Consiglio di Stato, Sentenza|4 gennaio 2021| n. 88.
Non sussiste l’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento per le ordinanze contingibili e urgenti, considerato che il presupposto per l’adozione dell’ordinanza contingibile è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e per l’igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo; ed essendo dunque le regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7 della L. n. 241 del 1990, incompatibili con l’urgenza di provvedere.
Sentenza|4 gennaio 2021| n. 88
Data udienza 10 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Inquinamento – Inquinamento acque – Bonifiche – Ordinanza di messa in sicurezza – Ordinanze ex art. 50, D.Lgs. n. 267/2000 e D.Lgs. n. 152/2006 – Impugnazione – Mancata notifica ad uno dei comproprietari – Irrilevanza – Insussistente obbligo di comunicazione di avvio del procedimento – Difetto di motivazione e di istruttoria – Mancanza accertamenti in ordine a proprietà e disponibilità delle aree
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9101 del 2011, proposto dai signori
-OMISSIS- rappresentati e difesi dall’avvocato Ca. De Ti., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…)
contro
-OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Gr. e Ra. Ma., con domicilio eletto presso l’avv. Ni. Bu. in Roma, via (…)
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio con appello incidentale del -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica telematica del giorno 10 novembre 2020, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, del giorno 10 novembre 2020 il Cons. Cecilia Altavista;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I signori -OMISSIS- hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale -OMISSIS- che ha respinto il ricorso avverso le ordinanze del Sindaco del Comune -OMISSIS- del 1 ottobre 2009, n 375 (relativa all’area posta al foglio n. (omissis), particelle (omissis) in località (omissis)) e n. (omissis) (relativa all’area in località (omissis) foglio n. (omissis), particelle (omissis)), con cui era stata ordinata la messa in sicurezza delle aree.
Le ordinanze erano state adottate, ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e del d.lgs. 152 del 2006, sulla base del decreto del Direttore generale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 8454/QdV del 24 agosto 2009, che aveva obbligato i Sindaci dei Comuni interessati “di emettere apposite ordinanze di richiesta ai soggetti proprietari delle aree in esame di avviare i necessari interventi di messa in sicurezza di emergenza, con la messa in mora dei medesimi al fine della eventuale attivazione dei poteri sostitutivi in danno dei soggetti inadempienti”, essendo stata individuata l’area in questione nel “Piano della caratterizzazione ai sensi del D.P. 471/99 dell’Area denominata (omissis) e specchi d’acqua limitrofi, sita nel sito di interesse Nazionale del Litorale Domizio, Flegrea ed Agro Aversano”, per il quale erano stati conferiti poteri straordinari al Commissario di Governo per la bonifica e la tutela delle acque nella Regione Campania, delegato ex O.P.C.M. n. 3654/08.
Con il ricorso di primo grado erano state proposte le seguenti censure:
– violazione dei principi generali in tema di legittimazione passiva, in quanto l’ordinanza era rivolta solo a due tra i vari coeredi proprietari dell’area per successione dei genitori;
-violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, non essendo stata data comunicazione dell’avvio del procedimento;
– eccesso di potere per difetto di istruttoria, in relazione alla errata individuazione delle particelle di proprietà dei ricorrenti, che non sarebbero proprietari, in base alle visure catastali delle particelle sub. n. (omissis) e di parte della particella (omissis) del foglio (omissis), con la conseguenza che non si potrebbero ordinare lavori su fondi non di proprietà e/o possesso dei ricorrenti;
-violazione dei principi generali di diritto in tema di successione e di dichiarazione di accettazione “con riserva”, in quanto avevano accettato l’eredità paterna con beneficio di inventario, la cui riserva non era stata ancora sciolta, quindi non si potrebbero considerare legittimati passivi delle ordinanze;
– eccesso di potere per genericità e indeterminatezza dei provvedimenti, con cui si lamentava che le aree non erano in possesso dei ricorrenti, che i rifiuti sarebbero stati scaricati da ignoti al punto da rendere le aree impraticabili, come risulterebbe dalla stessa denuncia presentata dal ricorrente Sa. Co. presso gli uffici comunali e, poi, il 13 luglio 2007, alla Stazione dei Carabinieri -OMISSIS-; inoltre, l’area è stata sottoposta a sequestro, su segnalazione della Prefettura di-OMISSIS-del 19 dicembre 2006, dalla Guardia di Finanza di-OMISSIS-il 17 gennaio 2007, con provvedimento convalidato dal G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS-il 30 gennaio 2007
Con la sentenza di primo grado il ricorso è stato accolto limitatamente alla parte dell’ordinanza n. 375 che aveva riguardato la particella n. (omissis), intestata ad un terzo (-OMISSIS-), mentre tale prova non è stata ritenuta raggiunta per le altre particelle; sono state respinte tutte le altre censure.
Con l’atto di appello, notificato il 27 ottobre 2011, sono stati riproposti i motivi respinti dalla sentenza di primo grado, relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, alla mancata individuazione di tutti gli eredi come destinatari del provvedimento, al difetto di motivazione e di istruttoria; alla violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del d.lgs. 267 del 2000; all’eccesso di potere e sviamento, lamentando che la mancanza di proprietà risulterebbe dalle visure catastali anche per le ulteriori particelle (omissis); alla mancanza di possesso delle aree utilizzate da ignoti per il deposito di rifiuti, circostanze che erano state denunciate; inoltre il terreno era comunque sottoposto a sequestro dal 2007; alla violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di successione e accettazione con riserva, sostenendo che l’accettazione con beneficio di inventario del 10 dicembre 1996 avrebbe mantenuto il patrimonio degli eredi separato da quello del de cuius, ragione per cui i primi quali potrebbero rispondere solo nei limiti dell’eredità, di valore inferiore al costo degli interventi di ripristino;
Il Comune -OMISSIS- ha presentato appello incidentale, notificato e depositato il 6 dicembre 2011, sostenendo la erroneità della sentenza nel capo relativo all’accoglimento del ricorso con riferimento alla particella (omissis), in quanto i precedenti provvedimenti, con cui era stata ordinata la messa in sicurezza, agli appellanti nel 2004 e precedentemente nel 1985, 1990, 1995 al loro padre -OMISSIS-, non erano stati impugnati, con conseguente acquiescenza circa la proprietà delle aree comprensive anche della particella (omissis).
La difesa della parte appellante, nella memoria depositata il 26 gennaio 2012, ha eccepito la tardività dell’appello incidentale del Comune, notificato il 6 dicembre 2011, oltre il termine lungo dal deposito della sentenza: si tratterebbe di un ritardo rilevante trattandosi di impugnazione incidentale autonoma, ovvero relativa a un capo della sentenza diverso da quello oggetto dell’appello principale; nonché la sua inammissibilità per genericità .
Con ordinanza n. 445 del 1 febbraio 2012 è stata respinta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, per la mancanza del danno grave ed irreparabile.
Il 9 ottobre 2020 la parte appellante si è costituta con nuovo difensore, riportandosi ai precedenti scritti difensivi.
All’udienza pubblica telematica del 10 novembre 2020, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, l’appello è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare, si ritiene, per facilità espositiva, di esaminare per primo l’appello incidentale, in relazione alla sua manifesta infondatezza.
Quanto alla eccezione di tardività dell’appello incidentale proposta dalla difesa appellante, ritiene il Collegio la sua infondatezza.
Prescindendo dall’esame della questione se si tratti effettivamente della impugnazione di un capo diverso della sentenza, avendo anche l’appellante principale contestato il capo relativo all’accertamento della proprietà dei terreni, in ogni caso, è irrilevante la distinzione tra l’impugnazione incidentale con cui sono impugnati i medesimi capi della sentenza o capi diversi da quello oggetto dell’appello principale, rispetto al termine di proposizione dell’appello incidentale.
Infatti, ai sensi dell’art. 96 c.p.a., commi 3 e segg. “l’impugnazione incidentale di cui all’articolo 333 del codice di procedura civile può essere rivolta contro qualsiasi capo di sentenza e deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione.
4.Con l’impugnazione incidentale proposta ai sensi dell’articolo 334 del codice di procedura civile (ovvero quando per le parti è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza) possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia.
5. L’impugnazione incidentale di cui all’articolo 334 del codice di procedura civile deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell’impugnazione principale e depositata, unitamente alla prova dell’avvenuta notificazione, nel termine di cui all’articolo 45”.
L’unico effetto della impugnazione incidentale tardiva è, quindi, la dipendenza dalla impugnazione principale, che se dichiarata inammissibile, comporta la inammissibilità anche della impugnazione incidentale.
Per la consolidata giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 marzo 2018, n. 1474; 4 febbraio 2019, n. 837; Sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1840) è possibile l’appello incidentale tardivo proposto ai sensi dell’art. 334 c.p.c. anche su capi di sentenza autonomi rispetto a quelli investiti dal relativo appello principale.
Nel caso di specie, l’appello incidentale deve comunque ritenersi tempestivo, essendo stato notificato entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso principale.
Peraltro, l’eccezione è stata proposta con riferimento al termine lungo dalla pubblicazione della sentenza, che non è comunque stato superato, in quanto l’appello incidentale è stato notificato il 6 dicembre 2011, ovvero nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, avvenuta il 7 aprile 2011, previsto dall’art. 92 c.p.a. (la difesa appellante ha in realtà fatto riferimento al termine lungo di un anno dal deposito della sentenza), a cui devono essere aggiunti i 45 giorni del periodo feriale, in base alla disciplina allora vigente. Pertanto il termine lungo sarebbe comunque scaduto il 22 dicembre 2011, con conseguente tempestività dell’appello.
L’eccezione non è stata, invece, sollevata con riferimento alla abbreviazione dei termini ai sensi dell’art. 119 c.p.a., né risulta agli atti del giudizio che i provvedimenti impugnati siano stati adottati, ai sensi dell’articolo 5 comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, materia prevista dalla lettera h) dell’art. 119, che riguarda esclusivamente “le ordinanze adottate nelle situazioni di emergenza dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri” e i conseguenziali provvedimenti commissariali; mentre, nel caso di specie, anche l’ordinanza del P.C.M. 3654/08 che ha conferito poteri straordinari al Commissario di Governo per la bonifica e la tutela delle acque nella Regione Campania, è stata adottata ai sensi del comma 3 dell’art. 5, che riguarda provvedimenti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri, finalizzati “ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone”.
L’appello incidentale, è, comunque, oltre che generico, manifestamente infondato.
Con un unico motivo si sostiene che la questione della particella (omissis) non potesse essere esaminata dal giudice di primo grado, in quanto oggetto di acquiescenza, verificatasi tramite la mancata impugnazione delle precedenti ordinanze destinate anche al padre degli appellanti e non impugnate.
Tale motivo non è suscettibile di accoglimento.
In primo luogo, l’acquiescenza, non segue solo alla mancata impugnazione di un atto, ma si verifica in presenza di atti o comportamenti univoci, posti liberamente in essere dal destinatario del provvedimento amministrativo, che dimostrino la chiara ed irrefutabile volontà di accettarne gli effetti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 novembre 2018, n. 6432; 17 gennaio 2018 n. 256; 12 giugno 2014, n. 2998).
Nel caso di specie, deve escludersi l’acquiescenza non essendovi alcun atto o comportamento della parte che abbia manifestato la volontà di accettare gli effetti del provvedimento, se non la sua mancata impugnazione.
Potrebbe, quindi, al limite trattarsi di verificare gli effetti della inoppugnabilità dei precedenti atti rispetto ai provvedimenti oggetto del presente giudizio.
Ritiene il Collegio che la questione (peraltro non posta in questi termini dall’appellante incidentale) debba, comunque, essere risolta con i consueti canoni della distinzione fra atto confermativo e meramente confermativo. Risulta comunque da escludere, nel caso di specie, la qualificazione come di “atti meramente confermativa”, trattandosi di provvedimenti che riguardano una situazione protrattasi nel tempo, con presumibile modifica ulteriore dello stato dei luoghi e aggravamento delle fonti di pericolo, che hanno quindi presupposti autonomi rispetto ai precedenti atti comunali del 9 giugno 2004, del 27 giugno 1995, del 20 giugno 1990, del 3 ottobre 1985 (depositati nel giudizio di primo grado).
Inoltre, erano nel frattempo anche intervenuti l’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3654/2008, che aveva nominato il Commissario per la bonifica e la tutela delle acque nella Regione Campania, e il Decreto Direttoriale n. 84541QdV del 24 agosto 2009, del Direttore generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che aveva imposto ai Sindaci dei Comuni interessati di emettere apposite ordinanze per la messa in sicurezza dell’aree.
Le ordinanze impugnate in primo grado sono state, quindi, adottate, nell’esercizio di ulteriori presupposti di fatto e di diritto rispetto a quelli citati nell’appello incidentale.
Venendo all’appello principale, con il primo motivo, si lamenta la violazione del principio del contraddittorio, in quanto i provvedimenti non sono stati notificati a tutti gli eredi del signor -OMISSIS-.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato, con riferimento al provvedimento di demolizione, in relazione alla natura ripristinatoria e non sanzionatoria, che la sua la mancata notifica a uno dei comproprietari non ne infici la legittimità, comportandone semmai l’inefficacia relativa nei confronti del solo comproprietario interessato, ai fini della successiva acquisizione del bene al patrimonio pubblico. Inoltre, tale omissione è censurabile esclusivamente dal soggetto nel cui interesse la comunicazione stessa è posta, dato che alcun pregiudizio può discendere in capo a chi ha ricevuto ritualmente la notificazione dell’atto per effetto della mancata notifica del provvedimento agli altri comproprietari del bene (Cons. Stato Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745; Cons. Stato. Sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1810).
Tali principi, ad avviso del Collegio, sono applicabili anche all’ordinanza contingibile e urgente, che imponga obblighi di ripristino ad uno dei comproprietari dell’area, peraltro relativi al mantenimento e alla conservazione del bene in comproprietà .
Con ulteriore motivo si ripropone la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento.
Tale motivo è infondato, in relazione ai consolidati orientamenti giurisprudenziali, per cui non sussiste l’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento per le ordinanze contingibili e urgenti, considerato che il presupposto per l’adozione dell’ordinanza contingibile è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e per l’igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo; ed essendo dunque le regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7 della L. n. 241 del 1990, incompatibili con l’urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo (Consiglio di Stato, sez. V, 1 dicembre 2014, n. 5919; 19 settembre 2012, n. 4968), a pena di svuotamento di effettività e particolare celerità cui la legge preordina l’istituto (cfr. Cons. Stato Sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5308).
Con il terzo motivo di appello si è lamentato il difetto di motivazione e di istruttoria dei provvedimenti impugnati, contestando la proprietà dell’area di alcune particelle indicate nelle ordinanze, in particolare nella ordinanza n. 375, deducendo che la mancanza di proprietà, ravvisata dal giudice di primo grado solo per la particella (omissis), risulterebbe dalle visure catastali anche per le particelle (omissis); è stata quindi dedotta l’erroneità della sentenza che ha ritenuto accertata la proprietà di terzi solo per la particella (omissis), non per le altre.
Tale motivo è fondato.
Risulta dalle visure catastali depositate in giudizio dalla difesa appellante che alcune di queste particelle siano intestate a soggetti diversi dagli appellanti o non siano intestate. In particolare, risultano intestate ad altri soggetti le particelle (omissis); la particella (omissis) risulta poi soppressa; le particelle (omissis) risultano prive di intestazione.
Tale documentazione prodotta anche nel giudizio di primo grado non è stata contestata dalla difesa del Comune, che non ha dedotto -né negli atti difensivi né nel provvedimento impugnato – alcuna circostanza di fatto relativa a come abbia individuato la proprietà degli appellanti sulle aree interessate dalle ordinanze.
Anzi, l’unica circostanza dedotta dal Comune con l’appello incidentale, relativa alla precedente notifica di altri provvedimenti non impugnati, è stata già ritenuta inidonea dal Collegio a giustificare il provvedimento rispetto alla particella (omissis) con la reiezione dell’appello incidentale e comunque conferma la carenza di istruttoria sottostante ai provvedimenti impugnati.
Tale elemento non può essere considerato un utile elemento istruttorio, dovendo l’Amministrazione procedere, anche con la particolarità del procedimento relativo all’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente, connotata da una particolare celerità dell’azione amministrativa, procedere ad accertare la attuale proprietà dei beni incisi dalla ordinanza o almeno, in mancanza o in caso di particolare complessità di tale accertamento, individuarne la disponibilità in via di fatto.
La giurisprudenza della Sezione ha infatti già affermato, con orientamento da cui il Collegio non intende discostarsi, che le ordinanze contingibili e urgenti non necessariamente devono essere indirizzate al proprietario del bene, ma in relazione ai presupposti di necessità ed urgenza che richiedono un intervento tempestivo, e alla natura non sanzionatoria dell’ordinanza, possano avere quali destinatari anche coloro che abbiano la disponibilità del bene, in quanto, in presenza di una conclamata condizione di pericolo per l’incolumità pubblica, per la legittimità dell’ordine è sufficiente che il Comune provveda ad individuarne i destinatari in base alla situazione di fatto che si presenta nell’immediato, indipendentemente da ogni laboriosa e puntuale ripartizione, di fronte a più soggetti eventualmente obbligati, dei rispettivi oneri di concorso all’eliminazione dell’accertata situazione di pericolo (Cons. Stato Sez. II, 22 gennaio 2020, n. 536).
Nel caso di specie, sia dai provvedimenti impugnati che dalle deduzioni difensive del Comune anche in appello, non risulta alcuna attività istruttoria sottostante all’adozione dei provvedimenti impugnati, sia in ordine all’accertamento anche solo formale della proprietà del bene, sulla base di aggiornati dati catastali, come emerge dalla mancata corrispondenza dei beni alle intestazioni catastali; sia, in mancanza di tali accertamenti, almeno in ordine alla individuazione dei soggetti che abbiano l’effettiva disponibilità delle aree occupate dai rifiuti.
La carenza di istruttoria è ulteriormente confermata dal deposito nel giudizio di primo grado da parte della difesa comunale delle visure catastali alla data del 21 gennaio 2010, da cui risulta per le particelle (omissis) del foglio (omissis) la mancanza di intestazione, mentre per quelle del foglio (omissis) particella (omissis) e foglio (omissis) particella (omissis), la intestazione a -OMISSIS- padre degli appellanti, che risulta deceduto il 21 giugno 1996.
Invece la parte appellante ha depositato anche certificati ipocatastali da cui risultano note di trascrizione a favore di altri soggetti per le particelle (omissis).
Sulla base di tali elementi non contestati in alcun modo dal Comune, ma anzi confermati dalla documentazione depositata in giudizio, ritiene il Collegio che non possa che essere accolto il motivo di appello relativo al difetto di motivazione e di istruttoria, con riforma della sentenza in parte qua e annullamento dei provvedimenti impugnati, salva l’ulteriore attività amministrativa da parte del Comune, circa l’accertamento della proprietà e della disponibilità delle aree.
Non può essere invece accolto il motivo di appello, con cui si contesta la mancata disponibilità delle aree, in quanto queste sarebbero state utilizzate da ignoti per il deposito di rifiuti, che le avevano rese impraticabili, deducendo, inoltre, che il deposito di rifiuti era stato denunciato già dal 2007 e che i terreni erano sottoposti a sequestro da tale data.
Tale motivo, infatti, è infondato, in quanto la misura di necessità e urgenza imposta non ha per presupposto l’accertamento della responsabilità del proprietario o di eventuali terzi nell’attività di deposito di rifiuti, ma costituisce un provvedimento ripristinatorio teso ad evitare danni al territorio e alla cittadinanza, destinato, come sopra rilevato, a chi abbia la maggiore possibilità di intervenire tempestivamente.
Sotto tale profilo, a prescindere dalla responsabilità del padre degli appellanti nel deposito di rifiuti considerata dal giudice di primo grado, non rilevano eventuali denunce presentate, non essendo queste idonee a provare la perdita della disponibilità dell’area.
Infatti, gli appellanti non hanno dedotto che i terreni sarebbero ormai nel possesso di altri, ma che sarebbero divenuti “impraticabili” per l’ingombro dei rifiuti.
Alcuna rilevanza può poi avere la denuncia alla stazione dei Carabinieri -OMISSIS-, depositata in giudizio, in quanto riferita allo scarico di rifiuti sui terreni alle particelle n. (omissis) del foglio (omissis), non oggetto del presente giudizio.
Quanto al sequestro penale, si deve rilevare che la parte avrebbe potuto comunque richiedere il dissequestro ai fini di liberare l’area, sulla base dell’art. 85 delle disposizioni di attuazione c.p.p., che prevede la possibilità di consentite il dissequestro con prescrizioni, facoltà che, nel caso di specie, non risulta esercitata per tutto il periodo in cui è stato pendente il sequestro.
Con l’ultimo motivo di appello si ripropone la censura di primo grado relativa alla violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di successione e accettazione con riserva, sostenendo che l’accettazione con beneficio di inventario del 10 dicembre 1996 avrebbe mantenuto il patrimonio degli eredi separato da quello de cuius e potrebbero rispondere solo nei limiti dell’eredità, di valore inferiore al costo degli interventi di ripristino.
Tale motivo è infondato, in quanto, come rilevato dal giudice di primo grado non è stato dedotto alcun elemento per valutare l’effettivo costo della messa in sicurezza; in ogni caso avendo accettato comunque l’eredità, anche se con beneficio di inventario, i beni dell’eredità sono diventati di loro proprietà, con la conseguenza che sono tenuti agli obblighi di manutenzione su questi gravanti.
Peraltro, a tale censura non sussiste un effettivo interesse, dovendo l’Amministrazione procedere a riverificare l’effettiva proprietà e/o disponibilità dei beni.
In conclusione, l’appello principale è quindi fondato e deve essere accolto limitatamente al difetto di motivazione di istruttoria per la mancanza di un accertamento istruttorio circa la proprietà dell’area o comunque circa l’effettiva disponibilità delle stesse, eventualmente anche in contrasto con le risultanze catastali.
La particolarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
In relazione alle particolari circostanze emerse in giudizio relativamente allo stato dei luoghi, oggetto di prolungato deposito di rifiuti, nonché alle vicende riguardanti le intestazioni catastali dei terreni, ritiene il Collegio di disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per quanto di eventuale competenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello principale nei limiti di cui in motivazione.
Respinge l’appello incidentale.
Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Dispone la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per quanto di eventuale competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria per la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per quanto di eventuale competenza.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Claudio Contessa – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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