Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 10 marzo 2020, n. 1727.
La massima estrapolata:
Nel caso di procedimento di condono edilizio,non è onere dell’amministrazione comprovare le circostanze richieste dalla legge per il condono, spettando all’interessato la rigorosa prova delle stesse. Ciò in quanto è il richiedente che versa in una situazione di illecito e che, se intende riportare alla “liceità ” quanto abusivamente realizzato per il tramite dell’adozione da parte della pubblica amministrazione di una concessione edilizia in sanatoria, ha l’onere di provare la sussistenza dei presupposti e requisiti normativamente previsti.
Sentenza 10 marzo 2020, n. 1727
Data udienza 21 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 180 del 2010, proposto dal signor An. At., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Le., con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via (…),
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe., Gi. Pi. e Gi. Ta., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 21570/2008, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2020, il Cons. Giovanni Orsini e uditi per le parti gli avvocati Gi. Le. e Ma. At. Lo. su delega dell’avvocato Gi. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno appellante ha impugnato presso il Tar per la Campania l’ordinanza di demolizione n. 21 del 17 gennaio 2008 avente ad oggetto opere ritenute abusive insistenti sul proprio fondo; il provvedimento n. 1850 del 16 giugno 2008 con il quale il Comune di Napoli ha respinto l’istanza di accertamento di conformità ; ogni altro atto presupposto e connesso.
2. Rileva l’appellante di essere proprietario di un terreno destinato ad azienda agricola sito nel Comune di Napoli acquistato dal di lui padre nel 1963 e sul quale insistono dal 1943 alcuni manufatti adibiti a ricovero attrezzi che da allora non hanno subito cambiamenti strutturali.
2.1. A seguito di sopralluogo, con il provvedimento impugnato, l’Amministrazione ordinava la demolizione di “una tettoia con struttura portante in ferro e copertura in lamiera coibentante di circa 40 mq”. Incardinato il giudizio volto all’annullamento presso il Tribunale amministravo e accolta l’istanza cautelare, il ricorrente richiedeva all’Amministrazione, ai fini della sua sanabilità, un accertamento circa il carattere di manutenzione ordinaria o straordinaria dell’intervento realizzato; la richiesta veniva rigettata con rinnovo dell’ordine di demolizione, in quanto “l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale degli interventi”. Tale decisione è stata successivamente impugnata con motivi aggiunti.
3. Il Tribunale amministrativo per la Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, dichiarando l’improcedibilità del ricorso originario e l’infondatezza delle censure proposte con i motivi aggiunti.
3.1. Avverso la suddetta decisione il sig. Attena ha proposto appello affidato a cinque motivi di gravame.
4. É costituito nel presente giudizio il Comune di Napoli che insiste per il rigetto dell’appello.
5. In vista della pubblica udienza parte appellante ha depositato una memoria difensiva con la quale insite per l’accoglimento delle proprie richieste.
6. All’udienza pubblica del 21 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello è infondato.
8. Con il primo motivo si contesta la decisione del primo giudice secondo cui “la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ex articolo 36 D.P.R. numero 380 del 2001 successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione produce l’effetto di rendere inammissibile l’impugnazione stessa per carenza di interesse”. Si sostiene, in particolare, che la presentazione di un’istanza di accertamento non possa determinare la sopravvenuta carenza d’interesse in merito al ricorso promosso avverso il provvedimento di diniego e ciò in quanto la presentazione di una nuova istanza di accertamento determina più semplicemente una sospensione dell’efficacia del provvedimento repressivo che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria.
8.1. La censura deve essere respinta.
Il Collegio non intende, infatti, discostarsi da quanto affermato dal giudice di prime cure in ordine alla improcedibilità del ricorso originario (n. 2926/2008) per sopravvenuta carenza d’interesse. Al riguardo, se è vero che la più recente giurisprudenza ha affermato il principio in base al quale la domanda di accertamento di conformità ex articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 non determina la definitiva perdita di efficacia del precedente ordine di demolizione, ma solo la sua sospensione temporanea (con la conseguenza che essa riprende efficacia in caso di rigetto della domanda di sanatoria), nel caso di specie deve essere rilevato che ogni approfondimento della questione è superfluo, essendo di fatto avvenuto che il Comune, contestualmente alla reiezione della domanda di accertamento di conformità, ha emesso un nuovo ordine di demolizione che ha sostituito il precedente. Questo solo fatto è di per sé sufficiente a far venir meno l’interesse all’impugnazione originaria, atteso che nessuna utilità concreta il ricorrente ritrarrebbe dall’annullamento del primo ordine di ripristino, che era ormai superato e sostituito dal secondo.
8.2. Quanto al secondo e terzo mezzo d’impugnazione, in ragione della loro connessione, si può procedere ad un loro esame congiunto.
8.3. In particolare, con il secondo mezzo si contesta il capo della sentenza di primo grado nella parte in cui ribadisce l’irricevibilità dell’istanza di accertamento di conformità “dal momento che ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, fuori dai casi di cui all’art. 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione paesaggistica “non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”. Invero, secondo parte appellante avrebbero errato il Comune e il giudice di primo grado nel qualificare l’intervento contestato come nuova costruzione, trattandosi più semplicemente di opere di manutenzione ordinaria o straordinaria rientranti nell’ambito applicativo di cui all’articolo 3 del citato D.P.R. n. 380 del 2001 che consente, anche nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, di effettuare interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria purché non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazione di uso, senza la necessità di richiedere alcuna autorizzazione.
8.4. Il terzo motivo, invece, è volto a censurare quanto affermato dal Tar circa l’onere in capo al ricorrente di dimostrare che il manufatto su cui insiste la tettoia fosse originariamente assistito da titolo abilitativo o comunque risalente ad un periodo antecedente al 1935, epoca in cui è stato introdotto l’obbligo di richiedere la licenza edilizia per le opere da realizzare nel Comune di Napoli. Rileva l’appellante che l’area in questione venne qualificata dal piano regolatore del 1939 quale zona “panoramica di secondo grado a carattere agricolo” e per tale motivo nel periodo antecedente alla suddetta previsione era posta al di fuori del perimetro edificato, di tal che non era necessaria alcuna autorizzazione per gli interventi da eseguire, in quanto secondo il Regolamento edilizio del 1935 il titolo abilitativo era richiesto solamente per le opere da realizzare entro il perimetro edificato urbano. Peraltro la dimostrazione dell’epoca di realizzazione del manufatto si risolverebbe in una probatio diabolica in capo al privato che spetterebbe invece all’Amministrazione procedente.
8.5. Entrambe le censure non sono meritevoli di accoglimento.
8.5.1. In primo luogo, l’accertamento della situazione di fatto circa l’epoca di realizzazione della tettoia in questione appare in ogni caso superfluo, perché residuerebbe comunque in capo al ricorrente l’onere di dimostrare anche la legittimità dell’opera, occorrendo al tal fine la prova di una sua realizzazione addirittura in epoca anteriore al 1935. Già a quella data, infatti, il Regolamento edilizio del Comune di Napoli richiedeva la licenza edilizia per qualsiasi edificazione realizzata nel territorio comunale.
8.5.2. Quanto alla lamentata gravosità dell’onere probatorio, basti qui richiamare il pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui grava sul richiedente l’onere di fornire la prova sulle condizioni e sulla consistenza dell’abuso, spettando invece all’amministrazione il compito di controllare i dati forniti che, se non assistiti da attendibile consistenza, implicano la reiezione della relativa istanza. E’ stato precisato che nel caso di procedimento di condono edilizio, infatti, non è onere dell’amministrazione comprovare le circostanze richieste dalla legge per il condono, spettando all’interessato la rigorosa prova delle stesse. Ciò in quanto è il richiedente che versa in una situazione di illecito e che, se intende riportare alla “liceità ” quanto abusivamente realizzato per il tramite dell’adozione da parte della pubblica amministrazione di una concessione edilizia in sanatoria, ha l’onere di provare la sussistenza dei presupposti e requisiti normativamente previsti (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, n. 5537/2019). Nel caso di specie, spettava quindi al ricorrente dimostrare l’epoca di realizzazione dei manufatti abusivi, né a tale regola si può in alcun modo fare eccezione allorché si tratti di dimostrare l’esistenza del manufatto anche in epoca estremamente risalente.
8.5.3. Infine, per quanto riguarda l’estensione dell’obbligo della licenza a tutto il territorio comunale, deve essere rilevato che il Regolamento edilizio del 1935, contrariamente a quanto affermato da parte appellante, non prevedeva alcuna suddivisione delle zone della città, estendendo l’obbligo della suddetta licenza a tutto il Comune. A ben vedere, la menzionata suddivisione delle aree comunali trova la sua origine nell’articolo 31 della legge n. 1150 del 1942 che ha ristretto l’obbligo della licenza edilizia al solo centro abitato. Si deve escludere, tuttavia, che la sopravvenienza di tale norma possa avere determinato la caducazione automatica del Regolamento edilizio del 1935. E ciò perché, come già precisato da questo Consiglio di Stato, “non può infatti riconoscersi ex se portata abrogante o disapplicativa della norma secondaria (introdotta dall’art. 1 del regolamento edilizio) all’art. 31 della legge urbanistica del 1942, laddove reca la disciplina costruttiva nei centri abitati sancendo l’obbligo dell’apposita licenza del Sindaco. Il precitato articolo 31 ha disciplinato in via generale l’obbligo di cui trattasi; ciò non comporta peraltro, ex se, l’abrogazione tacita di una disposizione speciale più rigorosa per le costruzioni al di fuori dei centri abitati esistente nel regolamento edilizio vigente in ragione della particolare disciplina che l’ente locale ha inteso introdurre ai fini della regolamentazione dell’attività costruttiva sul proprio territorio” (Cons.St., sez. IV, n. 5141/2008). Ma anche perché l’articolo 34 della stessa legge n. 1150 del 1942 prevedeva una specifica procedura di adeguamento dei regolamenti edilizi preesistenti alle disposizioni della legge stessa, procedura che nella specie non risulta essere stata posta in essere e che in ogni caso non contemplava la perdita di efficacia dei regolamenti medesimi.
8.6. Alla luce di quanto sopra, sono infondate anche le ulteriori censure: sia quella relativa all’eccesso di potere per carenza d’istruttoria in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto acquisire il parere della Soprintendenza (sul punto, basti osservare che, una volta confermato che si era al di fuori dell’ambito di applicazione dell’articolo 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, non residuavano margini per alcuna valutazione di compatibilità paesaggistica dell’intervento); sia quella relativa all’omessa notifica del preavviso di rigetto, essendo condivisibile, ad avviso del Collegio, quanto statuito dal giudice di prime cure e cioè che al caso di specie trovi legittima applicazione l’articolo 21 octies, legge n. 241 del 1990 attesa la natura vincolata del provvedimento di irricevibilità, “una volta riscontrato che l’intervento realizzato non è riconducibile alle eccezioni previste dall’articolo 167 del D.lgs. n. 42 del 2004, commi 4 e 5”.
9. Alla luce delle considerazioni esposte l’appello deve quindi essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’appellata Amministrazione che liquida in complessivi euro 3000.00 (tremila/00), oltre accessori, se per legge dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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