Corte di Cassazione, civile, Sentenza|8 marzo 2023| n. 6893.
La responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata
La responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata – per il compimento di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4), c.c. – è disciplinata nel successivo art. 2486 c.c. e, pur avendo natura extracontrattuale, non è suscettibile di essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., non venendo in evidenza un “fatto illecito” nel senso postulato da detta norma, in quanto gli amministratori agiscono nel compimento delle operazioni pregiudizievoli non in proprio ma in qualità di organi investiti della rappresentanza dell’ente.
Sentenza|8 marzo 2023| n. 6893. La responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata
Data udienza 10 settembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 4), c.c. – Amministratori – Responsabilità verso i creditori sociali lesi dal compimento di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale – Disciplina applicabile – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 3846/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato Maria Ribaldone, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Ricardi, per procura speciale estesa a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianpaolo Massa, per procura speciale estesa in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1955/2016 della Corte di appello di Torino, depositata il 16 novembre 2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 settembre 2020 dal consigliere Dott. Marco Vannucci;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l’avvocato Giovanna Martino, in sostituzione dell’avvocato Andrea Ricardi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza emessa il 26 settembre 2014 il Tribunale di Torino rigetto’, per quanto qui interessa, l’azione risarcitoria per danno asseritamente derivato alla (OMISSIS) s.r.l., creditore della (OMISSIS) s.r.l., da operazioni compiute da (OMISSIS), amministratore unico della stessa (OMISSIS), dopo il verificarsi della causa legale di scioglimento di tale societa’ costituita dalla perdita del relativo capitale sociale al 31 dicembre 2008 (articoli 2485, 2486 c.c.).
2. Adita dalla parte soccombente, la Corte di appello di Torino, con sentenza emessa il 16 novembre 2016, accolse la domanda risarcitoria del creditore e, in riforma della sentenza di primo grado, condanno’ (OMISSIS): a pagare alla (OMISSIS) Euro 7.539,55, periodicamente rivalutata a partire dal 25 gennaio 2012 e aumentata degli interessi di cui all’articolo 1284 c.c. decorrenti da tale giorno fino al saldo; a rimborsare alla societa’ vittoriosa le spese da questa anticipate nel giudizio di primo grado e in quello di appello nelle misure in dispositivo rispettivamente indicate.
2.1 La motivazione della decisione sul merito puo’ cosi’ sintetizzarsi: il bilancio della societa’ (OMISSIS) relativo all’esercizio 2008 evidenzio’ perdite pari a complessivi Euro 94.708, di consistenza tale, dunque, da determinare l’azzeramento del capitale sociale (pari a Euro 20.000) e un patrimonio netto di segno negativo pari a Euro 73.573 (somma residua derivata dopo l’assorbimento delle riserve e l’azzeramento del capitale); nessuna decisione fra quelle previste dall’articolo 2482-ter c.c. venne assunta dai soci di (OMISSIS); l’esercizio successivo (anno 2009) fece registrare un utile pari a Euro 15.152, con conseguenti mantenimento della situazione di perdita integrale del capitale sociale e riduzione del segno negativo del patrimonio netto a Euro 58.442; al 31 dicembre 2008 si era dunque gia’ verificata la causa legale di scioglimento della societa’ prevista dall’articolo 2484 c.c., comma 1, n. 4), e (OMISSIS), amministratore unico dei tale societa’ al 31 dicembre 2008, omise di adempiere al precetto recato dal citato articolo 2484 c.c., comma 3; egli conservo’ il potere di gestione della societa’ ai soli fini della conservazione dell’integrita’ e del valore del patrimonio sociale (articolo 2486 c.c., comma 1); in violazione di tale obbligo, consistente nell’astensione dal compimento di atti gestori non funzionali alla conservazione di integrita’ e valore del patrimonio sociale, egli, in nome e nell’interesse di (OMISSIS), contrasse nel corso degli anni 2009 e 2010 obbligazioni pecuniarie verso (OMISSIS) che a (OMISSIS) vendette cose mobili senza ricevere parte del prezzo pattuito; il pregiudizio alla creditrice, che vanamente tento’ di agire in executivis verso la propria debitrice per la soddisfazione del proprio credito, derivo’ “direttamente dalla violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni” imputabile a (OMISSIS); questi aveva l’onere, non assolto, di provare “che la fornitura richiesta alla societa’ appellante era finalizzata alla conservazione dell’integrita’ del valore del patrimonio sociale”; in buona sostanza, alla luce della disciplina legale applicabile al caso di specie restano validi i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ in relazione al precetto recato dall’articolo 2449 c.c. vigente prima della riforma recata dal Decreto Legislativo n. 5 del 2003; il danno da risarcire e’ pari alla parte residua di prezzo di vendita (Euro 6.695,60) che l’appellante non riusci’ ad esigere dalla societa’ (OMISSIS) “a causa della sua incapienza” e delle spese sostenute per l’esecuzione, infruttuosa, verso tale debitrice.
3. (OMISSIS) chiede la cassazione di tale sentenza con ricorso contenente un solo, articolato, motivo di impugnazione; assistito da memoria.
4. La (OMISSIS) s.r.l. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico, articolato, motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per “mancata e/ erronea applicazione degli articoli 2485 e 2486 c.c., articoli 2043 e 2697 e 2697 c.c., in tema di prova del danno extracontrattuale, e articolo 2433 c.c.”, in quanto: nel citare i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ in riferimento alla responsabilita’ degli amministratori verso i creditori sociali prevista dall’articolo 2449 c.c. vigente prima della riforma del 2003, il giudice di appello ha sostanzialmente obliterato il contenuto precettivo dell’articolo 2486 c.c. (nel testo applicabile al caso concreto) che configura per gli amministratori di societa’ di capitali una “specificazione della generale disciplina sul danno aquiliano per lesione del credito del terzo”; gli amministratori oggi rispondono dei danni cagionati ai creditori sociali dalla violazione dei doveri a loro imposti dalla legge al verificarsi di causa legale di scioglimento della societa’ e tali danni possono consistere, per quanto interessa il caso concreto, “nella lesione delle ragioni di credito dei creditori sociali”; inoltre, l’articolo 2476 c.c., in tema di responsabilita’ degli amministratori di societa’ a responsabilita’ limitata non richiama i precetti contenuti nel precedente articolo 2394, non applicabile a tale tipo di societa’ (l’azione di responsabilita’ dei creditori sociali verso gli amministratori di societa’ a responsabilita’ limitata “puo’ essere esercitata solo in sede fallimentare L.Fall., ex articolo 146 dal curatore congiuntamente con quella sociale”), con conseguente applicazione dei principi generali di cui all’articolo 2043 c.c., secondo cui il risarcimento del danno e’ dovuto ove vi sia la prova della condotta illegittima (per violazione di legge o di statuto), della conseguenza dannosa che da tale condotta e’ derivata e del nesso causale fra condotta e danno; in buona sostanza, prima della riforma del 2003 “gli amministratori operando a capitale ridotto sotto il minimo rispondevano personalmente nei confronti dei creditori per le nuove operazioni senza se e senza ma”, mentre dopo la riforma il danno verso i creditori deve essere provato da chi agisce per il suo risarcimento; nel caso di specie, dunque, sono state dal giudice di appello applicate norme abrogate “e non quelle attuali”; inoltre, la stessa sentenza impugnata evidenzia che il bilancio della societa’ relativo all’esercizio 2009, successivo a quello che fece registrare perdite che azzerarono il capitale sociale, registro’ un utile di esercizio e cio’ dimostra che gli amministratori ricostituirono “la garanzia costituita dal capitale sociale” e che, in ogni caso, agirono “nel senso della conservazione del patrimonio sociale”, con la conseguenza che la prosecuzione dell’attivita’ sociale si rivelo’ non dannosa per i creditori sociali; inoltre, l’affermazione fatta dalla sentenza impugnata secondo cui il bilancio relativo all’esercizio 2009 registro’ la diminuzione delle perdite costituisce “cattiva interpretazione ed applicazione dell’articolo 2433 c.c. che precisa che l’utile puo’ esistere solo dopo l’avvenuto ripianamento delle perdite; queste vennero riassorbite “oltre che con i buoni risultati dell’esercizio con i versamenti dei soci prodotti gia’ in primo grado (doc. 1-2) mai contestati e i ricavi ordinari d’esercizio”; dalla chiusura del bilancio 2009 in utile deriva che le perdite sono state ripianate, anche con i finanziamenti dei soci.
2. Risulta dalla sentenza impugnata che: al tempo in cui si verificarono i fatti accertati (OMISSIS) era amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l.; (OMISSIS) s.r.l. divenne creditrice di (OMISSIS) per i corrispettivi di merci a tale societa’ vendute nel corso degli anni 2009 e 2010.
Al caso di specie si applicano (come la sentenza impugnata non ha mancato di evidenziare), in ragione del tempo in cui si verificarono i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla controversia, le disposizioni del codice civile in materia di societa’ di capitali per come risultanti dalle modificazioni recate con la riforma della disciplina legale delle societa’ di capitali e cooperative disposta dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003.
E’ dunque alla luce del contenuto precettivo di tali disposizioni che occorre valutare la conformita’ alla legge (dal ricorrente contestata) della decisione assunta dalla sentenza impugnata.
Le disposizioni, rilevanti nella specie (tenuto conto della ragione del domandare esposta nel giudizio di merito dalla societa’ (OMISSIS), per come evidenziata dalla sentenza impugnata), sono quelle, rispettivamente, relative:
alla riduzione del capitale sociale per perdite di societa’ a responsabilita’ limitata (articolo 2482-bis c.c.; il cui contenuto precettivo non differisce sostanzialmente da quello caratterizzante il precedente articolo 2446, relativo alla riduzione del capitale per perdite di societa’ per azioni);
alla riduzione per perdite del capitale sociale di tale societa’ al disotto del limite legale (articolo 2482-ter c.c. il cui contenuto precettivo non differisce sostanzialmente da quello proprio del precedente articolo 2447, relativo alla riduzione del capitale per perdite del capitale sociale di societa’ per azioni al disotto del limite legale);
alla causa legale di scioglimento delle societa’ di capitali (per azioni o a responsabilita’ limitata) costituita dalla riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, salvo quanto disposto, rispettivamente, dai precedenti, articoli 2447 e 2482-ter (articolo 2484 c.c., comma 1, n. 4));
agli obblighi degli amministratori delle societa’ di capitali di accertamento (anche) della causa legale di scioglimento teste’ citata e alla responsabilita’ per il caso di inadempimento a detti obblighi (articolo 2485 c.c., comma 1);
ai poteri degli amministratori delle societa’ di capitali nel periodo intercorrente fra il verificarsi (anche) di tale causa legale di scioglimento della societa’ e quello delle consegne ai liquidatori dei documenti indicati dal successivo articolo 2487-bis c.c., comma 2 (articolo 2486 c.c., comma 1), e alla loro responsabilita’ nei confronti (anche) dei creditori sociali per il caso di compimento di atti non esclusivamente funzionali alla conservazione dell’integrita’ e del valore del patrimonio sociale (articolo 2486 c.c., comma 2).
La sentenza impugnata afferma in primo luogo che la perdita di capitale sociale rilevante ai fini dell’applicazione degli articoli 2482-bis e 2482-ter c.c. (aventi la funzione di assicurare il rispetto del principio della corrispondenza fra capitale nominale e capitale reale) e’ solo quella che si determina detraendo da essa la riserva legale, le riserve statutarie, i fondi appostati al passivo, gli utili degli esercizi precedenti e quelli c.d. “di periodo”; cosi’ conformandosi alla costante interpretazione, data dalla giurisprudenza di legittimita’, del concetto di perdita rilevante per il compimento di una delle operazioni prescritte da tali disposizioni del codice civile (in questo senso, in riferimento al contenuto degli articoli 2446 e 2447 c.c., nel testo vigente prima della riforma del 2003, cfr: Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5740 del 2004, in tema di computabilita’ dei c.d. “utili di periodo” ai fini della determinazione della perdita; Cass. n. 23269 del 2005; Cass. n. 8221 del 2007).
In conseguenza di tale interpretazione, in questa sede da confermare (dal momento che il contenuto precettivo dei citati articoli 2482-bis e 2482-ter c.c. e’ sostanzialmente equivalente a quello degli articoli 2446 e 2447 c.c., applicabili alle societa’ a responsabilita’ limitata per effetto del rinvio formale recettizio operato dai successivi articoli 2496 e 2497, nel testo anteriore alla riforma del 2003), la sentenza impugnata afferma (pag. 9) che:
nel bilancio relativo all’esercizio 2008 (approvato il 29 giugno 2009) della (OMISSIS) s.r.l.: le perdite verificatesi (pari a Euro 94.708) comportarono l’azzeramento del capitale sociale e determinarono un capitale reale (o patrimonio netto) di segno negativo per Euro 73.573;
l’assemblea della societa’ decise pero’ di rinviare all’esercizio successivo la copertura della perdita;
nel bilancio relativo all’esercizio 2009 si registro’ un utile pari a Euro 15.152 e tale evento comporto’ solo che il patrimonio netto di segno negativo si ridusse a Euro 58.422;
nell’esercizio 2010 si verifico’ un’ulteriore perdita e il patrimonio netto di segno negativo fu di Euro 61.288.
Il ricorrente deduce (pag. 7 del ricorso) che in funzione della determinazione della consistenza delle perdite la Corte di appello avrebbe dovuto tenere conto del fatto che la societa’ “nel corso dell’esercizio 2009 ripianava le perdite con finanziamenti soci portati a mezzi propri (doc. 1 e 2 mai contestati) e andava ancora in utile per 15.152,00 Euro”.
Tale deduzione e’ affatto inapprezzabile, in quanto: il ricorrente non precisa se i “finanziamenti” siano stati compresi nel bilancio relativo all’esercizio 2009 fra le riserve ovvero se in occasione dell’assemblea di approvazione del bilancio 2009 i soci diedero, a fondo perduto, alla societa’ una somma di danaro pari all’intero ammontare delle perdite maturate nell’esercizio precedente; non tenta neppure di contrastare l’affermazione che si legge nella sentenza impugnata – secondo cui in conseguenza dell’utile (di modesta consistenza quantitativa) conseguito nell’esercizio 2009, il patrimonio netto della societa’ in tale esercizio fu di segno negativo per Euro 58.422; non riproduce il contenuto dei documenti fondanti l’asserzione, ne’ precisa quando e come gli stessi vennero acquisiti agli atti del giudizio di merito, con conseguente non autosufficienza del ricorso sul punto; non precisa come, quando e in quali termini della questione relativa all’incidenza dei “finanziamenti” sulla determinazione della perdite (che non risulta essere stata affrontata dalla sentenza impugnata) si sia discusso nel giudizio di merito (sul punto, la controricorrente afferma che di tale questione non si discusse nel giudizio).
Quel che e’ certo che nel corso degli anni compresi fra il 2008 e il 2010 il capitale della societa’ non venne ricostituito in una misura monetaria pari quanto meno al minimo previsto dalla legge con deliberazione assunta dall’assemblea straordinaria dei soci secondo la prescrizione imposta dall’articolo 2482-ter c.c.
Alla luce dei sopra indicati accertamenti, e’ conforme a diritto l’affermazione che si legge nella sentenza impugnata secondo cui la (OMISSIS) s.r.l. si sciolse di diritto, in applicazione dell’articolo 2484 c.c., comma 1, n. 4), al piu’ tardi nel mese di dicembre 2008 perche’ il relativo capitale si ridusse al disotto della misura minima prevista dalla legge (articolo 2463 c.c., comma 2, n. 4)) in conseguenza di quanto mai consistenti perdite verificatesi nel corso di tale esercizio senza che l’assemblea dei soci, che l’allora amministratore unico aveva l’obbligo di convocare “senza indugio”, ebbe ad assumere, dopo il verificarsi dell’evento dissolutivo, alcuna delle deliberazioni alternativamente previste dal precedente articolo 2482-ter, costituenti condizione risolutiva dello scioglimento gia’ verificatosi (la giurisprudenza di legittimita’ formatasi in riferimento alla disciplina del diritto delle societa’ di capitale anteriore a quella recata dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003 – le cui conclusioni su questo specifico punto possono ribadirsi anche con riguardo alla disciplina, rimasta sul punto immutata, dettata con l’entrata in vigore di detto decreto – si e’ consolidata nel senso che nell’ipotesi di perdita del capitale e sua riduzione al di sotto del minimo di legge, lo scioglimento della societa’ si produce automaticamente e immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione regressiva della societa’, da deliberarsi con le maggioranze richieste per le modificazioni dellnatto costitutivo, cui detti provvedimenti danno sostanzialmente luogo: in questo senso cfr.: Cass. n. 9619 del 2009; Cass. n. 4923 del 1995; Cass. n. 8298 del 1994; Cass. n. 4089 del 1980).
In conseguenza del verificarsi di tale causa legale di scioglimento sorge a carico degli amministratori di societa’ di capitali l’obbligo, imposto dall’articolo 2485 c.c., comma 1, di accertare “senza indugio” il verificarsi della causa di scioglimento ex lege della societa’ e di rendere questa opponibile ai terzi mediante l’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di accertamento della causa stessa (articolo 2484 c.c., comma 3); con conseguente insorgere, in caso di ritardo o di omissione, di personale responsabilita’ risarcitoria per i danni subiti dalla societa’, dai creditori sociali e dai terzi.
Tale obbligazione di opponibilita’ ai terzi della causa di scioglimento in discorso- non rilevante nel caso di specie, posto che di essa non vi e’ menzione nella sentenza impugnata – costituisce elemento di novita’ della disciplina relativa allo scioglimento della societa’, introdotto dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003.
Nel testo del codice civile anteriore a tale riforma non vi era infatti traccia di tale specifico obbligo di rendere opponibili ai terzi le cause, di fonte legale, di scioglimento della societa’, in esso essendo disciplinati, per quanto qui interessa:
le cause, convenzionali ovvero legali di scioglimento della societa’, fra le quali vi era quella della riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, salvo quanto disposto dall’articolo 2447 c.c. (articolo 2448, n. 4), applicabile alle societa’ a responsabilita’ limitata ex articolo 2497);
gli effetti del verificarsi di un fatto determinante lo scioglimento della societa’(articolo 2449 c.c.), costituiti: dal divieto per gli amministratori di intraprendere “nuove operazioni”, con conseguente assunzione, nel caso di contravvenzione al divieto, di “responsabilita’ illimitata e solidale per gli affari intrapresi” (comma 1); dall’obbligo di convocare, nei trenta giorni successivi al verificarsi della causa di scioglimento, l’assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione (comma 2); dalla responsabilita’ per gli amministratori “della conservazione dei beni sociali fino a quando non ne hanno fatto consegna ai liquidatori” (comma 3).
Nell’interpretare tale disciplina, la giurisprudenza di legittimita’ era (ed e’ ancora) costante nell’affermare che:
a) le “nuove operazioni” vietate agli amministratori dall’articolo 2449 sono quelle non finalizzate alla liquidazione del patrimonio sociale (non necessarie dunque per portare a compimento attivita’ gia’ intraprese prima del verificarsi della causa di scioglimento) e determinanti la nascita di rapporti giuridici che vengono costituiti dagli amministratori, con assunzione di ulteriori vincoli per l’ente, e sono preordinati al conseguimento di nuovi utili d’impresa (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 5190 del 1979: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 1035 del 1995; Cass. n. 9887 del 1995);
b) l’articolo 2449 c.c. esprime infatti sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non puo’ piu’ considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono piu’ utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d’impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci (cfr. Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 2156 del 2015);
c) la violazione da parte degli amministratori del divieto di compiere “nuove operazioni” (da intendersi nel senso teste’ precisato) costituisce, nei confronti dei terzi, una fattispecie tipica di obbligazione ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non puo’ percio’ solo essere ricondotta allo schema generale dell’articolo 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualita’ di organi investiti della rappresentanza della societa’ – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato articolo 2043, ne’ conseguentemente di risarcimento del danno; con la conseguenza che nessun rilievo ai fini probatori assume l’accertamento del danno ne’, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell’evento comportante lo scioglimento della societa’ (in questo senso, cfr.: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 3694 del 2007);
d) l’azione ex articolo 2449 c.c., comma 1, spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della societa’ si distingue poi, per la diversita’ della causa petendi e del petitum, sia dall’azione sociale di responsabilita’ (articolo 2393 c.c.) sia dall’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 c.c.: se, infatti, la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilita’ diretta degli amministratori verso il terzo, puo’ integrare il presupposto tanto dell’azione sociale di responsabilita’ (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell’azione di responsabilita’ dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale), qualora ad agire contro gli amministratori della societa’ legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della societa’, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull’articolo 2449 c.c., comma 1, (giustificato dalla non riferibilita’ allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla societa’ ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma, si aggiunge alla perdurante responsabilita’ della societa’ (in questo senso, cfr. Cass. n. 15770 del 2004);
e) quanto alla distribuzione dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio per l’accertamento della responsabilita’ degli amministratori di una societa’ di capitali, ex articolo 2449 c.c., deve fornire la prova soltanto della novita’ dell’operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all’accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della societa’, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalita’ liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attivita’ produttiva dell’azienda, non comportanti un nuovo rischio d’impresa o necessari per portare a compimento attivita’ gia’ iniziate; nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all’ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della societa’, ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della societa’ necessari al fine di preservare l’integrita’ del relativo patrimonio (in questo senso, cfr.: Cass. n. 2156 del 2015).
Nella consapevolezza della teste’ richiamata, costante, interpretazione del contenuto precettivo dell’articolo 2449 c.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, la migliore dottrina ha avuto modo di affermare che il contenuto precettivo dell’articolo 2486 c.c., nel testo introdotto dal citato decreto del 2003 (applicabile nella specie), non e’ di consistenza tale da determinare significative innovazioni rispetto alla disciplina vigente prima della sua entrata in vigore, dal momento che tale articolo:
a) afferma (comma 1) che, dal momento del verificarsi di una causa (di fonte convenzionale ovvero legale) di scioglimento della societa’ (indipendentemente, dunque, dall’essere stata tale causa resa opponibile ai terzi dagli amministratori in applicazione del precedente articolo 2484 c.c., comma 3) i relativi amministratori, fino al momento della consegna di cui al successivo articolo 2487-bis, “conservano il potere di gestire la societa’, ai soli fini della conservazione dell’integrita’ e del valore del patrimonio sociale”; una norma, dunque, dai contenuti sovrapponibili a quelli dell’abrogato articolo 2449 c.c. per come “vissuto” nell’interpretazioni ai relativi precetti data dalla giurisprudenza di legittimita’;
b) sanziona (comma 2) il comportamento, commissivo ovvero omissivo, tenuto dagli amministratori in violazione della delimitazione del potere gestorio sancita dal comma 1, con la loro responsabilita’, personale e illimitata, per i danni “arrecati alla societa’, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi”; con disposizione, dunque, che meglio esplicita i contenuti precettivi presenti nell’abrogato articolo 2449 c.c., per come interpretati dalla sopra citata giurisprudenza di legittimita’.
In buona sostanza, l’articolo 2486 c.c. reca precetti dai contenuti coincidenti con quelli espressi dall’articolo 2449 c.c. nel testo anteriore alla riforma del 2003 (come, del resto, incidentalmente affermato da Cass. n. 2156 del 2015).
Orbene, la sentenza impugnata, nel far propri i criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ in riferimento alla disciplina recata dall’articolo 2449 c.c., nel testo anteriore alla riforma del 2003, non ha punto applicato al caso di specie norme di legge diverse da quelle a esso applicabili (id est, le norme risultanti da detta riforma), ma si e’ limitata a interpretare l’articolo 2486 c.c., nel testo risultante dalla medesima riforma, secondo criteri ermeneutici ancora attuali.
Da quanto evidenziato risulta che la responsabilita’ degli amministratori verso il creditore di societa’ a responsabilita’ limitata leso dal compimento da parte di costoro di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all’articolo 2484 c.c., comma 1, n. 4): trova per intero la propria disciplina nel successivo articolo 2486 (le disposizioni di cui all’articolo 2476 c.c., in tema di responsabilita’ degli amministratori di tale tipo di societa’, non entrano quindi in giuoco ricorrendo tale ipotesi); e’ di natura extracontrattuale ma non puo’ percio’ solo essere ricondotta allo schema generale dell’articolo 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualita’ di organi investiti della rappresentanza della societa’ – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato articolo 2043; prevede, quale sanzione, il risarcimento del danno arrecato al creditore sociale.
Il ricorrente nessuna censura specifica muove al criterio di determinazione del danno adottato dalla sentenza impugnata; con conseguente non conferenza dell’argomentazione sviluppata dal Pubblico Ministero a fondamento della sua richiesta di accoglimento del ricorso.
3. In conclusione: il ricorso e’ da rigettare; in applicazione del principio di soccombenza, il ricorrente deve essere condannato a rimborsare alla societa’ controricorrente le spese da questa anticipate nel giudizio di legittimita’ nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla societa’ controricorrente le spese da questa anticipate nel giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200 per esborsi e in Euro 3.000 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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