Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 27 agosto 2019, n. 5902.
La massima estrapolata:
La normativa regionale sulle grandi strutture di vendita deve essere interpretata in maniera tale da non determinare l’ascrizione del carattere di “grande struttura di vendita” o, comunque, di struttura lato sensu “complessa” a strutture che, secondo la legge dello Stato, non lo sarebbero. L’eventuale disciplina regionale che si ponga in contrasto nei termini definitori o nella individuazione delle superfici, deve essere comunque letta sulla base sostanzialista dei generali principi stabiliti da quella statale.
Sentenza 27 agosto 2019, n. 5902
Data udienza 18 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9344 del 2018, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Br. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Sm. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Si. e Ma. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Pr. in Roma, via (…);
nei confronti
Co. Ce. No. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Ci., Gi. Lo Pi. e Ro. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Ci. in Roma, via (…);
ed altri;
sul ricorso numero di registro generale 9503 del 2018, proposto da Co. Ce. No. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Ci., Gi. Lo Pi. e Ro. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Ci. in Roma, via (…);
contro
Sm. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Si. e Ma. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Pr. in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Br. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
ed altri;
sul ricorso numero di registro generale 9933 del 2018, proposto da Is. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Cremona, via (…);
contro
Sm. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Si. e Ma. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Pr. in Roma, via (…);
ed altri;
nei confronti
Co. Ce. No. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Ci., Gi. Lo Pi. e Ro. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Ci. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sede di Milano, Sezione Seconda, n. 2239 del 10 ottobre 2018, resa tra le parti, concernente: il provvedimento di esclusione della assoggettabilità alla VAS di un programma integrato di intervento ad iniziativa privata in variante allo strumento urbanistico; l’adozione e l’approvazione di tale piano; il conseguente rilascio dei titoli edilizi e delle autorizzazioni commerciali.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2019 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Br. Bi., Ma. Pr., Gi. Lo Pi., Fa. Ci., Ma. So. e l’avvocato dello Stato Ba. Ti.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. per la Lombardia – Sede di Milano ha accolto il ricorso, integrato da tre successivi ricorsi per motivi aggiunti, svolto dalla società Sm. s.p.a., gerente i supermercati a marchio “Si.”, avverso il provvedimento del Comune di (omissis) con cui è stata stabilita la non assoggettabilità a VAS del Programma integrato d’intervento (P.I.I.) ad iniziativa privata in variante allo strumento urbanistico comunale (Piano di Governo del Territorio – P.G.T.) presentato dalla società immobiliare Is. s.r.l. e relativo, tra l’altro, alla realizzazione, in due distinti sub-lotti dell’ambito “A” del più ampio ambito di trasformazione “X”, di due “medie strutture di vendita” (di cui una poi costruita e gestita da Co. Ce. No. soc. coop.) e di vari esercizi di vicinato.
1.1. La società Sm., premesso di gestire, fra le altre, una “media struttura di vendita” ubicata nel Comune di (omissis) alla distanza di appena 650 metri dai luoghi interessati dal mentovato P.I.I., ha inter alia sostenuto che le due “medie strutture di vendita” ivi contemplate configurerebbero, in realtà, una “grande struttura di vendita in forma unitaria” (ovvero un “centro commerciale aggregato”, ovvero ancora un “parco commerciale”), vietata dal vigente strumento urbanistico (non modificato, in parte qua, dal P.I.I.), che ammette nel territorio del Comune solo “medie strutture di vendita”: ne conseguirebbe che il P.I.I., in quanto in deroga al P.G.T., avrebbe dovuto essere preceduto da VAS.
1.2. Con la sentenza gravata il T.a.r., rigettata l’eccezione sollevata dalle parti resistenti di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ed interesse, ha ritenuto, quanto al merito, “che la descrizione dello stato dei luoghi e la conclusione cui giunge la ricorrente siano condivisibili. Il progetto presenta le caratteristiche oggettive di un unico insediamento, per cui la suddivisione in due lotti è “artificiosa” e speculare a eludere la disciplina in materia. Le strutture di vendita sono inserite in un comparto, localizzato lungo lo stesso asse viario, (la S.P. 40-S.P. 105 Via (omissis)), con una accessibilità comune, un parcheggio indiviso unico (distinto solo da stalli dei posti auto), separati solo da una strada, creata ad hoc, da opere a verde e dagli stalli dei posti auto; i rispettivi ingressi affacciano sulla strada”.
In sostanza, ha concluso il T.a.r., “la distinzione dei due lotti non corrisponde ad una divisione funzionale né reale tra i due lotti e ancora meno tra gli immobili che fanno parte del comparto: i consumatori possono, parcheggiando nella stessa area, accedere a tutte le struttura di vendita collocate nel comparto, come avviene nella grandi strutture di vendita; infatti i parcheggi non risultano distinti per lotti, ma sono sostanzialmente condivisi e utilizzabili per qualsiasi struttura. L’accessibilità avviene per entrambi i lotti dal varco lungo la S.P.105: pur in assenza di percorsi pedonali predisposti, i consumatori, partendo dal parcheggio comune, possono facilmente accedere a tutte le strutture, indifferentemente. Presso la piastra commerciale sono previsti depositi, uffici, laboratori di preparazione, comuni alle strutture poste nei due sub lotti, poiché anche la strada, le opere a verde e la piazza privata creata ad hoc, non impediscono fisicamente il collegamento tra le due aree”.
Non rileverebbe in senso contrario la presenza fra le due strutture di una strada pubblica, poiché, ha sostenuto il T.a.r., “la circostanza che un utente possa accedere, seppure in assenza di un percorso stradale predefinito e con la necessità di attraversare una strada, ad entrambe le strutture, è indice rivelatore del sostanziale “disegno unitario”; oltretutto, emergerebbe “dalle planimetrie allegate che la strada è una strada di lottizzazione che serve per creare un accesso alle strutture inserite nel comparto attuativo e, dunque, più propriamente nella specie, rappresenta uno “spazio di distribuzione funzionali all’accesso ai singoli esercizi”. Come ha correttamente osservato la difesa della ricorrente, la strada di lottizzazione del comparto non comporterebbe alcun vantaggio per gli automobilisti che percorrono la rotonda tra la SP 105 e la SP 40 (a nord est del comparto), “i quali, in luogo di percorrere pochi metri, entrare nella rotonda successiva (tra la SP 105, via (omissis) e Via (omissis), a sud est del comparto) e quindi nel centro abitato dovrebbero allungare irragionevolmente il percorso, transitando peraltro nel caotico complesso commerciale per fuoriuscire lungo la Via (omissis), più lontana dal centro abitato (lo stesso dicasi per gli automobilisti in uscita dal centro, verso la SP 105, che allungherebbero illogicamente un percorso invece breve e diritto)”. La finalità principale, se non esclusiva della strada sarebbe quindi quella di garantire l’accesso dei consumatori al centro commerciale e di garantire la fruibilità comune di più esercizi”.
1.3. Il T.a.r. ha, dunque, annullato il P.I.I. e ritenuto caducati il titolo edilizio e l’autorizzazione commerciale successivamente rilasciati a favore di Co..
2. Il Comune di (omissis), Is. e Co. hanno interposto distinti appelli, veicolando le argomentazioni defensionali già spese in primo grado.
Sm. si è costituita in ciascuno dei tre giudizi, riproponendo i motivi assorbiti in prime cure (ossia i motivi rubricati nel ricorso introduttivo e nei successivi ricorsi per motivi aggiunti con i numeri da 5 a 30).
Alla camera di consiglio del 10 gennaio 2019 i tre giudizi sono stati rinviati al merito su accordo delle parti, con l’impegno di parte appellata “a non chiedere l’esecuzione della sentenza nelle more della definizione nel merito”.
In vista della trattazione le parti hanno versato in atti difese scritte.
I ricorsi sono stati discussi alla pubblica udienza del 18 aprile 2019 e, all’esito, trattenuti in decisione.
3. Il Collegio dispone, preliminarmente, la riunione dei tre giudizi, ai sensi dell’art. 96 c.p.a..
4. Nel merito, gli appelli sono fondati: è, pertanto, superfluo scrutinare l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure, riproposta in questa sede dalle parti appellanti.
5. E’ opportuna una sintetica ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini di causa.
5.1. Nella zona interessata dal P.I.I. – situata all’estremità settentrionale della cittadina di Lacchiarella ed ubicata tra la S.P. 40 a nord, la S.P. 105 ad est e la Via (omissis) a sud, con superficie complessiva di 28.300 mq – vi era, in precedenza, una struttura alberghiera non completata e mai entrata in funzione, a quanto consta in avanzato stato di degrado.
Il P.I.I. ha previsto la risistemazione integrale dell’area, mediante abbattimento della struttura preesistente e realizzazione di due ambiti: un articolato ambito “A” a destinazione mista ed un più contenuto ambito “B” a destinazione esclusivamente residenziale.
In particolare, il P.I.I. contempla:
– un sub-lotto residenziale destinato alla costruzione di villette, posto all’estremità occidentale dell’area (ambito “B”);
– un sub-lotto commerciale destinato alla realizzazione di una “media struttura di vendita” alimentare con i relativi parcheggi pertinenziali, posto all’estremità settentrionale dell’area e separato dalla S.P. 40 da una fascia di verde pubblico (ambito “A”);
– un sub-lotto misto (“direzionale-commerciale-ristorazione-residenziale”), suddiviso in due fabbricati separati da una piazza e utilizzabile anche per la realizzazione di “media struttura di vendita” non alimentare, posto all’estremità meridionale dell’area con affaccio sulla Via (omissis) (ambito “A”);
– una strada pubblica (poi denominata Via (omissis)) che connette la S.P. 105 ad est con la Via (omissis) a sud, passando dapprima fra il sub-lotto commerciale ed il sub-lotto misto, quindi fra tale ultimo sub-lotto e quello residenziale.
Il P.I.I. prevede, inoltre, l’allocazione nel sub-lotto misto della farmacia comunale.
Allo stato, nel sub-lotto commerciale risulta realizzata ed in funzione la struttura di vendita gestita da Co., mentre nel frontistante sub-lotto misto è stato costruito un fast-food con accesso anche in modalità drive-in.
5.2. Il Collegio, con maggiore sforzo analitico, osserva inoltre che il P.G.T. del 2012 individuava la zona come “ambito di trasformazione X”, consentendovi la realizzazione di una “media struttura di vendita” di 1.000 mq e due ulteriori strutture di 250 mq ciascuna.
Il P.I.I. prevede, in parte qua, una variante al P.G.T., giacché contempla la realizzazione:
– nel sub-lotto commerciale, di una “media struttura di vendita” anche alimentare con superficie di vendita massima di 1.500 mq, oltre locali accessori (“depositi, uffici, laboratori di preparazione, spogliatoi, servizi vari”) sino alla s.l.p. massima di 2.800 mq;
– nel sub-lotto misto, di attività residenziali e commerciali (“direzionale, terziario, ricettivo, somministrazione, esercizi di vicinato”), queste ultime con superficie di vendita massima di 1.500 mq, eventualmente sfruttabili anche nella forma di un’unitaria “media struttura di vendita” non alimentare.
Il P.I.I., infine, vieta espressamente l’utilizzo comune di parcheggi e servizi fra i due sub-lotti, che impone siano separati da viabilità pubblica e siano privi di percorsi pedonali di collegamento diretto.
6. In punto di diritto, il Collegio rileva che l’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 114 del 1998 definisce:
– alla lett. d), “esercizi di vicinato quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti”;
– alla lett. e), “media struttura di vendita” gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto d) e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti”;
– alla lett. f), “grandi strutture di vendita gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto e)”;
– alla lett. g), “centro commerciale, una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente. Ai fini del presente decreto per superficie di vendita di un centro commerciale si intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti”.
Inoltre, la delibera di Giunta regionale lombarda n. 1193 del 20 dicembre 2013, dettata in attuazione dell’art. 4, comma 4, l.r. n. 6 del 2010 (recante il “Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere”), definisce “struttura di vendita organizzata in forma unitaria” la “media o grande struttura di vendita nella quale due o più esercizi commerciali siano inseriti in un unico complesso urbanistico-edilizio organizzato in uno o più edifici, nella medesima area o in aree contigue, destinato in tutto o in parte alle attività commerciali, anche composto da più edifici aventi spazi di distribuzione funzionali all’accesso ai singoli esercizi e con spazi e servizi gestiti anche unitariamente. Alla definizione sopra richiamata sono riconducibili e quindi compresi:… a1) il centro commerciale aggregato, inteso quale complesso commerciale costituito da un’aggregazione, nella medesima area, di più edifici, anche contigui e collegati funzionalmente da percorsi pedonali su suolo privato con accessibilità ad un insieme di esercizi commerciali con servizi comuni fruibili dall’intero complesso; …b) il parco commerciale, inteso quale complesso commerciale costituito da una aggregazione, in aree commerciali contigue, di almeno due medie o grandi strutture di vendita localizzate anche sul medesimo asse viario e con un sistema di accessibilità comune”.
7. Tutto quanto sopra premesso, il Collegio ritiene che, nella specie, difettino i requisiti per ravvisare sia una “grande struttura di venditaorganizzata in forma unitaria”, sia un “centro commerciale aggregato”, sia un “parco commerciale”: è, pertanto, superfluo lo scrutinio della questione dei limiti della potestà regionale di introdurre discipline di regolamentazione del commercio che, estendendosi sino alla perimetrazione definitoria ed alla conseguente regolamentazione autorizzativa, operativa e gestionale delle strutture di vendita al pubblico, determinino un diretto impatto in tema di “concorrenza”, la cui “tutela”, come noto, è materia di esclusiva competenza legislativa statale (a sua volta, peraltro, significativamente condizionata dalla disciplina europea).
8. Siffatta conclusione si basa su plurimi e convergenti elementi.
8.1. Il Collegio premette che la disciplina nazionale conosce la sola figura del “centro commerciale”, “struttura a destinazione specifica” connotata da “infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente”.
8.2. La regolamentazione della Regione Lombardia enuclea, per quanto qui di interesse, tre ulteriori categorie:
– la “struttura di vendita organizzata in forma unitaria”, “unico complesso urbanistico-edilizio organizzato in uno o più edifici”;
– il “centro commerciale aggregato”, “complesso commerciale costituito da un’aggregazione… di più edifici, anche contigui e collegati funzionalmente da percorsi pedonali su suolo privato… con servizi comuni fruibili dall’intero complesso”;
– il “parco commerciale”, “complesso commerciale costituito da una aggregazione, in aree commerciali contigue, di almeno due medie o grandi strutture di vendita… con un sistema di accessibilità comune”.
8.3. Orbene, siffatta disciplina regionale deve essere letta sulla base dei generali principi stabiliti da quella statale.
Pur ove si ammetta, infatti, che lo spazio regionale di regolamentazione delle attività commerciali possa spingersi sino alla generale perimetrazione categoriale delle strutture a ciò deputate, comunque tale potestas deve essere interpretata in maniera coerente con la cornice scolpita a monte dalla disciplina statale.
Invero, giacché da un lato la “tutela della concorrenza” si svolge anche mediante l’individuazione del livello massimo di adempimenti amministrativi necessari, su tutto il territorio nazionale, per l’apertura di nuove strutture (ossia per l’esercizio della libera iniziativa economica privata) e giacché, dall’altro lato, l’introduzione da parte della disciplina regionale di classificazioni tipologiche ulteriori rispetto a quelle statali può potenzialmente comportare un appesantimento degli oneri burocratico-amministrativi (cosiddetto red tape, nell’accezione anglosassone), ergo la normativa regionale deve essere interpretata in maniera tale da non determinare l’ascrizione del carattere di “grande struttura di vendita” o, comunque, di struttura lato sensu “complessa” a strutture che, secondo la legge dello Stato, non lo sarebbero.
9. Sulla scorta di tale premessa ed in base alle definizioni riportate supra, si evince, in una visione sintetica e d’insieme, che la considerazione giuridica unitaria di due o più “medie strutture di vendita”, quale che ne sia la categoria di sussunzione, richiede due convergenti e contestuali requisiti: uno materiale (la ricorrenza di un legame fisico) ed uno funzionale (la comunanza della gestione).
9.1. E’, anzitutto, necessario che le strutture siano direttamente collegate fra loro: i consumatori, in sostanza, debbono poter accedere dall’una all’altra con facilità, disponendo di appositi percorsi pedonali appositamente studiati per la peculiare modalità di fruizione di siffatte strutture, ove spesso le persone portano con sé da una struttura all’altra, a mezzo di carrelli od altri strumenti, gli acquisti precedentemente operati.
Tali percorsi devono collegare direttamente le strutture, non il più ampio lotto ove queste insistono, e devono correre su suolo privato; se su suolo pubblico, devono consentire un passaggio ben segnalato, dedicato specificamente ai consumatori, sufficientemente ampio e sicuro.
Tali percorsi possono essere indifferentemente al chiuso o all’aperto ma, in tale ultimo caso, devono differire dalla semplice transitabilità pubblica ordinariamente assicurata all’indistinta collettività a mezzo di marciapiedi od altre vie di transito pedonale: la considerazione giuridica unitaria di più strutture, invero, può darsi solo in presenza di elementi fattuali che ne differenzino e qualifichino la conformazione in maniera precisa, trovandosi altrimenti di fronte alla mera contiguità di strutture distinte.
La necessità del collegamento fisico è, peraltro, implicita nella natura unitaria della struttura: non può, invero, darsi un unitario insediamento commerciale ove le varie componenti non siano direttamente ed efficacemente collegate fra loro.
In caso contrario, del resto, non vi sarebbe alcuna effettiva e concreta “organizzazione”; non sarebbe possibile utilizzare il sostantivo “aggregazione”, che richiama un concetto di congenita unitarietà ; non sarebbe predicabile la ricorrenza di un “unico complesso”, ma una semplice (ed occasionale) vicinanza di distinte strutture, prive di alcun elemento in “comune” diverso dalla mera ubicazione nella medesima area.
9.2. Per analoghe ragioni è, inoltre, necessario l’ulteriore requisito della comunanza di gestione.
Devono, invero, riscontrarsi i seguenti elementi unificanti di carattere funzionale:
– la comune fruizione degli spazi e dei locali accessori alla vendita (spogliatoi, depositi, magazzini, laboratori di preparazione, uffici amministrativi et similia), indistintamente utilizzabili per le esigenze di tutte le strutture;
– la presenza di servizi all’utenza e, generale, di spazi pertinenziali (in primis parcheggi, ma anche, ad esempio, aree per bambini) indistintamente fruibili dalla clientela di tutte le strutture, regolati, gestiti e manutenuti unitariamente;
– una policy di gestione accentrata ed unitaria, con riferimento tanto alle relazioni contrattuali con terze parti (utenze, servizi di pulizia e guardianaggio, selezione del personale), quanto alla promozione commerciale, operata unitariamente a favore dell’intera struttura complessa, peraltro solitamente caratterizzata da un nome commerciale autonomo e distinto da quelli dei singoli esercizi ivi allocati.
Solo l’effettiva, concreta ed oggettiva comunanza strutturale e funzionale consente, invero, di ascrivere valenza giuridica al legame fra due o più strutture, altrimenti destinato a rimanere confinato nella semplice circostanza di fatto (giuridicamente irrilevante) della vicinitas.
10. Nel caso di specie, osserva il Collegio, non si ravvisa alcuno degli esposti elementi qualificanti.
In disparte il fatto che la realizzazione di una “media struttura di vendita” non alimentare nel sub-lotto misto consta essere, allo stato, una mera eventualità, il Collegio rileva che gli immobili che ospitano le strutture:
– hanno ingressi separati e sono privi di collegamenti interni;
– insistono su lotti distinti che presentano accessi diversi: invero, l’accesso al sub-lotto commerciale avviene dalla Via (omissis), mentre l’accesso al sub-lotto misto può avvenire, in base alle indicazioni progettuali, anche dalla Via (omissis);
– non hanno in comune né spazi né locali accessori, quali spogliatoi, uffici, depositi, magazzini, laboratori di preparazione, aree per bambini et similia: anzi, l’art. 4 delle NTA del P.I.I. opera un espresso divieto in tal senso; peraltro, tale comunanza di spazi e locali accessori è da escludersi anche in futuro, in considerazione sia delle previsioni del cennato art. 4 delle NTA del P.I.I., sia della distanza fra i due immobili, che rende oggettivamente tale soluzione poco praticabile, sia, infine, della non contestata circostanza dell’integrale sfruttamento, da parte di Co., dei locali e degli spazi di servizio esistenti nel sub-lotto commerciale;
– non solo sono privi di collegamenti interni, ma non vi sono neanche collegamenti esterni diretti né, tanto meno, “dedicati”: in primis, i due immobili e, in generale, i due sub-lotti sono separati da una strada, la Via (omissis), priva di alcun attraversamento pedonale (le strisce pedonali poste al margine estremo della Via (omissis), in corrispondenza dell’intersezione con la S.P. 105, rappresentano la prosecuzione del marciapiede esterno al perimetro del comparto); inoltre, non constano essere presenti, lungo tutta la carreggiata della Via (omissis) prospiciente i due lotti, “scivoli” nei marciapiedi che facilitino lo spostamento con i carrelli; più in generale, la Via (omissis) non è finalizzata a soddisfare esclusivamente la necessità di accesso al comparto, ma, al contrario, è pienamente inserita nel circuito della viabilità cittadina quale ulteriore direttrice di collegamento fra la S.P. 105 e la Via (omissis) e, per di più, serve l’attiguo lotto residenziale realizzato nell’ambito “B”;
– non hanno parcheggi comuni o, comunque, gestiti unitariamente; oltretutto, l’insufficienza in proposito degli standard del sub-lotto misto è stata monetizzata e non è stata compensata con i sovrabbondanti standard del sub-lotto commerciale;
– non attingono al medesimo bacino di utenza, sia perché il fast food realizzato sul sub-lotto misto è anche drive-in e, dunque, non intercetta necessariamente l’utenza delle altre strutture presenti in loco, sia, prima ancora, perché il sub-lotto misto non ha un’esclusiva né, tanto meno, una necessaria vocazione commerciale.
10.1. Gli esposti dati di fatto rendono irrilevante il dato della progettazione unitaria: ai fini de quibus, infatti, rileva esclusivamente la conformazione sostanziale del progetto, non il veicolo formale con cui la proposta di intervento è stata presentata all’Amministrazione.
10.2. L’esposta conclusione, peraltro, è conforme ai principi espressi in precedenti decisioni di questo Consiglio (cfr., in particolare, Cons. Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 451; 3 settembre 2014, n. 4480; 23 agosto 2016, n. 3672; 22 marzo 2018, n. 1838).
11. Quanto alle doglianze svolte in prime cure da Sm. (ed in questa sede riproposte) non afferenti, direttamente od indirettamente, all’assunta qualificazione giuridica delle strutture commerciali de quibus come “grande struttura di vendita in forma unitaria”, “centro commerciale” o “parco commerciale”, il Collegio osserva quanto segue.
11.1. La procedura di verifica di assoggettabilità a VAS è stata svolta acquisendo i motivati pareri di tutte le Amministrazioni potenzialmente interessate.
In particolare, il Parco Agricolo Su. Mi., articolazione organizzativa della Città Metropolitana di Milano con competenze specifiche in materia ambientale, ha precisato che:
– l’area de qua “è collocata esternamente ai territori tutelati dal Parco regionale, seppur in adiacenza”;
– al lume della “presenza, lungo il margine occidentale dell’ambito, della roggia Mezzabarba”, è, necessario evitare “l’immissione di acque che comportino il peggioramento della qualità delle acque del recettore”;
– quanto, invece, al SIC “Oa. di La.”, l’intervento non si presenta prospetticamente nocivo, in quanto “oltre ad essere posizionato ad una distanza maggiore di 2 km, risulta intercluso dalla viabilità esistente, la quale genera una barriera che si interpone tra il SIC e l’area in cui è previsto l’intervento”;
– per le esposte ragioni, non è necessaria la Valutazione di incidenza (che in seguito, comunque, è stata cautelativamente svolta con esito positivo).
Siffatta motivazione si presenta congrua, coerente e ragionevole, considerato che:
– l’oggetto della delibazione era rappresentato dall’eventuale quid pluris di disturbo ambientale recato dall’intervento, che la competente Amministrazione ha escluso, ritenendo, tra l’altro, che la preesistente viabilità pubblica ubicata fra il SIC e l’area interessata dal P.I.I. concentrasse in sé (e rappresentasse di per sé ) il fattore di disturbo ambientale;
– il sindacato giurisdizionale in tema di valutazioni tecnico-discrezionali, tanto più se di carattere prognostico, svolte da Amministrazioni con competenze specialistiche di settore è estrinseco e limitato al riscontro di vizi di contraddittorietà intrinseca, travisamento del fatto o macroscopica illogicità .
11.2. La nomina dell’Autorità procedente e dell’Autorità competente ai fini VAS contestualmente all’avvio del relativo procedimento non configura in sé e per sé una condotta illegittima, in considerazione delle esigenze organizzative proprie di un piccolo Comune e della connessa necessità di ridurre al minimo gli incombenti amministrativi (cfr., in materia, Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1994, cui si rinvia ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d, c.p.a.); Sm., del resto, non ha indicato alcuno specifico e concreto effetto lesivo che sia o possa essere derivato da tale circostanza.
11.3. La decisione di attribuire esecutività immediata alla delibera di approvazione del P.I.I., in disparte ogni considerazione sull’effettivo interesse alla censura, ben si spiega con l’implicita intenzione comunale di intervenire quanto prima su un’area interessata da una costruzione mai completata e, a quanto consta, da tempo in stato di abbandono: tale prospettica intenzione, del resto, era stata già palesata in precedenza nella formulazione del P.G.T., che aveva qualificato l’area come “ambito di trasformazione”.
11.4. L’asserita violazione delle facoltà partecipative è smentita dal fatto che Sm. consta aver depositato, nel corso del procedimento, puntuali osservazioni critiche, sulle quali il Comune ha preso specifica posizione (reiettiva).
11.5. La VAS non era doverosa ex lege non solo perché, per le ragioni in precedenza esposte, il P.I.I. non prevede la realizzazione di una “grande struttura di vendita in forma unitaria”, di un “centro commerciale” o di un “parco commerciale”, ma anche perché l’area in questione ha un’estensione inferiore ai 40 ettari e, pertanto, trova applicazione l’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 in combinato disposto con il n. 7, par. b), dell’allegato IV della Parte II del medesimo decreto, ai sensi del quale per le “piccole aree a livello locale” (ossia, appunto, inferiori ai 40 ettari) la VAS è necessaria solo qualora l’Autorità competente valuti che l’intervento possa produrre “impatti significativi sull’ambiente” (possibilità, nella specie, motivatamente esclusa).
11.6. In disparte il fatto che l’integrazione dell’istruttoria mediante la successiva acquisizione di un ulteriore parere favorevole non concreta autotutela, bensì, al più, atto di conferma implicita, la VAS in sé (e dunque, a fortiori, la propedeutica verifica di assoggettabilità ) rappresenta un mero passaggio endo-procedimentale della più ampia e complessa procedura pianificatoria: sono inconferenti, pertanto, le doglianze di violazione dei principi che presiedono alla spendita del potere di autotutela.
11.7. La valutazione positiva operata dalla Città Metropolitana di Milano in ordine alla compatibilità dell’intervento con il P.T.C.P. è espressione di un’ampia discrezionalità tecnica limitatamente sindacabile (cfr. supra, sub § 11.1) che, peraltro, Sm. ha contestato con argomentazioni sostanzialmente afferenti al merito; oltretutto, la Città Metropolitana non si è limitata ad un acritico parere positivo, ma ha stabilito “prescrizioni ed indicazioni” che, indirettamente, confermano il carattere effettivo e concreto delle valutazioni operate in proposito dall’Ente.
11.8. In disparte ogni considerazione sull’effettiva cogenza del cosiddetto “Piano del Commercio” (costituito, a ben vedere, da una mera relazione commissionata dal Comune nell’ambito del procedimento di redazione del P.G.T.), la normativa statale di principio recata dall’art. 31, comma 2, d.l. n. 201 del 2011, convertito con l. n. 214 del 2011, riveste una generale efficacia abrogante con riferimento alle prescrizioni, anche di carattere locale, aventi come effetto la restrizione della possibilità di apertura di nuovi esercizi commerciali; peraltro, il cosiddetto “Piano del Commercio” consta comunque essere già scaduto al momento dell’approvazione del P.I.I. per decorso del quadriennio di efficacia stabilito dall’art. 4-bis, comma 1, l.r. n. 6 del 2010.
11.9. Il titolo edilizio rilasciato a Co. non risulta essere stato contestato in sede giurisdizionale nel termine prescritto dal vigente ordinamento processuale.
Peraltro, da un lato non vengono comunque mosse critiche sostanziali, concentrandosi la doglianza sull’assunta illegittimità derivata del titolo a seguito dell’illegittimità a monte del P.I.I., dall’altro il rilascio del titolo edilizio prima dell’autorizzazione commerciale comporta semplicemente che, prima del conseguimento di questa, non possa darsi inizio all’attività pur se l’edificio sia stato, nelle more, già interamente costruito.
Nella specie, oltretutto, il P.I.I. aveva a monte previsto la realizzazione nel sub-lotto de quo di una “media struttura di vendita” alimentare.
11.10. Infine, la questione dell’incidenza prospettica dell’intervento sui flussi di traffico risulta specificamente affrontata dall’Amministrazione comunale; parimenti, è stata delibata la generale compatibilità socio-economica ed infrastrutturale dell’insediamento in situ della struttura gestita da Co..
12. Per tutte le esposte argomentazioni i ricorsi in appello meritano accoglimento; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata il ricorso di primo grado va rigettato.
La complessità della controversia suggerisce la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza rigetta il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente FF
Luca Lamberti – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply