Le imprese pubbliche sono enti aggiudicatori nei settori speciali

Consiglio di Stato, Sentenza|25 agosto 2021| n. 6043.

Le imprese pubbliche sono enti aggiudicatori nei settori speciali (articolo 2 Direttiva 2004/17/CE), ma non rientrano tra le amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari (artt. 1 e 2 Direttiva 2004/18/CE), per gli appalti “estranei”, aggiudicati per scopi diversi dalle loro attività nei settori speciali. L’estraneità alla Direttiva 2004/17/CE non ha per effetto naturale che la materia sia comunque disciplinata dalla Direttiva 2004/18/CE, nulla essendo stato esplicitamente stabilito a questi effetti: sicché ne deriva, in principio, l’estraneità ad entrambe le Direttive europee e la riconduzione della scelta del contraente alle ordinarie regole di diritto comune e la conseguente giurisdizione ordinaria. Il diritto eurocomune ha delimitato in modo rigoroso non solo l’ambito soggettivo dei settori ma anche quello oggettivo (a riferibilità del servizio all’attività speciale), descrivendo in dettaglio l’ambito di ciascun settore speciale. Non è dunque il tipo di soggetto che qualifica l’attribuzione del contratto ai settori speciali, ma il tipo di prestazioni da quello richieste. L’esigenza di tutela della concorrenza che presiede alla Direttiva 2004/17/CE sugli appalti nei settori speciali in ragione della frequente condizione di monopolio in cui versano quei servizi pubblici non si ripete dunque per le secondarie attività delle imprese medesime.

Sentenza|25 agosto 2021| n. 6043. Le imprese pubbliche sono enti aggiudicatori nei settori speciali

Data udienza 8 giugno 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Appalti pubblici – Imprese pubbliche – Enti aggiudicatori – Settori speciali – Tutela della concorrenza – Direttiva Ce 31 marzo 2004, n. 17, articolo 2; Direttiva CE 31 marzo 2004, n. 18, articoli 1 e 2

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
a pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3716 del 2020, proposto da Ag.-Bi.-Ec. La. Ri. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Le., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla via (…);
contro
Acea S.p.a. e Acea Ambiente S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Gi. Lo Pi., Fa. Ci. e Da. As., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Lo Pi. in Roma, alla via (…);
nei confronti
La. La. S.r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, sez. II, n. 1280/2020, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Acea S.p.a. e di Acea Ambiente S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021, tenuta da remoto, il Cons. Giovanni Grasso dato atto della presenza degli avvocati Lo Pi., Ci. e As., che hanno presentato note di passaggio in decisione ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d. l. n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Le imprese pubbliche sono enti aggiudicatori nei settori speciali

FATTO

1.- In data 3 aprile 2019, Acea S.p.a., su committenza di Acea Ambiente S.r.l., indiceva una “selezione privatistica” mediante invito a operatori iscritti nell’albo fornitori, preordinata all’affidamento del “servizio di controllo analitico delle matrici ambientali presso gli impianti UL6 e UL7”.
La gara, suddivisa in due lotti del valore complessivo di € 89.000,00 per il lotto n. 1 (Servizio di controllo analitico delle matrici ambientali presso l’impianto UL6) di € 159.000,00 per il lotto n. 2 (Servizio di controllo analitico delle matrici ambientali presso l’impianto UL7), sarebbe stata aggiudicata con il criterio del prezzo più basso.
Per la partecipazione, era previsto che ciascun concorrente formulasse la propria offerta, utilizzando modelli Excel predisposti dalla stazione appaltante, in grado di generare l’importo totale sulla base dei prezzi unitari dei singoli parametri ivi inseriti.
Per il lotto n. 2, partecipavano tre concorrenti, tra cui l’odierna appellante Ag.-Bi.-Ec. La. ri. S.r.l. la quale, all’esito della valutazione delle offerte, risultava prima in graduatoria, avendo offerto il prezzo più basso.
Peraltro, l’offerta – in ordine alla quale la stazione appaltante sollecitava chiarimenti al fine di verificarne la non anomalia e la sostenibilità – veniva, all’esito delle offerte giustificazioni, estromessa dalla gara, in quanto ritenuta dalla Commissione di gara non congrua.
La gara era, quindi, aggiudicata alla seconda graduata, La. La. s.r.l..
2.- Vanamente sollecitata l’ostensione degli atti (cui la stazione appaltante opponeva il carattere esclusivamente privatistico della selezione, con la conseguente sottrazione all’ambito applicativo della normativa sugli appalti pubblici e la correlativa assenza dei presupposti per l’accesso, in quanto non inerente “documenti amministrativi”, ma “veri e propri atti di diritto privato”), l’appellante insorgeva con ricorso notificato presso il TAR per il Lazio, sollecitando l’annullamento degli atti impugnati, la declaratoria di inefficacia del contratto stipulato e l’ingiunzione al subentro, ovvero il risarcimento del danno per equivalente, salva la subordinata opzione di annullamento dell’intera procedura di gara.
Con sentenza n. 1280 del 30 gennaio 2020, il TAR adito dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
3.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, Ag.-Bi.-Ec. La. Ri. S.r.l. insorge avverso la ridetta statuizione, invocandone l’integrale riforma, all’uopo riproponendo, in via di devoluzione, le ragioni di doglianza non esaminate perché assorbite dagli esiti in rito.
Nella resistenza di Acea S.p.a., in proprio e quale mandataria di Acea Ambiente S.r.l., alla camera di consiglio dell’8 giugno 2021 la causa è stata riservata per la decisione.

 

Le imprese pubbliche sono enti aggiudicatori nei settori speciali

DIRITTO

1.- L’appello è fondato.
La sentenza appellata è pervenuta alla declaratoria del difetto di giurisdizione sul complessivo ed argomentato assunto:
1. a) che l’art. 133 comma 1 lettera e) n. 1 d. lgs. n. 104/10 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”, che conferisce ruolo dirimente alla obbligatorietà del ricorso a procedure di matrice evidenziale per la selezione del contraente;
2. b) che, ai sensi dell’art. 14 del d. lgs. n. 50/2016, le “imprese pubbliche” – nel cui novero rientrano le società appellate – sarebbero assoggettate, quali “enti aggiudicatori” a tale obbligo solo in quanto concretamente operanti nei settori speciali (cfr. art. 3, comma 1 lettera e n. 1 d. lgs. n. 50/16) e, segnatamente, se il contratto è preordinato al perseguimento di una delle finalità di cui agli artt. da 115 a 121 del d. lgs. cit.;
3. c) che, nel caso di specie, relativamente ai servizi idrici, l’art. 117 del Codice dei contratti pubblici non contempla i contratti aventi ad oggetto le prestazioni per cui è causa (inerenti verifiche di carattere ambientale), sicché Acea Ambiente S.r.l. (e per essa Acea S.p.a.) non sarebbe astretta all’evidenza pubblica, la selezione attivata avrebbe carattere esclusivamente privatistico e la giurisdizione in materia spetterebbe, perciò, al giudice ordinario.
2.- Il ragionamento del primo giudice, pur fondato su corrette premesse di diritto, non è condivisibile nelle conclusioni tratte in relazione all’oggetto del contratto controverso e non resiste alle censure formulate da parte appellante.
2.1.- Come è noto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 7 e 133 Cod. proc. amm., la giurisdizione che, in termini esclusivi, spetta al giudice amministrativo in ordine alle procedure di affidamento dei contratti pubblici (relativamente alla selezione della controparte negoziale o del socio) è ancorata al carattere normativamente obbligatorio, sul piano dei vincoli rinvenienti dalla disciplina eurocomune o anche della legislazione nazionale o regionale, dei formalismi evidenziali.
E ciò perché, per un verso, sul piano sostanziale, l’opzione meramente volontaria per una strutturazione in forma evidenziale delle trattative negoziali, manifestazione di autonomia formale o procedimentale (art. 1322 cod. civ.), non è in grado di far refluire la vicenda negoziale sul piano pubblicistico degli assetti coercitivi e, per altro verso, sul piano processuale, il principio del giudice naturale, precostituito per legge, sterilizza l’attitudine del fatto meramente volontario ad alterare gli ordinari e predefiniti criteri di riparto.
Orbene, ai sensi dell’articolo 1 d. lgs. n. 50/2016, la disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici (in particolare, quella relativa alla scelta del contraente) si applica ai contratti conclusi dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatori, intendendosi per tali – fra gli altri – le imprese pubbliche, così come definite all’articolo 3, comma 1, lettera t) come quelle “sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese”.
In particolare, le imprese pubbliche – che, di per sé, sono figure soggettive organizzate secondo schemi di diritto privato, per quanto assoggettate, in forza della partecipazione al capitale sociale, dei meccanismi di finanziamento o delle regole operative, a sostanziale controllo pubblico, da parte di amministrazioni aggiudicatrici – assumono la qualità di enti aggiudicatori quando svolgano “una delle attività di cui agli articoli da 115 a 121” (art. 3, comma 1, lettera e), n. 1, punto 1.1. d. lgs. cit.), cioè operino nei cc.dd. settori speciali (art. 114 d. lgs. cit.).
In proposito, Cons. Stato, Ad. plen. 1° agosto 2011, n. 16 – sia pure in relazione alla previgente normativa di cui al d. lgs. n. 163/2016, ma con principi valevoli anche per l’attuale contesto normativo – ha chiarito che le imprese pubbliche sono enti aggiudicatori nei settori speciali (art. 2 della Direttiva 2004/17/CE), ma non rientrano tra le amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari (artt. 1 e 2 della Direttiva 2004/18/CE), per gli appalti “estranei”, aggiudicati per scopi diversi dalle loro attività nei settori speciali (art. 20 della Direttiva 2004/17/CE). L’estraneità alla Direttiva 2004/17/CE non ha per effetto naturale che la materia sia comunque disciplinata dalla Direttiva 2004/18/CE, nulla essendo stato esplicitamente stabilito a questi effetti: sicché ne deriva, in principio, l’estraneità ad entrambe le Direttive europee e la riconduzione della scelta del contraente alle ordinarie regole di diritto comune e la conseguente giurisdizione ordinaria.
Questa conclusione discende dalla matrice comunitaria della disciplina dei settori speciali: vuoi della precedente Direttiva 93/38/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993 che dalla Direttiva 2004/17/CE. Quella speciale disciplina è orientata – mediante un avvicinamento alle regole contrattuali imposte alle amministrazioni – a prevenire la chiusura dei mercati dal frequente monopolio degli esercenti in relazione a quelle che per l’art. 90 (poi 86) del Trattato CE sono “imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale”.
Al di là di questi settori speciali, dunque al di fuori dell’ambito degli oggettivi servizi pubblici nominati, non vi è ragione per dar luogo alla sostituzione all’attività amministrativa. Ne discende che non v’è necessità di assicurare la concorrenza dei potenziali contraenti mediante scansioni particolari del processo di formazione contrattuale; difettano invero la rilevanza e la peculiarità dell’attività che giustificano l’assoggettamento a regole particolari circa la formazione della volontà contrattuale con terzi.
L’Adunanza plenaria ha, con ciò, sottolineato che il diritto eurocomune ha delimitato in modo rigoroso non solo l’ambito soggettivo dei settori ma anche quello oggettivo (a riferibilità del servizio all’attività speciale), descrivendo in dettaglio l’ambito di ciascun settore speciale. Non è dunque il tipo di soggetto che qualifica l’attribuzione del contratto ai settori speciali, ma il tipo di prestazioni da quello richieste. Del resto, l’impresa pubblica, per quanto pubblica sia, resta un’impresa e comunque agisce secondo i parametri generali della responsabilità personale degli amministratori, del rischio, del fine di lucro (art. 2082 Cod. civ.) e mediante moduli comuni.
L’esigenza di tutela della concorrenza che presiede alla Direttiva 2004/17/CE sugli appalti nei settori speciali in ragione della frequente condizione di monopolio in cui versano quei servizi pubblici non si ripete dunque per le secondarie attività delle imprese medesime.
Quest’altre attività sono di loro orientate al mercato dei fornitori di beni e servizi: il che avviene normalmente con orientamento al prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa.
Ne segue (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8905: Id., sez. V, 19 novembre 6018, n. 6354) che la disciplina per i settori speciali opera solo se l’affidamento si pone in rapporto funzionale di mezzo a fine rispetto al settore speciale di pertinenza: e il nesso di strumentalità (rispetto al core business dell’impresa) va inteso in senso ragionevolmente restrittivo, sicché laddove l’impresa pubblica affidi un servizio estraneo all’attività speciale, esso soggiace, anche quanto ad affidamento selettivo, alle norme di diritto comune, con conseguente assoggettamento delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria.
2.2.- Ciò posto, il Collegio ritiene – ferma le premessa che non c’è contestazione in ordine alla natura di impresa pubblica sia di Acea S.p.a. che di Acea Ambiente S.r.l. – che il contratto per cui è causa concerna una attività strumentale alla gestione dei servizi di cui all’art. 117 del Codice.
In effetti, secondo è dato evincere dalla lettura della documentazione di gara e, segnatamente, del relativo disciplinare tecnico, l’appalto in affidamento ha ad oggetto, sia per l’impianto di Sabaudia (UL 6) sia per quello di Aprilia (UL 7), l’espletamento di una serie di autocontrolli volti a verificare il rispetto degli obblighi di legge per le matrici ambientali rifiuti ed acque, ed in particolare l’attività di “analisi scarichi acque reflue” e di “analisi di potabilità acque da pozzo”.
Si tratta di attività che si deve ritenere rivestano, per come concretamente programmate, carattere obiettivamente strumentale rispetto a quelle di “smaltimento o trattamento delle acque reflue” previste dal comma 2, lettera b) del citato art. 117 nonché a quelle relative alla “produzione di acqua potabile” di cui al comma 3, lettera a) della medesima norma, e ciò in quanto, come risulta dalla documentazione in atti: a) gran parte dei rifiuti in entrata provengono dal ciclo di gestione dei depuratori e nel piano di monitoraggio sono previste analisi delle acque reflue dell’impianto; b) nel piano di monitoraggio sono previste analisi delle acque potabili dell’impianto.
2.3.- Sotto un primo profilo, invero, importa evidenziare che, in base alla normativa vigente, le analisi inerenti l’acqua potabile possono riguardare sia l’acqua potabile “da rete” sia l’acqua potabile “da pozzo”.
Per il primo caso, il d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 (recante “Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano” e relativo alla disciplina della qualità delle acque destinate al consumo umano al fine di proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque, garantendone la salubrità e la pulizia) stabilisce, all’art. 5 (“Punti di rispetto della conformità”), che, per le acque “fornite attraverso una rete di distribuzione” i valori di parametro fissati devono essere rispettati “nel punto di consegna ovvero, ove sconsigliabile per difficoltà tecniche o pericolo di inquinamento del campione, in un punto prossimo della rete di distribuzione rappresentativo e, nel punto in cui queste fuoriescono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano”, con la precisazione che, in tale ipotesi, “si considera che il gestore abbia adempiuto agli obblighi di cui al presente decreto quando i valori di parametro fissati nell’allegato I sono rispettati nel punto di consegna, indicato all’articolo 2, comma 1, lettera b)” e che “per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare ed il titolare della gestione dell’edificio o della struttura devono assicurare che i valori di parametro fissati nell’allegato 1, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto”.
Per tal via, nel caso di acqua potabile da rete, in un qualsivoglia impianto di distribuzione, il punto di consegna dell’acqua, che va da dall’ente gestore all’utente, è, di norma, il contatore.
Secondo la vigente normativa sulle acque potabili (d. lgs. n. 31/2001, art. 5 comma 2), è, dunque, responsabilità dell’ente gestore assicurare la buona qualità dell’acqua fino al contatore.
Per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare ed il gestore dell’edificio o della struttura devono, invece, assicurare che i valori di parametro, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto.
Da ciò deriva che, dal contatore fino ad arrivare alle utenze, la relativa responsabilità non è più dell’ente gestore ma, invece, del proprietario dell’immobile che, nel caso di specie, è Acea Ambiente S.p.a..
Per tali ragioni, nel caso di in esame, come condivisibilmente ritiene l’appellante, e contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, deve ritenersi che Acea Ambiente S.p.a. risulti, a partire dal contatore fino ad arrivare all’utenza, sia trasportatore che distributore dell’acqua potabile.
Con riferimento, poi, all’acqua potabile “da pozzo”, va considerato che i controlli prescritti dal predetto d. lgs n. 31/2001 devono essere effettuati lungo tutta la rete di approvvigionamento, dall’opera di captazione dal pozzo sino al rubinetto. Anche in tale ipotesi, la relativa responsabilità ricade sul proprietario dell’immobile, e quindi, nella specie, su Acea Ambiente S.p.a. la quale, in questo caso, risulta rivestire la qualità non solo di trasportatore e di distributore ma anche quella di produttore dell’acqua potabile.
2.4.- Sotto un secondo profilo, il primo giudice ha ritenuto che – non avendo l’appalto ad oggetto “direttamente” lo smaltimento o il trattamento delle acque reflue, ma solo “le analisi degli scarichi di acque reflue derivanti dal compostaggio” effettuato presso l’impianto di Aprilia – l’art. 117 cit. non potesse venire in considerazione, in quanto non riferibile ad attività meramente “connesse” a quelle ivi tassativamente individuate. E ciò in quanto le acque reflue costituirebbero, nella specie, solo il “prodotto residuale” dell’attività di compostaggio e non della gestione del servizio idrico ad uso civile, sicché l’analisi ambientale commessa non sarebbe strumentale al servizio di produzione, distribuzione e trasporto dell’acqua potabile.
L’assunto non è condivisibile.
Ai sensi dell’art. 141 del d. lgs 152/2006, “il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”.
L’art. 127 del d. lgs. cit. chiarisce, inoltre, che “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.
La norma assoggetta, con ciò, alla “disciplina dei rifiuti”, in quanto applicabile, nel momento terminale del trattamento di depurazione delle acque reflue, effettuato presso l’impianto e finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale in condizioni di sicurezza per l’ambiente mediante stabilizzazione, riduzione dei volumi ed altri processi. Lo stesso art. 127 prevede, infatti, il riutilizzo dei fanghi “ogni qualvolta il loro impiego risulti appropriato”.
Tale obbligo di riutilizzo vale, senza dubbio, sia per i fanghi giunti alla fine del complessivo processo di trattamento (che sono, quindi, propriamente “rifiuti”), sia, a maggior ragione, per i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue che vengono prelevati in una fase ancora intermedia. A tal fine, il servizio analitico delle acque deve riguardarsi, con ogni evidenza, come strumentale alla verifica se il reimpiego dei fanghi risulti appropriato.
Non vi è, inoltre, dubbio che, tra le varie modalità di smaltimento, vi sia anche il riutilizzo dei fanghi in agricoltura, previo compostaggio. Il processo di smaltimento/trattamento delle acque reflue dà origine alla produzione di fanghi che vengono, poi, conferiti e/o trattati all’interno degli impianti Acea Ambiente. Conseguentemente, le attività svolte negli stessi impianti vanno ricondotte a quelle di smaltimento e/o al trattamento delle acque reflue, e, dunque, a quanto previsto dall’art. 117, comma 2, del d. lgs. n. 50/2016.
3.- Alla luce delle esposte considerazioni, che assorbono ogni altro rilievo, l’appello deve essere accolto, in ragione della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
Ne discende, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. amm., l’annullamento della sentenza impugnata e la rimessione della causa al giudice di primo grado.
La peculiarità e liminarità della fattispecie giustifica l’integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e rimette la causa al giudice di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25 del d.l. 28 ottobre 20020, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore
Elena Quadri – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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