Corte di Cassazione, penale, Sentenza|26 ottobre 2020| n. 29570.
Nelle materie di competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.), quale è il governo del territorio, la legislazione regionale deve mantenersi nei limiti dei principi fondamentali fissati dalla legislazione statale, fra i quali certamente rientrano i limiti di inedificabilità fissati dall’art. 9 del testo unico sull’edilizia. Come emerge dalla sua semplice lettura, la ratio di tale disposizione è quella di limitare in modo netto le attività edilizie in comuni non dotati di strumenti urbanistici, allo scopo di evitare esercizi arbitrari del potere discrezionale delle amministrazioni comunali in sede di rilascio dei permessi di costruire e a fronte dei valori costituzionali del corretto assetto del territorio, del paesaggio, dell’ambiente. Nel caso di specie, il comma 4 dell’art. 44 legge Regione Campania n. 16 del 2004, nel testo applicabile ratione temporis, ha un tenore sufficientemente chiaro, nel senso che contiene una deroga alle limitazioni previste dalla legge regionale n. 17 del 1982 e non anche a quelle dell’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001. Infatti, per la parte che qui rileva, nei comuni privi di strumento urbanistico generale, le limitazioni previste dalla legge regionale n. 17/1982 non si applicano nei confronti degli interventi volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche o di opere di urbanizzazione primaria e secondaria; trovano invece applicazione, perché non oggetto di esclusione, i limiti generali di edificabilità fissati dall’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma del quale, salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme a tutela del paesaggio e dei beni culturali, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti interventi di manutenzione ordinaria, interventi di manutenzione straordinaria, interventi di restauro e di risanamento conservativo che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse e, fuori dal perimetro dei centri abitati, interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà.
Sentenza|26 ottobre 2020| n. 29570
Data udienza 10 luglio 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Diritto urbanistico – Edilizia – Violazione delle norme in materia urbanistico – edilizia e paesaggistica – Competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni – Sequestro preventivo delle opere edilizie in corso di esecuzione e delle relative aree di cantiere di proprietà – Valutazione ambientale strategica – Art. 44 L. R. Campania n. 16/2004 – Artt. 9, 44 d.P.R. n. 380/2001, 181 d.lgs. n. 42/2004, 734 cod. pen.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 25/10/2019 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDRONIO Alessandro Maria;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 16 settembre 2019, il Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in accoglimento della richiesta del pubblico ministero, ha disposto il sequestro preventivo delle opere edilizie in corso di esecuzione e delle relative aree di cantiere di proprieta’ di (OMISSIS) s.p.a.. Le ragioni poste a fondamento del sequestro erano individuate nella violazione delle norme in materia urbanistico – edilizia e paesaggistica (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, articolo 734 c.p.).
1.1. Avverso il decreto di sequestro preventivo hanno proposto istanza di riesame gli indagati indicati in epigrafe, sostenendo la legittimita’ delle opere sequestrate, alla luce della Legge Regionale Campania n. 16 del 2004, articolo 44, comma 4, a norma del quale non sarebbero applicabili a tali opere edilizie le limitazioni previste dalla legislazione sia regionale che statale. Non sarebbe applicabile, in particolare, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9, il quale fissa limiti generali di edificabilita’. Secondo la prospettazione difensiva, il permesso di costruire rilasciato dal responsabile dell’ufficio tecnico comunale il 20 febbraio 2017 in favore della s.p.a. (OMISSIS) avrebbe dovuto essere ritenuto legittimo, perche’ afferente alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria, come tali non soggette ai limiti prescritti dalla Legge Regionale Campania n. 17 del 1982, articolo 4, comma 2, ne’ a quelli del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9, comma 1, lettera b).
1.2. Con ordinanza del 25 ottobre 2019, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato la richiesta di riesame, non ammettendo che della Legge Regionale n. 16 del 2004, articolo 44, comma 4, possa derogare al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9.
2. Avverso l’ordinanza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorsi per cassazione, tramite i difensori e con unico atto, chiedendone l’annullamento.
2.1. Si lamenta, in primo luogo, la violazione dell’articolo 25 Cost., articolo 1 c.p. e articolo 7 Cedu, in relazione alla ritenuta ammissibilita’ del sindacato del giudice ordinario sull’illegittimita’ dell’atto amministrativo, rappresentato, nel caso di specie, dal permesso di costruire e dal parere favorevole espresso dalla Sovrintendenza competente. Si critica, in particolare, l’orientamento giurisprudenziale che ritiene la generale sindacabilita’ dell’atto amministrativo anche in malam partem e si richiama, invece, l’orientamento secondo cui il sindacato deve essere limitato ai casi di illiceita’ o macroscopica illegittimita’ dell’atto; orientamento ritenuto piu’ conforme ai principi costituzionali e convenzionali. In tale quadro, l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima per la mancata considerazione dell’imprevedibilita’ della rilevanza penale della condotta, nonche’ della mancanza dell’elemento soggettivo. La difesa richiama, sul punto, la giurisprudenza Cedu in relazione all’incertezza della normativa nazionale e alla rilevanza sostanzialmente scriminante delle rassicurazioni provenienti dalla pubblica amministrazione circa la legittimita’ di un’attivita’ poi ritenuta illegittima dal giudice. Si ricorda, altresi’, che non puo’ essere irrogata una sanzione di natura sostanzialmente penale in mancanza di un legame di natura intellettuale che permetta di rilevare un elemento di responsabilita’ nella condotta dell’autore materiale della violazione, dovendosi dare rilievo, in caso contrario, alla buona fede. Tali principi troverebbero applicazione nel caso di specie, in cui l’attivita’ edilizia era stata regolarmente assentita.
2.2. Con una seconda censura, si deduce la violazione dell’articolo 6 Cedu, in relazione alla pretesa ammissibilita’ del sindacato del giudice ordinario sulla legittimita’ dell’atto amministrativo, sotto il diverso profilo dell’incertezza del diritto giurisprudenziale. La difesa sottolinea, quanto al caso di specie, che la decisione del Tribunale di riesame di mantenere il sequestro era basata sulla ritenuta mera illegittimita’ non macroscopica degli atti amministrativi di assenso, in presenza dei due orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati: uno secondo cui vi e’ un sindacato pieno in malam partem del giudice ordinario sull’atto amministrativo; l’altro secondo cui tale sindacato va limitato a violazioni macroscopiche di legge. La perdurante sussistenza di tale contrasto di orientamenti interpretativi evidenzierebbe – ad avviso della difesa – l’inadeguatezza dei meccanismi di diritto interno per dirimere e prevenire conflitti e oscillazioni rilevanti a fini penali. Tale inadeguatezza inciderebbe sulla rimproverabilita’ del comportamento dell’agente, tenuto in un quadro normativo e giurisprudenziale non sufficientemente chiaro.
2.3. In terzo luogo la pretesa ammissibilita’ del sindacato del giudice ordinario sull’illegittimita’ dell’atto amministrativo e’ ritenuta in contrasto con l’articolo 1, prot. 1, Cedu, sul rilievo che la delineata incertezza non consentirebbe di esercitare, attraverso il sequestro penale, un’ingerenza sul diritto di proprieta’, in quanto tale ingerenza potrebbe essere giustificabile solo sulla base di un quadro normativo certo.
2.4. Si deduce, in quarto luogo, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c) e della Legge Regionale Campania n. 16 del 2004, articolo 44. La difesa lamenta, sul punto, che il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato la legislazione regionale, perche’ avrebbe richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 2017, ritenendo prevalenti i limiti fissati dalla legge statale rispetto ad eventuali difformita’ della legge regionale. Secondo tale pronuncia, in particolare, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9, il quale fissa limiti invalicabili alla edificazione nelle cosiddette “zone bianche”, rappresenta un principio fondamentale della legislazione statale che si impone alla legislazione regionale. E la difesa ricorda che nell’ordinanza impugnata e’ valorizzata, a tal fine, la deposizione del responsabile del settore urbanistica della Provincia di Caserta (Fracassi), secondo cui nei Comuni privi di strumento urbanistico si possono realizzare solo opere pubbliche. Lamenta altresi’ che il parere rilasciato dal professor (OMISSIS) sui rapporti fra normativa statale e regionale e’ stato, invece, ritenuto inattuale dal Tribunale, in quanto riferito al periodo anteriore alla vigenza del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
Ritiene la difesa che la sentenza n. 84 del 2017 non sia applicabile nel caso di specie, perche’ riferita alle “zone bianche” di Comuni nei quali e’ vigente un piano regolatore o, comunque, uno strumento urbanistico generale, che prevede limiti di edificabilita’ e vincoli di natura temporale. Si sostiene, in ogni caso, che tale pronuncia avrebbe semplicemente ribadito l’esistenza di una potesta’ normativa concorrente in materia di governo del territorio, senza specificare ulteriori limiti riguardanti i rapporti fra diversi livelli normativi. In tale quadro, si dovrebbe dare spazio alla competenza legislativa della Regione, con la conseguenza che la Legge Regionale n. 16 del 2004, articolo 44, articolo 44, dovrebbe essere ritenuto vigente e applicabile, in quanto non abrogato, ne’ dichiarato costituzionalmente illegittimo, in un Comune nel quale non vi e’ uno strumento urbanistico regionale. E la difesa ricorda che l’ordinamento non consente la disapplicazione della legge regionale, pure in contrasto con la legge statale, richiedendo in ogni caso il promovimento di questioni di legittimita’ costituzionale. Tale legge regionale si porrebbe in continuita’ con la previgente Legge Regionale n. 17 del 1982, ed avrebbe un contenuto derogatorio generale, sia nei confronti della restante legislazione regionale, sia nei confronti della legislazione statale e, in particolare, del testo unico sull’edilizia e del suo articolo 9, rispetto al quale – sottolineano i ricorrenti – la legge regionale e’ temporalmente successiva e non e’ stata oggetto di impugnazione in via principale da parte dello Stato. Si ricorda che l’articolo 44, comma 4, richiamato esclude esplicitamente limiti di inedificabilita’ in relazione ad alcune categorie di opere, fra cui le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e i piani di intervento previsti dalla L. 17 maggio 1981, n. 219, finanziati prevalentemente con risorse pubbliche o dell’Unione Europea. La difesa contesta il richiamo operato dal Tribunale alla delibera di Giunta regionale n. 635 del 21 aprile 2005, secondo cui il rinvio operato ai limiti di edificabilita’ previsti dalla Legge Regionale n. 17 del 1982, va coordinato con le disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9, nel senso che si applicano i principi previsti dalla legislazione regionale solo qualora siano piu’ restrittivi di quelli previsti dalla legislazione statale. La difesa contesta in radice la possibilita’ per la Giunta regionale di fornire interpretazioni autentiche della legislazione regionale, trattandosi di un organo dotato di competenze amministrative e non legislative. Inoltre, afferma che l’articolo 44 in questione si riferisce a tipologie di interventi che non sono neanche prese in considerazione dall’articolo 9 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ovvero a interventi di recupero complessivo del territorio che possono ben prescindere dalla previa adozione dello strumento urbanistico. Inoltre, il Tribunale non avrebbe considerato che la delibera interpretativa della Giunta regionale n. 635 del 2005 era stata abrogata con successiva delibera n. 214 del 24 maggio 2011. Dunque – prosegue la difesa – il richiamato articolo 44 e’ l’unico parametro normativo che viene in rilievo, rispetto al quale le opere edilizie realizzate risultano pienamente conformi, potendosi ritenere opere pubbliche o equiparate ad opere pubbliche, perche’ rispondenti al fabbisogno sanitario, e potendosi ritenere anche opere di urbanizzazione secondaria, pur non essendo realizzate direttamente da soggetti pubblici. Si richiama, sul punto, la L. n. 847 del 1964, il cui articolo 4, comma 2, lettera g), qualifica come opere di urbanizzazione secondaria i “centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie”. Sotto il profilo della natura pubblica, la difesa evidenzia l’inserimento del presidio ospedaliero (OMISSIS) all’interno della rete ospedaliera dell’emergenza sanitaria, della programmazione sanitaria regionale, nonche’ nell’elenco dei presidi ospedalieri costituenti la rete del 118 e nel piano ospedaliero della Regione Campania, svolgendo funzioni molteplici di presidio di pronto soccorso. Ne conseguirebbe la natura pubblicistica dell’intervento edilizio, in quanto diretto alle medesime finalita’ proprie di qualsiasi struttura pubblica di carattere sanitario, come emergerebbe dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 37 nel 1997, il quale non opera distinzioni a seconda della natura pubblica o privata dell’attivita’ sanitaria svolta.
Il ricorso si sofferma, poi, sull’analisi della situazione urbanistica preesistente e sull’esistenza di un accordo di programma per la riqualificazione del (OMISSIS) risalente agli anni 2001-2003. Tale accordo testimonierebbe l’inserimento dell’intervento edilizio de quo in una zona gia’ in concreto destinata alla presenza effettiva di una pregressa struttura sanitaria e, comunque, oggetto di una previsione di ampliamento nell’ambito di un medesimo contesto territoriale. Si riporta l’articolo 4, comma 2, di tale accordo di programma, secondo cui “i lavori relativi ai singoli progetti devono iniziare improrogabilmente entro un anno dalla concessione edilizia e dovranno essere ultimati nei termini di efficacia dei titoli ampliativi”. Per la difesa, tale clausola dovrebbe essere interpretata in chiave dinamica, cosi’ da consentire interventi in ampliamento, da adottare sulla scorta di autonomi e successivi titoli edilizi, e non in modo restrittivo – come invece fatto dal Tribunale – nel senso che il titolo ampliativo possa essere riferito solo ed esclusivamente a una dilatazione dei possibili tempi di definizione dell’intervento e non gia’ alla tipologia dell’intervento stesso. Si ribadisce che, in ogni caso, il titolo abilitativo per l’intervento era rappresentato dal permesso di costruire n. 40 del 2017.
2.5. La quinta censura e’ riferita alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 9 e 44, nonche’ della Legge Regionale n. 16 del 2004, articolo 44, sotto il profilo della ritenuta mancanza di una pianificazione urbanistica regionale, quale presupposto per l’operativita’ dei limiti di cui allo stesso articolo 9. Si lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato che il Comune di Castel Volturno, pur essendo effettivamente privo di uno strumento di pianificazione generale, non era privo di atti di pianificazione e programmazione, perche’ l’area in esame era interessata dall’accordo di programma relativo al piano di riqualificazione per il risanamento e poi ambientale e rilancio socioeconomico (come da protocollo d’intesa sottoscritto il 10 maggio 2001). Secondo la prospettazione difensiva, tale accordo di programma avrebbe dovuto essere ritenuto equiparabile a un atto di programmazione generale, con conseguente inapplicabilita’ dei limiti fissati dall’articolo 9 del testo unico sull’edilizia. Si richiama, nuovamente, il parere del professor (OMISSIS), risalente a epoca anteriore al 2001, il quale si era espresso nel senso ritenere consentita in ogni caso la realizzazione di strutture sanitarie, trattandosi di opere di urbanizzazione secondaria, senza particolari limiti e con titolo abilitativo ordinario (all’epoca, concessione edilizia). Sotto il profilo sanitario, si sottolinea come il piano ospedaliero abbia sostanzialmente operato una razionalizzazione di diverse strutture sanitarie rientranti nel gruppo LND, con accorpamento di alcuni posti letto. La stessa difesa ritiene, pero’, l’irrilevanza degli aspetti sanitari nella vicenda che qui interessa.
2.6. Con un sesto motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e dell’articolo 734 c.p.. La difesa ripercorre l’evoluzione normativa precedente alla deliberazione della Giunta regionale n. 1122 del 19 giugno 2009, con la quale si sono stabiliti i requisiti di competenza tecnico-scientifica e di organizzazione per l’esercizio della conferita funzione amministrativa volta al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, evidenziando come in Campania le funzioni di tutela del paesaggio siano esercitate dai Comuni in via assolutamente discrezionale, in caso di assenza del piano paesistico (come avviene nel territorio del Comune di Castel Volturno). Nel caso di specie, la soprintendenza competente, ricevuta la proposta dal Comune e verificata la conformita’ paesaggistica nell’esercizio della sua autonoma discrezionalita’, ha espresso in forma esplicita il parere favorevole di sua competenza. Si lamenta, inoltre, che il Tribunale avrebbe fatto erroneamente riferimento alla valutazione di compatibilita’ paesaggistica disciplinata dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 167 e riferita ad opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico da autorizzare ex post. Nel caso di specie si tratterebbe, comunque, di un’area notoriamente deturpata da fenomeni di edilizia incontrollata, pur in presenza di un vincolo paesaggistico formalmente vigente dal 1965. Si lamenta, altresi’, l’indebita valorizzazione da parte del Tribunale delle testimonianze di passanti e persone abitanti nella zona circa il preteso negativo impatto della struttura edilizia sul paesaggio, pur nell’ambito di un territorio gia’ ampiamente degradato. Ne’ si sarebbe considerato che l’architetto (OMISSIS), quale rappresentante della Sovrintendenza in sede di accordo di programma aveva espresso parere favorevole ad interventi dell’altezza di quello per cui e’ causa. Si’ critica, infine, l’ordinanza impugnata nella parte in cui essa afferma che sarebbe stata necessaria la valutazione ambientale strategica; valutazione riguardante piani e programmi e non singole opere edilizie. Nel caso in esame – secondo la difesa – non si sarebbe in presenza di una variante ad uno strumento urbanistico inesistente, ma semplicemente della realizzazione di una singola opera.
3. Con successiva memoria, la difesa ha ribadito quanto gia’ dedotto, con particolare riferimento al profilo della insussistenza della macroscopica illegittimita’ del permesso di costruire e ha prodotto un “parere pro veritate” del prof. (OMISSIS), con cui si ribadisce la necessita’ di applicare tale criterio giurisprudenziale e si sottolinea come il quadro normativo esistente fosse quantomeno incerto, per il contrasto tra legislazione regionale e legislazione statale. Si producono altresi’ atti dell’amministrazione comunale da cui risulterebbe una prassi interpretativa conforme a quella seguita nel caso di specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
1.1. I primi tre motivi di doglianza – che possono essere trattati congiuntamente perche’ attengono all’ampiezza del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo e ad una pretesa incertezza del quadro normativo e giurisprudenziale che avrebbe un’efficacia sostanzialmente scriminante rispetto all’attivita’ edilizia oggetto di imputazione, svolta con regolare permesso di costruire e parere favorevole espresso dalla Sovrintendenza competente – sono infondati.
Va premesso, sul punto, che la natura cautelare del presente procedimento esime questa Corte dalla necessita’ di prendere posizione espressamente sull’effettiva esistenza e consistenza del contrasto giurisprudenziale richiamato dalla difesa, la quale individua un orientamento ampliativo, favorevole a un sindacato del giudice penale esteso ad ogni profilo di illegittimita’ dell’atto amministrativo, in particolare del titolo abilitativo edilizio (ex plurimis, Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Rv. 275565; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, con ampia ricostruzione storica; Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Rv. 273218; Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Rv. 271170; Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Rv. 195359) e un orientamento restrittivo, che limita tale sindacato ai soli casi di macroscopica illegittimita’ (ex plurimis, Sez. 4, n. 38610 del 20/07/2017, Rv. 270931; Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep. 19/02/2015, Rv. 263916). Infatti, dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge – ai limitati fini del giudizio cautelare, e salvi gli esiti dell’istruttoria dibattimentale – la macroscopica illegittimita’ del permesso di costruire e dell’intero procedimento seguito a fini urbanistici e paesaggistici; con la conseguenza che la lamentata presenza di due orientamenti giurisprudenziali contrapposti non assume alcuna rilevanza nel caso di specie, anche a voler seguire quello piu’ favorevole alla posizione degli indagati e restrittivo dei poteri del giudice penale. Deve affermarsi, in altri termini, che sulla base di quanto consta allo stato del quadro indiziario – il sequestro e’ intervenuto nell’ambito di un quadro normativo e giurisprudenziale sufficientemente certo, nel quale – come si vedra’ – il procedimento amministrativo seguito per consentire la realizzazione delle opere edilizie di ampliamento oggetto dell’imputazione provvisoria e’ stato caratterizzato da palesi anomalie, sia per le plurime ed evidenti violazioni di legge, sia per la chiara consapevolezza della violazione in capo a tutti i soggetti protagonisti della vicenda.
1.2. Infondato e’ anche il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), e della Legge Regionale Campania n. 16 del 2004, articolo 44, disposizione che escluderebbe esplicitamente i limiti di inedificabilita’ fissati dal testo unico sull’edilizia in relazione ad alcune categorie di opere edilizie, fra cui le opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Gia’ dall’ordinanza impugnata, la quale ricostruisce correttamente la consistenza delle opere edilizie, emerge l’assoluta impraticabilita’, sul piano costituzionale, dell’interpretazione, proposta dalla difesa, secondo cui la Legge Regionale n. 16 del 2004, articolo 44, potrebbe derogare al limite generale di inedificabilita’ fissato dall’articolo 9 del testo unico sull’edilizia. In altri termini, il quadro normativo era sufficientemente chiaro per l’amministrazione e per gli operatori economici, nel senso di escludere l’autorizzabilita’ dell’intervento edilizio nel caso di specie.
1.2.1. Nella ricostruzione del quadro normativo, va tenuto conto del fatto che il richiamato la Legge Regionale Campania 22 dicembre 2004, n. 16, articolo 44, che disciplina il regime transitorio degli strumenti di pianificazione, ha avuto nel tempo diverse formulazioni.
In particolare, il testo risultante dalla modifica introdotta dalla Legge Regionale 11 agosto 2005, n. 15, articolo 9, commi 3 e 4, prevede che: a) i comuni adottano, entro due anni dall’entrata in vigore del Ptcp, il Puc (piano urbanistico comunale) e il Ruec (comma 2); b) “nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici vigenti si applicano, fino alla data di entrata in vigore del Puc, i limiti di edificabilita’ di cui alla Legge Regionale n. 17 del 1982, salva l’applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’articolo 10” (comma 3, primo periodo); c) “nei comuni di cui al comma 3 le limitazioni previste dalla Legge Regionale n. 17 del 1982, non si applicano nei confronti degli interventi volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche, di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, dei programmi per l’edilizia residenziale pubblica o sovvenzionata, dei piani e degli interventi previsti dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, nonche’ nei confronti degli interventi o programmi integrati di intervento territoriale e dei programmi di recupero urbano approvati ai sensi della programmazione economica regionale e finanziati prevalentemente con risorse pubbliche o della Unione Europea” (comma 4).
Il testo in questione ha subito una rilevante modifica ad opera della Legge Regionale 22 giugno 2017, n. 19, articolo 4, in conseguenza della quale l’articolo 44 dispone che: a) “i Comuni adottano il Piano urbanistico comunale (PUC) entro il termine perentorio del 31 dicembre 2018 e lo approvano entro il termine perentorio del 31 dicembre 2019. Alla scadenza dei suddetti termini perentori, si provvede ai sensi dell’articolo 39 e del relativo regolamento regionale di attuazione per l’esercizio dei poteri sostitutivi” (comma 2); b) “alla scadenza del termine del 31 dicembre 2019 di cui al comma 2, nei Comuni privi di PUC approvato si applica la disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9. Sono fatti salvi gli effetti dei piani urbanistici attuativi (PUA) vigenti” (comma 3); “nei comuni di cui al comma 3 le limitazioni previste non si applicano nei confronti degli interventi volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche, di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, dei programmi per l’edilizia residenziale pubblica o sovvenzionata, dei piani e degli interventi previsti dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, nonche’ nei confronti degli interventi o programmi integrati di intervento territoriale e dei programmi di recupero urbano approvati ai sensi della programmazione economica regionale e finanziati prevalentemente con risorse pubbliche o della Unione Europea” (comma 4). La conseguenza piu’ rilevante di tale nuova formulazione che ad avviso della difesa sarebbe quella applicabile al caso di specie – e’ la soppressione, nel comma 4 dell’articolo 44, delle parole “dalla Legge Regionale n. 17 del 1982”.
Vi e’, infine, la formulazione dell’articolo 44 attualmente vigente, introdotta, dalla Legge Regionale 12 marzo 2020, n. 6, articolo 3 a decorrere dal 17 marzo 2020 (ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 10, comma 1, della medesima legge), secondo cui: a) “i Comuni adottano il Piano urbanistico comunale (PUC) entro il termine perentorio del 31 dicembre 2018 e lo approvano entro il termine perentorio del 31 dicembre 2020. La Regione, per i Comuni inadempienti, ai soli fini di dare attuazione alle disposizioni del presente articolo, provvede alla nomina di Commissari ad acta” (comma 2, prima parte); b) “alla scadenza del termine del 31 dicembre 2020 di cui al comma 2, nei Comuni privi di PUC approvato si applica la disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9. Sono fatti salvi gli effetti dei piani urbanistici attuativi (PUA) vigenti” (comma 3); c) “nei comuni di cui al comma 3 le limitazioni previste non si applicano nei confronti degli interventi volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche, di opere di urbanizzazione primaria e secondaria anche se realizzate da privati, dei programmi per l’edilizia residenziale pubblica o sovvenzionata, dei piani e degli interventi previsti dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, nonche’ nei confronti degli interventi o programmi integrati di intervento territoriale e dei programmi di recupero urbano approvati ai sensi della programmazione economica regionale e finanziati prevalentemente con risorse pubbliche o della Unione Europea (comma 4). Il principale elemento di novita’ di tale ultima formulazione e’ rappresentato dall’inciso “anche se realizzate da privati” per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
1.2.2. Quanto alla fattispecie in esame, deve ritenersi che alla stessa sia applicabile il testo del richiamato articolo 44 nella versione precedente alla modifica operata dalla Legge Regionale n. 19 del 2017, perche’ tale modifica si riferisce all’approvazione del piano urbanistico comunale da parte dei Comuni entro il termine del 31 dicembre 2019 e collega alla scadenza infruttuosa di detto termine l’applicazione della disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9, nei comuni che non hanno approvato il piano urbanistico. Nel caso di specie, pero’, i reati contestati sono precedenti al 31 dicembre 2019 (il sequestro e’ del 16 settembre 2019); trova dunque applicazione la disciplina previgente, che prevedeva in via generale, nei comuni privi di strumento urbanistico, l’applicazione dei limiti di edificabilita’ di cui alla Legge Regionale n. 17 del 1982. In base al testo applicabile, per la parte che qui rileva, nei comuni privi di strumento urbanistico generale, le limitazioni previste dalla Legge Regionale n. 17 del 1982 non si applicano nei confronti degli interventi volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche o di opere di urbanizzazione primaria e secondaria; trovano invece applicazione, perche’ non oggetto di esclusione, i limiti generali di edificabilita’ fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9 a norma del quale, salvi i piu’ restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme a tutela del paesaggio e dei beni culturali, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti interventi di manutenzione ordinaria, interventi di manutenzione straordinaria, interventi di restauro e di risanamento conservativo che riguardino singole unita’ immobiliari o parti di esse e, fuori dal perimetro dei centri abitati, interventi di nuova edificazione nel limite della densita’ massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non puo’ comunque superare un decimo dell’area di proprieta’.
Tale interpretazione, oltre a trovare un sufficiente supporto nella formulazione letterale della disposizione, si pone anche in coerenza con la giurisprudenza costituzionale (in particolare, C. Cost. n. 84 del 2017; v. anche C. Cost. n. 130 del 2016 e n. 140 del 2018), la quale ha costantemente affermato il principio, tanto chiaro quanto scontato, secondo cui, nelle materie di competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni (articolo 117 Cost., comma 3), quale e’ il governo del territorio, la legislazione regionale deve mantenersi nei limiti dei principi fondamentali fissati dalla legislazione statale, fra i quali certamente rientrano i limiti di inedificabilita’ fissati dall’articolo 9 del testo unico sull’edilizia (v., in senso conforme, Cons. Stato, sez. 4, n. 1461 del 12/03/2010,). Come emerge dalla sua semplice lettura, la ratio di tale disposizione e’ quella di limitare in modo netto le attivita’ edilizie in comuni non dotati di strumenti urbanistici, allo scopo di evitare esercizi arbitrari del potere discrezionale delle amministrazioni comunali in sede di rilascio dei permessi di costruire e a fronte dei valori costituzionali del corretto assetto del territorio, del paesaggio, dell’ambiente. E vale anche in questo settore la necessita’ di praticare un’interpretazione costituzionalmente conforme, cosi’ da limitare il promovimento di questioni di legittimita’ costituzionale ai soli contrasti che non possano essere risolti in via interpretativa. Nel caso di specie come gia’ evidenziato – la Legge Regionale n. 16 del 2004, articolo 44, comma 4, nel testo applicabile ratione temporis, ha un tenore sufficientemente chiaro, nel senso che contiene una deroga alle limitazioni previste dalla legge regionale n. 17 del 1982 e non anche a quelle del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9. Se poi si volesse ritenere applicabile nel caso di specie il testo dell’articolo 44 successivo alla modifica del giugno 2017, lo stesso dovrebbe essere interpretato sempre nel senso che le limitazioni che sono escluse nei comuni privi di strumento urbanistico sono solo quelle previste dalla legislazione regionale e non anche quelle previste dalla legislazione statale. E cio’ perche’ il richiamato articolo 9 consente espressamente interventi legislativi regionali solo se piu’ restrittivi di quelli statali.
1.2.3. Venendo alla concreta natura dell’intervento edilizio oggetto di causa, risulta evidente che lo stesso non puo’ essere fatto rientrare – ma neanche la difesa propone una tale ricostruzione interpretativa – fra gli interventi consentiti dal richiamato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9. Ne’ puo’ essere fatto rientrare fra le opere pubbliche, avendo natura privata, e rimanendo irrilevante a tal fine la destinazione sanitaria dello stesso. Infatti la normativa che equipara la sanita’ pubblica e la sanita’ privata – richiamata dalla difesa nel ricorso – ha un carattere strettamente sanitario e deve essere ritenuta limitata a tale ambito, non potendo avere alcuna influenza sulla disciplina urbanistica (come peraltro implicitamente riconosciuto dalla stessa difesa alla pag. 30 del ricorso). L’intervento potrebbe, pero’, essere ricondotto – come fa il Tribunale – alla categoria delle opere di urbanizzazione secondaria, come definite dalla L. n. 847 del 1964, il cui articolo 4, comma 2, lettera g), qualifica come tali i “centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie”, oltre che dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 16, comma 8, disposizione che si riferisce agli oneri di urbanizzazione. Si tratta, peraltro, di un inquadramento del tutto teorico, che dovra’ essere eventualmente rivalutato nel giudizio di merito, perche’ il concetto di attrezzatura sanitaria si riferisce ad ogni opera edilizia dotata di finalita’ sanitaria, ma implica una valutazione della proporzionalita’ tra la natura e le dimensioni dell’attrezzatura stessa e il tessuto urbanistico preesistente. In altri termini, perche’ un edificio con funzioni sanitarie possa essere ritenuto opera di urbanizzazione secondaria quale attrezzatura sanitaria, e’ necessario che lo stesso sia destinato a svolgere una funzione servente rispetto al territorio nel quale si colloca.
1.2.4. Correttamente, dunque, il Tribunale del riesame ha ritenuto la palese illegittimita’ dell’intervento edilizio svolto, pur ricondotto alla categoria delle opere di urbanizzazione secondaria, e dei relativi procedimenti e provvedimenti amministrativi, essendo il Comune di Castel Volturno sottoposto agli stringenti limiti di cui al richiamato articolo 9 del testo unico sull’edilizia. In tale quadro risulta del tutto irrilevante, perche’ non equiparabile ad uno strumento urbanistico generale, l’accordo di programma richiamato dalla difesa, mirato al piu’ a singole opere, ma privo di una struttura pianificatoria complessiva del territorio. Tale accordo, in ogni caso, non puo’ essere interpretato come derogatorio rispetto alla fonte legislativa e, dunque, deve essere inteso in senso restrittivo – come fa correttamente il Tribunale – potendo al piu’ consentire una dilatazione dei possibili tempi di definizione dell’intervento edilizio e non gia’ nuove tipologie di intervento. L’interpretazione ampliativa proposta della difesa e’, del resto, esclusa anche dal tenore letterale dell’articolo 4, comma 2, di tale accordo di programma, il quale si riferisce semplicemente ai tempi e non alle tipologie degli interventi, laddove prevede – secondo il testo riportato dalla difesa – che “i lavori relativi ai singoli progetti devono iniziare improrogabilmente entro un anno dalla concessione edilizia e dovranno essere ultimati nei termini di efficacia dei titoli ampliativi”.
1.2.5. Venendo ai profili piu’ strettamente fattuali, deve evidenziarsi come le opinioni espresse, in senso diverso, da (OMISSIS) e (OMISSIS), solamente richiamate per completezza del provvedimento impugnato, siano evidentemente prive di rilevanza, perche’ riferite a profili di diritto. In ogni caso, la stessa difesa ricorda come il parere di (OMISSIS), pur favorevole alla sua prospettazione interpretativa, sia stato espresso nell’ambito del quadro normativo, ormai ampiamente superato, precedente all’entrata in vigore del testo unico sull’edilizia. A cio’ deve aggiungersi che la chiarezza del quadro normativo e l’assoluta impraticabilita’ dell’interpretazione dello stesso adottata ai fini del rilascio del permesso di costruire emergono anche da elementi indiziari forniti dai funzionari pubblici coinvolti nella vicenda (richiamati alle pagg. 46 e ss. dell’ordinanza), quali: gli scambi di messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) riferiti alla consapevolezza dell’invalicabilita’ dei limiti fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 9; le intercettazioni ambientali nell’ufficio tecnico comunale; la deposizione di (OMISSIS); le interpretazioni date da (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui emerge analoga consapevolezza. Il quadro indiziario cosi’ delineato – peraltro solo parzialmente richiamato a fini di critica dai ricorrenti – contribuisce, dunque, a confermare, anche sul piano soggettivo, la piena coscienza, in capo agli attori della vicenda, della chiarezza del quadro normativo e del macroscopico impatto dell’intervento edilizio, ancora in corso di realizzazione.
1.3. Le considerazioni che precedono vanno richiamate anche in relazione alla quinta censura dei ricorrenti, che deve essere ritenuta parimenti infondata.
La prospettazione difensiva si basa, ancora, sulla pretesa equiparazione dell’accordo di programma relativo al piano di riqualificazione per il risanamento ambientale e rilancio socioeconomico (come da protocollo d’intesa sottoscritto il 10 maggio 2001) e lo strumento urbanistico generale, con conseguente inapplicabilita’ dei limiti fissati dall’articolo 9 del testo unico sull’edilizia. Si e’ pero’ gia’ ricordato come tale accordo di programma sia del tutto privo delle caratteristiche di generalita’ e dei contenuti propri dello strumento di pianificazione urbanistica. Ne’ puo’ valere ad escludere tale conclusione il richiamo operato dalla difesa, nuovamente, al parere del professor (OMISSIS), perche’ tale parere – con il quale si riteneva consentita in ogni caso la realizzazione di strutture sanitarie – e’ risalente a epoca anteriore al 2001, ovvero all’entrata in vigore delle disposizioni di legge statale e regionale rilevanti nel caso di specie. E del tutto il rilevante risulta l’affermazione difensiva secondo cui vi sarebbe una sostanziale razionalizzazione di diverse strutture sanitarie, con accorpamento di alcuni posti letto, operata dal piano ospedaliero. Infatti, tale razionalizzazione – come gia’ visto – non potrebbe giustificare in alcun caso la deroga alla disciplina urbanistica statale, dovendosi interpretare come circoscritta all’ambito strettamente sanitario.
1.4. Il sesto motivo di doglianza – con cui si deduce l’erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e dell’articolo 734 c.p., – e’ del pari infondato.
1.4.1. La difesa valorizza il fatto che la soprintendenza, ricevuta la proposta dal Comune e verificata la conformita’ paesaggistica nell’esercizio della sua autonoma discrezionalita’, ha espresso in forma esplicita il parere favorevole di sua competenza e ha fatto cio’ in un contesto normativo in cui le funzioni di tutela del paesaggio sono esercitate dai Comuni in via assolutamente discrezionale, in caso di assenza del piano paesistico (come avviene nel territorio del Comune di Caste Volturno). Afferma, inoltre, che si tratterebbe di un’area notoriamente deturpata da fenomeni di edilizia incontrollata, ammettendo, pero’, l’esistenza di un vincolo paesaggistico vigente dal 1965.
1.4.2. Si tratta di affermazioni che, in primo luogo, non tengono adeguatamente conto della motivazione del provvedimento impugnato, il quale stigmatizza le gravissime lacune istruttorie in ogni fase del procedimento, ben evidenziate, ad esempio, alle pagg. 75 e ss., laddove si evidenzia l’uso di espressioni generiche e formule stereotipate, e il mancato riferimento alle reali caratteristiche dell’area e dell’impatto dell’opera. In secondo luogo, dalla stessa prospettazione difensiva, emerge la piena sussistenza del vincolo paesaggistico ed emerge, altresi’, che la valutazione circa la concreta lesione dell’assetto paesaggio (rilevante ai fini dell’articolo 734 c.p.) e’ stata condotta dal Gip e dal Tribunale sulla base di elementi di fatto (come, ad esempio, la deposizione dell’architetto (OMISSIS), da cui emergono le pressioni da piu’ parti esercitate al fine di garantire la realizzazione di opere edilizie sostanzialmente difformi, perche’ assai piu’ impattanti, rispetto a quelle oggetto dell’iniziale accordo di programma; pagg. 86 e ss. dell’ordinanza), oltre che delle valutazioni tecniche dei consulenti del pubblico ministero, la cui portata e’ insindacabile in questa sede, operando in materia cautelare reale il limite della violazione di legge di cui all’articolo 325 c.p.p., comma 1.
1.4.3. Quanto alla valutazione ambientale strategica, va osservato che la stessa si riferisce a piani e programmi e non a singole opere edilizie (Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 4 e ss.), mentre l’oggetto del presente procedimento e’ la realizzazione di una singola opera, seppure di rilevante impatto. Il Tribunale ricorda, pero’, che nel caso di specie – nella generalizzata consapevolezza da parte dei funzionari dell’amministrazione comunale dell’illiceita’ dell’operazione che si andava a realizzare – si era tentato di fornire una veste giuridica all’operazione stessa mediante l’illegittimo ricorso allo strumento della variante semplificata dello strumento di pianificazione urbanistica, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 19, del tutto eccentrico, sia perche’ relativo alla materia delle espropriazioni, sia perche’ – come gia’ piu’ volte evidenziato – nel Comune di Castel Volturno non vi e’ alcuno strumento di pianificazione urbanistica, cosicche’ l’eventuale variante resterebbe priva di oggetto. L’utilizzazione della procedura del richiamato articolo 19 avrebbe effettivamente richiesto la valutazione di impatto strategico, in quanto formalmente riferita alla modificazione di programmi o piani. In ogni caso, come correttamente affermato dal Tribunale, il mancato espletamento della valutazione ambientale strategica relativamente alla supposta variante allo strumento urbanistico – e non alla pura e semplice emanazione del permesso di costruire, per la quale non e’ invece necessaria – non assume rilevanza in se’, ma semplicemente conferma l’anomalia delle procedure seguite nel caso di specie. Si tratta, in altri termini, di uno dei molteplici elementi da cui emerge la macroscopica illegittimita’ dell’intera operazione.
Ne deriva l’infondatezza della prospettazione difensiva sul punto.
1.5. Infondate sono, infine, le deduzioni contenute nella memoria con cui la difesa, oltre a riproporre le censure gia’ formulate, ha prodotto un “parere pro veritate” – che ribadisce la necessita’ di applicare il criterio giurisprudenziale della “macroscopica il legittimita’” e sottolinea come il quadro normativo esistente fosse incerto – nonche’ atti dell’amministrazione comunale da cui risulterebbe una prassi interpretativa conforme a quella seguita nel caso di specie.
Quanto al “parere pro veritate”, e’ sufficiente rilevare che lo stesso e’ stato redatto, su incarico di parte, nel corso del presente procedimento allo scopo di suffragare la prospettazione difensiva secondo cui vi sarebbe stata incertezza nell’interpretazione del quadro normativo; prospettazione infondata in forza di quanto gia’ osservato. Ed e’ precluso, per la natura del giudizio di legittimita’, l’esame della documentazione allegata dalla difesa alla memoria, da cui risulterebbe una prassi interpretativa conforme a quella seguita nel caso di specie, potendosi comunque richiamare, sul punto, le analitiche valutazioni contenute nell’ordinanza impugnata (su cui v. supra 1.2.5.) circa la piena consapevolezza da parte dei funzionari dell’amministrazione comunale dell’illiceita’ dell’operazione.
2. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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