Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25535.
Le massime estrapolate:
E’ vero che la valutazione del tempo decorso fra la data del superamento del periodo di comporto e quella del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volonta’ di porre fine al rapporto, vada condotta con criteri di minor rigore rispetto al licenziamento per giusta causa, apprezzando l’intero contesto delle circostanze all’uopo significative, tuttavia il giudizio sulla tempestivita’, o meno, del recesso non puo’ conseguire alla rigida e meccanica applicazione di criteri temporali prestabiliti, ma va condizionato ad una compiuta considerazione di ogni significativa circostanza idonea ad incidere sulla valutazione datoriale circa la sostenibilita’ o meno delle assenze del lavoratore in rapporto, da un lato, con le esigenze del lavoratore medesimo alla certezza della vicenda contrattuale e, dall’altro, con le esigenze dell’impresa, in un’ottica delle relazioni aziendali improntata ai canoni della reciproca lealta’ e buona fede;
la valutazione dell’equo contemperamento delle summenzionate esigenze e, in definitiva, della congruita’ o meno del tempo intercorso tra la ripresa del lavoro ed il licenziamento in relazione alla possibilita’ di sperimentare in concreto (anche in relazione alle caratteristiche organizzative e dimensionali dell’impresa) se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all’interno della – se del caso mutata – struttura aziendale, compete al giudice del merito e non e’ sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivata.
Mentre la prova del superamento del periodo di comporto spetta al datore di lavoro in quanto fatto costitutivo del licenziamento, la prova della sussistenza di un affidamento incolpevole (ossia di circostanze che integrino una manifestazione tacita della volonta’ del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso) spetta al lavoratore in quanto fatto estintivo del potere di recesso, va sottolineato che la violazione del precetto di cui alla citata disposizione si configura soltanto ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne e’ gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una valutazione – che si assuma incongrua – delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia – in ipotesi – errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiche’ in questo caso vi e’ soltanto una questione relativa all’apprezzamento sull’esito della prova.
Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25535
Data udienza 23 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente
Dott. CURCIO Laura – Consigliere
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29045/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. SOCIETA’ UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) elettivamente domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione in ROMA, PIAZZA CAVOUR;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 351/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 18/10/2016 r.g.n. 220/2016.
RILEVATO
che:
1.1. con sentenza n. 351/2016 la Corte d’appello di Brescia, decidendo sul reclamo principale proposto da (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) S.p.A. Societa’ Unipersonale e su quello incidentale della societa’, in riforma della decisione del locale Tribunale (che aveva accolto l’opposizione della societa’ L. n. 92 del 2012, ex articolo 1, commi 51 e segg., avverso l’ordinanza ex articolo 1, comma 48 e respinto la domanda del lavoratore intesa ad ottenere la declaratoria d’illegittimita’ del licenziamento intimato in data 6 febbraio 2015 per superamento del periodo di comporto), annullava tale licenziamento e condannava la societa’ alla reintegra di (OMISSIS) nel posto di lavoro o in mansioni equivalenti a quelle da ultimo svolte e al pagamento di un’indennita’ risarcitoria pari a sei mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto;
1.2. riteneva la Corte territoriale che il tempo trascorso dalla maturazione del periodo di comporto (19 dicembre 2014) al licenziamento (6 febbraio 2015) deponesse nel senso della legittima convinzione del lavoratore circa la prosecuzione del rapporto e la rinuncia da parte del datore di lavoro ad avvalersi del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2110 c.c., comma 2;
a tal fine considerava quali fatti concludenti: – l’avere la societa’, nel tempo indicato, accolto una richiesta di ferie dell’ (OMISSIS) fino al 9 gennaio 2015, – l’avergli poi assegnato ulteriori giorni di ferie sino al 30 gennaio 2015 in ragione di una prospettata contrazione di ordini e della necessita’ di procedere alla riorganizzazione del reparto, – l’aver accettato il rientro e la prestazione lavorativa in data 2 febbraio 2015, fissando la visita di sorveglianza sanitaria per il successivo 3 febbraio, – l’aver concesso al lavoratore un ulteriore periodo di ferie, – l’aver omesso di esternare al dipendente la necessita’ di avvalersi di uno spatium deliberandi in ordine al superamento del periodo di comporto;
ad avviso dei giudici di appello tali considerazioni rendevano superfluo l’esame delle ulteriori domande proposte dal reclamante principale e determinavano altresi’ il rigetto del reclamo incidentale;
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale la (OMISSIS) S.p.A. Societa’ Unipersonale propone ricorso per cassazione con tre motivi;
3. (OMISSIS) resiste con controricorso;
4. entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (articolo 2110 anche in relazione agli articoli 1175 e 1375 c.c.) e dei contratti collettivi nazionali di lavoro (articolo 167 c.c.n.l. commercio, applicabile al rapporto): legittimita’ dell’irrogazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto; erronea qualificazione del comportamento concludente del datore di lavoro come rinuncia al diritto di licenziamento, violazione delle regole di ordinario riparto probatorio ex articolo 2697 c.c.., violazione dell’articolo 2109 c.c., in tema di ferie, anche quale norma sul ristoro psico-fisico delle energie del lavoratore;
censura la sentenza impugnata per l’importanza attribuita ai fatti concludenti sopra indicati;
quanto alla concessione delle ferie, rileva l’obbligo datoriale di concederle ex articolo 2109 c.c., salvo ad incorrere nella violazione dei principi di buona fede e correttezza;
l’intenzione sottesa alla concessione di tali ferie era stata dunque – quella di non privare il dipendente di un diritto, non certo quella di rinunciare al licenziamento;
quanto all’accettazione della prestazione lavorativa dopo che era maturato il periodo di comporto, evidenzia che si era trattato di un rientro in servizio di soli due giorni del tutto compatibile con la necessita’ di accertare l’effettivo decorso del periodo di comporto e di valutare la possibilita’ di definire un lungo contenzioso gia’ in corso con il lavoratore;
quanto all’omessa manifestazione di avvalersi di uno spatium deliberandi, rileva che nessun obbligo in tal senso e’ legislativamente previsto;
quanto alla tempestivita’ del licenziamento, richiama precedenti di questa Corte che hanno considerato adeguato uno spatium deliberandi anche molto piu’ lungo di quello in concreto integrato (cosi’ Cass. n. 10666/2016, Cass. n. 3645/2016, Cass. n. 3645/2016);
1.2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., n. 5);
rileva che un comportamento concludente deve fondarsi su una compiuta osservazione di ogni significativa circostanza (Cass. 16462/2015) e che nella specie la Corte territoriale ha omesso di prendere in considerazione almeno tre fatti, gia’ oggetto di discussione tra le parti, idonei a manifestare una chiara riserva della societa’ di avvalersi del diritto di recesso e, quindi, decisivi per la soluzione (il contenzioso per mobbing e demansionamento promosso dall’ (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) S.p.A. ancora pendente nel periodo di comporto; la trattativa intesa ad un componimento complessivo della controversia; la verifica del calcolo dei giorni di comporto);
1.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (articolo 336 c.p.c.) in relazione all’omessa pronuncia sulla restituzione della somma di Euro 44.319,55 corrisposta dalla societa’ all’ (OMISSIS) in data 4/9/2015 in ottemperanza all’ordinanza di annullamento del licenziamento;
2. i primi due motivi (da trattarsi congiuntamente in ragione dell’intrinseca connessione) sono infondati;
e’ vero che la giurisprudenza di questa Corte richiede che la valutazione del tempo decorso fra la data del superamento del periodo di comporto e quella del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volonta’ di porre fine al rapporto, vada condotta con criteri di minor rigore rispetto al licenziamento per giusta causa, apprezzando l’intero contesto delle circostanze all’uopo significative (v. Cass. 23 gennaio 2008, n. 1438, Cass. 8 maggio 2003, n. 7047, Cass. 3 ottobre 1998, n. 9831), tuttavia il giudizio sulla tempestivita’, o meno, del recesso non puo’ conseguire alla rigida e meccanica applicazione di criteri temporali prestabiliti, ma va condizionato ad una compiuta considerazione di ogni significativa circostanza idonea ad incidere sulla valutazione datoriale circa la sostenibilita’ o meno delle assenze del lavoratore in rapporto, da un lato, con le esigenze del lavoratore medesimo alla certezza della vicenda contrattuale e, dall’altro, con le esigenze dell’impresa, in un’ottica delle relazioni aziendali improntata ai canoni della reciproca lealta’ e buona fede (v. Cass. 25 novembre 2010, n. 23920, Cass. 28 marzo 2011, n. 7037);
la valutazione dell’equo contemperamento delle summenzionate esigenze e, in definitiva, della congruita’ o meno del tempo intercorso tra la ripresa del lavoro ed il licenziamento in relazione alla possibilita’ di sperimentare in concreto (anche in relazione alle caratteristiche organizzative e dimensionali dell’impresa) se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all’interno della – se del caso mutata – struttura aziendale, compete al giudice del merito e non e’ sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivata (v. Cass. 7 gennaio 2015, n. 253);
la Corte territoriale, con motivazione congrua, logica e rigorosa, ancorata a sintomatici rilievi fattuali, e sulla base di un’analisi del comportamento datoriale improntato alla flessibilita’ ed al minor rigore di valutazione menzionati, rispetto all’ipotesi di licenziamento per giusta causa, ha ritenuto che, nel caso in esame, potesse inequivocabilmente evincersi la suddetta volonta’ abdicativa da plurime circostanze (ritardo nella comunicazione del recesso, accoglimento di una richiesta di ferie del lavoratore successiva alla maturazione del periodo di comporto, assegnazione al dipendente di ulteriore periodo di ferie, accettazione del rientro in servizio e della prestazione lavorativa, ancorche’ per un tempo breve, fissazione della visita di sorveglianza sanitaria) incompatibili con l’opposta volonta’ risolutoria;
i motivi di ricorso nella sostanza sottopongono alla Corte profili relativi al merito dell’apprezzamento di circostanze fattuali, che sono insindacabili in sede di legittimita’ ove – come nel caso di specie – risulti che il giudice di merito abbia esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione, sicche’ deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste – manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo dell’esistenza della motivazione – che circoscrivono l’ambito in cui e’ consentito il sindacato di legittimita’ dopo la riforma dell’articolo 360 c.p.c., operata dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori – ai sensi del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053);
ne’ fondatamente il ricorrente richiama l’articolo 2109 c.c., a sostegno di un preteso necessitato tempo di attesa in ragione del godimento da parte dell’ (OMISSIS) delle ferie maturate, atteso che la mancata fruizione di tali ferie sarebbe, nell’ipotesi, dipesa da causa non imputabile al datore di lavoro;
neppure e’ configurabile la dedotta violazione dell’articolo 2697 c.c.;
ed infatti, richiamato quanto affermato da questa Corte nella recente Cass. 4 luglio 2017, n. 16392 sul criterio di riparto dell’onere della prova dettato dall’articolo 2697 c.c., secondo cui, mentre la prova del superamento del periodo di comporto spetta al datore di lavoro in quanto fatto costitutivo del licenziamento, la prova della sussistenza di un affidamento incolpevole (ossia di circostanze che integrino una manifestazione tacita della volonta’ del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso) spetta al lavoratore in quanto fatto estintivo del potere di recesso, va sottolineato che la violazione del precetto di cui alla citata disposizione si configura soltanto ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne e’ gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una valutazione – che si assuma incongrua – delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia – in ipotesi – errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiche’ in questo caso vi e’ soltanto una questione relativa all’apprezzamento sull’esito della prova (v. Cass. 5 settembre 2006, n. 19064);
2. e’ infondato anche il terzo motivo di ricorso;
la sentenza impugnata non e’ incorsa nel vizio denunciato atteso che la mancata pronuncia sulla restituzione della somma di Euro 44.319,55 corrisposta dalla societa’ all’ (OMISSIS) in data 4/9/2015 in ottemperanza all’ordinanza di annullamento del licenziamento era dovuta in ragione della conferma della statuizione di illegittimita’ di detto licenziamento;
3. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato;
4. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
5. va dato atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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