La trasformazione da parte del compratore della cosa acquistata non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 11654.

La trasformazione da parte del compratore della cosa acquistata non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi

La trasformazione da parte del compratore della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilità di restituirla, non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’art. 1492, comma 3, c.c., nel caso in cui quel comportamento non evidenzi univocamente che la parte, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela dell’azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo.

Ordinanza|| n. 11654. La trasformazione da parte del compratore della cosa acquistata non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi

Data udienza  22 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Vendita – Trasformazione della cosa acquistata da parte del compratore con conseguente impossibilità di restituirla – Esperibilità dell’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’art. 1492 c.c. – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso per procura alle liti allegata al ricorso dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo digitale pec del difensore;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante sig. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura alle liti allegata al controricorso dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso il suo studio in (OMISSIS);

– controricorrente –

e

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1552/2018 della Corte di appello di Bari, depositata l’11.9.2018;

Udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Mario Bertuzzi nella Camera di consiglio del 22.2.2023.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 1552 dell’11.9.2018 la Corte di appello di Bari rigetto’ l’impugnazione proposta da (OMISSIS), titolare della ditta (OMISSIS), avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato la parziale risoluzione, per la parte di merce non completamente utilizzata per la lavorazione, del contratto con cui la s.r.l. (OMISSIS) aveva acquistato dalla (OMISSIS) una partita di pellame, per vizi che rendevano la merce inidonea all’uso, e condannato la ditta convenuta alla restituzione del prezzo corrispondente di Euro 6.172,17.

La Corte barese, per quanto qui ancora rileva, dichiaro’ inammissibile, per mancanza di interesse all’impugnazione, nonche’ anche infondato nel merito, il motivo con cui l’appellante aveva lamentato il vizio di omessa pronuncia, per avere il Tribunale omesso di statuire in dispositivo il rigetto della domanda della societa’ attrice di risarcimento dei danni, che pure aveva dichiarato, in motivazione, infondata per difetto di prova; confermo’ nel resto la sentenza impugnata, affermando, in particolare, che la statuizione di risoluzione, parziale, del contratto non trovata nella specie ostacolo nella circostanza che l’acquirente avesse lavorato e quindi trasformato la merce difettosa, non piu’ suscettibile, per l’effetto, di autonoma utilizzazione economica, atteso che la lavorazione era avvenuta senza consapevolezza del difetto, che era emerso soltanto nel corso di trattamento del materiale, e che la parte inadempiente e’ tenuta comunque a sopportare ogni conseguenza derivante dal proprio inadempimento.

Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 13. 9. 2018, con atto notificato l’8.11.2018, ha proposto ricorso (OMISSIS), titolare della ditta (OMISSIS), affidandosi a due motivi.

La societa’ (OMISSIS) ha notificato controricorso.

La causa e’ stata avviata in decisione in Camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli articoli 100 e 112 c.p.c., lamenta che la Corte di appello abbia dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, ed infondato nel merito, il motivo di gravame che aveva denunziato il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni proposta dalla controparte, che il Tribunale, pur respingendo in motivazione per difetto di prova, non aveva esplicitato nel dispositivo della sentenza. Il ricorrente assume, al contrario, che egli aveva interesse alla riforma della sentenza impugnata ed alla conseguente statuizione di rigetto della domanda avversaria, al fine di opporre il giudicato sul punto qualora la controparte avesse avanzato nuovamente tale pretesa. Aggiunge che la mancanza di statuizione al riguardo configura, in base alla giurisprudenza di legittimita’, una omessa pronuncia, non potendo la relativa decisione desumersi, in mancanza, dalla sua sola parte motiva.

Il motivo e’ infondato e, nella specie, anche inammissibile.

L’infondatezza della censura consegue alla mancanza dell’interesse della parte alla impugnazione, che la legge processuale ravvisa solo in capo alla parte rimasta soccombente. Questa regola fa si’ che la parte non possa denunziare una sentenza per omessa pronuncia su una domanda avversaria, potendo di tale omissione dolersi solo la parte che l’abbia proposta. Ne’ vale in contrario obiettare che l’interesse della parte alla pronuncia consiste nella possibilita’ di opporre il giudicato in caso di reiterazione della medesima domanda in altro giudizio, trattandosi di interesse di fatto, legato ad eventualita’ solo prospettabili, carenti dei requisiti di attualita’ e concretezza, che debbono essere necessariamente legati alle vicende interne del processo e non ad altri eventuali giudizi.

Privo di pregio e’ anche il richiamo fatto in ricorso alla giurisprudenza di questa Corte che ravvisa il vizio di omessa pronuncia nel caso in cui la statuizione manchi nel dispositivo, non potendo essa desumersi dalle sole affermazioni contenute nella parte motiva della sentenza. I precedenti citati (Cass. n. 16152 del 2010 e n. 12084 del 2007) si riferiscono infatti a fattispecie in cui il vizio era stato denunciato dalla parte che aveva proposto domanda, non da quella che ne era la destinataria.

Nel caso di specie va poi osservato che e’ lo stesso motivo di ricorso ad essere inammissibile per carenza di interesse, avendo la Corte di appello altresi’ precisato che la sentenza del Tribunale si era pronunciata sulla domanda della controparte e l’aveva rigettata, sicche’ e’ evidente che tale statuizione soddisfa l’interesse dell’attuale ricorrente a vedere riconosciuta una pronuncia di rigetto. Il secondo motivo di ricorso, nel denunziare violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1492 c.c., comma 3, articolo 1493 c.c., comma 2, e articolo 1458 c.c., censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto che l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto fosse precluso dal fatto, pacifico, che la merce aveva subito trasformazioni per effetto della lavorazione eseguita dalla acquirente, tali da renderla inidonea ad essere successivamente utilizzata, contravvenendo in tal modo all’esplicita previsione posta dall’articolo 1492 c.c., comma 3. Si assume inoltre che, essendo il compratore tenuto, in caso di risoluzione del contratto, a restituire la merce viziata, avrebbe dovuto essere riconosciuto al compratore, a tutela dell’equilibrio contrattuale, un equivalente monetario rapportato al suo valore.

Il mezzo e’ infondato.

La Corte di appello ha precisato sul punto che la trasformazione della merce da parte dell’acquirente non costituiva un impedimento alla pronuncia di risoluzione del contratto atteso che la lavorazione era avvenuta senza consapevolezza del difetto, che era emerso soltanto nel corso di trattamento del materiale. La pronuncia appare conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui la trasformazione, da parte del compratore, della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilita’ di restituirla, non e’ di per se’ sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’articolo 1492 c.c., comma 3, nel caso in cui quel comportamento non evidenzi univocamente che la parte, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, cosi’ rinunciando alla maggiore tutela dell’azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo (Cass. n. 14665 del 2008; Cass. n. 7619 del 2002; Cass. n. 489 del 2001; Cass. n. 3500 del 1996).

Priva di pregio e’ infine l’argomentazione secondo cui, una volta accertata l’impossibilita’ o l’inutilita’ della restituzione, andrebbe comunque riconosciuto al compratore, a tutela dell’equilibrio contrattuale, un equivalente monetario rapportato al suo valore.

Gli effetti restitutori delle prestazioni eseguite in caso di risoluzione del contratto sono previsti dalla legge (articoli 1458 e 1493 c.c.), ma non costituiscono effetti automatici della pronuncia di risoluzione, nel senso che il giudice debba sempre disporli laddove adotti tale statuizione. Questa Corte ha piu’ volte affermato che, nel caso in cui il contratto sia dichiarato risolto, e’ necessario che la parte formuli specifica domanda al fine di ottenere la restituzione della prestazione eseguita, non potendo il giudice adottare la relativa statuizione d’ufficio, atteso che, pur trattandosi di una conseguenza della pronuncia sul negozio, non si tratta di un effetto automatico, rientrando nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo o meno la restituzione della prestazione rimasta senza causa (Cass. 3578 del 2013; Cass. n. 2075 del 2013; Cass. n. 2439 del 2006). In applicazione di tale principio la relativa censura non merita di essere accolta, non avendo la parte dedotto, ne’ risultando la relativa circostanza dalla lettura della sentenza, di avere proposto apposita domanda in tal senso.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Si da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

 

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