La natura ordinatoria del termine per la costituzione in giudizio

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 3 febbraio 2020, n. 865.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo è riconosciuta la natura ordinatoria del termine per la costituzione in giudizio della parte intimata, in quanto nel processo amministrativo è possibile la costituzione in giudizio fino all’udienza di discussione, con svolgimento però soltanto di difese orali, restando ferma la preclusione alla produzione di documenti e memorie oltre i termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a.

Sentenza 3 febbraio 2020, n. 865

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5920 del 2019, proposto da
Do. Fr. St., rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
As. Se., rappresentata e difesa dall’avvocato Sa. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, 12 aprile 2019 n. 788, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di As. Se.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati St. in dichiarata delega di Pa. Fa., Ro. Ma., in delega di Vi. Ga., e G. Ar., in delega di Sa. Ve.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 5920 del 2019, Do. Fr. St. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, 12 aprile 2019 n. 788, con la quale è stato respinto il ricorso contro il Comune di (omissis) per l’annullamento
– del silenzio rifiuto relativo all’istanza di concessione in sanatoria presentata dal ricorrente in data 12.12.2017 prot. n. 70830 e della relativa integrazione depositata il 31.01.2018;
– nonché per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis) sulla medesima istanza.
In primo grado, l’attuale appellante Do. Fr. St. agiva per l’annullamento sia del silenzio inadempimento che del silenzio rifiuto in relazione alla stessa istanza di concessione in sanatoria presentata dal medesimo il 12 dicembre 2017 al Comune di (omissis), integrata con ulteriore documentazione comprovante la proprietà dell’area in cui insite il manufatto abusivo.
Esponeva, in particolare, il ricorrente che la Polizia Municipale -con verbale del 18 settembre 2017, in esito ad un sopralluogo eseguito in c.da Tufo- accertava l’edificazione in assenza di titolo abilitativo di un muro di recinzione collocato “… a margine di una stradella sterrata che di fatto funge per un tratto da divisione fra il complesso edilizio realizzato dalla Ditta F.lli Sc. s.n. c., ed altro tratto di proprietà della Sig.ra Se. Ad…. con il terreno detenuto, di fatto, dal Sig. St. Do. Fr.”, ricadendo l’intera recinzione “nella particella censita in catasto al foglio 4, particella 305, intestata alla Sig.ra Se. Ad….”.
Con successiva ordinanza di demolizione prot. n. 68646 del giorno 1 dicembre 2017, notificata il 28 dicembre 2017, il deducente, in qualità di possessore effettivo del terreno sito in C.da (omissis) nonché di responsabile dell’abuso, era quindi diffidato a rimuovere quanto realizzato ed a ripristinare lo stato dei luoghi, salva la richiesta di sanatoria dell’opera, presentata ma disattesa tacitamente dall’intimata p.a..
Costituitisi il Comune e la parte controinteressata, la vicenda oggetto di giudizio aveva, di fronte al T.A.R., un doppio esito processuale, in quanto il primo giudice considerava partitamente le due diverse domande proposte con l’atto introduttivo di giudizio.
In una prima fase, il primo giudice si occupava unicamente della domanda proposta per la dichiarazione di illegittimità del silenzio inadempimento, ai sensi dell’art. 117 c.p.a., rispetto alla istanza di concessione in sanatoria. Tale fase processuale, conclusasi con la sentenza 14 giugno 2018 n. 1239, vedeva il T.A.R. dichiarare inammissibile la domanda di accertamento del silenzio inadempimento, fissando contestualmente la trattazione della domanda di annullamento all’udienza pubblica del 9 aprile 2019.
Nella seconda fase, il T.A.R. esaminava la domanda di annullamento del silenzio rigetto, respingendola con la sentenza qui gravata.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si sono costituiti il Comune di (omissis) e As. Se., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 30 luglio 2019, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 1 agosto 2018 n. 3988
Alla pubblica udienza del 23 gennaio 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “a) error in iudicando; violazione ed erronea applicazione dell’art. 87 comma 3° e 46 del codice del processo amministrativo”, viene lamentata l’erroneità della sentenza per non aver considerato inammissibile la costituzione del Comune, avvenuta dopo il termine derivante dal combinato disposto degli artt. 87 comma 3 e 46 del codice del processo amministrativo.
2.1. – La censura non ha pregio.
È del tutto pacifica in giurisprudenza la natura ordinatoria del termine per la costituzione in giudizio della parte intimata, in quanto nel processo amministrativo è possibile la costituzione in giudizio fino all’udienza di discussione, con svolgimento però soltanto di difese orali, restando ferma la preclusione alla produzione di documenti e memorie oltre i termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a. (ex multis, Cons. Stato, V, 8 aprile 2014, n. 1661; id., III, 13 marzo 2015, n. 1340; id., III, 15 marzo 2016, n. 1038).
Pertanto, il giudice di prime cure ha correttamente ritenuto ammissibile la costituzione del Comune di (omissis).
3. – Con il secondo motivo di diritto, rubricato “b) error in iudicando – vizio di ultrapetizione – violazione dell’art. 112 c.p.c. -violazione artt. 117 e 31 codice processo amministrativo, viene lamentata la circostanza che il T.A.R., nella sentenza impugnata, avrebbe violato il principio della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c.. A parere della parte appellante, la violazione si sarebbe concretizzata al momento in cui il T.A.R. si è spinto “all’esame nel merito della pretesa senza che la statuizione sul punto gli fosse stata richiesta”, mentre avrebbe dovuto semplicemente attenersi al giudizio sul silenzio inadempimento che ha “per oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza che le è stata presentata e sulla quale doveva provvedere”.
3.1. – La doglianza è infondata in fatto.
Il ricorso proposto in prime cure è stato rivolto “In via principale: per l’annullamento del silenzio-rifiuto relativo all’istanza di concessione in sanatoria (permesso di costruire) presentata dal ricorrente in data 12/12/2017, prot. gen. n. 70830” e “In subordine, previa eventuale conversione del rito, per la dichiarazione di illegittimità del silenzio-inadempimento, relativamente alla predetta istanza, ai sensi dell’art. 21 bis della legge 1034/71”.
Pertanto, il primo giudice, come già evidenziato in sede di descrizione del fatto, ha esattamente risposto alle due diverse domande proposte con due sentenze, dapprima con la sentenza 14 giugno 2018 n. 1239 (non gravata in questa sede), dove dichiarava inammissibile la domanda di accertamento del silenzio inadempimento e poi con la sentenza attualmente impugnata, relativa al silenzio rigetto.
La doglianza proposta è quindi assolutamente carente di fondamento, atteso che il T.A.R. ha agito nell’ambito delle domande proposte dall’attuale parte appellante.
4. – Con il terzo motivo di diritto, rubricato “b) error in iudicando- erronea valutazione di circostanze di fatto e difetto di motivazione; illogicità e ingiustizia manifesta; erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto”, viene lamentata l’errata ricostruzione in fatto operata dal primo giudice, che non avrebbe considerato che la particella di terreno è pervenuta all’appellante per successione legittima dal padre e che la recinzione in oggetto era stata realizzata in epoca antecedente al 1967, a delimitazione del fondo di proprietà .
4.1. – La doglianza non può essere condivisa.
Come correttamente rilevato dal primo giudice, la ragione del diniego tacito opposto alla domanda di sanatoria va identificata nella circostanza che il ricorrente non avrebbe dimostrato la titolarità del fondo su cui insiste il manufatto abusivo.
In questo senso, va osservato che è lo stesso appellante che, nell’istanza proposta in data 12 dicembre 2017 (all. 4 della produzione di primo grado del Comune di (omissis)), ha affermato di essere “proprietario per possesso di fatto (usucapione)”, senza poi allegare un titolo giudiziale di tale stato. Per altro verso, il tema dell’usucapione è stato addirittura oggetto di domanda istruttoria in sede di giudizio di primo grado, dove la parte ha chiesto al T.A.R. di ammettere prova testimoniale in merito.
Inoltre, l’esistenza della vantata condizione proprietaria non risulta dagli atti del Comune che, anzi, nel verbale di accertamento di infrazioni edilizie del giorno 8 settembre 2017, afferma espressamente che “dalle planimetrie catastali dell’Agenzia delle Entrate, servizi catastali, l’intera recinzione ricade nella particella censita in catasto al Foglio 4 Particella 305, intestata alla Sig.ra Se. Ad.”; e la appena citata controinteressata si è opposta, anche in sede giudiziaria, all’annullamento dell’avversato diniego, evidenziando l’esistenza di una situazione contenziosa proprio sulla proprietà della detta area.
La vicenda de qua, lungi dall’evidenziare uno stato di fatto dominicale assodato, rendeva evidente l’impossibilità del Comune di aderire acriticamente alla prospettazione della parte appellante in merito al possesso di un titolo abilitante alla richiesta di sanatoria.
Infatti, da un lato, va ricordato che, ai sensi dell’art. 11, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il permesso di costruire può essere rilasciato unicamente al proprietario dell’immobile o a chi ha a titolo per richiederlo e, quindi, il Comune ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (ex multis, Cons. Stato, IV, 25 settembre 2014, n. 4818); dall’altro, per giurisprudenza pacifica (peraltro, richiamata anche dalla parte appellante in relazione all’ultimo motivo di ricorso), la pubblica amministrazione non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (da ultimo, Cons. Stato, IV, 2 settembre 2011, n. 4968; id., VI, 10 febbraio 2010, n. 675).
È quindi condivisibile la valutazione operata dal primo giudice quando ha osservato che non esistevano in concreto i presupposti per il rilascio del titolo edilizio, atteso che non può darsi rilievo alla vantata acquisizione dell’area per usucapione da parte del ricorrente, visto che, nemmeno in grado di appello, è stata prodotta una sentenza dichiarativa che ne abbia accertato l’effettivo conseguimento a titolo originario né, tantomeno, può richiedersi all’amministrazione di accertare l’esistenza (non di elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo ma addirittura) del fatto costitutivo della proprietà, vicenda in contestazione tra le parti.
Conclusivamente, anche il terzo motivo di doglianza deve essere respinto, dovendosi riscontrare la correttezza dell’istruttoria operata dal Comune e la sua parimenti adeguata valutazione da parte del T.A.R., che ha ricordato la giurisprudenza di questo Consiglio che afferma “che non tutti, indifferenziatamente, possono richiedere, senza il consenso dell’effettivo titolare del bene sul quale insistono le opere (il quale potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla sua sanatoria), una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso” (Cons. Stato, VI, 31 dicembre 2018, n. 7305).
5. – Le affermazioni appena svolte consentono altresì di rispondere alla quarta ragione di censura, rubricata “c) violazione e falsa applicazione art. 36, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 – eccesso di potere”, dove si lamenta che erroneamente il T.A.R. avrebbe escluso in capo all’appellante la legittimazione ad avanzare istanza di sanatoria in ordine alla recinzione in esame.
Come sopra evidenziato, la contestazione sull’esistenza di un titolo valido imponeva al Comune di provvedere proprio in senso contrario a quello auspicato dalla parte appellante, attesa la situazione di carenza di un titolo giuridico che dimostri la proprietà dell’area su cui insiste il manufatto irregolare e, sotto altro profilo, la mancanza di legittimazione ad avanzare istanza di sanatoria nella veste di responsabile dell’abuso, visto il dissenso dell’effettivo proprietario.
6. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 5920 del 2019;
2. Condanna Do. Fr. St. a rifondere al Comune di (omissis) e ad As. Se. le spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro. 2.500,00 (euro duemilacinquecento, oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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