Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 16 aprile 2020, n. 12295.
Massima estrapolata:
La sanzione accessoria della rimozione del grado, prevista obbligatoriamente in caso di condanna per il delitto di furto militare dall’art. 230, comma 3, c.p.m.p., trova applicazione anche in caso di tentativo, essendo identiche, in tale ipotesi, le esigenze tutelate dalla norma sanzionatoria.
Sentenza 16 aprile 2020, n. 12295
Data udienza 8 ottobre 2019
Tag – parola chiave: Reati militari – Tentato furto aggravato – Artt. 46, 230 c.p.m.p. – Art. 56 cp – Pena detentiva sostituita con la sanzione pecuniaria – Art. 53, comma 2, Legge 689 del 1981 – Determinazione – Art. 135 cp – Soglia minima – Pene accessorie – Rimozione dal grado – Art. 230 c.p.m.p. – Applicabilità anche in caso tentativo – Sussistenza – Ragioni
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Ann – rel. Consigliere
Dott. LIUNI Teresa – Consigliere
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VERONA;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/12/2018 del TRIBUNALE MILITARE di VERONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROSA ANNA SARACENO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Ufiligelli Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo di ricorso e l’annullamento senza rinvio con applicazione della pena accessoria della rimozione dal grado.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 7 dicembre 2018 il Tribunale militare di Verona ha dichiarato (OMISSIS), sergente dell’E.I., responsabile del delitto di tentato furto militare aggravato (articolo 56 c.p., articoli 46 e 230 c.p.m.p., comma 1 e 2), fatto commesso in (OMISSIS), e – escluse le aggravanti di cui agli articoli 61 c.p., n. 5, e 231 c.p.m.p., comma 1, n. 1, concessa l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, in regime di equivalenza con le residue aggravanti- l’ha condannato alla pena di un mese di reclusione militare, sostituita con la sanzione pecuniaria di Euro tremila di multa, da pagarsi in trenta rate mensili di eguale importo.
1.1 Per quanto rileva in questa sede, il Tribunale ha motivato la mancata applicazione della pena accessoria della rimozione dal grado, prevista dall’articolo 230 c.p.m.p., comma 3, da un lato escludendone l’applicabilita’ anche all’ipotesi del furto militare tentato, dall’altro osservando che la pena accessoria, nella struttura della fattispecie incriminatrice, e’ implicitamente correlata alla pena detentiva, come espressamente previsto dalla norma generale di cui all’articolo 29 c.p.m.p., in forza della quale la rimozione consegue alla condanna alla reclusione militare, mentre nel caso in esame era stata inflitta la pena pecuniaria che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 57, comma 2, si considera sempre tale anche se sostitutiva della pena detentiva.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso diretto per cassazione il Procuratore militare presso il Tribunale di Verona, chiedendone l’annullamento.
2.1 Con un primo motivo denunzia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 135 c.p. e L. n. 689 del 1981, articolo 53. Il Tribunale militare, determinando il valore giornaliero di Euro 100, ha effettuato un ragguaglio non consentito dalla norma, superando per difetto il minimo di legge. Invero la L. n. 689 del 1981, articolo 53, comma 2, prevede che, per la determinazione dell’ammontare della pena pecuniaria, il giudice individua il valore giornaliero al quale puo’ essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Ma il valore giornaliero non puo’ essere inferiore alla somma indicata dall’articolo 135 c.p. (oggi 250 Euro) e non puo’ superare di dieci volte tale ammontare.
2.2 Con il secondo motivo denunzia erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 29 e articolo 230 c.p.m.p., comma 3. La sanzione accessoria della rimozione dal grado consegue obbligatoriamente alla condanna del militare per il reato di furto militare sia esso consumato che tentato, come statuito da Sez. 1, 15.7.2009, Di Castro; la sua applicazione soddisfa l’esigenza di escludere una condizione soggettiva ritenuta incompatibile con il riconoscimento di responsabilita’ penale per determinati reati, tra cui per l’appunto il furto militare, sicche’ le limitazioni di capacita’, attivita’ o funzioni che essa comporta si ricollegano non alla pena inflitta, ma alla natura del reato per cui e’ intervenuta condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare meritevole di accoglimento.
2. Fondato e’ il primo motivo.
La L. n. 689 del 1981, articolo 53, comma 2 stabilisce, infatti, che, per la determinazione della pena pecuniaria sostitutiva, il giudice individua un valore giornaliero, tenendo conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare.
Precisa, inoltre, che l’ammontare di ciascun “tasso” “non puo’ essere inferiore alla somma indicata dall’articolo 135 c.p. e non puo’ superare di dieci volte tale ammontare” e che “alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria si applica l’articolo 133 ter c.p.”.
L’articolo 135 c.p., nel testo attualmente in vigore, prevede che “Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando Euro 250, o frazione di Euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva”.
Ora, la formula “o frazione di Euro 250”, presente nel citato articolo 135 c.p., non abilita il giudice a determinare discrezionalmente il valore giornaliero minimo della pena detentiva da sostituire in una somma anche inferiore ad Euro 250; “la predetta formula deve intendersi, infatti, riferita alla sola ipotesi della conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, e non anche a quella inversa, giacche’ solo nel primo caso emerge l’esigenza di tener conto di eventuali “resti” (cio’, stante la possibilita’ che l’ammontare della pena pecuniaria da convertire non corrisponda a un coefficiente di ragguaglio o ad un suo multiplo)” (Corte Cost. n. 214 del 2014).
Come correttamente rilevato dal ricorrente, dunque, l’articolo 53, comma 2 della legge citata, e’ univoco nello stabilire che la somma indicata nell’articolo 135 c.p. rappresenti il valore giornaliero minimo della pena da sostituire, ne’ avrebbe senso alcuno che il legislatore abbia espressamente individuato e indicato la soglia minima invalicabile, se poi fosse consentito al giudice di scendere discrezionalmente al di sotto di essa. Nella determinazione dell’ammontare del valore giornaliero la norma, poi, impone al giudice lo stesso
percorso valutativo dell’articolo 133 bis c.p., stabilendo che si debba tenere conto della situazione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare, anche al fine di determinare una pena effettiva ed efficacemente dissuasiva o di evitare che la monetizzazione della liberta’ avvenga a prezzo vile, ma le condizioni economiche del reo sono oggetto di apprezzamento solo all’interno della forbice prevista dal terzo periodo della richiamata disposizione, che espressamente individua il minimo invalicabile nella somma indicata dall’articolo 135 c.p., consentendo che il valore giornaliero possa essere determinato sino a dieci volte il suo ammontare.
Evidente e’ allora l’errore di diritto in cui e’ incorso il Tribunale nella individuazione, peraltro affatto immotivata, del coefficiente di ragguaglio in 100 Euro anziche’ in 250 Euro, importo quest’ultimo non superabile per espresso e chiaro dettato normativo.
3. Parimenti fondato e’ il secondo motivo di ricorso.
La pena accessoria della rimozione, a carattere perpetuo, colpisce i militari rivestiti di un grado e comunque “appartenenti a una classe superiore all’ultima” e fa discendere il militare condannato “alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe”. Essa, dunque, mira ad escludere una situazione soggettiva, implicante l’esercizio di poteri gerarchici di natura militare, tutte le volte in cui il militare abbia riportato condanna superiore a tre anni di reclusione militare ovvero quando il mantenimento del grado sia ritenuto incompatibile con il riconoscimento della responsabilita’ penale per determinate condotte delittuose, che si pongono in contrasto con preminenti esigenze della vita militare.
L’articolo 29 c.p.m.p., comma 2, il quale sancisce che la pena accessoria della rimozione consegue alla condanna superiore a tre anni di reclusione militare “salvo che la legge disponga altrimenti”, contiene infatti un espresso riferimento a disposizioni derogatorie, in particolare alle fattispecie incriminatrici di singoli reati militari, nelle quali la pena accessoria della rimozione e’ prevista indipendentemente dalla pena inflitta, come per l’appunto nell’ipotesi di furto militare, per il quale l’articolo 230, comma 3, dispone testualmente che “la condanna importa la rimozione”, indipendentemente dall’entita’ della pena inflitta o dalla connotazione di minima entita’ dell’accadimento. E poiche’ le esigenze di tutela che il legislatore ha inteso valorizzare con la norma sanzionatoria permangono identiche sia con riferimento alla fattispecie delittuosa consumata che a quella tentata, non v’e’ ragione di discostarsi dal principio – che si condivide e si riafferma- secondo il quale la sanzione accessoria della rimozione dal grado, prevista dall’articolo 230 c.p.m.p., comma 3, obbligatoriamente applicabile allorche’ intervenga condanna per il delitto di furto militare trova applicazione, altresi’, alla ipotesi tentata (Sez. 1, n. 34368 del 15/07/2009, P.G. in proc. Di Castro, Rv. 244818). Invero, pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, deve escludersi che, quando la legge si limita a fare riferimento alla ipotesi tipica, debba ritenersi in ogni caso esclusa quella tentata; occorre, invece, avere riguardo alla materia cui la legge si riferisce e alla sua ratio per stabilire se sia compresa o meno l’ipotesi del tentativo. Nel caso della pena accessoria specificamente prevista dall’articolo 230, comma 3, per il furto militare, obbligatoriamente connessa alla condanna (e lo stesso e’ a dirsi, ad esempio, per il reato di omessa esecuzione di un incarico di cui all’articolo 117 c.p.m.p., il reato di peculato militare ai sensi degli articoli 215 e 219 c.p.m.p., il reato di truffa militare ex articolo 234 c.p.m.p., il reato di ricettazione ex articolo 237 c.p.m.p.), il legislatore ha considerato incompatibile la conservazione di una condizione soggettiva con il riconoscimento di reponsabilita’ penali per la consumazione di determinate condotte delittuose; non sarebbe, pertanto, logico escludere dalla suddetta sanzione accessoria le ipotesi caratterizzate dal solo tentativo, ancorche’ meritevole di una pena principale meno grave, quando immutate restano le esigenze alla cui tutela e’ finalizzata la previsione sanzionatoria.
Per le medesime ragioni del tutto inconferente e’ il richiamo effettuato dal Tribunale alla norma generale di cui all’articolo 29 c.p.m.p che non trova applicazione nelle ipotesi, per le quali il legislatore, riaffermando l’applicabilita’ della pena accessoria per il solo fatto della condanna, ha prescisso dall’entita’ (e dalla specie) della pena in concreto irrogata.
3. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla pena accessoria della rimozione dal grado che va applicata, nonche’ alla entita’ della sanzione sostitutiva, alla cui rideterminazione puo’ provvedere direttamente la Corte di cassazione, trattandosi di calcolo che, derivando dalla necessita’ di applicare il coefficiente di ragguaglio minimo di 250 Euro per un giorno di pena detentiva, non richiede alcuna discrezionalita’. Per conseguenza la sanzione sostitutiva va rideterminata in Euro 7.500,00, ferma la gia’ disposta rateizzazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla entita’ della sanzione sostitutiva, che ridetermina in Euro 7.500,00 – ferma la gia’ disposta rateizzazione in 30 rate mensili -, nonche’ alla pena accessoria della rimozione dal grado, che applica.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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