Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 3 ottobre 2018, n. 24001.
La massima estrapolata:
La previsione introdotta con la legge 205/2017, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione di imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o dal prestatore, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione non ha efficacia retroattiva né ad essa può essere riconosciuto il valore di norma interpretativa.
Sentenza 3 ottobre 2018, n. 24001
Data udienza 23 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29124 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliata;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 91/65/2011, depositata in data 21 aprile 2011;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 maggio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;
uditi per l’Agenzia delle entrate gli Avvocati dello Stato dott.ssa (OMISSIS) e il dott. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
La societa’ (OMISSIS) s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in epigrafe, che ha rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bergamo. Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: la societa’ contribuente aveva proposto ricorso avverso due avvisi di accertamento, con i quali era stata rettificata la dichiarazione Ires, Irap e Iva presentata e provveduto al recupero dell’Iva, avendo disconosciuto il diritto alla detraibilita’ dell’Iva ad essa addebitata dai subappaltatori in misura superiore a quella dovuta; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso per la parte relativa alla ritenuta illegittimita’ della pretesa relativa al diritto alla detrazione integrale dell’Iva; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la societa’ contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, che aveva proposto, a propria volta, appello incidentale.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato la sentenza appellata.
In particolare, in punto di diritto, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che: i lavori effettuati dalla societa’ contribuente non potevano essere considerati tutti, anche indirettamente, rivolti all’abbattimento delle barriere architettoniche, sicche’ era corretta l’applicazione della maggiore aliquota del 10 per cento piuttosto che quella del 4 per cento; era corretta l’interpretazione dei giudici di primo grado in merito alla detrazione dell’Iva della contribuente alla nota di credito emessa a favore della ditta Ampa Sinergy, non avendo l’Ufficio finanziario provato l’illegittimita’ della medesima detrazione; era corretta la decisione dei giudici di primo grado relativa all’applicazione al subappalto della stessa aliquota dell’appalto principale, profilo sul quale la giurisprudenza della Corte di cassazione aveva avuto un mutamento di orientamento.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la societa’ contribuente affidato a due motivi di censura.
L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale.
La contribuente ha depositato controricorso al ricorso incidentale nonche’ memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Sul ricorso principale della contribuente
1.1. Con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione dell’articolo 132 c.p.c., e, in subordine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, apparente o insufficiente motivazione sul punto relativo alla legittimita’ della detrazione dell’Iva fatturata dai subappaltatori alla societa’ contribuente.
In particolare, si censura la sentenza: per non avere dato risposta al motivo di appello con cui era stata impugnata la sentenza di primo grado per difetto di motivazione sulla questione della non detraibilita’ dell’Iva fatturata in misura maggiore del dovuto; per essersi limitata, nella motivazione, a fare richiamo ad un orientamento giurisprudenziale per relationem, senza, tuttavia, indicazione specifica dello stesso e del percorso argomentativo da esso espresso e che aveva ritenuto di dovere condividere; per essersi limitata a riportare il contenuto della decisione di primo grado sul punto, senza farlo oggetto di una critica ragionata ai fini di giustificare l’adesione al medesimo.
Il motivo e’ infondato.
Rispetto ai motivi di appello prospettati sul punto, la Commissione tributaria regionale ha, anche se succintamente, argomentato, laddove ha precisato che, secondo la giurisprudenza successiva a quella precedente, al subappalto deve applicarsi la stessa aliquota dell’appalto principale.
Non si tratta, invero, di una mera adesione al percorso argomentativo gia’ seguito dal giudice di primo grado, ma di una riaffermazione del principio espresso, esposto in termini di condivisione e quindi fatto proprio con la statuizione in esame, focalizzando l’attenzione sulla necessaria corrispondenza, in caso di subappalto, dell’Iva fatturata.
Non puo’, quindi, ritenersi che la pronuncia difetti di motivazione sul punto per non avere la stessa chiarito quale fosse l’orientamento giurisprudenziale cui poggiava la decisione, avendo, comunque, espresso il proprio convincimento della identita’ di Iva da fatturare e, in tal modo, esaustivamente dando risposta alla questione prospettata dall’appellante, ponendosi, semmai, la questione non sul piano della insufficienza motivazionale della sentenza, ma su quello, diverso, della corretta applicazione e interpretazione della disciplina normativa da applicare, come in effetti coltivato con il secondo motivo di ricorso.
1.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’articolo 360, comma 1, nn. 3) e 4), e, in subordine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19, in considerazione dell’articolo 17 della Direttiva 17/5/1977 n. 388 (VI Direttiva CEE) e, in particolare, del principio di neutralita’ dell’Iva e dei principi di razionalita’ e proporzionalita’ espressi dal Trattato di Roma.
In particolare, la ricorrente ritiene che la sentenza censurata sia contraria alla legge e ai principi di neutralita’ dell’Iva per avere ritenuto che sia legittima la contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria della detrazione Iva addebitata dal subappaltatore con aliquota (del venti per cento) superiore a quella dovuta (quattro o dieci per cento). Evidenzia, inoltre, che il sistema dovrebbe riconoscere il diritto alla detrazione in presenza di un comportamento di buona fede del contribuente che ha detratto la maggiore Iva fatturata.
Il motivo e’ infondato.
Questa Corte e’ costante nel ritenere che, in tema di IVA, secondo il combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, e della sesta direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE, articolo 17, la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa, non e’ ammessa in ogni caso, in quanto non e’ sufficiente, ai fini della detrazione, che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, ma e’ altresi’ indispensabile che esse siano assoggettabili all’IVA nella misura dovuta. Di conseguenza, ove l’operazione sia stata erroneamente assoggettata all’IVA, per la misura non dovuta, restano privi di fondamento non solo il pagamento dell’imposta da parte del cedente (che ha percio’ diritto di chiedere all’amministrazione il rimborso dell’IVA) e la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario (che puo’ quindi chiedere al cedente la restituzione dell’IVA versata in via di rivalsa), ma anche la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione IVA, con conseguente potere-dovere dell’amministrazione di escludere la detrazione dell’IVA cosi’ pagata in rivalsa (v., ex multis, Cass. nn. 7602/93, 5733/98, 8786/01, 12756/02, 4419/03, 8959/03, 2274/04, 5094/05, 9437/06, 12146/09, 13313/13, 13314/13, 15068/13, 20977/13, 15178/14, quest’ultima vertente proprio suldiritto a detrazione da parte di una societa’ cessionaria che si era vista addebitare dalla propria cedente l’IVA nella misura del 20%, ancorche’ l’importo dovuto andasse liquidato con aliquota al 10%). In particolare, e’ stato ribadito (Cass. 17 dicembre 2014, n. 26482), che, nell’ipotesi in cui l’imposta pagata sia stata erroneamente calcolata sulla base di un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta, la mancata attivazione, nel prescritto termine annuale, della speciale procedura di variazione dell’imposta e dell’imponibile, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 26, fa venire meno il diritto del contribuente a recuperare il credito mediante detrazione, salva la possibilita’ per il medesimo di presentare istanza di rimborso della maggiore imposta indebitamente versata.
Difformemente da quanto sostenuto dalla ricorrente, tale orientamento trova fondamento e conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ritiene che l’esercizio del diritto di detrazione e’ circoscritto alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA e versate in quanto dovute (sent. 13 dicembre 1989, in causa C-342/87, Genius Holding, p.to 13; 19 settembre 2000, in causa C-454/98, Schmeink & Cofreth AG & Co. KG; Cofreth e Strobel, p.to 53; 6 novembre 2003, in cause riunite C-78/02, C-79/02 e C-80/02, Karageorgou e altri, p.to 50; 15 marzo 2007, in causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, p.to 23).
In particolare – ed anche con riferimento alla successiva direttiva n. 112/2006 CE, articoli 63, 167 e 203 – si e’ ritenuto che il diritto di detrarre l’IVA fatturata e’ connesso, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile, ma che il suo esercizio non si estende all’IVA dovuta per il solo fatto e nella misura in cui essa sia stata indicata in fattura (Corte giust. 31 gennaio 2013, in causa C- 643/11, LVK-56 EOOD, p.ti 34 ss.; 15 marzo 2007, cit., p.to 23; 26 maggio 2005, in causa C- 536/03, Antonio Jorge, p.ti 24 e 25; 13 dicembre 1989, cit., p.ti 13 e 19).
La Corte Europea ha altresi’ precisato che, in via di principio, il rischio di perdita di gettito fiscale non e’ eliminato completamente finche’ il destinatario di una fattura che indichi un’IVA non dovuta possa utilizzarla ai fini della detrazione, ex articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112, il cui articolo 203 fissa dunque un obbligo finalizzato proprio ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che puo’ derivare dall’esercizio del diritto a detrazione previsto dall’articolo 167 e ss..
Ne consegue che, con riferimento alla fattispecie, la contribuente non avrebbe potuto detrarre l’Iva relativa alle prestazioni ricevute dai subappaltatori in misura percentuale superiore a quella correttamente dovuta.
Ne’ puo’ valere, come invece sostenuto dalla ricorrente nella memoria, l’applicabilita’ alla fattispecie dello jus superveniens costituito dalla modifica operata dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, articolo 1, comma 935, al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 6, comma 6, laddove prevede che in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19 e ss., l’anzidetto cessionario o committente e’ punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 Euro e 10.000 Euro.
La norma, preme in primo luogo osservare, e’ stata inserita dalla L. n. 205 del 2017, nell’ambito della disciplina generale in materia di sanzioni amministrative di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, prevedendo la misura della sanzione amministrativa da irrogare nei confronti del committente o cessionario che applichi l’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o dal prestatore.
Per la stessa, quindi, con riferimento alla determinazione della misura delle sanzioni, trovano sicura applicazione le previsioni del favor rei di cui al Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 3.
Il profilo da esaminare, invece, e’ se la medesima previsione, laddove prevede che, a prescindere dalla sanzione, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’Iva, possa avere applicazione retroattiva, dunque in un contesto in cui, secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, sopra citato, si e’ ritenuto che non possa essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’Iva corrisposta in favore del subappaltatore in misura superiore a quella dovuta.
La previsione normativa in esame non enuncia espressamente alcuna valenza retroattiva della sua efficacia e introduce, invece, innovativamente, il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva corrisposta in misura maggiore rispetto a quanto dovuto, disciplinando quindi diversamente il regime precedente.
Ne’ puo’ dirsi che abbia valenza interpretativa, non essendo ricavabile dalla previsione in esame alcun riferimento al precedente regime in relazione al quale si intende procedere ad una chiarificazione in termini normativi della portata applicativa del regime della detrazione dell’Iva nella materia in esame.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “La previsione di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 6, comma 6, introdotta dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, articolo 1, comma 935, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resto fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 e ss., non ha efficacia retroattiva ne’ puo’ ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa”.
2. Sul ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate censura la sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione, per non avere, sulla questione della disapplicabilita’ della sanzione per sussistenza della buona fede della contribuente nell’operare la detrazione dell’Iva per importi addebitati con aliquota superiore, sufficientemente motivato sul contenuto della sentenza n. 11457/2005 della Suprema Corte (citata in sentenza) nonche’ per non avere tenuto conto che l’Agenzia delle entrate aveva contestato la tesi del ragionevole affidamento, deducendo che la societa’ contribuente aveva rilasciato a molti subappaltatori dichiarazioni circa l’applicabilita’ anche alle loro prestazioni delle aliquote agevolate applicabili alle prestazioni principali.
Il motivo e’ infondato.
Va a tal proposito precisato che, differentemente da quanto eccepito da parte ricorrente, la parte della pronuncia oggetto di censura con il presente ricorso e’ da considerarsi anche riferibile al motivo di appello incidentale dell’Agenzia delle entrate con il quale la stessa aveva impugnato la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto non dovute le sanzioni in considerazione del comportamento di buona fede della societa’ contribuente.
Il riferimento, infatti, ad un mutamento di giurisprudenza in ordine all’aliquota da applicare in caso di fatture emesse sulla base di un rapporto di subappalto, ed alla legittima condotta seguita propria sulla base del precedente orientamento giurisprudenziale citato, non puo’ che essere messo in correlazione, sebbene non espresso chiaramente, oltre che con il profilo della non sussistenza del diritto alla detrazione, esaminato in sede di primo motivo di ricorso, anche con la questione della sussistenza, nella fattispecie, di un comportamento di buona fede che giustificava la non applicabilita’ della sanzione.
Cio’ precisato, va osservato che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente incidentale, la pronuncia in oggetto ha motivato sul punto in esame, facendo riferimento, come sopra rilevato, al mutamento di giurisprudenza intervenuto, argomentando in tal modo, senza che in questa sede possa procedersi ad una valutazione nel merito della decisione assunta, in ordine alla sussistenza della buona fede della contribuente, sicche’ non puo’, sotto tale profilo, ragionarsi in termini di mancata esternazione del percorso logico seguito, essendo lo stesso incentrato, in sostanza, sulla ritenuta esistenza di una incertezza applicativa della norma.
D’altro lato, la questione della mancata considerazione, secondo l’assunto di parte controricorrente incidentale, del rilascio da parte della societa’ contribuente di dichiarazioni a molti subappaltatori, con le quali la stessa avrebbe avvisato circa l’applicabilita’ anche alle prestazioni da questi eseguite delle aliquote agevolate applicabili alle prestazioni principali, difetta di autosufficienza, non essendo state le stesse riprodotte in questa sede e non consentendo, quindi, di procedere ad una valutazione della decisivita’ delle stesse.
3. Conclusioni.
In conclusione, il ricorso principale della ricorrente e il ricorso incidentale della controricorrente sono infondati, con conseguente rigetto. Attesa la soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso principale della ricorrente e il ricorso incidentale della controricorrente. Spese compensate.
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