Consiglio di Stato, Sentenza|19 luglio 2021| n. 5433.
Legittimazione attiva all’impugnazione degli atti di una procedura ablativa.
Ai fini della legittimazione attiva all’impugnazione degli atti di una procedura ablativa non è essenziale che la relazione giuridica col bene immobile sia costituita dal diritto di proprietà, potendo anche essere integrata da un diritto reale (o personale) di godimento su cosa altrui -ossia da una relazione giuridica qualificata con il bene oggetto del provvedimento ablativo- tale da identificare una posizione giuridica soggettiva individualizzata e specifica che connoti un interesse all’annullamento dell’atto ablativo.
Sentenza|19 luglio 2021| n. 5433. Legittimazione attiva all’impugnazione degli atti di una procedura ablativa
Data udienza 13 luglio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Espropriazione per pubblica utilità – Provvedimento di acquisizione ex art 42 bis d.p.r. 327/2001 – Impugnazione atto della procedura ablativa – Legittimazione atti – Sussistenza – Condizioni – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3011 del 2014, proposto da Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Capua, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Um. Ge., con domicilio eletto presso lo studio Pa. Ca. in Roma, via (…);
contro
An. Me. Ma. non costituito in giudizio;
nei confronti
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quinta n. 06048/2013, concernente la richiesta di restituzione, previo ripristino dello stato iniziale dei luoghi, della parte di fondo occupato sine titulo ed il risarcimento danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2021, tenutasi ex art. 4 del d.l. n. 84 del 2020 e ex art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il Cons. Carmelina Addesso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Legittimazione attiva all’impugnazione degli atti di una procedura ablativa
FATTO
1.Con l’appello in epigrafe l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Capua (d’ora innanzi, I.D.S.C. di Capua) chiede la riforma della sentenza n. 6048/2013 del 28.12.2013 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. V, ha accolto il ricorso proposto dal signor An. Me. Ma., riconoscendo l’illegittima occupazione di un fondo-di proprietà dell’Istituto e detenuto dal ricorrente in forza di un contratto di affitto- da parte del Comune di (omissis) ed imponendo all’ente locale di determinarsi in ordine alla restituzione con riduzione in pristino o all’adozione del provvedimento di acquisizione ex art 42 bis d.p.r. 327/2001 con attribuzione al ricorrente dell’importo complessivo di euro10.571,93.
2. Il Comune di (omissis) – dovendo procedere alla regimentazione delle acque piovane – approvava un progetto per la realizzazione dei lavori (delibera di G.C. del 31.03.2008) e, successivamente, con delibera di G.C. n. 64 del 01.12.2009, previo accordo con il Comune di (omissis), disponeva una perizia di variante che rendeva necessaria l’occupazione anche di una porzione del terreno di proprietà dell’I.D.S.C. di Capua, sito nel territorio di (omissis) ed identificato al catasto terreni al foglio (omissis) particella (omissis).
2.1 Il fondo indicato era condotto in affitto dal sig. An. Me. Ma., subentrato nel contratto agrario stipulato tra il sig. Fr. Me. Ma. (genitore poi deceduto) e l’I.D.S.C. di Capua. La qualificazione come contratto di affitto del titolo costitutivo del diritto del Me. Ma. era stata sancita dalla sentenza del Tribunale di Nola n. 2763/2013, sezione agraria (che aveva ritenuto rinnovato per ulteriori quindici anni il contratto scaduto a maggio 2012) ed è stata, successivamente, confermata dalla Corte di Appello di Napoli con la sentenza n. 2233 del 13.06.2018.
2.2. Con ricorso n. 190/2013, il sig. An. Me. Ma. adiva il T.A.R. Campania di Napoli al fine di ottenere la condanna del Comune di (omissis) alla restituzione, previo ripristino dello status quo ante, della porzione di suolo illegittimamente occupato, oltre al risarcimento dei danni, o, in via subordinata in caso di acquisizione del bene, al risarcimento del danno rapportato al valore venale oltre all’indennizzo per il periodo di occupazione. Il ricorso veniva notificato al Comune di (omissis) (ente espropriante) ed all’I.D.S.C. di Capua (proprietario del suolo).
2.3 All’esito del giudizio, con la sentenza n. 6048/2013 del 28.12.2013, il T.A.R. Campania accoglieva il ricorso, riconoscendo al sig. An. Me. Ma. il diritto alla restituzione del bene, previa riduzione in pristino, ed al risarcimento del danno, salva la facoltà dell’ente di determinarsi ai sensi dell’art 42 bis d.p.r. 327/2001.
3. Con atto di appello notificato in data 28 marzo 2014, l’I.D.S.C. di Capua lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto al Me. Ma., mero conduttore del fondo, il diritto al risarcimento del danno spettante al proprietario, con conseguente obbligo del Comune di (omissis) di determinarsi in merito, e alla corresponsione degli importi spettanti in applicazione della procedura di acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del d.p.r. 327/2001.
L’appellante censura, inoltre, la sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di accertamento, avanzata nell’atto di costituzione in giudizio, che il diritto al risarcimento del danno conseguente in via diretta dall’occupazione sine titulo e quello alle indennità dovute in caso di acquisizione – quale ristoro della perdita della disponibilità e della proprietà del bene – spettasse unicamente all’I.D.S.C. di Capua, proprietario del suolo.
4. Il Comune di (omissis) e il signor An. Me. Ma. non si sono costituiti in giudizio.
5. L’appellante ha depositato memoria in data 24 maggio 2021, insistendo per l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza impugnata.
6. All’udienza del 13 luglio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. L’appello è fondato e deve essere accolto.
8. Con i primi due motivi di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, l’appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto la legittimazione del signor Me. Ma. all’esercizio dell’azione volta ad ottenere la restituzione, previa riduzione in pristino e il risarcimento del danno, del fondo sito in località (omissis) del comune di (omissis), facendo salvo il diritto all’indennizzo conseguente al provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art 42 bis d.p.r. 327/2001.
Deduce l’appellante che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, il ricorrente non era enfiteuta, ma semplice detentore del fondo a seguito del subentro nel contratto di affitto agrario sottoscritto in data antecedente al 1939 dal defunto padre Fr. Me. Ma..
8.1 La censura è fondata.
Dalla documentazione in atti emerge che il ricorrente di primo grado non era né proprietario né enfiteuta, ma mero affittuario del fondo di proprietà dell’I.D.S.C. di Capua, con la conseguenza che lo stesso non poteva vantare il diritto al risarcimento del danno per la perdita della proprietà .
8.2 Come correttamente osservato da parte appellante, la tutela concessa avrebbe dovuto essere commisurata alla qualità di affittuario con l’attribuzione di indennità o risarcimenti in misura corrispondente, ma non avrebbe potuto riconoscersi la medesima tutela prevista in caso di lesione del diritto di proprietà .
8.3 La natura di semplice detenzione della disponibilità materiale del fondo da parte del signor Me. Ma. trova riscontro nella sentenza del Tribunale di Nola n. 2763/2013 del 12.11.2013 (successivamente confermata dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 2233/2018), sentenza prodotta dall’Istituto appellante nel giudizio di primo grado.
Il giudice civile ha, infatti, statuito che dalla “indiscussa la detenzione del fondo per cui è causa da parte resistente e la sua qualità di erede rispetto all’originario affittuario” discende anche “il convincimento della raggiunta prova dell’esistenza tra le parti di un rapporto di affitto che ha avuto inizio (…) in epoca anteriore all’annata agraria 1939-1940 con il dante causa del Me. Ma.”.
8.4 D’altra parte, l’I.D.S.C., in qualità di ente proprietario del fondo, è stato destinatario di tutti i provvedimenti emessi nell’ambito della procedura espropriativa dal comune e aveva, altresì, comunicato all’amministrazione comunale di (omissis) la volontà di addivenire alla cessione bonaria della porzione di suolo necessaria alla realizzazione dei lavori (cfr. fax Comune di (omissis) del 16 giugno 2010, in atti al fascicolo di primo grado).
8.5 A fronte della documentazione sopra indicata, parte ricorrente non ha fornito elementi atti a dimostrare la titolarità del rapporto di enfiteusi, limitandosi, nel ricorso di primo grado, ad osservare, che “a prescindere dal titolo enfiteutico, nella fattispecie per cui è causa, comunque già rileva il mero possesso (o la detenzione del fondo anche a differente titolo di affitto), trattandosi di translatio di azione possessoria che in ogni caso di per sé già sostanzia la legittimazione attiva e l’interesse al ricorso quali presupposti processuali e condizioni dell’azione avanti l’adito Giudice (prima civile e poi amministrativo), rivenendo la legittimazione, ed altresì l’interesse al ricorso (art. 100 c.p.c.) del ricorrente al risarcimento dei c.d. danni sostitutivi dal mero possesso (come già in sede civile ex art. 1168 c.c.. esulante da ogni questione petitoria), a fronte di un’occupazione sine titulo affatto inidonea ad incidere negativamente sull’altrui diritto di proprietà ” (cfr. punto I delle premesse del ricorso di primo grado Me. Ma.).
La parte appellata, pertanto, fonda la propria legittimazione sull’assunto che l’azione proposta (inizialmente davanti al giudice ordinario e, successivamente, a seguito di regolamento preventivo di giurisdizione davanti al giudice amministrativo) costituisca mera trasposizione dinanzi al giudice amministrativo di un’azione possessoria, in relazione alla quale la legittimazione spetta anche al detentore qualificato ex art 1168, comma 2, c.c.
8.6 L’assunto non è condivisibile, atteso che, nel caso di specie, non si verte in tema di mera privazione (rectius, spoglio) del possesso o della detenzione a cagione di comportamenti materiali privi di qualunque connotazione autoritativa (che, di per sé, non potrebbero radicare la giurisdizione del giudice amministrativo), ma dell’occupazione di un’area di proprietà privata da parte del comune di (omissis) accompagnata dall’adozione postuma degli atti della procedura espropriativa.
Il ricorrente di primo grado ha, pertanto, esercitato l’azione posta a tutela del diritto di proprietà illegittimamente pregiudicato dalla occupazione non sorretta da un regolare procedimento di esproprio.
8.7 Come ritenuto dal giudice del primo grado, la tutela avverso l’occupazione illegittima si declina nella reintegra del possesso, previa riduzione in pristino, o nell’adozione del provvedimento acquisitivo di cui all’art 42 bis d.p.r. 327/2001 con attribuzione dell’indennizzo determinato a norma dei commi 1 e 3 del medesimo articolo.
In entrambi i casi si tratta di una protezione apprestata, in via diretta, nei confronti del titolare del diritto reale e non del semplice detentore, la cui posizione soggettiva non può che essere tutelata in via indiretta e derivata da quella del proprietario.
8.8 Orbene, se, secondo la giurisprudenza, “ai fini della legittimazione attiva all’impugnazione degli atti di una procedura ablativa non è essenziale che la relazione giuridica col bene immobile sia costituita dal diritto di proprietà, potendo anche essere integrata da un diritto reale (o personale) di godimento su cosa altrui -ossia da una relazione giuridica qualificata con il bene oggetto del provvedimento ablativo- tale da identificare una posizione giuridica soggettiva individualizzata e specifica che connoti un interesse all’annullamento dell’atto ablativo” (Consiglio di Stato sez. IV, 06/04/2012 n. 2050), tuttavia la qualità di proprietario rileva indubbiamente ai fini del risarcimento del danno per occupazione illegittima del fondo.
8.9 La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la medesima tutela spettante, sul piano risarcitorio ed indennitario, al proprietario del fondo unicamente all’enfiteuta (o al titolare di proprietà livellaria, del tutto assimilabile all’enfiteusi: Cass. civ. Sez. III ord., 15/02/2018, n. 3689), sulla scorta del rilievo per cui, sotto il profilo del procedimento espropriativo e del diritto all’indennità di esproprio, l’art 34 d.pr 327/2001 considera “l’enfiteuta, unico fra i titolari di diritto reale di godimento, sullo stesso piano del concedente proprietario, col quale è destinato a concorrere alla percezione dell’indennità in ragione del valore attribuibile ai relativi diritti”, sicché il combinato disposto di tale previsione con l’art 42 bis del medesimo testo unico consente “la previsione della titolarità del diritto all’indennizzo anche per l’enfiteuta” (Consiglio di Stato sez. II 6863 del 9.11.2020).
8.10 Ad identiche conclusioni non è possibile addivenire con riferimento alla posizione del detentore, sia pure qualificato, al quale non può, pertanto, attribuirsi né la tutela reipersecutoria spettante proprietario né l’indennizzo conseguente all’acquisizione coattiva di cui all’art 42 bis d.p.r. 327/2001, ma, al più, una tutela-risarcitoria o indennitaria-commisurata alla natura del diritto di cui è titolare e necessariamente inferiore a quella spettante al proprietario.
9. Per le ragioni sopra esposte, l’appello deve essere accolto, con conseguente accertamento del diritto dell’Istituto appellante al conseguimento del credito definitivamente riconosciuto nella sentenza impugnata.
10. Sussistono giustificati motivi, stante la complessità della fattispecie concreta contrassegnata dalla presenza di una pluralità di diritti (di proprietà e di godimento) sul medesimo fondo, per disporre la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 6048/2013, dichiara la spettanza del credito in favore dell’Istituto appellante.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2021, svolta da remoto in videoconferenza, con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Carmelina Addesso – Consigliere, Estensore
Roberto Politi – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply