Consiglio di Stato, Sentenza|18 gennaio 2021| n. 566.
La percezione della lesività del titolo edilizio rilasciato o assentito a terzi può variare a seconda della sua natura, ovvero dello stato di avanzamento dei lavori e della loro anche astratta assentibilità, esclusa, ad esempio, in zona a inedificabilità assoluta, in relazione alla quale perfino l’inizio dei lavori potrebbe rivelarsi sufficiente allo scopo.
Sentenza|18 gennaio 2021| n. 566
Data udienza 1 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Insediamento produttivo – Interventi edilizi – Permesso di costruire – Impugnative – Percezione della lesività del titolo edilizio – Momento rilevante
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7043 del 2012, proposto dai signori Ad. Pi. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Lo. Pa. Me. e Ag. Ru., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Bu. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,
nei confronti
della Società Ec. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. D’A. e Gi. Mi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Er. Gi. in Roma, via (…),
dei signori Fr. Tr. e Ma. Ve., non costituiti in giudizio,
della Società Un. Le. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, Sezione Prima, n. 69/2012, resa tra le parti, concernente il rilascio di un permesso di costruire per l’insediamento di un impianto produttivo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Ec. S.r.l.;
Vista l’ordinanza della sez. IV di questo Consiglio di Stato, n. 4221 del 24 ottobre 2012;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2020, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’odierno appello i ricorrenti indicati in epigrafe impugnano la sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 69 del 2012, che ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto dagli stessi unitamente ad altri cittadini per l’annullamento del permesso di costruire n. 14 del 9 ottobre 2009, rilasciato ai proprietari di un terreno sito in località (omissis) del Comune di (omissis), signori Fr. Tr. e Ma. Ve., successivamente volturato alle Società Ec. s.r.l. e Un. Le. s.p.a., per la realizzazione di un “edificio artigianale produttivo finalizzato al deposito e alla vendita di carburanti” nonché “alla produzione di energia elettrica da oli combustibili”. Oggetto dell’impugnativa era altresì l’ordinanza di archiviazione -n. 15 del 7 luglio 2010- della (seconda) sospensione dell’efficacia del titolo edilizio de quo, disposta in data 11 giugno 2010 -ordinanza n. 4- per la durata di sei mesi, espressamente finalizzata ad approfondimenti istruttori sulla effettiva potenza dell’impianto, poi risoltisi in senso favorevole ai richiedenti.
Il Tribunale adito, dopo aver ricostruito la cronologia del procedimento sotteso al rilascio dei provvedimenti impugnati, caratterizzata da continui arresti in ragione della reiterata manifestazione di contrarietà all’insediamento da parte della stessa amministrazione comunale, fondava il proprio convincimento sull’assunto che per i ricorrenti, che hanno agito uti cives, non poteva non operare quale momento alla stregua del quale valutare la conoscenza dell’atto, quello della sua pubblicazione all’albo pretorio, accompagnata dall’apposizione del cartello di cantiere. Nel caso di specie non solo, infatti, è stato pubblicato all’albo il permesso di costruire n. 14 del 2009 per il periodo compreso tra il 12 ottobre 2009 e il 27 ottobre 2009, ma ciò è avvenuto anche per l’ordinanza di archiviazione, affissa dal 7 luglio al 22 luglio 2010. Essendo stato il ricorso notificato l’11 dicembre 2010 (notifica perfezionatasi per la Società con il deposito presso la casa comunale del Comune di Pescara il 29 dicembre 2010), esso si palesa inconfutabilmente tardivo. Le ordinanze di sospensione, inoltre, (la prima, in data 9 dicembre 2009, motivata in riferimento all’opportunità di approfondire la necessità di autorizzazioni all’esercizio dell’impianto, all’emissione di fumi in atmosfera, ovvero di valutazione di impatto strategico -VAS- e ambientale -VIA-; l’altra, sopra richiamata, in data 11 giugno 2010), hanno inciso solo sull’efficacia dell’atto impugnato, sì da non legittimare alcuna modifica della tempistica del gravame, comunque tardivo finanche rispetto ad esse.
2. Gli appellanti contestano in primo luogo tale declaratoria di irricevibilità (motivo sub 1), ritenendo necessaria la “piena conoscenza” del titolo edilizio ai fini del computo della decorrenza del termine per impugnarlo, tanto più che nel caso di specie i lavori sarebbero stati avviati in ritardo in ragione delle ridette sospensioni, cosicché le parti si sarebbero accorte del tutto occasionalmente dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire, la cui potenziale pericolosità avrebbero compreso ancora più tardi, e comunque non prima della fine di ottobre 2010. Né assumerebbe rilievo la pubblicizzazione del progetto sulla stampa locale (quotidiano “Il Ce.”) ovvero in manifesti murari ovvero infine nelle riunioni del Comitato “Ci. Bl.”, non essendo affatto provato che gli interessati ne fossero lettori o frequentatori. Ripropongono pertanto le censure già contenute nel ricorso di primo grado, articolate in tre distinti motivi: con quello rubricato sub 2, si contesta la violazione della normativa ambientale, che avrebbe imposto l’autorizzazione unica, successivamente rilasciata dalla Regione Abruzzo (provvedimento n. DA13/286 del 10 novembre 2011, autonomamente impugnato con ricorso al T.A.R. n. r.g. 76 del 2012), sì da fare emergere l’effettiva potenza dell’impianto, pari a 420 Kw; con il motivo sub 3, ha ribadito la incompetenza, ai sensi delle relative norme ordinamentali, di un geometra a presentare un progetto della consistenza di quello di cui è causa; con il quarto e ultimo motivo ha evidenziato la violazione degli artt. 11 e 47 delle N.T.A. del P.R.G. in tema di rispetto delle distanze minime.
3. Si è costituita in giudizio la Società Ec. S.r.l. (d’ora in avanti, solo la Società ), chiedendo preliminarmente la estromissione delle signore El. Do. e Ma. Ma., in quanto estranee al giudizio di primo grado. Ha quindi insistito per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, riferendo gli ulteriori circostanziati elementi, non richiamati nella sentenza impugnata, che proverebbero in maniera inconfutabile la tempestiva conoscenza del contenuto del titolo edilizio in contestazione: il progetto ha avuto da subito ampio risalto sulla stampa locale, in particolare la testata “Il Ce.” e ha generato un ampio dibattito cittadino, tanto che il primo approfondimento postumo sfociato nella sospensione di efficacia del provvedimento era stato formalmente richiesto dal Sindaco in persona; il medesimo Sindaco avrebbe tenuto un’assemblea cittadina sul tema, ampiamente reclamizzata con manifesti affissi un pò ovunque nel paese. Le censure sub 2 e, in parte, 4, sarebbero inammissibili in quanto introdotte per la prima volta in appello e dunque in violazione del divieto dei nova. La prima in particolare tenterebbe di introdurre surrettiziamente un sindacato sull’autorizzazione unica nel frattempo rilasciata dalla Regione Abruzzo, seppure basata su un’opzione di esercizio successivamente esternata, eventuale e comunque estranea al progetto originariamente assentito, che esplicitava chiaramente la circostanza che dei quattro generatori previsti (da 199 Kw ciascuno) ne sarebbe stato installato soltanto uno. Quanto alla asserita incompetenza del geometra a firmare la progettualità presentata giusta le indicazioni ostative rivenienti al riguardo dall’art. 16 del r.d. n. 274 del 1929, oltre che infondata essa si paleserebbe improcedibile, essendo stati gli atti relativi “convalidati” da parte di un ingegnere.
4. Con l’ordinanza n. 4221 del 2012, citata in epigrafe, veniva respinta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado sull’assunto che “in disparte ogni valutazione sul merito della vicenda (in ciò incluse sia la dichiarata irricevibilità del ricorso in prime cure come pure per le censure sostanziali prodotte avverso il permesso di costruire gravato), deve osservarsi come le ragioni poste a fondamento della domanda cautelare attengono unicamente alla possibilità di utilizzare l’eventuale ordinanza di questa Sezione per “incidere anche sull’autorizzazione unica”, ossia su un provvedimento diverso e oggetto di separato giudizio “.
5. Con successiva memoria versata in atti in data 30 ottobre 2020, gli appellanti, nel riproporre la propria prospettazione, confutando quella avversaria, hanno in particolare chiarito come il riferimento all’autorizzazione unica non sia da intendere quale censura nei confronti della stessa, ovviamente inammissibile, ma come prova provata della intrinseca contraddittorietà degli atti, ovvero da una parte il titolo edilizio, che fa riferimento alla realizzazione di una struttura destinata (anche) all’alloggiamento di un cogeneratore di energia elettrica a biomasse di potenza pari a 199 Kw, dall’altro l’A.U.A., con la quale si è autorizzato l’esercizio di un impianto di produzione di elettricità a biomasse di potenza pari a 420 Kw.
6. Alla pubblica udienza del 1 dicembre 2020, svoltasi con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Preliminarmente il Collegio ritiene di dovere respingere l’eccezione di improponibilità del gravame da parte delle signore El. Do. e Ma. Ma., in quanto già ricorrenti in primo grado. La stessa Società, del resto, tra i molteplici indizi di conoscenza del progetto da parte degli appellanti, riferisce anche del rapporto di parentela intercorrente tra il Sindaco e la signora Ma. Ma., appunto, indicata quale “anch’essa firmataria del ricorso introduttivo” (pag. 13 della memoria di costituzione).
8. Nel merito, il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni del giudice di prime cure, il che implica la reiezione dell’appello e l’integrale conferma dell’impugnata sentenza.
9. Viene dunque nuovamente all’esame della Sezione la tematica, già oggetto di plurime decisioni di questo Consiglio di Stato, dell’esatta accezione da attribuire alla nozione di “conoscenza piena” dei provvedimenti riguardanti l’attività edilizia posta in essere da soggetti terzi ai fini del computo del termine per la proposizione del ricorso.
10. Come più volte precisato anche dalla Sezione, alle cui conclusioni è necessario ricondursi (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390), essa non si identifica con la conoscenza “integrale” del provvedimento, comprensiva degli atti endoprocedimentali i cui vizi possono ripercuotersi in via derivata sullo stesso: è infatti sufficiente la percezione dell’esistenza dello stesso e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della propria sfera giuridica, in modo da concretizzare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075; nonché id. 22 gennaio 2019, n. 534). Il completamento della conoscenza dell’atto, comprensivo della sua genesi istruttoria, sta invece alla base dell’istituto dei motivi aggiunti cosiddetti “propri”, finanche nel suo diverso atteggiarsi in base alla disciplina previgente, la cui natura di rimedio postumo a garanzia di integrità della difesa finirebbe diversamente per non avere una pratica ragion d’essere, o per divenire del tutto residuale.
11. La percezione della lesività del titolo edilizio rilasciato o assentito a terzi, dunque, può variare a seconda della sua natura, ovvero dello stato di avanzamento dei lavori e della loro anche astratta assentibilità, esclusa, ad esempio, in zona a inedificabilità assoluta, in relazione alla quale perfino l’inizio dei lavori potrebbe rivelarsi sufficiente allo scopo (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 3875 del 2018; id. nn. 3067 e 5754 del 2017; Sez. VI, n. 4830 del 2017, che si conformano sostanzialmente all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, sviluppandone i logici corollari).
A tale riguardo, la vicinitas di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate, oltre ad incidere sull’interesse ad agire, induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori. Nel caso di specie, benché il primo giudice consideri i ricorrenti uti cives, essi hanno specificato di essere tutti proprietari di terreni nella medesima località, adiacenti pertanto a quello di cui è causa.
12. Quanto detto, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (ad esempio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 6, e 27, comma 4, t.u. edilizia, avuto riguardo alla presenza in loco del cartello dei lavori, specie se munito di “rendering” e indicazione puntuale del titolo edilizio, ovvero all’effettiva comunicazione tramite pubblicazione all’albo pretorio del Comune del rilascio del titolo edilizio; alla consistenza del tempo trascorso fra l’inizio dei lavori e la proposizione del ricorso; all’effettiva residenza del ricorrente in zona confinante con il lotto su cui sono in corso i lavori; ecc. ecc.). Per contro, chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio ha l’onere di esercitare sollecitamente l’accesso documentale, stante che la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso. Se da un lato, infatti, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro, deve parimenti essere salvaguardato quello del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. IV, n. 3075 del 2018; id., n. 5675 del 2017; nn. 4701 e 1135 del 2016).
13. Calando le indicazioni sopra dette nell’analisi del caso di specie, si ha che non solo i ricorrenti non hanno dimostrato quale evento “occasionale” avrebbe causato la piena conoscenza che li ha posti in condizione di ricorrere, non avendo neppure indicato quando e se hanno esercitato l’accesso agli atti, ma soprattutto essi non hanno smentito i dati obiettivi dai quali è dato desumere che non potevano non conoscere la tipologia dell’impianto assentito, tanto da essersi allarmati per la paventata pericolosità per l’ambiente e la salute. Esso, infatti, è stato da subito osteggiato dalla collettività e dall’amministrazione locale, a prescindere dalla rilevata potenza, successivamente accertata per come risultante agli atti e ritenuta non veritiera. La circostanza che i lavori siano stati procrastinati nel loro “concreto” avvio per ben due volte, tramite ordinanze sospensive dell’efficacia del titolo giustificate dalla necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, peraltro anomali a titolo già rilasciato, non implica che l’allestimento del cantiere non fosse stato effettuato. E’ documentata, infatti, la comunicazione di inizio dei lavori alla data del 9 giugno 2010, con conseguente obbligatoria preventiva apposizione “all’esterno del cantiere, ben visibile al pubblico” del prescritto cartello contenente “le seguenti indicazioni non esaustive: Ditta proprietaria- Impresa- Progettista-Direttore dei lavori-Estremi del permesso di costruire”, siccome imposto espressamente, dettagliando il generale obbligo normativo al riguardo, nel permesso di costruire del 9 ottobre 2009. D’altro canto, se è vero che non è provata la partecipazione “attiva” dei ricorrenti alle molteplici iniziative della cittadinanza e dell’amministrazione per avversare l’insediamento in controversia, non è motivo di dubitare -né gli appellanti riferiscono alcunché in senso opposto- che, come rappresentato dalla Società, in data 7 luglio 2010 vi sia stato un (ennesimo) sopralluogo del Sindaco e di alcuni consiglieri comunali al seguito di vari esponenti degli organi di controllo, locali (tecnici comunali e polizia municipale), regionali (funzionari della ASL) e statali (appartenente all’Arma dei carabinieri) sul cantiere, con ciò confermando ulteriormente, con documentazione anche fotografica, che un cantiere a tale data era stata insediato. Infine, gli appellanti ritengono ininfluente il richiamo, da parte della Società appellata, al clamore anche mediatico suscitato dalla vicenda, sia perché solo “riferito” e non provato, sia perché non dimostrerebbe alcunché in ordine alla effettiva conoscenza dei fatti. Il Collegio ritiene invece che la situazione non possa non essere contestualizzata al luogo degli accadimenti, ovvero il Comune di (omissis), ente la cui estensione territoriale, per quanto ricavabile da qualsiasi pubblicizzazione del territorio, ha un’estensione pari a circa otto chilometri quadrati e una popolazione di poco superiore ai mille abitanti. La circostanziata ricostruzione, con l’indicazione di date precise di pubblicazione degli articoli, di svolgimento dell’assemblea cittadina, di effettuazione dei sopralluoghi, di attivazione di un apposito comitato (“Ci. Bl.”) ben rappresentano lo stato di fatto venutosi comprensibilmente a creare avuta notizia della progettata installazione di un impianto di consistente portata in un ambito così raccolto e protetto. Né è pensabile attribuire all’atteggiamento ondivago tenuto dall’ufficio, peraltro dopo il rilascio del titolo e non prima, valenza di ostacolo alla percezione immediata dei possibili effetti negativi del realizzando opificio industriale, stante che caso mai proprio le incertezze gestionali postume, comprensibili in un contesto più emozionale che giuridico, avrebbero dovuto indurre un’accelerazione nell’acquisizione della documentazione di dettaglio della progettualità in itinere, ma ormai assentita.
14. Come affermato dal primo giudice, infine, e ribadito nella decisione cautelare di questo Consiglio di Stato, le questioni inerenti la futura potenzialità dell’impianto sono state differite al momento del rilascio dell’autorizzazione regionale: anticiparle a quello di legittimazione della edificazione della struttura “contenitore”, malgrado le diverse indicazioni della proprietà, equivarrebbe a considerare queste ultime volutamente riduttive per aggirare l’impianto normativo. Circostanza non solo non provata, ma anche estranea al perimetro dell’odierna decisione.
15. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere respinto.
La complessità della materia astrattamente sottesa alla controversia giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2020, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Carla Ciuffetti – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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