La presenza di un tatuaggio sul corpo di una candidata al posto di allieva agente di Polizia penitenziaria

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 17 giugno 2020, n. 3897.

La massima estrapolata:

Ai sensi dell’articolo 123 comma 1 lettera c), Dlgs 443/1992, ante riforma ex articolo 30 comma 1, lettera cc), Dlgs 172/2019, la presenza di un tatuaggio sul corpo di una candidata al posto di allieva agente di Polizia penitenziaria, di per sé, non costituisce causa di esclusione dal concorso. Invero, è tale, solo il tatuaggio che sia deturpante od indice di personalità abnorme. Non così quello che, come nel caso di specie, è in corso di rimozione e non presenta i caratteri sopra indicati.

Sentenza 17 giugno 2020, n. 3897

Data udienza 11 giugno 2020

Tag – parola chiave: Pubblico impiego – Polizia penitenziaria – Concorso – Requisiti – Candidato – Tatuaggio in via di rimozione – Esclusione dal concorso – Illegittimità – Ragioni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 3115 del 2020, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (…);
contro
La signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Ri. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020 il Cons. Alessandro Verrico e rilevato che l’avvocato Riccardo Gozzi ha chiesto il passaggio in decisione, con tutti gli effetti di legge;
Visto il d.l. n. 28/2020;
Rilevato che, con ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma (R.G. n. -OMISSIS-), l’odierna appellata impugnava l’esclusione dal concorso pubblico, per esame, a n. 366 posti (276 uomini e 90 donne) di allievo agente del Corpo di Polizia Penitenziaria, indetto con P.D.G 15 gennaio 2018 e pubblicato in G.U. – IV Serie speciale – “Concorsi ed esami” – n. 17 del 27.02.2018, causato dall’inidoneità determinata dall’accertamento in sede di verifica dei requisiti psicofisici (22 novembre 2018) di “Tatuaggio in zona non coperta dall’uniforme, ai sensi dell’art. 123, comma 1 lettera “e”, del D.Lgs. n. 443 del 30 ottobre 1992 e successive modifiche ed integrazioni”, circostanza peraltro confermata in sede di riesame (“presenza di tatuaggio zona -OMISSIS-“);
Rilevato che il T.a.r., con la sentenza n. -OMISSIS-, ha accolto il ricorso affermando che:
a) “il tatuaggio era in corso di rimozione e quindi assimilabile ad una cicatrice, senza che l’Amministrazione abbia rilevato qualità o caratteristiche rilevanti ai sensi dell’art. 123, comma 1, lett. c), il quale richiede a tali fini che le cicatrici siano “infossate ed aderenti, alteranti l’estetica o la funzione””;
b) pertanto l’Amministrazione, sebbene abbia rilevato che il tatuaggio era in via di rimozione, non ha motivato il giudizio definitivo di inidoneità rilevando le qualità o caratteristiche della cicatrice, come indicate nel predetto art. 123, comma 1, lett. c), che richiede a tali fini che le cicatrici siano “infossate ed aderenti, alteranti l’estetica o la funzione”;
Rilevato, inoltre, che il Ministero della giustizia ha proposto appello, con istanza di sospensione cautelare dell’efficacia della decisione di primo grado, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto integrale del ricorso originario, sostenendo che, alla luce della normativa, la presenza di un tatuaggio sul polso, di fatto, determina automaticamente l’esclusione della ricorrente dal concorso, in quanto il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia del 10 dicembre 2014 impone che il personale in uniforme non deve esibire tatuaggi;
Rilevato, infine, che l’appellata afferma l’illegittimità dell’esclusione, poiché sulla candidata non insisteva un tatuaggio che corrispondesse alle qualificazioni di “tatuaggio deturpante” ovvero “indice di personalità abnorme”, atteso che, in virtù di quanto recentemente affermato dalla Sezione IV del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1477/2020, l’art. 3, comma 2, del d.m. n. 198/2003 risulta applicabile solamente nei confronti di coloro che intendano accedere ai ruoli del personale della Polizia di Stato, con la conseguenza che per l’accesso ai ruoli della Polizia penitenziaria il tatuaggio è causa di esclusione solo se deturpante o indice di personalità abnorme;
Considerato che, ai fini dell’applicabilità al caso di specie del presupposto di esclusione dato dalla collocazione del tatuaggio in zone non coperte dall’uniforme:
a) l’art. 123, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 443/1992, nel testo vigente all’epoca dei fatti, qualificava i tatuaggi come causa di non idoneità per l’ammissione ai concorsi nella Polizia penitenziaria soltanto quando “per la loro sede o natura” fossero “deturpanti o per il loro contenuto” fossero “indice di personalità abnorme”, là dove la loro mera presenza in parte del corpo visibile è stata considerata di per sé ostativa all’ammissione solo per effetto della modifica introdotta con il successivo d.lgs. 27 dicembre 2019, n. 172;
b) nel caso di specie, l’amministrazione non ha motivato sull’eventuale carattere deturpante o abnorme del tatuaggio della ricorrente appellata, né esso, in base a quanto è visibile dagli atti sembra rivestire all’evidenza alcuno di tali caratteri.
Considerato, in ragione di quanto sopra, di dover respingere l’appello;
Considerato che le spese del secondo grado di giudizio devono seguire la soccombenza;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3115/2020, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il Ministero appellante al pagamento in favore dell’appellata delle spese del secondo grado di giudizio nella misura di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge se dovuti, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellata.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020 svoltasi ai sensi degli artt. 84 del d.l. n. 18/2020 e 4 del d.l. n. 28/2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere

 

 

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