordinanze impugnate. Per quanto concerne, nello specifico, la documentazione relativa allo stato economico della procedura (al 2018) di Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione, essendo antecedente rispetto all’instaurazione del giudizio di primo grado, nonché dell’appello, sarebbe da un lato tardiva; dall’altro, sarebbe comunque irrilevante ai fini della definizione della presente controversia, considerato che la legittimità delle ordinanze contingibili ed urgenti in questione, non può essere valutata ex post sulla scorta di una pretesa scarsità di fondi (peraltro documentata per una soltanto delle due delle aziende fallite).
8.2. Con memorie (27 gennaio 2020) e note di replica (4 febbraio 2020), le appellanti hanno dedotto che le date dei documenti depositati dimostrerebbero che essi sono stati creati dopo l’udienza di discussione del ricorso di primo grado (10 gennaio 2019); l’esecuzione dell’ordinanza n. 96/2018 non è compatibile con le poche risorse finanziarie delle quali le Curatele dispongono e comporterebbe la distrazione dei proventi della liquidazione, che le risorse dei Fallimenti risultano modeste e che comunque l’utilizzazione di parte delle risorse fallimentari altererebbe la par condicio dei creditori; il rendiconto finanziario della Curatela al 31 dicembre 2018 è datato 1° febbraio 2019 ed è stato trasmesso al Giudice Delegato successivamente; l’estratto conto scalare, da cui risultano le scarse risorse finanziarie di Fallimento Br., necessariamente successivo al 31 dicembre e trasmesso a fine gennaio, è coevo al rendiconto finanziario; il decreto penale di condanna è dell’8 marzo 2019 e l’atto di opposizione è datato 10 giugno 2019; il Tribunale di Firenze, in sede penale (I Sezione penale, in composizione monocratica del 2 marzo 2015 n. 999) ha escluso che la contaminazione ambientale alla quale l’Amministrazione reagisce con le ordinanze impugnate potesse essere imputata alla curatela del fallimento di Br. In. S.r.l..
Si tratterebbe, dunque, di documenti successivi alla sentenza di primo grado (l’opposizione sarebbe successiva anche all’appello), i quali sarebbero necessari per la decisone della controversia; inoltre, la documentazione prodotta non sarebbe strumentale a provare ex post la scarsità di ricorse economiche del Fallimento, in quanto l’incapacità finanziaria è l’oggetto dell’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza che porta alla dichiarazione di fallimento. Alla luce di ciò, non sarebbe necessario per la Curatela di Fallimento Br. In. S.r.l. in liquidazione dimostrare un’incapacità finanziaria che è connaturata alla sua condizione. Tutto ciò a conferma del fatto che l’Amministrazione comunale avrebbe omesso ogni verifica in ordine all’effettiva utilità dell’ordinanza emessa.
8.3. Nelle proprie note di replica del 6 febbraio 2020, l’Amministrazione, a dimostrazione della sostenibilità economica dell’intervento di messa in sicurezza da parte delle aziende fallite, ha controdedotto che Fallimento Br. S.r.l. in liquidazione disporrebbe di liquidità e comunque avrebbe a disposizione il ricavato della vendita del compendio (che sembrerebbe avere, al prezzo attuale d’asta, soggetti economici interessati). Fallimento Br. In. S.r.l. avrebbe invece già a disposizione il ricavato della vendita dei beni inventariati (doc. 9) per oltre euro 400.000,00.
8.4. Il Collegio, pur a voler prescindere da quanto evidenziato dall’Amministrazione (cfr. il precedente punto sub 8.3), rileva che tali profili non incidono sulla decisione da assumere in questa sede, posto che trattasi di questioni che non attengono alla legittimità o meno degli atti oggetto di causa ma, al più, all’esecuzione dei provvedimenti impugnati.
Peraltro, trattasi di profili che non hanno costituito oggetto dei ricorsi proposti in primo grado.
Non assume particolare rilievo il fatto che il Tribunale di Firenze, in sede penale (I Sezione penale, in composizione monocratica del 2 marzo 2015 n. 999) abbia escluso che la contaminazione ambientale del sito possa essere imputata alle appellanti, posto che i provvedimenti contestati costituiscono ordinanze contingibili e urgenti e non provvedimenti sanzionatori, adottati ai sensi dell’art. 54, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000, dal Sindaco “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.
9. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene che gli appelli riuniti siano infondati e debbano essere respinti.
10. Sussistono gravi ed eccezionali motivi – per la particolare natura della controversia, della vicenda e delle questioni trattate – per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
• respinge gli appelli riuniti;
• dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;
• ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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