Locazione di terreni demaniali

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|21 ottobre 2021| n. 29344.

Locazione di terreni demaniali .

La concessione in godimento a privati mediante contratto di locazione di terreni gravati da uso civico è valida a condizione che la destinazione concreta impressa al bene sia conforme all’esercizio del predetto uso e la stessa sia temporanea e tale da non determinare l’alterazione della qualità originaria del bene. In mancanza di tali requisiti – l’onere di provare i quali grava sulla parte che intende far valere in giudizio diritti derivanti dal contratto – quest’ultimo è nullo per contrasto con norma imperativa. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di appello che aveva ritenuto validamente concesso in locazione un immobile appartenente al demanio civico senza accertare la concreta destinazione impressa ad esso con il contratto).

Sentenza|21 ottobre 2021| n. 29344

Data udienza 9 giugno 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione di terreni demaniali – Inadempimento contrattuale – Rilascio del terreno – Pagamento dei canoni – Presupposti – Beni gravati da usi civici – Legge 1766 del 1927 – Criteri – Regio decreto 332 del 1928 – Onere della prova – Articoli 1418 e 1419 cc – Cause di nullità del contratto – Articolo 1339 cc – Risoluzione contrattuale – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 14828 del 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32645/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Amministrazione dei beni demaniali della frazione di Acquavella (SA), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), e dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, n. 105/2018 depositata il 5 aprile 2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;
lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, formulate ai sensi e con le modalita’ previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 218/2015, depositata in data 11/5/2015, il Tribunale di Vallo della Lucania dichiaro’ la risoluzione del contratto di locazione stipulato in data 22/6/2001 dall’Amministrazione dei beni demaniali della frazione di Acquavella, in qualita’ di locatore, e da (OMISSIS), in qualita’ di conduttore, per grave inadempimento di quest’ultimo, che fu quindi contestualmente condannato al rilascio dell’immobile oltre che al pagamento dei canoni maturati e maturandi fino all’effettivo rilascio.
2. Interpose appello il (OMISSIS) chiedendo, tra l’altro, per quel che ancora in questa sede interessa, dichiararsi la nullita’ del contratto di locazione, poiche’ relativo a bene gravato da uso civico, e per tal motivo rigettarsi la domanda di controparte. In subordine chiese il rigetto della domanda di risoluzione e, in via ulteriormente gradata, quantificarsi il dovuto in base al canone previsto in contratto.
3. In parziale accoglimento del gravame, esclusivamente in relazione a detto ultimo motivo, la corte d’appello ha ridotto l’ammontare delle somme dovute dall’appellante, confermando nel resto la decisione di primo grado.
In relazione alla eccepita nullita’ dei contratto ha infatti rilevato che “la giurisprudenza di legittimita’ ha ritenuto del tutto legittimo il trasferimento a privati del godimento dei beni di uso civico mediante atti di concessione amministrativa oppure contratti di locazione in base al rilievo che in tali ipotesi la durata del rapporto e’ predeterminata e non si registrano riflessi negativi sul carattere originario dei beni gravati da uso civico (cfr. motivazione Cass. n. 4694/1999)”.
4. Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso, affidato a quattro motivi, cui resiste l’intimata depositando controricorso.
In vista dell’odierna udienza, fissata per la trattazione, il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si da’ preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti ne’ il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, articoli 12 e segg. e articolo 21, comma 3 (Riordinamento degli usi civici), del Regio Decreto 26 febbraio 1928, n. 332, articolo 41, comma 1 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici) e della Legge Regionale Campania 17 marzo 1981, n. 11, articolo 2 (Norme in materia di usi civici), con conseguente nullita’ del contratto di locazione in applicazione dell’articolo 1418 c.c., commi 1 e 2.
Premesso che il terreno oggetto della locazione risulta inserito – tra i beni di uso civico, secondo la classificazione di cui alla L. n. 1766 del 1927, articolo 11 – nella categoria b), e che come tale e’ destinato allo sfruttamento agro-silvo-pastorale da parte dei nativi della Frazione Acquavella del Comune di Casal Velino, rileva -richiamando quanto gia’ dedotto con il terzo motivo di appello – che l’ente resistente, in quanto mero gestore dei predetti beni, non poteva porre in essere atti di disposizione o di mutamento di destinazione senza osservare il procedimento autorizzatorio previsto dalla legge medesima e dal relativo regolamento di attuazione: procedimento cui non poteva ritenersi equipollente il di contro eccepito mutamento di destinazione operato dal Comune di Casal Velino.
Censura il contrario opinamento espresso in sentenza, evocante a supporto l’arresto di Cass. n. 4694 del 1999 che ha affermato, in continuita’ con altri precedenti ivi citati, la legittimita’ del trasferimento a privati del godimento dei beni di uso civico, mediante atti di concessione amministrativa o contratti di locazione, in base al rilievo che “in tali ipotesi la durata del rapporto e’ predeterminata e non si registrano riflessi negativi sul carattere originario dei beni gravati da uso civico”.
Rileva che tale principio non e’ pertinente nella specie e deve anzi condurre alla conclusione opposta, dal momento che, in quel caso, si trattava di terreni non ancora assegnati all’una o all’altra categoria e, quindi, privi di una destinazione specifica, mentre in quello in esame il terreno risultava iscritto alla suindicata categoria b) e il contratto di locazione prevedeva una destinazione (industriale e/o artigianale) ad essa non conforme e, peraltro, tendenzialmente definitiva.
Sostiene che da quanto esposto e dall’inosservanza del prescritto procedimento autorizzatorio discende la nullita’ del contratto di locazione, e cio’: sia perche’ concluso in contrasto con norme imperative (nullita’ virtuale: articolo 1418 c.c., comma 1); sia perche’ mancante, l’oggetto, del requisito della commerciabilita’ (nullita’ strutturale: articolo 1416 c.c., comma 2).
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti”.
Lamenta l’omessa considerazione delle seguenti circostanze che, invece, per le ragioni illustrate nel primo motivo, avrebbero dovuto apprezzarsi come decisive:
a) non era intervenuto alcun procedimento amministrativo che autorizzasse il cambio di destinazione del bene civico;
b) il cambio di destinazione nondimeno attuato non era provvisorio;
c) l’uso previsto nel contratto di locazione alterava la qualitas soli originaria e la destinazione ex lege del bene.
Afferma che le prime due circostanze emergevano: da un lato, dalla nota della Regione Campania prot. n. 2015 del 18/12/2015, nella quale si attestava che “il terreno di uso civico censito in catasto al fgl. (OMISSIS) part.lla (OMISSIS) in agro del Comune di Casal Velino (SA) non e’ mai stato oggetto di mutamento di destinazione d’uso e tuttora e’ gravato da uso civico”; dall’altro, dalle stesse difese dell’ente locatore che, nella memoria integrativa in appello, aveva dedotto che il mutamento di destinazione da agricola ad artigianale/industriale del bene oggetto della locazione era stato disposto dal Comune di Casal Velino, con cio’ implicitamente ammettendo – sostiene il ricorrente -che il mutamento di destinazione fosse definitivo.
Quanto alla terza circostanza il ricorrente rileva che, nel proprio atto d’appello, egli aveva espressamente dedotto che il contratto ad uso artigianale alterava la qualitas soli del terreno conferendogli una destinazione incompatibile con l’utilizzazione agraria.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in subordine, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “violazione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2”.
Sostiene che la corte d’appello avrebbe dovuto richiedere alle parti di esplicitare le proprie posizioni difensive sulla compatibilita’ del mutamento di destinazione e sulla natura definitiva, o non, del mutamento medesimo, perpetrato dall’ente locatore.
5. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la “nullita’ derivata dei capi della sentenza concernenti la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore, la condanna di lui al rilascio dell’immobile, al pagamento dei canoni scaduti e a scadere nonche’ alle spese di lite”.
In ragione della dedotta nullita’ del contratto di locazione invoca la cassazione della sentenza anche con riferimento ai predetti capi, “quale riflesso consequenziale della nullita’ dell’atto presupposto”.
6. Il primo motivo e’ fondato, nei termini appresso precisati.
6.1. Occorre rilevare in premessa che nessun accertamento risulta compiuto in sentenza con riferimento ai dati fattuali che il ricorrente enumera come ostativi alla validita’ del contratto di locazione. Gli unici elementi pacifici in causa, ovvero dati per presupposti in sentenza, sono la natura di bene pubblico soggetto ad uso civico del terreno de quo e la sua concessione in godimento all’odierno ricorrente con contratto di locazione. Nulla, invece, e’ detto circa la effettiva e specifica destinazione del bene stesso, ne’ circa la sua assegnazione ad una o all’altra delle categorie previste dalla L. n. 1766 del 1927, articolo 11, ne’, ancora, in ordine alla destinazione ad esso impressa con il contratto di locazione de quo.
6.2. Tuttavia, proprio il silenzio serbato in sentenza su tali aspetti della fattispecie concreta considerata rende erronea e, comunque, non giustificata la qualificazione giuridica che di essa e’ stata operata dal giudice a quo, il quale dunque incorre in error iuris, sub specie di falsa applicazione della legge.
Come s’e’ detto in narrativa, la corte d’appello ha respinto l’iterata eccezione di nullita’ del contratto di locazione e, dunque, per converso, ha ritenuto validamente concesso in locazione il terreno de quo, richiamando a supporto il precedente di Cass. n. 4694 del 1999, supponendo che da esso fosse traibile il principio per cui il trasferimento a privati del godimento dei beni di uso civico mediante atti di concessione amministrativa oppure contratti di locazione e’ da considerare, in buona sostanza, sempre legittimo, dal momento che “in tali ipotesi la durata del rapporto e’ predeterminata e non si registrano riflessi negativi sul carattere originario dei beni gravati da uso civico”.
La lettura in tali termini di tale precedente e’ pero’ errata ed errata e’, di conseguenza, anche la regola di giudizio che da esso e’ tratta per essere applicata al caso in esame, in cio’ situandosi per l’appunto l’errore di diritto evidenziato che e’ errore, ad un tempo, di individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie e, per converso, di sussunzione del fatto concreto cosi’ come accertato nella fattispecie astratta quale normativamente prevista.
6.3. Il caso esaminato da Cass. n. 4694 del 1999 riguardava una controversia tra l’Universita’ Agraria di Riano e la Regione Lazio sorta in ordine alla utilizzabilita’ – che la prima aveva chiesto accertarsi con sentenza dichiarativa da parte dell’adito Commissario per la liquidazione degli usi civici per il Lazio, l’Umbria e la Toscana – di terreno rientrante nel demanio d’uso civico, per essere destinato a cava di tufo, senza necessita’ dell’autorizzazione preventiva regionale, in difetto della assegnazione a categoria di cui all’articolo 14 della Legge.
Tale domanda era stata accolta.
Rigettando il ricorso proposto dalla Regione Lazio la S.C. ha confermato tale decisione sulla base di motivazione che conviene qui per esteso riportare nella parte che interessa.
“E’ vero che per la L. 16 giugno 1927, n. 1766, l’alienazione e qualsiasi mutamento definitivo di destinazione dei terreni soggetti a diritti d’uso civico sono consentiti solo se autorizzati dall’Autorita’ competente, a seguito di un procedimento particolare, essendo altrimenti il godimento di essi riservato esclusivamente alla comunita’ i cui componenti, come titolari di tali diritti, possono chiedere in ogni momento l’immediato reimpiego dei beni alla destinazione prevista dalla legge. Tuttavia e’ anche vero che i terreni demaniali eccedenti i bisogni della popolazione possano ricevere eccezionalmente una destinazione diversa da quella dell’esercizio dell’uso civico, purche’ tale destinazione sia temporanea e non determini l’alterazione della qualita’ originaria di essi.
“Questa Corte ha, pertanto, gia’ altre volte ritenute legittime, tra le destinazioni atipiche, quelle conseguenti al trasferimento a privati del godimento dei beni di uso civico mediante atti di concessione amministrativa o contratti d’affitto in base al rilievo che in tali ipotesi si abbia predeterminazione della durata del rapporto e, almeno normalmente, l’assenza di riflessi negativi sul carattere originario dei suoli (sent. nn. 2806 del 1995, 5187 del 1993, 2069 del 1983, 2600 del 1950).
“Nella specie il Commissario, avendo ritenuto legittime le concessioni per uso cave dei terreni d’uso civico, si e’ adeguato a questi principi, in quanto dagli elementi acquisiti al processo non e’ risultato che il trasferimento dei detti beni nel godimento di privati per periodi di tempo predeterminati abbia alterato la qualitas soli originaria e la sua destinazione ex lege, ne’ la stessa Regione ha evidenziato alcuna influenza negativa su tale qualita’ dei beni, essendosi limitata a sostenere la tesi del divieto di mutamento di destinazione prima dell’assegnazione dei terreni a categoria (L. n. 1766 del 1927, articolo 12), tesi non condivisibile perche’ il divieto senza autorizzazione riguarda la diversa ipotesi dell’alienazione e del mutamento definitivo della destinazione dei terreni di uso civico.
“Poiche’ l’impiego dei beni demaniali civici per uso temporaneo di cave di pietra non presuppone “l’assegnazione a categoria” ne’ la previa autorizzazione di cui della L. n. 1766 del 1927, menzionato articolo 12, nessuna ragione aveva il Commissario di esercitare i suoi poteri d’ufficio al fine di accertare se i terreni oggetto delle concessioni fossero stati o meno inclusi in una delle due categorie previste dalla norma”.
6.4. Si ricava dunque dalla esposta motivazione che detto precedente, cosi’ come quelli dallo stesso citati, lungi dal postulare una indiscriminata e aprioristica legittimita’, pur in assenza di autorizzazione concessa all’esito del previsto procedimento amministrativo, di ogni atto di concessione in godimento di beni di uso civico, la subordina al contrario al puntuale accertamento che: a) la destinazione concreta impressa al bene sia conforme all’esercizio dell’uso civico; b) ove invece sia diversa, la stessa sia comunque temporanea e tale da non determinare l’alterazione della qualita’ originaria di essi; limiti e presupposti, questi, chiaramente desumibili dalla L. n. 1766 del 1927 e segnatamente dall’articolo 12, comma 2, a mente della quale “I Comuni e le associazioni non potranno, senza l’autorizzazione del Ministero dell’economia nazionale, alienarli o mutarne la destinazione”.
Essendo l’atto dispositivo a porsi quale eccezione alla regola che riserva esclusivamente alla comunita’ il godimento del bene, e’ evidente che ove non si abbia sufficiente contezza del rispetto di detti limiti l’atto dispositivo andra’ considerato in contrasto con la previsione di legge.
Ed invero, in coerenza con tale ricostruzione, il precedente citato intanto conclude per la legittimita’ della destinazione concreta in quel caso impressa al bene di uso civico in quanto, e solo in quanto, come espressamente rimarcato, era risultato accertato in giudizio “che il trasferimento dei detti beni nel godimento di privati per periodi di tempo predeterminati non (aveva) alterato la qualitas soli originaria e la sua destinazione ex lege, ne’ la stessa Regione (aveva) evidenziato alcuna influenza negativa su tale qualita’ dei beni”.
Nel caso qui in esame un analogo accertamento non risulta invece compiuto, nemmeno per implicito, alla stregua di un eventuale, ma nella specie mancante, rilievo della natura incontroversa dei relativi presupposti.
Il risultato ne e’ stato che si e’ ritenuto rispettoso dei limiti dettati dalla legge la concessione in godimento di bene di uso civico in mancanza del previo accertamento dei requisiti suindicati, solo in presenza dei quali, invece, tale conformita’ avrebbe potuto predicarsi, cosi’ dunque sussumendosi nella previsione normativa astratta un fatto che, cosi’ come (allo stato) ricostruito, e’ diverso da quello previsto.
Tale accertamento andra’ dunque nuovamente condotto dal giudice del rinvio, ovviamente sulla base degli elementi ritualmente acquisiti al giudizio, mettendo conto al riguardo precisare che l’eventuale incertezza sul punto – ossia sulla conformita’ dell’atto dispositivo ai limiti entro i quali e’ per legge consentito – si risolverebbe in danno della parte che su di esso intende fondare i diritti azionati in giudizio.
Trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato spetta, infatti, a chi intende farlo valere in giudizio, secondo l’ordinaria regola di riparto dell’onere probatorio (articolo 2697 c.c.), dimostrarne la sussistenza, con riferimento a tutti i requisiti che ne consentano una valutazione di conformita’ alla fattispecie legale.
7. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e del terzo.
Ne discende invece l’accoglimento, ma solo in parte, del quarto.
Non puo’ invero revocarsi in dubbio che l’eventuale (accertanda) violazione dei limiti posti alla concessione in godimento del bene di uso civico – violazione conseguente, per quanto detto, anche alla sola incertezza in ordine alla conformita’ dell’atto ai requisiti detti – comporterebbe la nullita’ del contratto di locazione (in quanto strumento attraverso cui si realizza cio’ che invece e’ vietato dalla legge). Si tratterebbe, piu’ precisamente, di nullita’ per contrasto con norma imperativa (articolo 1418 c.c., comma 1), quale deve ritenersi quella dettata dalla citata disposizione, in quanto posta a tutela di sopraordinati interessi di natura pubblica (sulla rilevanza della natura pubblica dell’interesse tutelato, ai fini della individuazione del carattere imperativo della norma e della conseguente nullita’ dell’atto negoziale che ne determini violazione, v. Cass. Sez. U. 21/08/1972, n. 2697, ove e’ affermato il principio, tuttora incontrastato e al quale va data continuita’, secondo cui “poiche’ a norma degli articoli 1418, 1419 e 1339 c.c., il contratto e’ nullo quando e’ contrario a norma imperativa, salva l’eccezione di una diversa disposizione di legge, allorquando si sia in presenza di una norma proibitiva non formalmente perfetta, cioe’ priva della sanzione dell’invalidita’ dell’atto proibito, occorre specificamente controllare la natura della disposizione violata per dedurre la invalidita’ o la semplice irregolarita’ dell’atto e tale controllo si risolve nella indagine sullo scopo della legge ed in particolare sulla natura della tutela apprestata, se cioe’ di interesse pubblico o privato, senza che soccorra il criterio estrinseco della forma”; v. anche, conff., Cass. 27/11/1975, n. 3974; 18/07/2003, n. 11256; 30/12/2011, n. 30634).
Ne deriverebbe anche, per ulteriore conseguenza, l’impossibilita’ di pronunciare la risoluzione del contratto di locazione (la risoluzione contrattuale essendo coerente solo con l’esistenza di un contratto valido: v. Cass. Sez. U. 04/09/2012 n. 14828, a cui hanno fatto poi seguito, come noto, Cass. Sez. U., 12/12/2014, nn. 26242-3) e le connesse ulteriori statuizioni sui crediti che da tale contratto vengono fatti derivare.
8. Vanno in conclusione enunciati i seguenti principi di diritto: “La concessione in godimento, mediante contratto di locazione, di terreni demaniali soggetti ad uso civico e’ subordinata alla condizione che la destinazione concreta impressa al bene sia conforme all’esercizio dell’uso civico o, se diversa, che la stessa sia comunque temporanea e tale da non determinare l’alterazione della qualita’ originaria del bene. L’onere della prova della sussistenza di tali requisiti incombe sulla parte che intende far valere in giudizio diritti derivanti dal contratto. In mancanza il contratto deve ritenersi nullo per contrasto con norma imperativa”.
9. Difettando, allo stato, il preliminare necessario accertamento sulla sussistenza di dette condizioni la sentenza impugnata va pertanto cassata anche nella parte in cui ha confermato la risoluzione del contratto di locazione e le connesse ulteriori statuizioni sui crediti che da tale contratto vengono fatti derivare, con la sola eccezione dell’ordine di rilascio del terreno dal momento che questo trova, comunque, in un caso (nullita’ del contratto) o nell’altro (risoluzione per inadempimento), piena giustificazione.
9. In accoglimento, dunque, del primo e del quarto motivo di ricorso, nei termini e nei limiti sopra indicati, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, nei termini e nei limiti di cui in motivazione; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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