Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 8 ottobre 2020, n. 21716.
La redazione delle tabelle millesimali, conseguente allo scioglimento della comunione ordinaria derivante dalla ricostruzione, in maniera difforme dal passato, di un edificio andato distrutto, richiede l’unanimità dei consensi, trattandosi non già di individuare un criterio strumentale all’ordinato svolgimento della vita condominiale quanto, piuttosto, di accertare l’entità dei diritti vantati dai singoli (ex) condomini sul nuovo edificio, onde procedere allo scioglimento della comunione su di esso. Ove a tale esito non possa addivenirsi in via stragiudiziale, è specifico compito del giudice, chiamato a frazionare la proprietà indivisa, procedere autonomamente alla fissazione dei criteri sulla scorta dei quali procedere all’uopo.
Sentenza 8 ottobre 2020, n. 21716
Data udienza 18 febbraio 2020
Tag/parola chiave: COMUNIONE E CONDOMINIO – COMUNIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARRATO Aldo – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 33778/2018 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentati e difesi giusta procura a margine del ricorso, dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentato e difeso giusta procura a margine del controricorso dall’avvocato (OMISSIS), e all’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentati e difesi giusta procura a margine del controricorso dall’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentati e difesi giusta procura in calce al controricorso dall’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), che li rappresentano e difendono giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
nonche’
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1944/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Sentito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. DE RENZIS Maria Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS), l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS), e l’Avvocato (OMISSIS) per delega degli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) per i controricorrenti.
RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE
Con citazione del 29 gennaio 1998 (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio gli altri comproprietari del fabbricato in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e (OMISSIS) onde ottenere lo scioglimento della comunione sul fabbricato, gravemente danneggiato dal sisma del 1980 e demolito nei piani superiori, giusta ordinanza sindacale del 15/10/1986, con approvazione del progetto di ricostruzione da parte dell’assemblea, lamentando che non era stato possibile addivenire alla suddivisione interna ed alla distribuzione delle superfici delle singole proprieta’ nel rispetto delle quote millesimali preesistenti.
Si costituivano tutti i convenuti, ad eccezione di (OMISSIS), i quali aderivano alla domanda di divisione, con la sola eccezione dei germani (OMISSIS) che, invece, sostenevano che la stessa fosse improponibile.
All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Avellino con la sentenza n. 2416 del 19/12/2003 approvava il progetto di divisione come indicato in motivazione, ponendo le spese di lite a carico della massa come individualmente liquidate.
Avverso tale sentenza proponeva appello (OMISSIS), che lamentava l’erronea individuazione dei valori millesimali sulla scorta dei quali poi procedere all’attribuzione della proprieta’ del fabbricato ricostruito, denunciando anche errori di calcolo nella CTU.
I germani (OMISSIS) si costituivano e, pur mostrando di aderire alle censure del (OMISSIS), a loro volta proponevano appello incidentale chiedendo il rinnovo della CTU.
Anche gli appellati (OMISSIS) aderivano all’appello del (OMISSIS) e proponevano appello incidentale condizionato quanto ai coefficienti di valutazione degli immobili ed alla costituzione di una servitu’ di passaggio a carico delle unita’ immobiliari loro assegnate.
(OMISSIS) aderiva all’appello principale, mentre gli appellati (OMISSIS) chiedevano il rigetto del gravame.
Si costituiva anche (OMISSIS), il quale evidenziava di avere proposto a sua volta autonomo appello con cui si doleva che fosse stata sciolta anche la comunione in origine esistente su di un piccolo vano prospiciente (OMISSIS) e su di una cantina. Inoltre deduceva che una tabella millesimale era gia’ stata approvata dal condominio e che, quindi, era erronea la decisione di attribuire analogo incarico al CTU.
Riunite le due impugnazioni, rinnovata la CTU, decedeva (OMISSIS), cui subentravano gli eredi (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Decedeva anche (OMISSIS) cui subentravano gli eredi testamentari (OMISSIS) ed (OMISSIS), e decedeva ab intestato anche (OMISSIS), cui succedevano il marito (OMISSIS) ed i figli (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Era poi deceduto anche (OMISSIS) al quale subentravano la moglie (OMISSIS) ed i figli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 1944 del 27/4/2018 accoglieva per quanto di ragione l’appello principale di (OMISSIS) e gli appelli incidentali al medesimo adesivi, e disponeva procedersi allo scioglimento della comunione in conformita’ del progetto redatto dal CTU nominato in appello secondo l’ultima relazione del 23/4/2016; rigettava gli altri appelli incidentali e rideterminava le spese di lite per il primo grado, compensando invece quelle di appello. Evidenziava che nella fattispecie non poteva trovare applicazione il disposto di cui alla L. n. 219 del 1981, articolo 12, che permette l’approvazione di Delibere condominiali di ricostruzione e riparazione di edifici danneggiati dal sisma del 23 novembre 1980 con le maggioranze di cui all’articolo 1136 c.c., comma 2, posto che era stata approvata una ricostruzione con modalita’ difformi dall’edificio originario.
Pertanto, secondo la Corte territoriale, operavano le norme in materia di accessione con la nascita di una comunione sull’edificio riedificato, edificio da attribuire secondo le quote originarie ai comproprietari del suolo.
Dovendosi, quindi, pervenire allo scioglimento della comunione cosi’ generata (atteso che il nuovo edificio presentava ben quattro piani in piu’ rispetto al fabbricato danneggiato), la sentenza rilevava, altresi’, che tutti i condividenti, ad eccezione dei soli (OMISSIS), avevano aderito alle conclusioni cui era pervenuto l’ausiliario d’ufficio nell’ultima relazione peritale, dovendosi quindi incentrare il giudizio sui soli rilievi formulati dagli stessi (OMISSIS).
Si osservava che il CTU non aveva ritenuto vincolanti le tabelle redatte dall’ing. (OMISSIS), che erano state si’ approvate nel corso di un’assemblea, ma non all’unanimita’.
E’ pur vero che la piu’ recente giurisprudenza delle Sezioni Unite aveva riconosciuto la possibilita’ di approvazione delle tabelle millesimali a maggioranza, ma cio’ non inficiava la correttezza delle conclusioni del CTU.
Contrastava con il carattere vincolante delle tabelle approvate in assemblea la circostanza che gia’ in precedenza era stato affidato al CTU l’incarico di redigere nuove tabelle; ancora la loro utilizzazione non era oggetto di consenso unanime, essendo anche state oggetto di numerose contestazioni; inoltre la stessa consulenza d’ufficio aveva denotato che i coefficienti invocati dai (OMISSIS) non potevano essere ritenuti vincolanti in quanto tecnicamente erronei.
La sentenza d’appello rilevava, quanto alla comunione originaria su di un piccolo vano tra i (OMISSIS) ed i (OMISSIS), che la stessa era da reputarsi sciolta a seguito dell’avvenuta demolizione del fabbricato, mancando peraltro una richiesta di rimanere in comunione.
In merito alle contestazioni circa la destinazione dei locali posti al piano terra ed al primo piano, in origine appartenenti a (OMISSIS), la Corte d’Appello riteneva che non rivestisse carattere vincolante la destinazione catastale, attesa la finalita’ essenzialmente fiscale della medesima, dovendo prevalere la circostanza che i locali in oggetto erano destinati ad utilizzo commerciale anche con regolare autorizzazione comunale.
In ogni caso le contestazioni dovevano reputarsi superate alla luce del fatto che il nuovo progetto del CTU aveva assegnato agli eredi (OMISSIS) i locali a piano terra in collegamento con quelli al primo piano, avendo peraltro tutti i locali un’altezza che ne consentiva qualsivoglia tipo di utilizzo, anche di tipo abitativo.
Occorreva poi evidenziare che l’appello del (OMISSIS), laddove pretendeva di invocare un previo accertamento delle quote di comproprieta’, si palesava in parte inammissibile, atteso che, a fronte della domanda riconvenzionale del (OMISSIS) di accertare ex novo i valori millesimali del vecchio fabbricato, sulla scorta dei quali poi procedere all’assegnazione della proprieta’ esclusiva del nuovo edificio, la deduzione circa l’esistenza di un preventivo accertamento delle quote costituiva una vera e propria eccezione di merito che non era stata tempestivamente avanzata da parte della difesa dei (OMISSIS).
Ne derivava che la pretesa degli stessi di avvalersi delle tabelle approvate in una precedente assemblea equivaleva alla proposizione di un’eccezione nuova ex articolo 345 c.p.c. e come tale inammissibile.
Alla luce dell’infondatezza dei rilievi degli appellanti (OMISSIS), e della fondatezza invece delle deduzioni degli altri appellanti, andava approvato il nuovo progetto di divisione redatto dal CTU nominato in appello.
Avverso tale sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
I controricorrenti (OMISSIS) hanno depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.
RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1111 e 1113 c.c., nonche’ dell’articolo 784 c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Napoli omesso di verificare la sussistenza della qualifica e del diritto in capo alle parti del giudizio.
Si assume che non erano stati prodotti i titoli di proprieta’ degli immobili oggetto di causa cosi’ come era carente la produzione della certificazione ipo-catastale.
Trattandosi di verifiche da operare d’ufficio, l’assenza del relativo riscontro avrebbe dovuto inficiare la stessa integrita’ del contraddittorio.
Il motivo e’ infondato.
In disparte l’evidente novita’ della questione sollevata, atteso che nei precedenti gradi di merito non era mai stata posta in discussione la circostanza che tutte le parti del giudizio fossero le uniche effettive titolari dei diritti di proprieta’ sulle unita’ immobiliari ricomprese nell’edificio danneggiato dal sisma e poi interessato dalla demolizione e successiva ricostruzione, rileva il Collegio che non ricorrano le dedotte violazioni di legge.
In tal senso si osserva che la sentenza gravata ha ritenuto, anche alla luce della non contestazione tra le parti, che il contraddittorio fosse stato correttamente introdotto tra tutti gli effettivi interessati alla divisione, sicche’ nella fattispecie vanno richiamati i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 2951/2016) secondo cui, se e’ pur vero che la titolarita’ della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio e’ un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicche’ spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto, essedo la sua carenza, sia attiva che passiva rilevabile di ufficio dal giudice, cio’ presuppone che risulti dagli atti di causa.
Inoltre, ancorche’ le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarita’ del rapporto controverso dedotte dall’attore abbiano natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, restano ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarita’ del diritto non rilevabili dagli atti.
Rileva il Collegio che sebbene sia auspicabile che il giudice investito della domanda di scioglimento della comunione verifichi in limine litis l’effettiva titolarita’ del diritto di comproprieta’ in capo ai condividenti (e cio’ preferibilmente mediante l’acquisizione dei titoli di provenienza, corredati anche dalla documentazione ipo-catastale, che consente di verificare se nelle more siano intervenute delle modifiche del regime proprietario rispetto alla data cui risale il titolo di provenienza), ove pero’ le parti convenute in giudizio non contestino l’effettiva appartenenza dei beni ai soggetti evocati in giudizio, ed ove, come nella specie, dalle indagini svolte dal consulente tecnico d’ufficio non emergano dubbi o incertezze circa la titolarita’ dei beni comuni in capo alle stesse parti, la contestazione mossa in sede di legittimita’, in assenza di una puntuale allegazione di elementi probatori che denotino l’erroneita’ del convincimento del giudice circa la situazione di comproprieta’, sia inammissibile, in quanto formulata, anche in relazione alla pretesa violazione del principio del litisconsorzio necessario, in via del tutto ipotetica, ed in contrasto, quanto a tale ultimo profilo, al principio secondo cui colui che eccepisce il difetto di integrita’ del contraddittorio, e’ tenuto puntualmente ad individuare le altre parti necessarie che siano state illegittimamente pretermesse dalla partecipazione al giudizio (Cass. n. 19400/2019).
Ne’ vale addurre la considerazione secondo cui, in assenza della produzione dei titoli e della certificazione ipo-catastale (la cui acquisizione a cura delle parti in sede di merito risponde, e’ opportuno ribadirlo, a commendevoli esigenze di prudenza e di agevolazione dell’accertamento probatorio, onde prevenire il rischio che in prosieguo di giudizio possa essere riscontrata l’esistenza di altri soggetti parti necessarie del giudizio di divisione) vi sarebbe il rischio che la divisione intervenga tra parti non legittimate, con il sacrificio del diritto di comproprieta’ alieno, atteso che tale sacrificio trova adeguata tutela sul piano processuale tramite il rimedio dell’opposizione di terzo, alla quale possono ricorrere il terzo pregiudicato ovvero il litisconsorte pretermesso.
Ove il giudice di merito, sulla scorta dell’atteggiamento processuale di non contestazione delle parti evocate in giudizio ovvero sulla base di altri elementi di carattere probatorio, quali possono essere anche le verifiche condotte dall’ausiliario d’ufficio, si convinca della titolarita’ del diritto di comproprieta’ in capo alle parti effettivamente presenti nel giudizio di cui all’articolo 784 c.p.c., al fine di far valere la violazione del principio del litisconsorzio necessario dettato dallo stesso articolo 784 c.p.c., non basta, come avvenuto nella fattispecie, limitarsi ad allegare la sola circostanza della mancata acquisizione dei titoli di proprieta’ ovvero della documentazione ipo-catastale, ma e’ invece necessario addurre, con la specifica individuazione della parte pretermessa, che la divisione si e’ svolta senza la partecipazione di tutte le parti necessarie.
Ad opinare diversamente, e cioe’ addivenendo alla tesi sostenuta dai ricorrenti, secondo cui anche la sola mancata acquisizione dei titoli e della certificazione ipo-catastale imporrebbe la cassazione della sentenza di emerito, si verrebbe a trasformare tale acquisizione in una sorta di presupposto processuale di ammissibilita’ della domanda, in assenza di una espressa volonta’ del legislatore, e con il rischio, in mancanza come detto di una opzione normativa in tal senso, di legittimare la cassazione di pronunce emesse tra le parti effettivamente legittimate a prendere parte al processo, sol perche’ la prova della loro titolarita’ non sarebbe stata fornita con modalita’ documentali, che certamente offrono maggiori garanzie di certezza, ma che non esauriscono pero’ gli strumenti dei quali puo’ avvalersi il potere di autonomo accertamento del giudice di merito (si pensi a tal fine all’ipotesi in cui il diritto di comproprieta’ scaturisca da un acquisto a titolo originario, come in caso di usucapione, laddove sarebbe vano ricercare un titolo di acquisto formale ovvero un riscontro nella documentazione ipo-catastale, non potendosi pero’ sol per questo negare che il soggetto sia effettivo titolare del bene di cui si chiede lo scioglimento della comunione).
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1136, 1137 e 1138 c.c., nonche’ dell’articolo 68 disp. att. c.c..
Si deduce che erroneamente il giudice di appello ha fatto proprie le conclusioni del CTU quanto alla predisposizione delle nuove tabelle millesimali, trascurando che vi erano delle preesistenti tabelle gia’ approvate dall’assemblea.
Il richiamo a tali tabelle era stato operato nella difesa di (OMISSIS), dante causa dei ricorrenti, sin dal primo grado di giudizio e nel primo atto difensivo, con il riferimento a quanto statuito nelle assemblee del 26 febbraio e del 12 marzo 1989, onde provvedere alla divisione attenendosi al contenuto di tali tabelle.
Ne discende che in presenza di una valida tabella approvata in sede assembleare – non essendo necessaria una Delibera con il voto favorevole totalitario di tutti i condomini, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nel 2010 – la decisione non avrebbe potuto prescindere dal contenuto di tali tabelle ancora vincolanti.
Ne’ infine – sostengono ancora i ricorrenti – puo’ addursi che la questione sia stata tardivamente dedotta solo in grado di appello, atteso che la portata precettiva delle tabelle assembleari era stata gia’ sollevata nel primo atto difensivo in Tribunale.
Il motivo e’ infondato.
Correttamente la sentenza gravata, e richiamando sul punto le considerazioni gia’ svolte dal giudice di primo grado, ha sottolineato come nella fattispecie non potesse trovare applicazione la previsione di cui alla L. n. 219 del 1981, articolo 12, posto che la ricostruzione dell’edificio danneggiato dal sisma era stata deliberata con la previsione di una ricostruzione in maniera difforme dal manufatto originario, con la realizzazione di nuovi piani aggiunti, il che impediva di ritenere che potesse ipotizzarsi il protrarsi del vecchio condominio.
In tal caso, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12775/2008), il perimento, totale o per una parte che rappresenti i tre quarti dell’edificio condominiale, determina l’estinzione del condominio per mancanza dell’oggetto, in quanto viene meno il rapporto di servizio tra le parti comuni mentre permane tra gli ex condomini soltanto una comunione “pro indiviso” dell’area di risulta, potendo la condominialita’ essere ripristinata solo in caso di ricostruzione dell’edificio in modo del tutto conforme al precedente. Ne consegue che, in caso di ricostruzione difforme, la nuova costruzione sara’ soggetta esclusivamente alla disciplina dell’accessione e la sua proprieta’ apparterra’ ai comproprietari dell’area di risulta in proporzione delle rispettive quote (in senso conforme Cass. n. 11201/1996, che precisa come il condominio nasca solo quando i comunisti individuano gli appartamenti di proprieta’ esclusiva di ciascuno di essi, con un’operazione negoziale che assume la portata di una vera e propria divisione; Cass. n. 1543/1999).
Tale conclusione non e’ sostanzialmente contestata nemmeno dai ricorrenti, i quali pero’ al fine di pervenire allo scioglimento della comunione, e quindi di ripartire le varie unita’ immobiliari inserite nell’edificio ricostruito, ritengono che abbiano assunto carattere vincolante le tabelle millesimali oggetto di approvazione nel corso dell’assemblea del 26 febbraio 1988 e confermate con successivo verbale del 15/6/1988, sia pur con il voto non unanime di tutti i comproprietari.
Risulta poi dalla sentenza gravata che i comproprietari delle varie unita’ immobiliari inserite nel fabbricato danneggiato dal sisma con precedente Delib. 28 marzo 1984 (a quanto risulta assunta all’unanimita’) avevano statuito di procedere alla demolizione delle parti residue dell’edificio, provvedendosi alla ricostruzione secondo un progetto gia’ approvato dalla PA, che pero’ non contemplava il riparto tra i comproprietari delle unita’ interne.
Emerge altresi’ che l’edificio distrutto e ricostruito (sebbene con evidenti difformita’ rispetto al passato), non aveva delle tabelle millesimali ponendosi quindi la necessita’ di dover individuare i criteri sulla scorta dei quali poi procedere alla divisione dell’edificio ricostruito in relazione alle quote di contitolarita’ vantate sull’area di risulta, secondo le modalita’ sopra richiamate.
Poste tali premesse, rileva il Collegio che, sebbene non appaiano del tutto corrette le affermazioni del giudice di appello quanto alla intempestivita’ delle allegazioni difensive dei ricorrenti in merito alla pretesa di dare applicazione alle tabelle approvate nel corso delle dette assemblee (e cio’ sia in ragione del fatto che effettivamente la questione, come si ricava dal contenuto degli scritti difensivi dei ricorrenti, come riportato in ricorso, era stata posta gia’ con il primo atto difensivo in Tribunale, e non potendosi ascrivere tale deduzione nel novero delle eccezioni in senso stretto, in mancanza di un’espressa indicazione del legislatore che la qualifichi come tale, tenuto conto dell’interpretazione che questa Corte ha offerto del dettato dell’articolo 112 c.p.c.; cfr. Cass. S.U. n. 10531/2013), deve pero’ escludersi che sul piano sostanziale possa invocarsi, ai fini della divisione del fabbricato oggetto di comunione ordinaria, quale conseguenza della ricostruzione dell’edificio diruto in termini difformi dal preesistente, una determinazione dei valori proprietari non oggetto di decisione unanime da parte di tutti i condomini, ma assunta con il voto maggioritario. Effettivamente, questa Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 18477/2010, innovando rispetto al precedente orientamento maggioritario in giurisprudenza, ha affermato che in tema di condominio, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’articolo 1136 c.c., comma 2, ma trattasi di principio che appare suscettibile di trovare applicazione fin quando un condominio sia ancora in essere, e le tabelle mirino ad assicurare il suo funzionamento, tramite l’individuazione dei criteri sulla base dei quali pervenire alla valida formazione della volonta’ in ordine alla gestione del bene comune.
Nella vicenda in esame rileva invece la diversa considerazione che, attesa la precedente Delib. del 1984, con la quale si era statuito di abbattere anche le parti rimaste in piedi dopo la devastazione del sisma e di procedere alla ricostruzione con modalita’ diverse dal passato, come esplicitato dal progetto gia’ approvato in sede amministrativa, era venuto meno il condominio originario e la determinazione dei valori millesimali era funzionale non piu’ alle finalita’ cui ordinariamente assolvono le tabelle millesimali, ma al diverso ed esclusivo scopo di statuire in merito alla quota di compartecipazione di ognuno dei condividenti sul bene oggetto di comunione, onde predeterminare i criteri (sebbene sulla scorta dei valori proprietari originari) in base ai quali addivenire allo scioglimento della comunione sul nuovo edificio.
In tale diversa prospettiva, che risulta sottolineata dalla difesa dei controricorrenti (OMISSIS), e che si evince anche dal tenore della domanda riconvenzionale formulata dal loro dante causa, e riportata in sentenza a pag. 20, deve richiamarsi il costante principio di questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 8520/2017), poiche’ le tabelle millesimali hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali, al fine di ripartire le relative spese e stabilire la misura del diritto di partecipazione alla volonta’ assembleare, non possono incidere sui diritti reali spettanti a ciascun condomino, di guisa che nel caso di specie, poiche’ l’intento di tali tabelle non era quello di individuare un criterio strumentale all’ordinato svolgimento della vita condominiale, bensi’ quello di accertare l’entita’ dei diritti vantati dai singoli (ex) condomini sul nuovo edificio, la loro approvazione non poteva che avvenire all’unanimita’, con l’effetto che, una volta manifestatasi l’impossibilita’ di addivenire a tale esito in via stragiudiziale, era specifico compito del giudice, chiamato a sciogliere la comunione, procedere autonomamente alla fissazione dei criteri sulla scorta dei quali procedere al frazionamento della proprieta’ indivisa.
Colgono nel segno le considerazioni del giudice di appello di cui a pag. 20 dell’impugnata sentenza, laddove, sebbene abbia ritenuto che la questione fosse oggetto di un’eccezione in senso stretto, ha pero’ evidenziato (con richiamo alle argomentazioni del Tribunale di cui all’ordinanza del 1/7/1999) che attenendo la misurazione delle quote di proprieta’ ad una divisione di cosa futura, la predeterminazione dei valori spettanti ad ognuno degli originari condomini, ove intervenuta in via negoziale, si configurava alla stregua di un negozio di accertamento, che presuppone pero’ l’approvazione unanime degli interessati, la cui assenza legittima ed impone, quindi, l’indagine affidata al perito d’ufficio, occorrendo supplire all’inerzia negoziale con la determinazione giudiziale.
Peraltro l’esito della censura non potrebbe essere diverso ove anche si accedesse all’idea posta alla base della prospettazione dei ricorrenti, secondo cui la tabella approvata nell’assemblea del febbraio e del giugno del 1988 fosse una valida tabella millesimale, suscettibile di assumere portata vincolante in ordine alla predeterminazione delle quote di proprieta’ vantate sul bene comune, in quanto anche a seguito del menzionato intervento delle Sezioni Unite del 2010, e proprio alla luce del carattere non negoziale della relativa approvazione, si e’ affermato che la revisione (sempre che le tabelle non abbiano carattere negoziale, in quanto volte consapevolmente a derogare ai criteri di cui all’articolo 1123 c.c.) possa essere approvata anche con la maggioranza qualificata di cui all’articolo 1136 c.c., comma 2 (Cass. n. 27159/2018), aggiungendosi altresi’ che (Cass. n. 21950/2013) l’atto di approvazione delle tabelle millesimali non preclude al condomino che le ha approvate di potere chiedere la loro revisione, che ben puo’ essere sollecitata anche in ragione dell’esistenza di un errore, a norma dell’articolo 69 disp. att. c.c., costituito dalla obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unita’ immobiliari e quello tabellarmente previsto (non essendo a tal fine necessario provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo la parte interessata limitarsi a fornire la prova anche implicita di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l’esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio; conf. Cass. n. 11290/2018).
Avuto riguardo a tali principi, emerge con evidenza che, anche a voler restare legati alla posizione difensiva dei ricorrenti, la domanda riconvenzionale di (OMISSIS), quale trascritta in sentenza, con il riferimento alla presenza di errori nella tabella redatta dall’ing. (OMISSIS), che minava la loro corrispondenza con l’effettiva situazione dominicale, ben puo’ essere intesa come finalizzata a richiedere la revisione delle tabelle in precedenza approvate a maggioranza, essendosi poi dato atto in precedenza da parte del giudice di appello (cfr. pag. 18), che i coefficienti di cui alle tabelle invocate dai ricorrenti non erano vincolanti, in quanto “inammissibile tecnicamente l’utilizzo”, con una valutazione che chiaramente sottende il riscontro di un errore che ne giustificava la revisione, secondo i criteri individuati dal CTU e ritenuti corretti dal giudice di appello.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1102, 720 e 727 c.c., laddove la sentenza gravata ha attribuito agli immobili in origine di proprieta’ dei (OMISSIS) dei coefficienti errati, che hanno portato un ingiustificato vantaggio ai loro danti causa.
Si sostiene che erroneamente sono stati ritenuti dei beni con destinazione commerciale, senza pero’ che il CTU procedesse, come pure era in sua facolta’, ad alcuna verifica presso gli uffici comunali.
Inoltre, anche se i beni fossero stati oggetto di autorizzazione per il commercio, mancava una valida comunicazione agli altri condomini.
Anche tale motivo deve essere disatteso, in quanto volto nel complesso a contestare non gia’ la violazione di norme di diritto, quanto a sottoporre a critica accertamenti in fatto compiuti dal giudice di merito, critica che pero’ esula dal novero di quelle sottoponibili al giudice di legittimita’.
Quanto all’individuazione delle caratteristiche dei locali oggetto del motivo in esame, la sentenza impugnata, sposando le conclusioni del CTU, ha rilevato che non potesse rivestire carattere vincolante la classificazione catastale (che assume rilievo nei rapporti con il fisco), aggiungendo che anche i locali ubicati al primo piano avevano ricevuto una destinazione ad uso commerciale, come emergeva dalle licenze di commercio allegate alla produzione dei (OMISSIS) gia’ in primo grado).
Ha inoltre aggiunto che sia i locali a piano terra che quelli posti al primo piano avevano delle caratteristiche che ne consentivano un utilizzo plurimo, tra cui rientrava anche quello abitativo (il cui coefficiente, come ammesso anche dai ricorrenti, e’ stato assegnato per i locali ubicati al primo piano). Risulta evidente che la contestazione di cui al motivo solo in apparenza denunci una violazione di legge, assumendo che risulti derogato il criterio di composizione omogenea delle quote, ma ha come obiettivo effettivo quello di criticare l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla destinazione potenziale (e comunque attuale, almeno sino alla data della demolizione dell’originario fabbricato) dei locali in oggetto, aspirazione che pero’ non puo’ avere seguito in sede di legittimita’.
Cosi’ come del pari risulta destituita di fondamento la deduzione della violazione dell’articolo 1102 c.c., per avere i condomini destinato alcuni dei beni ad utilizzazione commerciale, rientrando cio’, ed in assenza di un divieto convenzionale eventualmente contenuto nel regolamento di condominio, nel legittimo esercizio delle facolta’ proprietarie.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione ai difensori anticipatari.
Nulla a disporre quanto alle parti che non hanno svolto difese in questa fase.
5. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in favore del controricorrente (OMISSIS) in complessivi Euro 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione agli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS); in favore dei controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione all’avv. (OMISSIS); in favore dei controricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge; in favore dei controricorrenti (OMISSIS) ed (OMISSIS) in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido fra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la proposizione del ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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