Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 29 aprile 2020, n. 13257.
Massima estrapolata:
La relata di notifica ha efficacia fidefaciente solo in relazione alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, con la conseguenza che, mentre la consegna dell’atto a mani proprie del destinatario o degli altri soggetti legittimati o il rilievo dell’impossibilità di reperire il destinatario presso il domicilio dichiarato, in quanto attività compiute dal notificatore, rivestono la suddetta efficacia, così non è per il contenuto delle dichiarazioni da lui raccolte “in loco” e le indicazioni che non si accompagnano ad alcuna specificazione delle attività poste in essere per giustificarle.(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non avesse efficacia fidefaciente l’indicazione contenuta nella relata di notifica in cui, nel darsi atto dell’impossibilità di consegnare l’atto al destinatario presso il domicilio eletto, si indicava quest’ultimo come deceduto in base ad informazioni non veritiere assunte in loco, e ha, di conseguenza, consideraro legittima la notifica effettuata al difensore ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen.).
Sentenza 29 aprile 2020, n. 13257
Data udienza 10 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Bancarotta – Distrazione di beni della società fallita – Amministratore apparente – Dolosa sottrazione – Automatica responsabilità – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. MAZZITELLI Caterina – rel. Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/12/2017 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Procuratore generale, in persona del Dott. GIUSEPPE CORASANITI, il quale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso proposto da (OMISSIS) e il rigetto di quello presentato da (OMISSIS);
udito il difensore, avv. (OMISSIS), il quale ha concluso per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21 dicembre 2017 la Corte d’appello di Trieste, qualificata la contestata distrazione della macchina Orenstein & Koppel come appropriazione indebita aggravata, ha, per il resto, confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), avendoli ritenuti responsabili, il primo quale amministratore di diritto e il secondo quale amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l., di fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
2. Avverso tale decisione sono stati proposti distinti ricorsi nell’interesse dei due imputati.
3. Il ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) e’ affidato ai seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla disposta notifica del decreto di citazione in appello all’imputato, ai sensi dell’articolo 161 c.p.p., comma 4.
Rileva il ricorrente: a) che il (OMISSIS) era stato ritenuto irreperibile sul presupposto o comunque in collegamento con la dichiarazione di decesso apposta dall’agente notificatore sulla relata; b) che se pure si fosse trattato, secondo l’apprezzamento della Corte territoriale, di mero errore, quest’ultimo era destinato a travolgere l’intera notifica, anche con riferimento alla dichiarazione di impossibilita’ di procedere all’adempimento per irreperibilita’ del (OMISSIS).
3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, dal momento che, ritenendo valida la notifica, la Corte d’appello, in difetto di querela di falso, avrebbe dovuto prendere atto dell’intervenuto decesso dell’imputato.
3.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla soluzione fornita dalla Corte distrettuale al motivo di appello con il quale si lamentava la nullita’ della sentenza di condanna, avendo il p.m. contestato al (OMISSIS), in via alternativa, i fatti di bancarotta in termini di responsabilita’ commissiva e omissiva.
Si osserva: a) che, in tale ipotesi, ad essere diverso e’ il fatto storico; b) che sarebbe un mero artificio retorico il riferimento della Corte territoriale ad una imputazione cumulativa; c) che al mancato scioglimento dell’alternativa consegue un pregiudizio per i diritti difensivi dell’imputato.
3.4 Con il quarto motivo si lamenta, con riguardo alla riqualificazione della condotta distrattiva relativa alla macchina Orenstein & Koppel, violazione degli articoli 516 e 521 c.p.p. – per avere la Corte territoriale proceduto in assenza di interlocuzione con la difesa – e comunque violazione dell’articolo 157 c.p., per il mancato rilievo dell’intervenuta prescrizione in data anteriore alla decisione di secondo grado.
3.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della bancarotta distrattativa rispetto a beni oggetto di leasing.
3.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) con riguardo ai fatti di bancarotta distrattiva, fondata su elementi neutri, quando non favorevoli alla prospettazione difensiva, che aveva valorizzato la scarsa conoscenza del settore e l’assenza dell’imputato nei locali aziendali, dove in brevissimo tempo si consumarono le condotte contestate.
4. Con l’unico, articolato motivo di ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) si lamentano vizi motivazionali con riguardo alla attribuzione all’imputato del ruolo di amministratore di fatto, rilevando: a) che la sentenza di secondo grado sembrava seguire percorsi diversi da quella del Tribunale, che aveva individuato la partecipazione attiva di un soggetto estraneo al procedimento; b) che era stato attribuito un ruolo eccessivo alle dichiarazioni del Vallese, coimputato interessato a scaricare su altri le proprie responsabilita’; c) che erano insufficienti i richiami ai vari testi sentiti in dibattimento al fine di enucleare specifiche condotte attribuibili all’imputato, in realta’ mero esecutore di ordini altrui.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi del ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) sono inammissibili per manifesta infondatezza.
L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonche’ delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Ora, mentre la consegna dell’atto a mani proprie del destinatario (L. n. 890 del 1982, articolo 7, comma 1) o degli altri soggetti legittimati (citata Legge, articolo 7, commi 2 e 3) rientra tra le attivita’ compiute dal notificatore, al pari del rilievo dell’impossibilita’ di reperire il destinatario – come nel caso di specie presso il domicilio dichiarato, il contenuto delle dichiarazioni ricevute dal pubblico ufficiale, come pure le indicazioni che non si accompagnano ad alcuna specificazione delle – pur necessarie – attivita’ poste in essere per giustificarle (cosi’, ad es., il decesso, la cui constatazione non compete in alcun caso al notificatore), proprio in relazione alla portata dell’articolo 2700 c.c., non sono coperte da efficacia fidefacente.
La conclusione non presenta affatto la contraddittorieta’ lamentata dal ricorrente, ma discende in termini limpidi dall’ambito dell’efficacia fidefacente dell’atto pubblico.
La sintetica espressione “deceduto” della quale si discute – sia, come del tutto ragionevolmente ritenuto dalla Corte territoriale, frutto di errore materiale o sia il risultato di dichiarazioni raccolte in loco – non puo’ essere coperta da alcuna efficacia, poiche’ non riposa su una attivita’ posta in essere dal pubblico ufficiale o in sua presenza.
Evidente e’ pertanto la non assimilabilita’ al caso in esame di quello affrontato, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, da Sez. 2, n. 33870 del 18/06/2019, De Martino, Rv. 27702601, che ha ribadito come, in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, al fine di escludere la riconducibilita’ al destinatario dell’atto della firma apposta per il ritiro del piego e’ necessario proporre querela di falso, in quanto istituto elettivamente predisposto a privare l’atto della sua attitudine probatoria, mentre non e’ sufficiente che l’interessato presenti una denuncia penale di falso.
Dalle superiori considerazioni discende: a) che legittimamente, a fronte dell’insuperato rilievo della impossibilita’ di effettuare la notifica presso il domicilio dichiarato (cio’ che rientra, per quanto sopra detto, nell’efficacia fidefacente dell’atto, ai sensi dell’articolo 2700 c.c.), si e’ proceduto ai sensi dell’articolo 161 c.p.p., comma 4; b) che del tutto estranea al sistema normativo e’ la pretesa di trarre dalla mera indicazione “deceduto” la conseguenza, priva di rispondenza nella realta’ (alla stregua degli accertamenti operati dal giudice di merito), che l’imputato debba essere considerato morto.
2. Anche il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita’.
Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte si e’ pronunciata in plurime sentenze nel senso di ritenere legittima la contestazione alternativa di due fattispecie incriminatrici sotto cui sussumere la condotta del soggetto cui il fatto storico viene attribuito poiche’ in tal caso l’indicazione delle condotte ascritte all’imputato e’ inequivocabile ed e’ facolta’ del giudicante escludere l’una o l’altra (Sez. 6, n. 37624 del 14/06/2019, Naro, Rv. 27719901; Sez. 5, n. 51252 del 11/11/2014, Sacconnanni ed altro, Rv. 262121; Sez. 3, n. 27129 del 28/05/2008, PM in proc. Modica, Rv. 240251; Sez. 1, n. 2112 del 22/11/2007, Laurelli, Rv. 238636).
Peraltro, nel caso di specie, posto che si discute della identificazione dei fatti storici, emergono, dal punto di vista naturalistico, una pluralita’ di vicende distrattive (oltre che il profilo della bancarotta documentale), talche’ il riferimento della sentenza impugnata al concetto di imputazione cumulativa, ossia di plurime imputazioni di concreti episodi, non ha nulla di artificioso.
L’espressione adoperata nel capo di imputazione mira semplicemente, in relazione ai vari fatti contestati ad esprimere, in termini sintetici, i criteri di attribuzione della responsabilita’.
3. La doglianza formulata con il quarto motivo non presenta profili di inammissibilita’.
Ora non emerge con certezza (non essendo ricavabile ne’ specificato un dies commissi delicti diverso da quello indicato nel capo di imputazione e coincidente con la sentenza dichiarativa di fallimento) che il reato si sia estinto prima della decisione di secondo grado.
Tuttavia – e il risultato pratico non muta – il termine era ormai spirato alla data dell’udienza del 10/0/2020.
Ne discende che, in difetto di cause evidenti riconducibili al novero dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, la sentenza, relativamente a tale ipotesi, va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
Con riguardo alla posizione del (OMISSIS), si rinvia a quanto rilevato infra sub 7.
Va aggiunto che siffatto annullamento non comporta alcuna conseguenza sul piano del trattamento sanzionatorio, determinato, gia’ in primo grado, in misura pari al minimo edittale (per effetto della ritenuta equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle circostanze aggravanti contestate), ed evidentemente non aumentato ex articolo 81 c.p. – atteso il divieto della reformatio in pejus -, per effetto della individuazione di un reato sottratto alla cd. continuazione fallimentare di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1.
4. Il quinto motivo e’ inammissibile per manifesta infondatezza, avendo questa Corte, con indirizzo ormai consolidato, ribadito che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di bene pervenuto all’impresa a seguito di contratto di leasing, qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l’acquisizione alla massa o che comporti per quest’ultima un onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione integra il reato poiche’ determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente (v., di recente, Sez. 5, n. 21933 del 17/04/2018, Farruggio, Rv. 27299201).
5. Il sesto motivo e’ inammissibile, per assenza di specificita’.
Non e’ evidentemente in discussione il principio in forza del quale, in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben puo’ ritenersi la responsabilita’ del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto puo’ dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non puo’, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilita’ dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018, C, Rv. 27416601).
Tuttavia, nel caso di specie, attraverso una puntuale ricostruzione delle fonti probatorie – solo parzialmente considerate nel ricorso -, la Corte territoriale ha indicato gli elementi dai quali ha desunto, in termini razionali, la partecipazione del (OMISSIS) alle attivita’ gestorie, la consapevolezza degli elementi di sospetto sulle attivita’ dell’amministratore di fatto, la conoscenza della consistenza patrimoniale e della situazione economica della societa’.
Ne e’ scaturito un quadro ricostruttivo, trascurato dalle atomistiche censure del ricorso, che delinea l’esistenza di puntuali segnali di allarme che avrebbero imposto l’attivazione degli obblighi di vigilanza propri della funzione.
Al riguardo, va ribadito che la mancanza di specificita’ del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
6. Inammissibile per genericita’ e’, per le stesse ragioni, il ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS), che, in termini privi di qualunque puntuale correlazione con le risultanze processuali e l’apparato argomentativo della sentenza impugnata, valorizza dati irrilevanti, come il coinvolgimento di terzi soggetti che nulla tolgono alle condotte dell’imputato ricostruite dalla sentenza impugnata – o minimizza assertivamente le emergenze probatorie sfavorevoli.
In realta’, le censure aspirano ad una rivalutazione del compendio probatorio preclusa in questa sede.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di legittimita’ quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/04/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; tra le piu’ recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369; Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 07/12/2012, Consorte, Rv. 254063).
Piuttosto, deve osservarsi che l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con riguardo alla posizione del (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 646 c.p., riguarda anche il (OMISSIS), dal momento che l’inammissibilita’ dell’impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l’effetto estensivo dell’impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all’imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi dell’imputato validamente ricorrente, purche’ di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (v., ad es. Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019 – dep. 07/01/2020, Bonometti, Rv. 27781402).
7. Con riferimento alla posizione di entrambi i ricorrenti, diversamente deve opinarsi per quanto riguarda la determinazione delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c..
Come noto, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 05/12/2018 – che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziche’: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni” – con la recente sentenza del 28/02/2019, Suraci, le Sezioni Unite hanno affermato che “Le pene accessorie previste dall’articolo 216 L. Fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”. La “sostituzione” della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018 del Giudice delle leggi, determina l’illegalita’ delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel “nuovo” parametro, posto che il procedimento di commisurazione si e’ basato su una norma dichiarata incostituzionale. Detto principio, elaborato in relazione alle pene principali (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857), vale certamente anche per quelle accessorie “non essendo consentita dall’ordinamento l’esecuzione di una pena (sia essa principale o accessoria) non conforme, in tutto o in parte, ai parametri legali. Il principio di legalita’ della pena si applica, invero, anche con riferimento alle pene accessorie” (Sez. U., n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv. 262328, in motivazione).
Ne discende che, tenuto conto dell’indicazione nomofilattica e considerato che la determinazione della durata del trattamento sanzionatorio ai sensi dell’articolo 133 c.p. implica valutazioni di merito che esulano dai limiti cognitivi della Corte di cassazione, la questione non puo’ che essere rimessa al Giudice di merito.
Va aggiunto che le pene accessorie, che rientrano a tutti gli effetti nel concetto di pena, non possono che risentire dell’applicazione del principio secondo il quale l’illegalita’ della pena dipendente da una statuizione ab origine contraria all’assetto normativo vigente al momento consumativo del reato – come quella che si verifica in caso di declaratoria di illegittimita’ costituzionale – e’ rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, nonostante l’inammissibilita’ dell’impugnazione, ad eccezione che nel caso di ricorso tardivo (Sez. 5, sentenza n. 27945 del 17/05/2018, Bonavita ed altri, Rv. 273234; Sez. 3, sentenza n. 6997 del 22/11/2017, dep. 14/02/2018, C., Rv. 272090).
In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente alla determinazione delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste, ai sensi dell’articolo 623 c.p.p., lettera c); nel resto, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, salvo che per quanto riguarda l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con riguardo al reato di cui all’articolo 646 c.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il reato di cui all’articolo 646 c.p. e’ estinto per prescrizione; annulla la medesima sentenza limitatamente alle pene accessorie fallimentari con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Trieste; dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo Presidente del Collegio, per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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