Locazione e variazioni ISTAT

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|7 ottobre 2021| n. 27287.

Locazione e variazioni ISTAT.

In base all’art. 32 della l. n. 392 del 1978, così come novellato dall’art. 1, comma 9-sexies del d.l. n. 12 del 1985, conv. dalla l. n. 118 del 1985, il locatore, su conforme pattuizione con il conduttore, è abilitato a richiedere annualmente l’aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta; pertanto, è contraria al disposto normativo la clausola che preveda una richiesta preventiva dell’aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni ISTAT che intervengano nel corso del rapporto ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e ciò perché la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto.

Sentenza|7 ottobre 2021| n. 27287. Locazione e variazioni ISTAT

Data udienza 31 marzo 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione – Immobile ad uso non abitativo – Canone – Rilascio dell’immobile – Danno da ritardo – Art. 1591 cc – Liquidazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32357/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv.
(OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 1225/2018 depositata il 10 aprile 2018.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 31 marzo 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;
lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, formulate ai sensi e con le modalita’ previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede dichiararsi l’inammissibilita’ o, in subordine, il rigetto del ricorso.

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FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5229 del 5 marzo 2015 il Tribunale di Roma, pronunciando in giudizio di convalida di sfratto promosso dalla (OMISSIS) S.r.l. (quale locatrice) contro l'(OMISSIS) (conduttrice), dichiaro’ risolto, per morosita’ della conduttrice, il contratto di locazione di immobile ad uso diverso intercorso tra le parti con decorrenza dal 1 gennaio 2004; confermo’ quindi l’ordinanza di rilascio ex articolo 665 c.p.c., emessa il 18 maggio 2013, dando atto del gia’ avvenuto rilascio.
Confermando inoltre le ordinanze ex articolo 186-ter c.p.c., emesse in corso di causa, condanno’ la conduttrice al pagamento:
a) della somma di Euro 61.027,30 a titolo di saldo del canone del mese di maggio 2013, oltre interessi dalla scadenza al saldo;
b) della somma di Euro 105.126.28 a titolo di corrispettivo del mese di giugno 2013 oltre interessi dalla scadenza al saldo;
e) della somma di Euro 47,254,01 a titolo di indennita’ di occupazione peri primi 17 giorni del mese di dicembre 2013, data di rilascio dell’immobile, oltre interessi dalla scadenza al saldo.
2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha confermato tale decisione, rigettando il gravame interposto dalla (OMISSIS) S.r.l. che si doleva del mancato accoglimento di ulteriori pretese creditorie avanzate per aggiornamento Istat ai sensi dell’articolo 5 del contratto di locazione e a titolo di risarcimento danni per: il ritardo nel pagamento delle somme dovute dalla conduttrice; la protratta occupazione dell’immobile; la perduta possibilita’ di stipulare nuovo contratto di locazione ad un canone molto piu’ vantaggioso.
3. Avverso detta sentenza (OMISSIS) S.r.l. propone ricorso per Cassazione, articolando sei motivi.
(OMISSIS) S.p.a. deposita controricorso.
In vista dell’odierna udienza, fissata per la trattazione, il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
La ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Si da’ preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020, non avendo alcuna delle parti ne’ il P.G. fatto richiesta di trattazione orale.
2. Ancora in via preliminare va rilevata l’inammissibilita’ del controricorso depositato dalla intimata in quanto tardivamente notificato in data 20 dicembre 2018 ben al di la’ del termine all’uopo fissato, a pena di inammissibilita’, dall’articolo 370 c.p.c. (essendo stato il ricorso notificato il 6 novembre 2018).
Non puo’ di contro assegnarsi rilievo (al fine di far retroagire la notifica del controricorso a data anteriore alla scadenza del termine) alla prima notifica che risulta documentata in atti, in quanto diretta, per evidente errore, a soggetto (Consorzio Basilicata 4) diverso da quello cui e’ riferito il controricorso, oltre che totalmente estraneo al giudizio.
Nei confronti dunque del ricorrente la notifica del controricorso risulta radicalmente omessa e non ve ne e’ alcuna della quale possa predicarsi la mera nullita’ (suscettibile di rinnovazione con effetti ex tunc ai sensi dell’articolo 291 c.p.c.) invece che l’inesistenza.
3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., in relazione al giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Roma n. 5229/2015 nella parte in cui ha definitivamente statuito che “… la convenuta non ha effettivamente ne’ specificatamente contestato di aver ricevuto le comunicazioni di aggiornamento Istat del canone base, periodicamente rimessele dalla parte attrice”” (cosi’ nell’intestazione).

 

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Premette la ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado essa aveva rappresentato che, “a seguito del… riconteggio dell’aggiornamento del canone sulla base degli indici Istat, secondo il criterio della c.d. variazione assoluta” era emerso che la conduttrice (OMISSIS) non aveva corrisposto integralmente i canoni, nella misura correttamente aggiornata, relativi al periodo gennaio 2009/settembre 2012 con la conseguenza che era rimasto dovuto per quel periodo un residuo di complessivi Euro 135.080,04, oltre Iva e interessi.
Rimarca che l’esistenza di tale residuo credito era stata ribadita sia nella memoria integrativa dell’8 dicembre 2013, sia nella memoria conclusiva depositata avanti il tribunale in data 30 gennaio 2015.
Riferisce quindi che, avendo il tribunale omesso di pronunciare sul punto ed essendosi essa di tale omissione doluta con specifico motivo di gravame, la corte d’appello lo ha rigettato sul rilievo che “dall’esame dell’articolata ordinanza ex articolo 186-ter c.p.c., del 31 luglio 2013, confermata in sentenza, a pagina 2-3, si rileva che il primo giudice rigetto’ l’istanza di aggiornamento ISTAT in quanto il credito “non e’ assistito da sufficiente fumus boni juris (e correlativamente le eccezioni della convenuta sono assistite da prova scritta) perche’ non si e’ ad oggi documentato il ricevimento delle comunicazioni (recettizie agli effetti dell’articolo 1334 c.c.) prodotte in copia all. 5-9 al fascicolo dell’ (OMISSIS))”. Non sussiste pertanto alcun vizio di omessa pronuncia avendo il primo giudice respinto la domanda, nel merito, della Immobiliare per omessa prova di aver richiesto alla conduttrice gli aggiornamenti ISTAT nel periodo in esame nei diversi nuovi importi richiesti nell’atto di intimazione”.
Osserva in proposito la ricorrente che, in realta’, l’esposto rilievo era bensi’ contenuto nella ordinanza interinale del 31 luglio 2013 ma fotografava una situazione processuale superata da successiva produzione documentale ed era anche contrastato da quanto affermato, nella stessa sentenza di primo grado, nella successiva pag. 4, ove il tribunale dava atto che “la convenuta non ha effettivamente ne’ specificatamente contestato di aver ricevuto le comunicazioni di aggiornamento ISTAT del canone base, periodicamente rimessele dalla parte attrice”.

 

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Da qui la censura di violazione dell’articolo 2909 c.c., dedotta sull’assunto che sulla affermazione teste’ trascritta, in mancanza di impugnazione incidentale da parte dell'(OMISSIS), si era formato un giudicato (interno) erroneamente obliterato dalla Corte d’appello.
4. Il motivo e’ inammissibile e, comunque, infondato.
4.1. Risulta invero inosservato l’onere di specifica indicazione, dettato a pena di inammissibilita’ dall’articolo 366 c.p.c., n. 6, dell’atto evocato a supporto della censura di violazione del giudicato interno.
L’inosservanza dell’onere predetto e’ determinata anzitutto dalla omessa riproduzione del contenuto integrale della sentenza richiamata (indispensabile al fine di poter apprezzarne, attraverso il necessario esame congiunto di motivazione e dispositivo, il contenuto e la sussistenza di statuizioni effettivamente vincolanti in questa sede: v. Cass. n. 26627 del 13/12/2006; n. 26627 del 13/12/2006) e discende, comunque, dalla omessa localizzazione del documento con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente e dalla omessa precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimita’ (v. giurisprudenza sopra richiamata).
4.2. Il motivo e’ comunque infondato, non potendosi attribuire forza di giudicato a un mero passaggio argomentativo che non trova corrispondenza nel contenuto performativo della decisione, tanto meno coerente con la tesi sostenuta dalla parte.
Occorre al riguardo rammentare che il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicche’ l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, cosi’ espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (v. ex aliis Cass. n. 10760 del 17/04/2019; n. 24783 del 08/10/2018; n. 12202 del 16/05/2017).

 

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Tanto meno un giudicato interno puo’ nella specie affermarsi con riferimento al menzionato passaggio motivazionale contenuto nella sentenza di primo grado nella quale la domanda della societa’ (di riconoscimento di maggiori importi a titolo di ricalcolato aggiornamento del canone) non ha trovato accoglimento.
5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, articolo 32.
5.1. Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui, sempre con riferimento alla pretesa di maggiori importi a titolo di aggiornamento (ricalcolato) del canone, ha rilevato, alla stregua di motivazione aggiuntiva (“ma v’e’ di piu'”), che:
a) a fronte delle lettere raccomandate con le quali la locatrice aveva, piu’ volte, tra il 2009 e il 2011, chiesto l’adeguamento del canone determinando i relativi nuovi importi, (OMISSIS) aveva provato “di aver sempre pagato quanto richiesto a tale titolo”;
b) la pretesa dell’appellante di richiedere successivamente nuovi aggiornamenti non puo’ trovare accoglimento “perche’ vi e’ in atti la prova dell’esatto adempimento dell’obbligazione pecuniaria da parte dell’appellata nel rispetto dell’articolo 5 del citato contratto; non vi e’ quindi alcuno spazio ermeneutico a riguardo per una diversa interpretazione della clausola di salvaguardia pattiziamente convenuta, ne’ vi e’ stata alcuna rinuncia del locatore a tale diritto all’adeguamento del canone”;
c) con le raccomandate in atti l’appellante ha fatto valere tempestivamente ogni anno il suo diritto agli aggiornamenti Istat, non piu’ oggetto di discussione tra le parti negli importi corrisposti dall'(OMISSIS) secondo le previsioni contrattuali”;
d) “null’altro e’ pertanto dovuto a titolo di arretrati dell’aggiornamento Istat gia’ riscossi ponendosi la richiesta quale condizione per il sorgere del diritto senza che l’appellante possa richiedere, dopo l’avvenuto pagamento dei canoni aggiornati, altre somme a tale titolo, il cui conteggio, in questa sede, e’ stato contestato ex adverso, anche sotto tale diverso profilo”.

 

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5.2. Tale parte della motivazione e’ sintetizzata dalla ricorrente in questi termini: “secondo la Corte d’appello… se il locatore nella sua periodica richiesta di aggiornamento del canone commettesse un errore materiale nella indicazione della somma a lui dovuta a tale titolo chiedendo (come avvenuto nel caso de quo) meno di quanto gli spetta (ad esempio 100 Euro anziche’ 1000 Euro), tale errore non sarebbe mai emendabile a posteriori, perche’ la sua richiesta di aggiornamento varrebbe si’ della L. n. 392 del 1978, ex articolo 32, come condizione dell’aggiornamento Istat, ma nei soli limiti della minor somma (erroneamente) indicata nella sua richiesta”.
5.3. In tali termini intesa la decisione impugnata incorre, secondo la ricorrente, nella denunciata violazione dell’articolo 32 L. eq. can., dovendosi da tale disposizione trarre – essa assume – la regola opposta secondo cui unica condizione per la maturazione del diritto all’aggiornamento del canone e’ la periodica richiesta di tale aggiornamento, non anche l’indicazione del quantum specifico ritenuto dovuto, sicche’ il conteggio esatto della somma effettivamente dovuta a titolo di aggiornamento (nel caso di specie secondo il criterio della c.d. variazione assoluta) si pone come una attivita’ che rimane meramente contabile, accessoria e consequenziale rispetto alla richiesta di aggiornamento, senza cioe’ assurgere a presupposto del relativo diritto; con la ulteriore conseguenza che, se, per un errore di calcolo, il conteggio della somma indicata nella richiesta del locatore conduce ad una somma inferiore a quella ex lege dovuta, essa ben puo’ essere suscettibile di integrazione e rettifica postuma, come e’ avvenuto nel caso in esame, a maggior ragione se non vi e’ stata alcuna rinuncia.
6. Il motivo e’ infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui l’aggiornamento Istat non opera in maniera automatica ma presuppone una necessaria specifica richiesta del locatore (“In base alla L. n. 392 del 1978, articolo 32, cosi’ come novellato dal Decreto Legge 7 febbraio 1985, n. 12, articolo 1, comma 9, sexies convertito in L. 5 aprile 1985, n. 118, il locatore, su conforme pattuizione con il conduttore, e’ abilitato a richiedere annualmente l’aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta; pertanto, e’ contraria al disposto normativo la clausola che preveda una richiesta preventiva dell’aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni ISTAT che interverranno nel corso del rapporto ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e cio’ perche’ la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto”: v. ex multis Cass. n. 24753 del 07/10/2008; n. 2417 del 07/02/2005; v. anche Cass. n. 14673 del 02/10/2003, secondo cui “in tema di locazione, la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso puo’ pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati”).
La richiesta di aggiornamento deve essere specifica: non e’ prevista una richiesta indeterminata di aggiornamento.

 

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L’aggiornamento scatta, dunque, se e in quanto richiesto e, conseguentemente, nella misura richiesta.
La norma contenuta nella L. n. 392 del 1978, articolo 32, comma 2 (nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dapprima dal Decreto Legge 7 febbraio 1985, n. 12, articolo 1, commi 9-bis, convertito con modificazioni dalla L. 5 aprile 1985, n. 118, e poi Decreto Legge 30 dicembre 2008, n. 207, articolo 41, comma 16-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14) a mente della quale “Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all’articolo 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati” stabilisce – come si ricava univocamente dal testo (“non possono essere superiori”) e come altrettanto esplicitamente confermato anche dal successivo comma 3, che definisce quello dettato dal comma 2 come un “limite di aggiornamento” – solo un limite massimo alla misura dell’aggiornamento richiesto, ma non indica affatto anche un limite minimo ne’ intende determinare in modo fisso e inderogabile la misura dell’aggiornamento in guisa tale da prevederlo quale effetto automatico della mera richiesta di aggiornamento, ancorche’ indeterminato o addirittura indicato in misura inferiore.
Tanto meno si puo’ ricavare dalla detta disciplina uno jus poenitendi in capo al locatore in ordine alla misura dell’aggiornamento richiesto, tale da consentirne successive correzioni con effetto retroattivo.
In presenza degli altri presupposti, al locatore puo’ essere consentito solo di effettuare una successiva richiesta di aggiornamento del canone, da valere pero’ per i canoni ad essa successivi, non certo per quelli precedenti e gia’ scaduti.

 

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7. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un punto decisivo della controversia che e’ stato oggetto di discussione tra le parti relativamente alla quantificazione dell’aggiornamento del canone secondo l’indice Istat nel periodo gennaio 2009 – settembre 2012”.
7.1. Il motivo riguarda lo stesso passaggio motivazionale gia’ fatto segno del secondo motivo (e sopra trascritto al § 5.1, lettera d)) e in particolare l’affermazione secondo cui il conteggio (relativo al maggior importo preteso per aggiornamento) “e’ stato contestato ex adverso, anche sotto tale diverso profilo”.
7.2. Deduce, la ricorrente, l’erroneita’ oltre che la genericita’ di tale assunto, rilevando che sul punto, sia in primo grado che in appello, controparte si era limitata ad opporre argomentazioni difensive del tutto generiche e meramente formali.
Osserva, quindi, che “l’avvenuta contestazione in se’ non poteva condurre di certo in via automatica al rigetto della domanda, visto che la questione del conteggio doveva pur sempre essere necessariamente affrontata nel merito dal Giudice con una motivazione espressa”.
8. Il motivo e’ assorbito dal rigetto del secondo motivo.
Esso comunque avrebbe dovuto dirsi inammissibile.
Ne e’ infatti evidente l’estraneita’ al paradigma censorio di cui all’evocato dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Varra’ in proposito rammentare che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione (introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

 

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Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/204, nn. 8053 e 8054).
Nella specie, la censura omette di evidenziare un “fatto storico” e decisivo, il cui esame sia stato omesso, ma si limita a denunciare una supposta insufficienza motivazionale per non avere “affrontato nel merito” la questione del conteggio.
9. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione degli articoli 1224, 1226 e 2697 c.c., con riguardo alla ritardata disponibilita’ delle somme dovute a titolo di canoni locatizi”.

 

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9.1. Premette la ricorrente che:
– con la domanda introduttiva, aveva chiesto il risarcimento del danno da ritardo nel pagamento delle somme dovute;
– con il secondo motivo di appello essa si era doluta della mancata pronuncia, da parte del primo giudice, su tale domanda e, “in ogni caso”, della erroneita’ della decisione sul punto;
– la corte d’appello ha respinto tale motivo rilevando che: a) il primo giudice aveva esaminato la domanda, respingendola; b) tale decisione resisteva alla censura dell’appellante atteso che “dall’esame del documento sub 13 prodotto in prime cure risulta… che l’appellante stipulo’ il mutuo fondiario in data 17 luglio 2007 obbligandosi al pagamento di 30 rate di mutuo nell’importo di Euro 305.601,38…” ed “e’ di tutta evidenza che tali obbligazioni dell’appellante con la Banca sono sorte in epoca ben precedente alla morosita’ dell’appellata e non vi e’ pertanto alcuna prova di un maggior danno connesso all’accertato inadempimento della conduttrice, ne’ dell’asserito ricorso dell’appellante a finanziamenti di terzi per far fronte al pagamento del predetto mutuo”.
9.2. Sostiene la ricorrente che, invece, la corte territoriale, in applicazione del principio affermato da Cass. Sez. U. n. 19499 del 2008, avrebbe dovuto riconoscerle de plano, in quanto impresa operante nel campo immobiliare, il diritto ad ottenere gli interessi moratori in misura pari alla eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’articolo 1284 c.c..

 

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Cio’ a ristoro del danno da ritardo che essa afferma anzi essere, in realta’, ben maggiore, vista la consistenza degli importi complessivamente ritardati nei pagamenti da (OMISSIS) (per ben Euro 1.297.164,96) e considerato che le rate del mutuo di 6 milioni di Euro che era stato acceso nel 2007 con iscrizione di ipoteca proprio sull’immobile locato all'(OMISSIS), avrebbero dovuto essere in gran parte assorbite proprio dall’incasso del canone mensile del relativo contratto di locazione.
Rileva che la circostanza in senso contrario valorizzata dalla Corte d’appello, ossia l’anteriorita’ cronologica del mutuo rispetto alla maturazione della morosita’ di (OMISSIS) (intervenuta tra il 2009 e il 2013), semmai rafforzava – e non indeboliva – la prova del maggior danno.
10. La censura e’ inammissibile.
Le Sezioni Unite, nel richiamato arresto, si sono, com’e’ noto, cosi’ espresse: “Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, puo’ ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualita’ soggettiva o l’attivita’ svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avra’ l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualita’ di imprenditore, avra’ l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttivita’ della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avra’ invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale”.

 

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Il principio e’ stato successivamente chiarito da questa Corte a sezione semplice, circa gli oneri di allegazione e prova, nei termini appresso esposti, qui pienamente condivisi:
“La dimostrazione del saggio medio di rendimento dei titoli di stato di durata non superiore a quella annuale, considerata la natura del dato e la sua facile accessibilita’, se non altro tramite riscontro presso l’istituto di emissione (Banca d’Italia), (puo’) considerarsi sostanzialmente, ai fini della prova, come fatto notorio e, dunque, non necessariamente da provarsi da parte del creditore. Invece, l’allegazione della debenza della rivalutazione alla sua stregua, inerendo ai fatti costitutivi della domanda di riconoscimento della stessa, deve considerarsi necessariamente parte dell’onere di allegazione del creditore istante, in quanto espressione del principio della domanda. Occorre, dunque, che il creditore, nel proporre la domanda, indichi come fatto costitutivo della stessa, l’esistenza di una situazione di superamento, per il periodo della mora, del tasso annuale degli interessi legali da parte del detto tasso medio di rendimento dei titoli di stato a durata non superiore all’anno. In mancanza di tale allegazione la domanda risulterebbe priva di deduzione dei fatti costitutivi e sarebbe affetta da nullita’ per mancanza di indicazione degli stessi e precisamente, vertendosi in tema di diritto di credito ad una prestazione di genere, e, dunque, di domanda relativa a diritto c.d. eterodeterminato per mancanza del requisito dell’esposizione dei fatti di cui dell’articolo 163 c.p.c., n. 4 (articolo 164 c.p.c., comma 4).
“Si puo’, per converso, ammettere che l’eventuale deduzione come fatto costitutivo della domanda di maggior danno di un criterio di impiego del danaro che avrebbe garantito una certa redditivita’ maggiore rispetto al tasso degli interessi, qualora non accompagnata dalla dimostrazione presuntiva dei fatti giustificativi del reimpiego tramite il meccanismo presuntivo adombrato dalle Sezioni Unite, potrebbe essere ritenuta di per se’ implicare l’allegazione in via subordinata della debenza almeno del maggior danno secondo il criterio del rendimento medio dei titoli di stato di durata non superiore all’anno” (Cass. n. 6684 del 19/03/2018).

 

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Ebbene, nella prospettazione del ricorso non si e’ allegato se la domanda di riconoscimento del maggior danno fosse stata, ab initio, proposta con l’invocazione di quest’ultimo criterio, ne’ che lo fosse stata con l’allegazione di un criterio specifico di reimpiego del danaro.
Il riferimento alla possibile destinazione delle somme a far fronte alle rate di un mutuo pregresso appare bensi’ trattato in sentenza ma non se ne deduce da parte del ricorrente che esso facesse anche parte delle allegazioni iniziali, svolte a fondamento della domanda in primo grado.
Ne segue che il motivo di ricorso non puo’ giustificare la cassazione della sentenza in quanto non ne e’ dimostrata la decisivita’, atteso che non e’ stato indicato ne’ che il ricorrente aveva invocato come fatto costituivo della domanda di riconoscimento del maggior danno il criterio c.d. della debenza minimale della differenza fra il tasso legale degli interessi e quello medio di rendimento dei titoli di stato a durata non superiore ad un anno, ne’, invece, un criterio specifico di reimpiego delle somme giustificativo del riconoscimento del maggior danno in misura maggiore. In tale situazione il motivo non si presenta idoneo a giustificare la cassazione della sentenza impugnata, perche’ se la domanda fosse stata proposta senza alcuna di dette specificazioni l’esclusione del riconoscimento almeno secondo il criterio di cui alla sentenza delle Sezioni Unite potrebbe essere stata giustificata per mancanza di allegazione dei relativi fatti costitutivi.
Ne’ puo’ rilevare che in appello tale prospettazione sia stata esaminata nel merito, senza rilevarne la novita’ e quindi la inammissibilita’ ex articolo 345 c.p.c..

 

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Va al riguardo ribadito, infatti, che l’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c. e, correlativamente, dell’obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, e’ rilevabile, anche d’ufficio, in sede di legittimita’, con la conseguenza che la S.C., rilevata la inammissibilita’ dell’appello sul quale ha pronunciato la sentenza impugnata in violazione dell’indicato divieto, deve correggere la motivazione, in caso di rigetto nel merito della domanda stessa. Ne consegue altresi’ che, in caso di riconoscimento, in sede di legittimita’, di tale inammissibilita’, non essendo la statuizione adottata al riguardo dal giudice di seconde cure, nonche’ gli apprezzamenti di fatto e le relative considerazioni in diritto, suscettibili di passare in giudicato, difetta l’interesse alla impugnazione per cassazione di detta statuizione o di detti apprezzamenti e considerazioni (Cass. n. 22786 del 06/12/2004).
11. Con il quinto motivo di ricorso la (OMISSIS) S.r.l. deduce, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1223, 1224, 1226, 1591, 2697 e 2729 c.c., con riguardo alla domanda di risarcimento del danno da perdita di chance a causa della ritardata restituzione dell’immobile”.

 

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11.1. Premette la ricorrente che:
– con la domanda introduttiva, aveva chiesto il risarcimento del danno da ritardato rilascio dell’immobile (avvenuto solo in data 16/12/2013) e perdita di chance in relazione ad altra proposta di locazione ricevuta il 22/7/2013, da liquidarsi in via equitativa ex articoli 1226 e 2056 c.c., tenendo conto che la chance perduta avrebbe garantito per ben sei anni (a partire dal 1 settembre 2013) un introito annuo pari a ben Euro 1.200.000,00;
– con il secondo motivo di appello essa si era doluta della mancata pronuncia, da parte del primo giudice, su tale domanda e, “in ogni caso”, della erroneita’ della decisione su punto;
– la Corte d’appello ha respinto tale motivo rilevando che:
a) il primo giudice aveva esaminato la domanda, respingendola;
b) “dato atto del pagamento della somma di Euro 793.837,85, da parte dell'(OMISSIS) con bonifico bancario del 20.9.2013 ammesso dalla stessa appellante nella suddetta memoria, non puo’ attribuirsi alcun valore probatorio alla proposta di locazione di tale Ente avvenuta il 22 luglio 2013 allorquando era ancora in corso il giudizio innanzi al tribunale con le difficolta’ di trasloco degli uffici pubblici operanti nel fabbricato, proposta priva di adeguate garanzie patrimoniali, proveniente da soggetto peraltro controllante una partecipazione al 100% nella immobiliare. A cio’ aggiungasi che il primo giudice, proprio in considerazione delle oggettive difficolta’ di trasloco, pur dichiarando inammissibile l’istanza di proroga del termine per il rilascio avanzata dall'(OMISSIS) con l’istanza di differimento dell’8 luglio 2013, con l’ordinanza riservata del 1 agosto 2013 rinvio’ la causa al 29 novembre 2013 accogliendo la richiesta di ingiunzione di pagamento ex articolo 186-ter c.p.c., condannando l'(OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 771.533.55 a titolo di canoni locativi scaduti dal mese di ottobre 2012 al mese di giugno 2013 oltre interessi legali sull’importo di ciascuna mensilita’, ordinanza integralmente confermata nella sentenza appellata”.

 

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11.2. La ricorrente lamenta che, cosi’ motivando, la corte di merito ha sostanzialmente disapplicato il principio secondo cui “il maggior danno ex articolo 1591 c.c., deve essere provato in concreto dal locatore, anche mediante il ricorso a presunzioni”, atteso che:
– il danno patrimoniale da perdita di chance consiste non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita definitiva della possibilita’ di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilita’ in termini di conseguenza dannosa potenziale (Cass. 17/04/2008, n. 10111);
– a fronte della prova documentale offerta, dalla quale – afferma -emergeva la perdita della chance di locare l’immobile gia’ da settembre 2013 ad un canone piu’ redditizio, risulta contraria a diritto “l’idea suggerita dalla Corte d’appello secondo la quale la proposta di locazione considerata, ancorche’ non contestata nella sua essenza e provenienza dal Segretario Generale della Federazione Nazionale Pensionati (la quale e’ una associazione e non una societa’ e che e’ notoriamente solvibile, avendo un bilancio pubblico di svariati milioni di Euro), non avrebbe attribuito alcuna appezzabile e concreta chance in favore della (OMISSIS), posto che per sua natura “il concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato” (cfr. Cass. Sez. III, 09/03/2018, n. 5641) e non di certo la sua certezza”.
In sostanza la corte romana avrebbe, secondo la ricorrente, violato i principi di diritto in tema di danno da perdita di chance fondando il proprio convincimento “su una (in realta’ irrilevante) pretesa carenza di prova al riguardo della certezza del futuro perfezionamento del nuovo contratto di locazione con la FNP circostanza che avrebbe semmai potuto rilevare in via teorica nella quantificazione del danno e non di certo ai fini della sua negazione assoluta”.

 

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Sotto altro profilo (poi ripreso con il sesto motivo) rileva che la supposta (in sentenza) inaffidabilita’ dell’offerta (perche’ “priva di adeguate garanzie patrimoniali”) non era stata in realta’ nemmeno dedotta da (OMISSIS), la quale nelle sue difese si era limitata ad ipotizzare l’inaffidabilita’ dell’offerta solo quale conseguenza di un supposto collegamento societario tra la FNP medesima e la (OMISSIS), in realta’ insussistente.
Sottolinea infine l’incomprensibilita’ del riferimento, in sentenza, a presunte “oggettive difficolta’ di trasloco” che avrebbe avuto (OMISSIS), di cui non vi e’ traccia alcuna in atti e ai provvedimenti adottati dal tribunale con ordinanza del 31 luglio 2013.
12. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti e concernente la presunta incapacita’ probante attribuita dalla corte d’appello alla proposta di locazione della FNP del 22.7.2013 ai fini dell’esame della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance”.
Lamenta che la negazione, in sentenza, di alcun valore probatorio alla proposta di locazione avanzata dall’F.N.P. in data 22 luglio 2013, e’ motivata con affermazioni – quelle gia’ menzionate nell’illustrazione del precedente motivo – “del tutto apodittiche e contenenti addirittura macroscopici errori in punto di fatto”.
13. I motivi quinto e sesto, congiuntamente esaminabili in quanto strettamente connessi, si appalesano: il primo, in parte infondato, in parte inammissibile; il secondo inammissibile.
13.1. L’assunto, posto a fondamento del primo motivo – secondo cui il danno risarcibile conseguente al ritardato rilascio dell’immobile ex articolo 1591 c.c., non richiederebbe prova certa dell’esistenza del pregiudizio ma potrebbe essere integrato anche solo dalla perdita di chance di conseguire un maggior reddito locativo – prima ancora che destituito di fondamento sul piano giuridico, si appalesa frutto un evidente equivoco logico-concettuale circa la nozione e la sostanza del danno da perdita di chance, che, invece, rettamente inteso, non puo’ avere alcuno spazio nell’ipotesi considerata.

 

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13.1.1. Sotto il primo profilo, varra’ rammentare che, ai sensi dell’articolo 1591 c.c., “il conduttore in mora nella restituzione della cosa e’ tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.
Secondo pacifica interpretazione, quella disciplinata dalla prima parte di detta norma e’ un’obbligazione risarcitoria da inadempimento contrattuale, normativamente determinata, salvo il risarcimento dell’eventuale maggior danno (previsto nell’ultimo inciso), da dimostrare in concreto (v. da ultimo Cass. 16/07/2019, n. 18946; v. anche Cass. 07/02/2006, n. 2525; 24/05/2003, n. 8240; ed ancora piu’ remote Cass. 07/06/1995, n. 6368; 27/10/1966, n. 2660).
L’articolo 1591 c.c., assicura, in altre parole, al locatore danneggiato dalla ritardata restituzione, una liquidazione automatica del danno, incentrata sulla presunzione secondo cui esso deve essere almeno pari al canone precedentemente pagato. Trattasi di presunzione assoluta, che non ammette prova contraria, se non in senso piu’ favorevole al locatore (Cass. n. 18946 del 2019; n. 6368 del 1995; n. 2660 del 1966, citt.): il conduttore in mora non puo’ eccepire che il danno subito dal locatore e’ inferiore alla misura del canone, ma deve continuare a versare quest’ultimo, quale corrispettivo di una prosecuzione – non voluta dal locatore – della relazione di godimento con la res non ancora restituita.
Il canone convenuto costituisce, quindi, solo il parametro di riferimento per la quantificazione del risarcimento minimo spettante; versando il relativo importo, il conduttore che continua ad occupare l’immobile dopo la cessazione del contratto, non adempie l’obbligazione di “dare il corrispettivo nei termini convenuti” (ai sensi dell’articolo 1587 c.c., n. 2), bensi’ risarcisce un danno da mora, cosi’ adempiendo un’obbligazione risarcitoria che si sostituisce a quella contrattuale di pagamento del canone (Cass. n. 2525 del 2006; n. 8240 del 2003, citt.) e che costituisce, pertanto, debito di valore (v. Cass. 03/10/2013, n. 22592; 10/03/2010, n. 5843, sia pure non con riferimento all’articolo 1591 c.c.; in senso contrario, ma solo sulla specifica questione della natura del debito, ritenuto di valuta anziche’ di valore, ferma la sua funzione risarcitoria su fondamento contrattuale, Cass. 20/06/2017, n. 15146; 14/02/2006, n. 318).

 

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Per converso il maggior danno, secondo piu’ che consolidato indirizzo, deve essere concretamente provato dal locatore, richiedendosi la specifica prova dell’esistenza del danno medesimo, in rapporto alle condizioni dell’immobile, alla sua ubicazione e alle possibilita’ di nuova sua utilizzazione, nonche’ all’esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsene il godimento dietro corrispettivo, dalle quali emerga il verificarsi di un’effettiva lesione del patrimonio (v. ex multis Cass. n. 18946 del 2019, ci’t.; Cass. 12/12/2008, n. 29202; 16/09/2008, n. 23720).
13.1.2. In tale contesto nessuno spazio, come si diceva, puo’ trovare la prospettazione di un danno da perdita di chance.
Evocando tale figura la ricorrente sembra volerne cogliere l’essenza – e la differenza rispetto al danno da perdita di concrete, effettive e attendibili possibilita’ di piu’ vantaggioso sfruttamento locativo dell’immobile – su di un piano probatorio, come se l’ingresso di tale figura di danno nel panorama giurisprudenziale dovrebbe tradursi, nella specifica materia, nell’ammettere piu’ elastici e meno severi requisiti probatori, ovvero la risarcibilita’ del maggior danno ove si provi non gia’ la certa esistenza di piu’ lucrose offerte ma anche solo la possibilita’ della loro esistenza.
13.1.2.1. Un tale assunto non puo’ essere avallato anzitutto perche’ equivarrebbe in sostanza a riconoscere un danno in re ipsa, cio’ che e’ invece, come si e’ visto, pacificamente escluso possa farsi con riferimento al maggior danno previsto dall’articolo 1591 c.c., la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte essendo peraltro giunta, ormai in piu’ occasioni, a negare in radice la configurabilita’ di un danno figurativo in re ipsa anche in ogni altra ipotesi di danno da occupazione abusiva di immobile (v. Cass. n. 13071 del 25/05/2018; n. 31233 del 04/12/2018; n. 11203 del 24/04/2019; n. 28163 del 31/10/2019).

 

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13.1.2.2. Il ragionamento della ricorrente e’ pero’ fallace non solo per questo motivo, ma ancor prima per la erronea comprensione del concetto di danno da perdita di chance, il quale e’ danno distinto da quello da perdita definitiva del vantaggio atteso non perche’ connotato da minore gradiente causale o probatorio, ma per ragioni legate alla sua stessa essenza.
Chance, infatti, e’ bensi’ (soltanto) la possibilita’ di conseguire un risultato vantaggioso (ovvero di evitarne uno sfavorevole), ma il termine implica anche e soprattutto incertezza e l’incertezza e’ la cifra che connota, come dato essenziale, il concetto anche nelle sue declinazioni giuridiche.
L’essenza della figura e’, dunque, rappresentata da una condizione di insuperabile incertezza eventistica.
La chance (tanto di carattere patrimoniale quanto non patrimoniale) resta confinata nelle relazioni incerte tra eventi non interdipendenti, in quanto non causalmente collegati da una “legge di connessione”.
Per converso se una tale connessione e’ possibile non si ricade piu’ nel campo della chance ma in quello della relazione causale tra condotta ed evento di danno (inteso come lesione piena ed effettiva dell’interesse avuto di mira) (v. sul tema, con riferimento alla perdita di chance a carattere non patrimoniale, ma con argomenti spendibili anche in ambito patrimoniale: Cass. n. 28993 del 11/11/2019 e, prima ancora, Cass. n. 5641 del 09/03/2018; Cass. n. 6688 del 19/03/2018).

 

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Cio’ posto appare dunque evidente che, nel caso del danno da ritardata restituzione dell’immobile locato ex articolo 1591 c.c., non puo’ esservi spazio per una risarcibilita’ del danno da perdita di chance, non potendo predicarsi una assoluta, aprioristica e insuperabile incertezza circa la sua sussistenza, tutto risolvendosi in un problema di prova (che in astratto non puo’ certo dirsi impossibile come nel caso in cui tra la situazione data e il danno ipotizzato non sussista nemmeno in astratto alcuna diretta relazione: es. nel caso, noto alla giurisprudenza del lavoro, del candidato illegittimamente escluso da un concorso rispetto alla mancata nomina al posto messo a concorso).
Se la prova e’ data, anche per presunzioni, allora il danno sara’ risarcibile nella sua pienezza; se tale prova non c’e’, il danno non potra’ essere risarcito perche’ non sussiste, nemmeno come sua anticipata proiezione in termini di chance.
13.2. Quanto alle altre censure svolte nel quinto e poi nel sesto motivo, al di la’ del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del quinto motivo, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, Pubi consistam delle stesse deve individuarsi nella negata congruita’ dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa.
Si tratta, come appare manifesto, di argomentazioni critiche dirette a censurare la ricognizione della fattispecie concreta, di necessita’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.
13.3. Pur riguardate in tale diversa prospettiva, come del resto richiesto con il sesto motivo, le censure si appalesano generiche e meramente oppositive e, comunque, inosservanti dei requisiti – gia’ sopra ricordati (v. § 8) – necessari perche’ le sesse possano scrutinarsi quale denuncia di vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti.
14. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere, in definitiva, rigettato.
Stante la mancata tempestiva notifica del controricorso, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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