Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 aprile 2021| n. 10503.
L’accertamento mediante studi di settore rileva anche nel caso di svolgimento di diverse attività atteso che il decreto dirigenziale del 24 novembre 1999, introducendo l’obbligo dell’annotazione separata di tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’operatività degli studi di settore per ciascuna attività esercitata, ha fatto venir meno, a seguito della rilevazione separata degli elementi strutturali e contabili, le condizioni di inapplicabilità stabilite dai decreti ministeriali di approvazione degli studi stessi, purché per tutte le attività esercitate sia possibile applicare gli studi di settore.
Ordinanza|21 aprile 2021| n. 10503
Data udienza 28 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: ACCERTAMENTO, RISCOSSIONE E CONTENZIOSO – ACCERTAMENTO (IMPOSTE SUI REDDITI)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 23048 del ruolo generale dell’anno 2014, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), societa’ a responsabilita’ limitata, in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia n. 114/08/2014, depositata in data 24 febbraio 2014 non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 ottobre 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera Maria Giulia.
RILEVATO
Che:
– con sentenza n. 114/08/2014, depositata in data 24 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia rigettava l’appello dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di (OMISSIS), societa’ a responsabilita’ limitata, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 167/01/2012 della Commissione tributaria provinciale di Trieste che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta societa’ avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter), aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attivita’ principale di riciclaggio rifiuti, maggiori ricavi, ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2006, per infedele indicazione da parte della societa’ di una causa di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore e conseguente illegittima mancata compilazione del prospetto dello studio di settore relativo all’attivita’ prevalente (di riciclaggio rifiuti), non allegato alla dichiarazione dei redditi Modello Unico 2007, non potendo valere, ad avviso dell’Amministrazione, come causa di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore la circostanza dichiarata dalla contribuente relativa all’inizi o – in aggiunta all’attivita’ principale – dell’ulteriore attivita’ marginale di estrazione di pietra da costruzione nell’anno 2006, non essendo i ricavi relativi a tale attivita’ risultati superiori al 20% dei ricavi complessivi, quale condizione necessaria a tal fine, in base alla Circ. n. 58/E del 2002 par. 10.4 e al Decreto Ministeriale 20 marzo 2007, articolo 3, comma 1, lettera a);
– in punto di diritto, la CTR confermando la decisione di primo grado ha affermato che: 1) la societa’ contribuente aveva gia’ legittimamente eccepito, impugnando l’avviso di accertamento in questione, la inapplicabilita’ retroattiva all’accertamento in questione (2004) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter (che legittima la ricostruzione del reddito imponibile in assenza di modello contenente i dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o in caso di infedele indicazione di una causa di esclusione o non applicazione degli studi di settore) introdotto dal Decreto Legge n. 98 del 2011, come convertito dalla L. n. 111 del 2011, trattandosi di norma tributaria “con valenza limitata al tempo successivo alla sua entrata in vigore”; 2) l’avviso era illegittimo tenuto conto della regolarita’ della contabilita’ dell’impresa e della sussistenza della dichiarata causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore in presenza di una nuova attivita’ di produzione; 3) l’Agenzia andava condannata al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi; rimane intimata la contribuente; -il ricorso e’ stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
Che:
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.c. e del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 15, per avere la CTR erroneamente condannato l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali del grado di appello nonostante la societa’ contribuente non si fosse costituita in sede di gravame;
– il motivo e’ fondato;
– questa Corte ha affermato il condivisibile principio secondo cui “In tema di contenzioso tributario, la corretta interpretazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 15 impone al giudice tributario, ove risulti dimostrata l’attivita’ professionale svolta nel giudizio, di liquidare, nelle spese di lite poste a carico della parte soccombente, anche le voci relative ai “diritti” spettanti al difensore, che rivesta la qualita’ di procuratore legalmente esercente la professione di avvocato, in quanto il giudice e’ tenuto, nel liquidare le spese, ad utilizzare i parametri previsti dalla tariffa forense vigente (nella specie, Decreto Ministeriale Giustizia, 5 ottobre 1994, n. 585), tra i quali e’ specificamente indicata anche la voce in questione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18894 del 16/09/2011); nella richiamata pronuncia si e’ precisato che “La rubrica del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 15 (“spese del giudizio”) e la collocazione sistematica del comma 2 tra altri due commi concernenti la disciplina delle spese del giudizio tributario, esclude poi ogni dubbio in ordine ad una diversa interpretazione della disposizione in esame volta a restringerne l’ambito applicativo alla mera disciplina del corrispettivo nel rapporto d’opera professionale tra il cliente ed il soggetto incaricato della difesa tecnica (vedi Corte cass. V sei. 18.1.2008 n. 1035: “in tema di contenzioso tributario, la richiesta di condanna della controparte alle spese di lite, come si comprende dalla lettura del D.Lgs.. 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 15, comma 2, deve essere accompagnata dalla “nota spesa di lite”, in cui le spese processuali devono essere riportate in modo dettagliato in apposita nota che, ai sensi dell’articolo disp. att. c.p.c., deve contenere, in modo distinto e specifico, gli onorari e tutti i costi sostenuti.”; vedi anche Corte cass. V sez. 7.3.2002 n. 3355 che ai fini della determinazione del valore della controversia e della conseguente liquidazione delle spese di lite- a favore di ragioniere o perito commerciale/ dichiara che il valore della lite deve essere determinato ai sensi della relativa tariffa professionale, nella specie del Decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1997, n. 100, articolo 47, comma 3, lettera e));
– nella specie, la CTR non si e’ attenuta al suddetto principio nel condannare l’Agenzia alla rifusione delle spese processuali del grado di appello, pur avendo dato atto, nella parte in fatto della sentenza, del mancato svolgimento da parte della societa’ appellata di alcuna attivita’ difensiva in sede gravame e, dunque, della sua mancata costituzione in giudizio;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter per avere la CTR erroneamente confermato la illegittimita’ dell’atto impositivo sul presupposto che l’articolo 39, comma 2, lettera d-ter cit. – che disciplina l’accertamento induttivo “puro” del reddito di impresa in base a c.d. presunzioni c.d. super semplici allorquando viene rilevata “l’omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonche’ l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore non sussistenti” – trovasse applicazione esclusivamente in relazione ad annualita’ successive alla sua entrata in vigore (2011), in considerazione della natura di c.d. norma sostanziale della stessa, ancorche’, per giurisprudenza costante di legittimita’, fosse indiscusso il carattere di norma procedimentale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39 (e dunque anche della lettera d)ter del comma 2);
– il motivo e’ fondato;
– il Decreto Legge n. 98 del 2011, articolo 23, comma 28, lettera c), convertito in L. n. 111 del 2011 ha introdotto nell’articolo 39, comma 2, il comma d-ter) che – nella formulazione originaria- ha previsto la possibilita’ di procedere all’accertamento induttivo “puro” sulla base delle presunzioni c.d. super semplici “quando viene rilevata l’omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonche’ l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore non sussistenti. La presente disposizione si applica a condizione che siano irrogabili le sanzioni di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 1, comma 2-bis”;
– pertanto, la possibilita’ di utilizzare metodi di accertamento di tipo induttivo “puro” e’ stata condizionata alla circostanza che le irregolarita’ compiute dal contribuente siano tali da rendere applicabili le ulteriori sanzioni introdotte con la legge finanziaria 2007 (che ha introdotto il Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 1, comma 2-bis), vale a dire che il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o professione accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, sia superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato; in particolare (come anche chiarito con la Circ. n. 31/E del 2007 in merito alla disapplicazione della L. n. 146 del 1998, articolo 10, comma 4-bis) per superare la preclusione in sede di accertamento, non e’ necessario che sia intervenuta l’effettiva irrogazione della sanzione, ma, piuttosto, che risultino verificati i presupposti oggettivi posti a base della norma sanzionatoria;
– Il Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8 ha poi cosi’ modificato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter “in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore non sussistenti, nonche’ di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al quindici per cento, o comunque ad Euro cinquantamila, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione”;
– avendo questa Corte gia’ affermato, in termini generali, “che le norme di natura sostanziale continuano a essere contenute, agli specifici fini, nel T.U.I.R., mentre le norme procedimentali, che costituiscono lo strumento normativo attraverso il quale si dispiega l’attivita’ accertatrice, continuano a loro volta a essere contenute nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973” (Cass. n. 13776 del 2013), chiara e’ la natura di norma procedimentale della disposizione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter, con conseguente applicabilita’ della stessa anche ad accertamenti relativi ad annualita’ precedenti alla sua entrata in vigore (2011), trattandosi di regolamentazione di una ipotesi di accertamento induttivo “puro” allorquando i contribuenti omettano o dichiarino infedelmente i dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, ovvero indichino cause di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore non sussistenti, sempre che emerga altresi’ una certa differenza (superiore al dieci per cento, in base alla formulazione originaria, ovvero al quindici per cento, o comunque ad Euro cinquantamila, in base alla novella del 2012) tra il maggior reddito accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore e quello dichiarato; in particolare, tale differenza costituisce non gia’ un presupposto impositivo ma una condizione di procedibilita’ dell’accertamento induttivo medesimo;
– ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: “il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter, introdotta dal Decreto Legge n. 98 del 2011, articolo 23, comma 28, lettera c), convertito nella L. n. 111 del 2011 – nella formulazione originaria, applicabile ratione temporis alla fattispecie- ha natura procedimentale poiche’ regola l’attivita’ accertatrice dell’Amministrazione, sicche’ l’accertamento induttivo cd. puro puo’ essere legittimamente esperito anche per annualita’ anteriori alla data di entrata in vigore della norma quando siano rilevate “l’omessa o infedele indicazione dei dati” previsti nei modelli ai fini dell’applicazione degli studi di settore, ovvero “l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore non sussistenti” sempre che siano irrogabili le sanzioni di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 1, comma 2-bis, ipotesi ricorrente allorquando il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o professione accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, sia superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato “;
– nel caso di specie, la CTR non si e’ attenuta al suddetto principio di diritto, affermando la inapplicabilita’ retroattiva dell’articolo 39, comma 2, lettera d-ter cit., trattandosi “di norma tributaria con valenza limitata al tempo successivo alla sua entrata in vigore”;
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d) e d-ter, L. n. 146 del 1998, articolo 10, Decreto Ministeriale 20 marzo 1973, per avere la CTR erroneamente confermato l’illegittimita’ dell’atto impositivo sussistendo, nella specie, la regolarita’ della contabilita’ di impresa e una causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore “in presenza di nuova attivita’ di produzione”, ancorche’: A) da un lato – trattandosi, nella specie, di un accertamento induttivo Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 73, ex articolo 39, comma 2, lettera d-ter e non gia’ ex articolo 39, comma 2, lettera d) – fosse irrilevante di per se’ la regolarita’ della tenuta della contabilita’; B) dall’altro, in ossequio al Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 62-bis, L. n. 146 del 1998, articolo 10 e al Decreto Ministeriale 20 marzo 2007, la causa di inapplicabilita’ degli studi di settore, nel caso di esercizio di due o piu’ attivita’ di impresa, non rientranti nel medesimo studio di settore, per i quali non e’ stata tenuta l’annotazione separata, operasse soltanto nel caso in cui il rapporto tra i ricavi derivanti da quella iniziata o cessata e quelli complessivi fosse superiore al 20%, condizione, nella specie, pacificamente insussistente;
– il motivo, sotto entrambi i profili prospettati, e’ fondato per le ragioni di seguito indicate, in parte diverse da quelle dedotte a fondamento della censura medesima;
– emerge dalla stessa sentenza impugnata che, nella specie, l’accertamento e’ stato condotto dall’Ufficio ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d-ter, per infedele indicazione da parte della societa’ contribuente di una causa di esclusione dagli studi di settore con conseguente illegittima mancata presentazione -in allegato al M. Unico 2007- del modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione dello studio di settore relativo all’attivita’ prevalente (di riciclaggio rifiuti), non potendo valere, ad avviso dell’Amministrazione, come causa di “esclusione o di inapplicabilita’ degli studi di settore la circostanza dichiarata dalla contribuente relativa all’inizio – in aggiunta all’attivita’ principale- dell’ulteriore
attivita’ marginale di cava nell’anno 2006, essendo, a tal fine, necessario che, nel caso di esercizio di due o piu’ attivita’ di impresa, non rientranti nel medesimo studio di settore, i ricavi derivanti dall’attivita’ iniziata o cessata risultassero superiori al 20% dei ricavi complessivi;
– la L. n. 146 del 1998, articolo 10, comma 4, contenente disciplina delle modalita’ di utilizzazione degli studi di settore nell’accertamento, stabilisce invece che “Le citate disposizioni non si applicano, altresi’, ai contribuenti che hanno iniziato o cessato l’attivita’ nel periodo d’imposta ovvero che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attivita’.”. Ora, la L. del 1998, articolo 10 citato, nel contemplare un sistema automatico di accertamento da applicare ai contribuenti che dichiarino redditi inferiori alla media del settore, delimita il proprio ambito di applicazione, prevedendo con il comma 4, a favore del contribuente, una deroga al primo, nel senso che gli accertamenti in base agli studi di settore non possono essere effettuati nei confronti di quei contribuenti che, nell’anno d’imposta in esame, abbiano iniziato o cessato l’attivita’, trattandosi di situazioni estremamente peculiari ed “anomale” in senso lato, come tali incompatibili con un sistema di determinazione del reddito di tipo automatico presuntivo. Il comma 4 risponde dunque ad una finalita’ di tutela del contribuente che versi in situazioni, specifiche, di “debolezza” (Cass. Sez. 5, n. 8066 del 2013); trattasi evidentemente di ipotesi in cui “l’attivita’ che il contribuente inizi o cessi nel periodo d’imposta” costituisca attivita’ esclusivamente espletata o cessata dal medesimo nel periodo in contestazione;
– accanto alle cause di esclusione dagli studi di settore che costituiscono il frutto di valutazioni piu’ generali valide per qualsiasi tipo di studio, con conseguente la non applicabilita’ nei confronti del contribuente sia degli studi di settore che dei parametri, sussistono cause di inapplicabilita’ degli studi di settore consistenti in circostanze che riguardano tipicamente gli studi di settore e che possono in teoria essere divergenti a seconda della macroarea di attivita’ considerata. Si tratta di quelle condizioni ostative aventi la propria ragion d’essere in peculiarita’ che caratterizzano la singola attivita’ concretamente svolta ponendola al di fuori del modello assunto a riferimento durante la costruzione dello studio di settore;
– i decreti di approvazione degli studi di settore relativi alle attivita’ economiche nei settori del commercio, delle manifatture e dei servizi, hanno previsto che gli stessi non si applicano, tra l’altro, “nel caso di esercizio di due o piu’ attivita’ d’impresa non rientranti nel medesimo studio di settore ed in assenza giustificata di separata contabilizzazione (c.d. imprese multiattivita’), se l’importo complessivo dei ricavi dichiarati relativi alle attivita’ non prevalenti (non rientranti tra quelle prese in considerazione dallo studio di settore) supera il 20 per cento dell’ammontare totale dei ricavi dichiarati”;
– si precisa tuttavia che il decreto dirigenziale 24 dicembre 1999, pubblicato sulla G.U. 29 dicembre 1999, n. 304, introducendo l’obbligo dell’annotazione separata di tutti gli elementi rilevanti ai fini della applicazione degli studi di settore, per ciascun punto di produzione e/o di vendita, ovvero per ciascuna attivita’ esercitata, ha rimosso, in linea di principio, le cause di inapplicabilita’ stabilite dai decreti ministeriali di approvazione degli studi stessi; infatti, l’introduzione dell’obbligo di annotazione separata fa venir meno le condizioni di inapplicabilita’ a seguito della rilevazione separata degli elementi, strutturali e contabili, sui quali si basa l’applicazione degli studi di settore relativamente ai diversi punti di produzione o di vendita ovvero alle diverse attivita’ esercitate; tale prescrizione sussiste solo se per tutte le attivita’ esercitate e’ possibile applicare gli studi di settore. In presenza di una o piu’ attivita’, anche marginali in termini di ricavi, non “soggette” a studi di settore, tale obbligo non sussiste (v. Decreto Ministeriale del Ministerodell’economia e delle finanze del 30 marzo 2002 -Approvazione di criteri per l’applicazione degli studi di settore ai contribuenti che esercitano due o piu’ attivita’ d’impresa ovvero una o piu’ attivita’ in diverse unita’ di produzione o di vendita – Tali criteri si applicano a partire dall’anno 2001, limitatamente alle attivita’ indicate nella tabella di cui all’allegato 1.A nel cui elenco sono ricomprese espressamente le “attivita’ di estrazione di pietre da costruzione”- articolo 3, comma 1 “I criteri indicati nell’articolo 1 non si applicano nei confronti dei contribuenti che: c) esercitano due o piu’ attivita’ d’impresa non rientranti nel medesimo studio di settore, nel caso in cui l’importo dei ricavi conseguiti nel periodo d’imposta, relativo alle attivita’ non prevalenti, sia non superiore al 20 per cento dell’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti nello stesso periodo);
– premesso il ricostruito quadro normativo in materia, nel caso di specie, la CTR non si e’ attenuta ai suddetti principi, in quanto, a fronte dell’accertamento dell’Ufficio Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 2, lettera d-ter, per infedele indicazione da parte della societa’ contribuente della causa di esclusione o inapplicabilita’ dagli studi di settore, relativa “all’inizio della marginale – in aggiunta alla principale di riciclaggio dei rifiuti- attivita’ (di cava)nell’anno 2006”, con conseguente contestata omessa presentazione dello studio di settore relativo all’attivita’ prevalente (di riciclaggio di rifiuti) si e’ limitata ad affermare l’illegittimita’ dell’avviso tenuto conto, da un lato, della regolarita’ della contabilita’ – come tale irrilevante, avendo l’Ufficio condotto l’accertamento non gia’ ai sensi dell’articolo 39, comma 2, lettera d) – in base al quale rilevano di per se’ la gravita’, numerosita’ e irregolarita’ formale delle scritture contabili tali da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilita’ sistematica – ma ai sensi dell’articolo 39, comma 2, lettera d-ter – e, dall’altro della “sussistenza della causa di esclusione dell’applicazione degli studi di settore in presenza di una nuova attivita’ di produzione”, senza verificare se, trattandosi pacificamente di una attivita’ (di cava) marginale, in aggiunta alla principale (di riciclaggio dei rifiuti) e dunque, in quanto tale, alla luce del quadro normativo sopra delineato, non soggetta allo studio di settore, sussistesse, stante l’obbligatorieta’ della annotazione separata nel 2006, in relazione all’altra attivita’ principale, l’obbligo di presentazione del corrispondente studio di settore;
– in conclusione il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia, in diversa composizione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia, in diversa composizione;
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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