Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 21 maggio 2019, n. 3271.
La massima estrapolata:
La sospensione di un processo di tipo civile, quale è il processo amministrativo in forza dell’art. 39 c.p.a. è possibile, come ritenuto da costante giurisprudenza, solo a condizioni particolarmente rigorose; in particolare, non è sufficiente che il processo civile e quello penale riguardino gli stessi fatti storici, ma è in più necessario un dato normativo, occorre cioè che esista una norma giuridica la quale produca nel processo civile un effetto giuridico collegato al giudicato penale.
Sentenza 21 maggio 2019, n. 3271
Data udienza 18 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8990 del 2017, proposto dai signori:
Iv. Br. e Ad. Br., rappresentati e difesi dagli avvocati Ro. Da. e Si. Vi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Vi. in Roma, via (…);
contro
il Comune di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Pa. Pe., elettivamente domiciliato presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
per l’annullamento ovvero la riforma
previa sospensione
della sentenza del TAR Liguria, sezione I, 10 luglio 2017 n. 604, che ha pronunciato sui ricorsi riuniti n. 18/2016 e 819/2016 R.G. proposti per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di Genova:
(ricorso n. 18/2016)
a) del provvedimento 27 giugno 2006 prot. n. 686396, conosciuto il giorno 5 novembre 2015, con il quale il Dirigente della Direzione territorio, mobilità, sviluppo economico e ambiente ha respinto la domanda di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 della l. 24 novembre 2003 n. 326, presentata da Iv. Br. il giorno 10 dicembre 2004 per opere abusive situate in via (omissis), già via (omissis) consistenti dichiaratamente in una costruzione in ferro e legno con tamponatura in materiali vari, ad uso abitativo;
(ricorso n. 819/2016)
b) del provvedimento 27 luglio 2016 prot. n. 259923, notificato il giorno 5 agosto 2016, con il quale il Dirigente della Direzione urbanistica ha ingiunto ad Ad. Br. quale proprietaria e committente la demolizione e il ripristino in quanto abusive di opere situate in via (omissis) e consistenti in un fabbricato monopiano ad uso residenziale, a pianta rettangolare, con dimensioni di mt. 12,25 x 5 e copertura a due falde inclinate, con altezza all’imposta di mt 2,50 e mt 2,80 al colmo, il tutto corredato da un loggiato di mt 2,40 x 1,80 e da un volume accessorio di mt 1,98 x 2.24 ad uso lavanderia e volume tecnico.
In particolare, la sentenza ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 18/2016 e respinto il ricorso n. 819/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte ricorrente l’avvocato Ro. Da.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il giorno 10 dicembre 2004, con istanza registrata al prot. n. 3000, il primo dei ricorrenti appellanti ha chiesto al Comune intimato appellato il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 convertito nella l. 24 novembre 2003 n. 326, ovvero delle norme sul “terzo condono edilizio”, per un immobile situato in via (omissis), già via (omissis), distinto al catasto comunale alla sezione (omissis), foglio (omissis), mappale (omissis), e descritto come “costruzione in ferro e legno tamponata con materiali vari e sommariamente arredata, per uso abitativo” (doc. 3 in I grado ricorrente nel ricorso n. 18/2016, domanda di condono).
Su tale domanda, il Comune risulta avere pronunciato un preavviso di diniego, atto 28 aprile 2006 prot. n. 616030 (doc. 4 in I grado ricorrente nel ricorso n. 819/2016), che l’interessato ha impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, dichiarato inammissibile appunto perché rivolto contro un atto non provvedimentale e quindi non lesivo, come da D.P.R. 20 luglio 2015 e conforme parere del C.d.S. sez. I 24 luglio 2013 n. 2465 (doc. 6 in I grado ricorrente nel ricorso n. 18/2016).
Il Comune ha emesso il provvedimento di diniego vero e proprio successivamente, con atto intestato 27 giugno 2006 prot. n. 686396, anche se nel corpo dell’atto lo si qualifica come “provvedimento di diniego n. 11 in data 20 giugno 2006”, atto che il ricorrente appellante afferma di avere conosciuto solo il giorno 5 novembre 2015; nella motivazione di tale atto, il Comune afferma infatti di ritenere la domanda dolosamente infedele ai sensi dell’art. 40 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, dato che “dalla relazione di accertamento di illecito edilizio… del Settore Edilizia privata datata 16 luglio 2007 prot. n. 1048 AE, risulta che il manufatto in oggetto non ha destinazione abitativa in quanto trattasi di una baracca ad uso magazzino, composta da struttura in profilati metallici, tamponamento in ondulato plastico e manto di copertura in lamiere grecate, manufatto privo di finiture e servizi igienici” (doc. 8 in grado ricorrente nel ricorso n. 18/2016).
Successivamente, peraltro, l’interessato, come da atto 23 aprile 2007 rep. n. 53086 e racc. n. 19029 Notaro An. di Genova (doc. 2 in I grado ricorrente appellante nel ricorso n. 819/2016), ha ceduto l’immobile alla seconda ricorrente appellante, la quale ha ricevuto in qualità di nuova proprietaria l’ordinanza di demolizione 27 luglio 2016 prot. n. 259923.
L’ordinanza in questione descrive l’immobile abusivo che, nell’area indicata, è stato rilevato dai tecnici del Comune come da relazione 10 dicembre 2015 prot. n. 38288 come un fabbricato monopiano ad uso residenziale, a pianta rettangolare, con dimensioni di mt. 12,25 x 5 e copertura a due falde inclinate, con altezza all’imposta di mt 2,50 e mt 2,80 al colmo, corredato da un loggiato di mt 2,40 x 1,80 e da un volume accessorio di mt 1,98 x 2.24 ad uso lavanderia e volume tecnico per la caldaia del riscaldamento, e di tale immobile riporta anche la descrizione e misura delle stanze di cui è composto; ciò posto, ritiene che si tratti di un nuovo fabbricato, che sorge sul sedime del precedente edificio per cui era stato chiesto il condono, edificio demolito e sostituito da un edificio nuovo, realizzato senza titolo alcuno; per tali motivi, ne ordina la demolizione (doc. 1 in I grado ricorrente appellante nel ricorso n. 819/2016).
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha riunito i ricorsi 18/2016 e 819/2016, presentati dall’originario proprietario e dalla sua avente causa rispettivamente contro il diniego di condono e contro l’ordinanza di demolizione; ha quindi dichiarato improcedibile il ricorso n. 18/2016, ritenendo che il bene oggetto della domanda originaria di condono, cui il diniego si riferiva, più non esistesse, e respinto il ricorso n. 819/2016, ritenendo che l’immobile rilevato come esistente costituisse effettivamente una nuova costruzione realizzata senza titolo.
I ricorrenti hanno proposto impugnazione contro tale sentenza, con appello che contiene due censure, che corrispondono secondo logica ai seguenti quattro motivi, di critica alla sentenza impugnata e di riproposizione dei motivi di I grado:
– con il primo di essi, deducono propriamente eccesso di potere per falso presupposto, e sostengono che in realtà l’edificio oggetto dell’ordinanza di demolizione 27 luglio 2016 e quello oggetto della domanda di condono respinta sarebbero il medesimo, e che la sentenza di I grado avrebbe errato nel ritenere il contrario e quindi nel dichiarare improcedibile il ricorso contro il diniego di condono;
di seguito, ripropongono quindi i motivi dedotti in I grado contro il diniego stesso, e precisamente:
– con il secondo motivo, corrispondente alle censure riproposte § § 1, 2 e 3, deducono violazione dell’art. 32 del d.l. 269/2003, nel senso che l’opera sarebbe stata condonabile;
– con il terzo motivo, corrispondente alle censure riproposte § § 4 e 5, deducono ulteriore violazione della norma citata, sostenendo che sulla sua domanda si sarebbe formato il silenzio assenso;
– con il quarto motivo, da ultimo, rivolto contro il capo della sentenza che respinge il ricorso n. 819/2016, deducono violazione dell’art. 40 della l.r. Liguria 6 giugno 2008 n. 16, sostenendo che l’immobile non potrebbe essere demolito perché il presupposto richiesto dalla norma per provvedere in tal senso, ovvero essere l’opera realizzata in fascia di rispetto autostradale, non sarebbe dimostrato né enunciato nell’ordinanza, e comunque opererebbe solo a lavori non ultimati.
Il Comune ha resistito, con atto 29 dicembre 2017 e memoria 15 gennaio 2018, in cui ha chiesto che l’appello sia respinto.
Alla camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018, i ricorrenti appellanti hanno rinunciato alla domanda cautelare e con memoria 6 marzo 2019 hanno insistito sulle loro asserite ragioni.
Successivamente, con istanza 20 marzo 2019, i ricorrenti appellanti hanno chiesto che questo procedimento sia sospeso o rinviato, in attesa della definizione di un procedimento penale a loro carico per l’abuso edilizio in questione, ritenendo di poter trarre dall’istruttoria penale elementi a favore della loro difesa.
Il Comune, con replica 21 marzo 2019, ha insistito per la reiezione dell’appello.
All’udienza del giorno 11 aprile 2019, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, va respinta l’istanza proposta dai ricorrenti appellanti per la sospensione di questo processo in attesa della definizione del procedimento penale a loro carico, che sarebbe stato instaurato per l’abuso di cui si tratta.
1.1 Com’ è noto, infatti, la sospensione di un processo di tipo civile, quale è il processo amministrativo in forza dell’art. 39 c.p.a. è possibile, come ritenuto da costante giurisprudenza, solo a condizioni particolarmente rigorose; in particolare, non è sufficiente che il processo civile e quello penale riguardino gli stessi fatti storici, ma è in più necessario un dato normativo, occorre cioè che esista una norma giuridica la quale produca nel processo civile un effetto giuridico collegato al giudicato penale: così per tutte Cass. civ. sez. VI 11 luglio 2018 n. 18202 e sez. I 16 dicembre 2005 n. 27787.
1.2 Nel caso presente, tale presupposto non sussiste, né per vero lo hanno sostenuto i ricorrenti appellanti, i quali hanno avanzato l’istanza solo perché ritengono che dal processo penale potrebbero emergere elementi di fatto utili per la loro difesa, e non hanno allegato alcun effetto specifico che dalla relativa pronuncia potrebbe discendere per questo processo.
2. Tanto premesso, l’appello è infondato nel merito e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.
3. Il primo motivo, fondato sul presunto erroneo apprezzamento del fatto da parte del provvedimento impugnato e successivamente da parte del Giudice di I grado, è infondato e va respinto. In proposito, è sufficiente confrontare le fotografie allegate all’originaria istanza di condono (doc. 3 in I grado ricorrenti appellanti) con le fotografie scattate successivamente, le quali riproducono la costruzione così come si presenta ora (doc. ti 11 e 12 in I grado ricorrenti appellanti, relazione tecnica di parte e verbale di sopralluogo dei tecnici comunali del giorno 10 dicembre 2015) per rendersi conto che si tratta di due manufatti completamente diversi, in sintesi da un lato di una baracca deposito in lamiera, obiettivamente del tutto inadatta ad essere un’abitazione in qualche modo salubre, e dall’altro di una piccola abitazione ad un solo piano. Da ciò, si ricava che è del tutto corretto quanto afferma il Comune nel diniego di condono, ovvero che la domanda originaria sarebbe stata dolosamente infedele, in quanto riferita ad un’abitazione, costruita invece in un secondo momento, e non ad un deposito, che corrispondeva all’esistente. La ricostruzione alternativa prospettata dai ricorrenti (v. doc. 11 in I grado, cit.), secondo la quale essi si sarebbero limitati a una manutenzione del fabbricato preesistente, non è invece credibile, perché, come correttamente affermato dal Giudice di I grado, non corrisponde ai fatti.
4. Dalla reiezione del primo motivo di appello discende la reiezione anche dei motivi successivi, per il rilievo fondamentale per cui l’opera originaria per la quale la sanatoria fu richiesta più non esiste ed è stata sostituita da un’opera diversa. Nell’ordine, ciò comporta la reiezione del terzo motivo, perché la sanatoria dell’opera esistente non è in realtà mai stata richiesta, la reiezione del quarto motivo, perché anche in questo caso un eventuale silenzio assenso non riguarderebbe la sanatoria della costruzione ora esistente, e la reiezione anche del quarto motivo, perché – per lo meno allo stato, e salvi i rimedi ulteriori che l’ordinamento prevede in via ordinaria per la sanatoria delle costruzioni abusive- il manufatto ora esistente è una nuova costruzione realizzata senza titolo, rispetto alla quale l’adozione del provvedimento repressivo impugnato con il ricorso 819/2016 è doverosa, a prescindere dal fatto che essa interessi o no una fascia di rispetto autostradale.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 8990/2017), lo respinge.
Condanna in solido i ricorrenti appellanti a rifondere al Comune intimato appellato le spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in Euro 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere
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