Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 23 ottobre 2019, n. 27194.
La massima estrapolata:
La differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza europea, l’interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine è in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben può proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l’uso del marchio, ai sensi dell’art.14, c.2, del Regolamento n. 510/2006, laddove non ricorrano ragioni di nullità o decadenza del marchio stesso.
Sentenza 23 ottobre 2019, n. 27194
Data udienza 31 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27784/2014 proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
contro
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1101/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 19/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/05/2019 dal cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto dei motivi da 2 a 5, inammissibilita’ o in subordine rigetto dei restanti motivi;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto l’accoglimento di ricorso o in subordine rimessione alla Corte di Giustizia.
FATTI DI CAUSA
1. Con ordinanza notificata in data 21 settembre 2011, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ingiungeva a (OMISSIS), ed al (OMISSIS) soc. coop. a r.l., quali coobbligati solidali L. n. 689 del 1981, ex articolo 6, il pagamento di una sanzione amministrativa pari ad Euro 2.000,00. L’Amministrazione contestava agli ingiunti la violazione del Decreto Legislativo 19 novembre 2004, n. 297, articolo 2, comma 2, per avere utilizzato, sugli imballaggi – cd. pelures – di alcune forme di formaggio prodotte dal Consorzio, la dicitura ” (OMISSIS)”, ritenuta evocativa della Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) ” (OMISSIS)”, traendo in tal modo in inganno il consumatore, con l'”attribuire al prodotto posto in vendita qualita’ e caratteristiche che lo stesso non possiede, associandolo ad un’altra produzione invece provvista delle qualita’ e delle caratteristiche vantate”.
Nel suindicato provvedimento, il Ministero osservava, in particolare, che la denominazione ” (OMISSIS)”, in quanto riconosciuta quale D.O.P. dal Regolamento CE n. 1107 del 1996, sarebbe utilizzabile “soltanto da aziende produttrici in possesso di peculiari requisiti e sottoposte al controllo della struttura autorizzata del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ed unicamente per formaggio prodotto e commercializzato in conformita’ al Disciplinare di produzione”.
2. Con ricorso in data 2 novembre 2011, il (OMISSIS) ed il Consorzio proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Venezia i che, con sentenza n. 1200/2012, la rigettava, ritenendo che l’utilizzo della dicitura ” (OMISSIS)”, su cartoni di formaggi sprovvisti delle caratteristiche per fruire della denominazione protetta ” (OMISSIS)”, costituiva un’indebita evocazione di quest’ultima, idonea ad indurre il consumatore a ritenere erroneamente trattarsi di prodotti caseari di qualita’ D.O.P., in violazione del Decreto Legislativo n. 297 del 2004, articolo 2.
3. Con sentenza n. 1101/2014, depositata il 19 maggio 2014 e notificata il 27 agosto 2014, la Corte d’appello di Venezia rigettava il gravame proposto dal (OMISSIS) e dal Consorzio avverso la decisione emessa dal Tribunale, condannando gli appellanti alle spese del secondo grado del giudizio. La Corte considerava irrilevante la presenza, sui cartoni di imballaggio e sulle pelures, di etichette contenenti l’indicazione del luogo di produzione, ovvero la mancanza di prove che si fossero verificati, in concreto, rischi di confusione, essendo la normativa di riferimento finalizzata ad evitare uno sfruttamento della denominazione protetta mediante l’evocazione di questa, onde scongiurare – a monte – il pericolo stesso “(…) che taluni consumatori possano essere condizionati nelle loro scelte dalla supposizione di acquistare prodotti D.O.P. che invece tali non sono”. Il giudice di appello riteneva, inoltre, condividendo il percorso argomentativo seguito dalla decisione del Tribunale – che l’utilizzo da parte del Consorzio di marchi registrati anteriormente al riconoscimento della denominazione protetta ” (OMISSIS)” – quali ” (OMISSIS)- (OMISSIS) – non legittimasse lo scorporo della sola dicitura ” (OMISSIS)” da detti marchi e la sua utilizzazione sugli imballaggi dei formaggi, comportando tale parziale utilizzo dei marchi precedenti, in difetto di altre indicazioni individualizzanti, l’evidente evocazione della denominazione protetta ” (OMISSIS)”.
4. Per la cassazione di tale sentenza hanno, quindi, proposto ricorso (OMISSIS) ed il (OMISSIS) soc. coop. a r.l. nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, affidato ad otto motivi, illustrati con memoria. L’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.
5. Con ordinanza interlocutoria n. 9789/2018, depositata il 19 aprile 2018, il Collegio – rilevato che “le questioni dedotte nei motivi di ricorso presentano una evidente valenza nomofilattica, postulando l’interpretazione di diverse, complesse, disposizioni del diritto nazionale e comunitario cogente in materia, in ordine alle quali non si riscontrano precedenti di questa Corte” – ha rimesso la causa alla pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, Il (OMISSIS) ed il Consorzio denunciano la violazione dell’articolo 112, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deducendo la nullita’ della sentenza impugnata.
1.1. I ricorrenti si dolgono, in primo luogo, del fatto che la Corte d’appello abbia prestato un’acritica adesione alle argomentazioni ed alle statuizioni della sentenza di primo grado, senza giustificare in alcun modo “le ragioni della propria incondizionata adesione alle conclusioni gia’ raggiunte dal Tribunale di Venezia”, ne’ tanto meno indicare “gli errori che viceversa avrebbero inficiato le deduzioni degli allora appellanti”.
1.2. Sotto un diverso profilo, gli istanti lamentano che il giudice di seconde cure non si sia pronunciato su tutti i motivi di gravame, ed in particolare abbia omesso del tutto di statuire in ordine al quarto ed al quinto motivo di appello. Con il quarto motivo era stata, invero, prospettata dagli appellanti l’inaccettabilita’ di una soluzione giuridica – come quella posta a fondamento della pronuncia impugnata – di considerare l’utilizzo della dicitura ” (OMISSIS)” evocativa della D.O.P. ” (OMISSIS)”, senza una verifica concreta in ordine all'”ingannevolezza o meno dell’evocazione”, atteso che tale soluzione avrebbe penalizzato fortemente i produttori caseari, impedendo ai medesimi di pubblicizzare i loro prodotti con l’indicazione della provenienza geografica degli stessi. Con il quinto motivo gli appellanti avevano dedotto l’insussistenza del pericolo di confusione tra i formaggi prodotti dal Consorzio (recanti l’indicazione ” (OMISSIS)”) con l’ (OMISSIS) D.O.P., atteso che sarebbe stato sufficiente, al consumatore di normale diligenza, leggere l’etichetta “per rendersi conto che quello che sta per acquistare non e’ il prodotto D.O.P. di cui si paventa l’evocazione”.
1.3. Il motivo e’ infondato.
1.3.1. Per quanto concerne, invero, la pretesa nullita’ della sentenza per carenza totale di motivazione, va osservato che e’ nulla, per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame. Per converso, tale nullita’ deve ritenersi insussistente, laddove il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identita’ delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle gia’ esaminate in primo grado, sicche’ dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Cass., 25/10/2018, n. 27112; Cass., 05/11/2018, n. 28139; Cass., 19/07/2016, n. 14786).
Nel caso di specie, la Corte d’appello e’ pervenuta al convincimento di respingere il gravame del (OMISSIS) e del Consorzio dopo avere preso in esame – elencandoli, altresi’, e riassumendoli nello svolgimento del processo – i motivi di gravame proposti dagli appellanti, e pervenendo alla conclusione di confermare le statuizioni della sentenza di primo grado sulla base di un autonomo percorso argomentativo, chiaramente ed analiticamente sviluppato in relazione a considerazioni di fatto e di diritto, adeguatamente articolate nella motivazione della decisione (pp. 9-12). Il dedotto vizio di carenza assoluta di motivazione non puo’, pertanto, ritenersi sussistente.
1.3.2. Quanto al mancato esame del quarto e quinto motivo di appello, va rilevato che il dedotto vizio di omessa pronuncia – per configurare il quale non e’ sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, che puo’ anche essere implicita, ma e’ necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass., 04/10/2011, n. 20311; Cass., 13/10/2017, n. 24155; Cass., 06/12/2017, n. 29191; Cass., 13/08/2018, n. 20718) – non puo’ ritenersi sussistente nel caso di specie. La Corte territoriale ha, infatti, preso in considerazione le due censure, pervenendo alla conclusione – motivata con riferimento alla normativa in materia, e segnatamente all’articolo 13, lettera b), del Regolamento CE n. 510/2006, che vieta “qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine del prodotto e’ indicata” – che la concreta etichettatura, e quindi l’origine geografica del prodotto individuabile tramite l’etichetta, non e’ di per se’ idonea ad escludere il pericolo – che tale normativa intende evitare, a prescindere dal concreto verificarsi della confusione – che l’utilizzo nell’imballaggio dei formaggi dell’espressione ” (OMISSIS)” possa, evocando la D.O.P. ” (OMISSIS)”, condizionare o fuorviare gli acquirenti nelle loro scelte.
1.4. Per tali ragioni, il mezzo deve, pertanto, essere rigettato.
2. Con il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso – che, attesa la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente – il (OMISSIS) ed il Consorzio denunciano la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 297 del 2004, articolo 2, comma 2, articolo 13, comma 1, lettera b), del Regolamento CE n. 510 del 2006, articolo 13, comma 1, lettera b) del Regolamento CE n. 2081 del 1992, articoli 1, 2 e 3 della Direttiva 2000/13/CE, Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, articoli 1, 2 e 3, articolo 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006, Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 20 e Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 29, nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
2.1. Gli istanti si dolgono, anzitutto, del fatto che la Corte d’appello abbia attribuito un erroneo significato al concetto di “evocazione”, di cui al Decreto Legislativo n. 297 del 2004, articolo 2, comma 2, ed all’articolo 13, comma 1, lettera b), del Regolamento CE n. 510 del 2006, considerando tale la mera incorporazione di una D.O.P. nel contesto di una frase piu’ complessa, ossia – nella specie – la denominazione protetta ” (OMISSIS)” nell’espressione ” (OMISSIS)”. L'”evocazione” – a parere degli istanti – atterrebbe, per contro, ad evenienze del tutto diverse, nelle quali la parola adoperata per contrassegnare un prodotto presenti un “similarita’ fonetica ed ottica” con la dicitura adoperata in una D.O.P., si’ da risultarne una sostanziale traduzione o “storpiatura”, suscettibile di evocare, visivamente o mediante lo stesso suono della parola, la denominazione protetta. Nel caso di specie, l’espressione ” (OMISSIS)”, men che evocare la D.O.P. in questione, sarebbe meramente “indicativa del luogo di origine del prodotto” (pp. 14 e 15), nel senso di rendere edotto l’acquirente che si tratta di un prodotto che proviene, appunto dall’ (OMISSIS).
2.2. I ricorrenti si dolgono, inoltre, del fatto che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto irrilevante la “presenza di etichette obbligatorie contenenti l’indicazione del luogo di produzione”, sul presupposto che la normativa nazionale e comunitaria succitata prevede che “l’evocazione, l’usurpazione o l’imitazione non e’ esclusa anche se l’origine vera del prodotto e’ indicata”. Il precetto nazionale e quello comunitario intenderebbero, per contro, individuare – ad avviso degli esponenti – gli estremi dell’evocazione in una condotta che richiami artificiosamente, mediante la riproduzione di immagini visive o di fonemi, un prodotto tutelato da una D.O.P., anche nell’ipotesi in cui sia correttamente indicata l’origine del medesimo. Siffatta evocazione non potrebbe, invece, ritenersi sussistente laddove si sia in presenza – come nella specie – della semplice, e veridica, indicazione del luogo di origine di ciascun singolo prodotto (pp. 15 e 16).
2.3. Avrebbe, poi, errato la Corte territoriale nel dichiarare “l’inconferenza degli assunti relativi alla presenza di etichette obbligatorie contenenti l’indicazione del luogo di produzione ovvero alla mancanza di prova che si siano verificati concreti rischi di confusione”, essendo la normativa – sia nazionale che comunitaria diretta a scongiurare il pericolo che l’evocazione di un prodotto garantito da una D.O.P. possa fuorviare i consumatori, inducendoli a ritenere erroneamente di trovarsi in presenza di un prodotto a denominazione protetta. Per il che, secondo il giudice di appello, la necessita’ di procedere ad un corretto sistema di etichettatura, al fine di fornire ai consumatori tutte le informazioni occorrenti sulle caratteristiche – anche relative alla provenienza geografica – di un prodotto, costituirebbe un problema diverso da quello relativo all'”utilizzo nel confezionamento-imballaggio delle forme di formaggio di un’espressione certamente evocativa del formaggio (OMISSIS)” (p. 10 della sentenza di appello).
Osservano, per converso, i ricorrenti che la Direttiva 2000/13/CE non autorizza affatto “quella rigida separazione tracciata dalla Corte d’appello tra “etichettatura” e “confezionamento-imballaggio” delle forme di formaggio”, atteso che i due concetti vengono espressamente considerato come coincidenti nella previsione di cui all’articolo 1, comma 3, lettera a) di detta Direttiva, laddove prevede che per “etichettatura” devono intendersi “le menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di commercio, immagini o simboli riferentisi ad un prodotto alimentare e figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartella, etichetta, anello o fascetta che accompagni tale prodotto alimentare o che ad esso si riferisca”. E ad identico risultato si perverrebbe, secondo gli istanti, considerando le norme di cui al Decreto Legislativo n. 109 del 1992, articoli 1, 2, e 3 – applicabile ratione temporis – che egualmente non distinguono tra le informazioni da apporre sull'”etichettatura” e le informazioni da appore sul “confezionamento-imballaggio”. Per il che si tratterebbe di concetti decisamente sovrapponibili.
2.4. Ad avviso degli esponenti andrebbe, peraltro, considerato altresi’ che, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a) della Direttiva 2000/13/CE, “L’etichettatura e le relative modalita’ di realizzazione non devono: a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente: (…) i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare (…) l’origine e la provenienza”, e che a norma del successivo articolo 3, comma 1, n. 8, tra le informazioni obbligatorie da apporre sulle etichette e’ ricompreso anche “il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare”. Ne conseguirebbe – a parere degli istanti – che la normativa nazionale ed Europea consentirebbe al produttore di indicare nell’etichettatura – comprensiva di imballaggi e pelures, non essendo la distinzione con le etichette giustificata, come dianzi detto, da tale normativa – la zona di produzione dell’alimento immesso sul mercato, indicazione, peraltro, in alcuni casi perfino obbligatoria.
2.5. La Corte d’appello avrebbe, infine, errato nel ritenere che l’articolo 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006 (sostitutivo del Regolamento CE n. 2081 del 1992) non autorizzi il produttore che abbia registrato, o acquisito mediante l’uso in buona fede, un marchio corrispondente ad una D.O.P., in epoca precedente la data di protezione della denominazione d’origine, a continuare ad adoperare tale marchio, anche avvalendosi di una parte della dicitura apposta sullo stesso, nella specie della locuzione ” (OMISSIS)”, sebbene contenuta – fatto non preso in esame dalla Corte d’appello, in violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella ragione sociale del Consorzio e registrata come marchio fin dal 1982. La nozione di “marchio rilevante”, ai sensi dell’articolo 14 del Regolamento CE n. 510 del 2006, come del Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 20 e Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 29, ben potrebbe ricomprendere, infatti, anche “una denominazione geografica idonea a caratterizzare un prodotto, purche’ ovviamente veritiera, ancorche’ la stessa non sia stata registrata ai fini D.O.P. o I.G.P.”.
3. Le censure sono fondate, nei limiti che si passa ad esporre.
3.1. Va premesso che l’Unione Europea ha riconosciuto ai prodotti agricoli e alimentari un valore immateriale espresso dalla reputazione da essi acquisita presso il pubblico e che affonda le proprie radici nelle diverse comunita’ locali che hanno dimostrato di saper valorizzare nel tempo le caratteristiche di un luogo, offrendo un prodotto assolutamente originale in relazione al particolare combinarsi di fattori umani o naturali, o di metodi di produzione tramandati dalle comunita’ locali, non di rado in forza di tradizioni secolari. In tale contesto si colloca il regolamento CE n. 2081 del 1992, finalizzato a prevedere una disciplina uniforme per tutti gli imprenditori agricoli dell’Unione Europea interessati a competere sul mercato dei prodotti agricoli di qualita’ e, di conseguenza, disposti ad accettare la predeterminazione – a livello Europeo – di precise modalita’ di produzione, nonche’ la sottoposizione dei prodotti ai relativi controlli, al fine di garantire una produzione diversificata in corrispondenza di una sempre piu’ affinata ricerca, da parte dei consumatori, di prodotti aventi una determinata origine.
Il successivo Regolamento CE n. 510/2006, che abroga il precedente, ne rafforza ulteriormente le previsioni, ponendosi in linea con gli obiettivi di una politica agricola comune sempre piu’ diretta a promuovere lo sviluppo degli spazi rurali e a riconoscere l’imprenditore agricolo nel suo ruolo di produttore e promotore delle bellezze e delle risorse, anche produttive, delle realta’ locali. L’evoluzione normativa si e’ poi ulteriormente arricchita, per effetto del Regolamento n. 1151/2012 – non applicabile, ratione temporis, alla fattispecie oggetto del presente giudizio – nel quale sono stati precisati per la prima volta, direttamente nel testo, gli obiettivi che si intendono perseguire a livello Europeo.
Orbene, in forza dell’articolo 13, comma 1, lettera b), del Regolamento CE n. 510 del 2006 – applicabile temporalmente nella specie, e che ha sostituito l’identica previsione del precedente Regolamento n. 2081 del 1992 – le indicazioni geografiche protette (I.G.P.) e le denominazioni di origine protette (D.O.P.) sono tutelate, in particolare, contro “qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto e’ indicata o se la denominazione protetta e’ una traduzione”.
Tale disposizione ha formato oggetto di diversi interventi della Corte di Giustizia di Lussemburgo, la quale ha – gia’ da tempo stabilito che la nozione di “evocazione” si riferisce all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione. La Corte ha, altresi’, precisato che puo’ esservi evocazione di una DOP anche “in mancanza di qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui e’ causa e anche quando nessuna tutela comunitaria si applichi agli elementi della denominazione di riferimento ripresi dalla terminologia controversa” (Corte Giustizia, 4/03/1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, che ha considerato la dicitura “Cambozola”, adoperata da una ditta austriaca, evocazione della D.O.P. italiana “Gorgonzola”).
In una successiva pronuncia – nell’affrontare il problema se la denominazione “parmesan”, adoperata da un produttore tedesco, sia o meno la traduzione esatta della D.O.P. “Parmigiano Reggiano” o del termine “parmigiano” – la Corte Europea ha affermato che si deve tener conto anche della somiglianza concettuale tra tali due termini, pur di lingue diverse, testimoniata dal dibattito svoltosi – in quell’occasione – dinanzi alla Corte. Tale somiglianza, come gia’ le somiglianze fonetiche e ottiche – fra le denominazioni “parmesan” e “Parmigiano Reggiano” in un contesto in cui i prodotti di cui e’ causa sono formaggi a pasta dura, grattugiati o da grattugiare, cioe’ simili nel loro aspetto esterno – e’ idonea, secondo la Corte, ad indurre il consumatore a prendere come immagine di riferimento il formaggio recante la D.O.P. “Parmigiano Reggiano” quando si trova dinanzi ad un formaggio a pasta dura, grattugiato o da grattugiare, recante la denominazione “parmesan”. La nozione di “evocazione” di una denominazione di origine protetta si riferisce, pertanto, a giudizio della Corte, all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta – come nel caso della locuzione “parmesan”, che incorpora una parte della denominazione protetta “Parmigiano Reggiano” – di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione, indipendentemente da qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui e’ causa ed anche quando nessuna tutela comunitaria si applichi agli elementi della denominazione di riferimento ripresi dalla terminologia controversa (Corte Giustizia, Grande Sezione, 26/02/2008, n. 132).
Da ultimo, la Corte di Lussemburgo ha affermato che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, deve essere interpretato nel senso che l'”evocazione” di una denominazione registrata puo’ derivare anche dall’uso di segni figurativi, e che la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, alla cui percezione deve fare riferimento il giudice nazionale per determinare se esista un'”evocazione” ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, deve intendersi riferita a un consumatore Europeo, compreso un consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica e si consuma maggiormente il prodotto che da’ luogo all’evocazione della denominazione protetta o a cui tale denominazione e’ associata geograficamente (Corte Giustizia, 02/05/2019, Fundacion Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego)
3.2. Nel medesimo solco delle decisioni succitate – tutte relative alle disposizioni del Regolamento n. 2081 del 1992 e del Regolamento n. 510 del 2006, che lo ha sostituito – si pongono, inoltre, alcune recenti pronunce, sebbene emesse in relazione all’articolo 16, lettera b), del regolamento (CE) n. 110/2008, in materia di bevande spiritose, ossia a base di alcool, secondo le quali la nozione di “evocazione” si estende all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una indicazione geografica protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto di cui trattasi, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce di detta indicazione (Corte giustizia, 21/01/2016, Viiniverla).
Con successiva decisione, la Corte di Giustizia – considerando che il Regolamento CE n. 510 del 2006, costituente la norma base in materia di protezione agroalimentare, non si applica ai prodotti alcoolici – ha ulteriormente precisato, sia pure con riferimento al Regolamento (CE) n. 110/2008, concernente appunto tali prodotti, ma che contiene un identico riferimento all'”evocazione” di un’indicazione geografica, che “spetta al giudice nazionale verificare, oltre al fatto se una parte di una indicazione geografica protetta sia incorporata in un termine utilizzato per designare il prodotto in questione, se il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce di tale indicazione. Pertanto, il giudice nazionale – oltre ad accertare se una parte di una indicazione geografica protetta sia incorporata in un termine utilizzato per designare il prodotto in contestazione – deve altresi’ fondarsi sulla presunta reazione del consumatore nei confronti del termine utilizzato per designare il prodotto in questione, essendo essenziale che quest’ultimo ricolleghi detto termine all’indicazione geografica protetta”. Sotto tale profilo, e’ certamente da ritenersi – secondo la Corte Europea – che sussista evocazione di una indicazione geografica protetta allorquando, trattandosi di prodotti di apparenza analoga, le denominazioni di vendita presentano “una similarita’ fonetica e visiva” (Corte Giustizia, 07/06/2018, Scotch Whisky Association; conf. Corte Giustizia, Viiniverla, cit.).
3.3. Nondimeno, non puo’ revocarsi in dubbio – al contrario di quanto assumono i ricorrenti – che possa sussistere un'”evocazione” anche senza tale similarita’ fonetica e visiva, atteso che, oltre ai criteri relativi all’incorporazione parziale di una indicazione geografica protetta nella denominazione controversa e alla similarita’ fonetica e visiva di detta denominazione con tale indicazione, si deve, se del caso, tenere conto anche del criterio della “somiglianza concettuale” esistente tra termini – in special modo se appartenenti a lingue differenti – poiche’ anche una tale somiglianza, al pari degli altri criteri summenzionati, e’ idonea a indurre il consumatore ad avere in mente, come immagine di riferimento, il prodotto la cui indicazione geografica e’ protetta, quando si trovi in presenza di un prodotto simile recante la denominazione controversa (Corte Giustizia, Scotch Whisky Association, cit.; Corte Giustizia, Viiniverla, cit.). Muovendo da tali rilievi, la Corte di Lussemburgo e’ pervenuta, quindi, alla conclusione secondo cui, per accertare l’esistenza di un'”evocazione” di un’indicazione geografica tipica, spetta al giudice del rinvio valutare se il consumatore Europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, in presenza della denominazione controversa sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce che beneficia dell’indicazione geografica protetta. Nell’ambito di tale valutazione, dunque, detto giudice in mancanza, in primo luogo, di una similarita’ fonetica e/o visiva della denominazione controversa con l’indicazione geografica protetta e, in secondo luogo, di un’incorporazione parziale di tale indicazione in tale denominazione, deve tener conto, se del caso, della somiglianza concettuale fra detta denominazione e detta indicazione (Corte Giustizia, Scotch Whisky Association, cit.).
L’incorporazione addirittura dell’integralita’ della denominazione della D.O.P. in quella del prodotto alimentare non da’ luogo, invece, ad “evocazione”, laddove tale incorporazione non sia riferibile ad un’indicazione geografica, ma sia finalizzata ad indicare il gusto del prodotto posto in commercio dalla ditta che beneficia di tale indicazione (Corte Giustizia, 20/12/2017, n. 393, CIVC, con riferimento alla dicitura “Champagne Sorbet”, riproduttiva della D.O.P. “Champagne”).
3.4. Tanto premesso in via di principio, va osservato che, alla stregua del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento succitato, non puo’ revocarsi in dubbio che nel caso di specie, come accertato in fase di merito, l’uso della dicitura ” (OMISSIS)” evochi – come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello – la D.O.P. ” Asiago”, in violazione del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 297 del 2004, articolo 2, comma 2, e dell’articolo 13, comma 1, lettera b) del Regolamento CE n. 510 del 2006. E’, per vero, evidente che siffatta locuzione presenta tutte le caratteristiche evidenziate dalla giurisprudenza Europea idonee ad integrare la nozione di “evocazione”, sussistendo: a) la “parziale incorporazione” della denominazione protetta ” (OMISSIS)” nella contestata espressione ” (OMISSIS)”; b) la “similarita’ fonetica e/o visiva”, vertendosi nel caso concreto – ben al contrario di quanto assumono i ricorrenti – in una fattispecie in cui non si e’ in presenza neppure di un nome imitato, contraffatto o storpiato, come “parmesan” o “cambozola”, con riferimento ai quali pure la Corte di Lussemburgo ha ritenuto sussistere l'”evocazione”, ma di una pedissequa riproduzione del termine ” (OMISSIS)”, con la sola aggiunta del sostantivo “Altopiano”, certamente idoneo ad evocare nella mente del consumatore medio, in special modo in una zona dove tale produzione e’ molto diffusa, il noto formaggio (OMISSIS); c) la “somiglianza concettuale”, trattandosi del medesimo prodotto lattiero caseario, proveniente dalla medesima zona di produzione.
Sotto tale profilo, pertanto, le doglianze degli istanti non possono essere ritenute condivisibili.
3.5. E tuttavia, si pone, a questo punto, l’ulteriore, decisivo, problema – che ha costituito oggetto di diffuse ed analitiche deduzioni da parte dei ricorrenti – relativo ai rapporti tra il marchio registrato dal Consorzio, nel quale compare l’indicazione “Altopiano di Asiago”, e la D.O.P. “Asiago”, tenuto conto del preuso di tale marchio da parte del Consorzio medesimo, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006, nonche’ del fatto che, a norma dell’articolo 2, comma 2, della Direttiva 2000/13/CE l’etichettatura – consistente, ai sensi del precedente articolo 1, in tutte le indicazioni relative ad un prodotto alimentare figuranti su qualsiasi imballaggio del prodotto – non deve essere tale da indurre l’acquirente in errore anche per quanto concerne “l’origine o la provenienza del prodotto”. Tanto che, a norma del successivo articolo 3, comma 1, n. 8, tra le informazioni obbligatorie da apporre sulle etichette e’ ricompreso anche “il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare”.
Sotto tale ulteriore profilo, le censure mosse dagli esponenti alla decisione di appello si palesano, invece, fondate.
3.5.1. Va anzitutto rilevato al riguardo – sul piano della normativa comunitaria – che, l’articolo 14 del Regolamento CE n. 510 del 2006 dispone che: “Nel rispetto del diritto comunitario, l’uso di un marchio corrispondente ad una delle situazioni di cui all’articolo 13, depositato, registrato o, nei casi in cui cio’ sia previsto dalla normativa pertinente, acquisito con l’uso in buona fede sul territorio comunitario, anteriormente alla data di protezione della denominazione d’origine o dell’indicazione geografica nel paese d’origine (…) puo’ proseguire, nonostante la registrazione di una denominazione d’origine o di un’indicazione geografica, qualora il marchio non incorra nella nullita’ o decadenza per i motivi previsti dalla prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa o dal regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario”.
A sua volta, l’articolo 2, comma 1, lettera a) della Direttiva 2000/13/CE, stabilisce che “L’etichettatura e le relative modalita’ di realizzazione non devono: a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente: (…) i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare (…) l’origine e la provenienza”, mentre, a norma del successivo articolo 3, comma 1, n. 8, tra le informazioni obbligatorie da apporre sulle etichette, e’ ricompreso anche “il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare”.
Ebbene, e’ evidente che, nonostante la differenza di funzioni tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta emerge – dall’esame della normativa comunitaria – un interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine e’ in grado di garantire al prodotto. E cio’ attraverso l’evocazione di fattori ambientali, storici e culturali che traggono dal territorio la loro forza distintiva e che valgono a caratterizzare cio’ che ivi si produce come del tutto peculiare nel suo genere. In tale prospettiva anche il marchio preesistente alla D.O.P. o alla I.G.P. – laddove non incorra nella nullita’ o decadenza suindicate, ipotesi neppure adombrata nel caso di specie – assume, dunque, uno specifico rilievo, talche’ si giustifica anche l’importanza che l’indicazione dell’origine e della provenienza del prodotto, nell’etichettatura e nell’imballaggio dello stesso, assume in ambito comunitario.
3.5.2. Siffatte esigenze risultano, del resto, recepite dalla giurisprudenza Europea, la quale ha affermato che l’articolo 14, comma 2, della Direttiva n. 2081 del 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, consente l’uso dei marchi preesistenti di terzi in cui figuri un termine che indica una provenienza di un prodotto (nel caso considerato il termine “Bavaria”), registrati in buona fede prima della data di deposito della domanda di registrazione dell’indicazione geografica protetta (nella specie “Bayerisches Bier”), purche’ tali marchi non siano viziati dalle cause di nullita’ o decadenza di cui all’articolo 3, n. 1, lettera c) e g), nonche’ articolo 12, n. 2, lettera b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE (Corte Giustizia, 02/07/2009, Bavaria).
Spetta, pertanto, al giudice nazionale – secondo la Corte di Lussemburgo, che pure nella fattispecie esaminata, come dianzi detto, ha concluso per la sussistenza della “evocazione” ex articolo 13 del Regolamento CE n. 2081 del 1992 – stabilire se le condizioni poste dall’articolo 14, n. 2, del medesimo Regolamento consentano nei singoli casi la prosecuzione dell’uso del marchio previamente registrato nonostante la registrazione della denominazione di origine protetta, fondandosi in particolare sulla situazione giuridica vigente al momento della registrazione del marchio onde valutare se quest’ultima sia stata effettuata in buona fede e non comporti che una denominazione costituisce di per se’ un inganno del consumatore (Corte Giustizia, 04/03/1999, cit.).
3.5.3. Se ne deve inferire che – pur evocando la dicitura ” Altopiano di Asiago” la D.O.P. ” Asiago”, della quale recepisce l’unico elemento che compone tale denominazione protetta l’utilizzo del marchio recante tale indicazione di provenienza geografica deve ritenersi consentito, in forza della previsione di cui all’articolo 14 del Regolamento n. 510 del 2006 (come del precedente Regolamento n. 2081 del 1992), che tiene conto del preuso, qualora, considerata la natura stessa del marchio, il riferimento esclusivo alla reale provenienza geografica del prodotto, e la mancanza di imitazioni – anche mediante contraffazione o camuffamento – di un termine adoperato nella D.O.P., il giudice di merito accerti che tale marchio sia stato altresi’ registrato in buona fede. D’altro canto come rilevato anche dal Procuratore Generale – induce a ritenere che sia legittimo riportare in etichetta il luogo di produzione, quanto meno in presenza di un marchio preesistente, anche la previsione del Decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali in data 14 luglio 2017, in Gazzetta Ufficiale n. 176 del 2017, che nell’operare la revisione dei prodotti tradizionali delle varie Regioni di Italia – inserisce tra i prodotti del Veneto, al n. 120, il “formaggio caciotta di Asiago”, nonostante l’esistenza della D.O.P. ” Asiago”.
Ne’ e’ controverso che la registrazione del marchio registrato dal Consorzio di Asiago, risalente al 1982, sia precedente la denominazione protetta, riconosciuto con Regolamento CE n. 1107 del 1996.
3.6. Per tutte le ragioni esposte, i motivi vanno accolti nei limiti suindicati.
4. Restano assorbiti il settimo (assenza di pregiudizio conseguente all’utilizzo della dicitura ” Altopiano di Asiago” ed ottavo motivo di ricorso (questioni di costituzionalita’ disattese in appello). I ripetuti, succitati, interventi della giurisprudenza Europea sulle questioni oggetto del presente procedimento rendono, infine, non necessaria la rimessione della causa alla Corte di Giustizia (Cass., 16/06/2017, n. 15041; Cass. Sez. U., 24/05/2007, n. 12067).
5. L’accoglimento del secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nei limiti suindicati, comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che dovra’ procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “la differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza Europea, l’interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine e’ in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben puo’ proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l’uso del marchio, ai sensi dell’articolo 14, comma 2, del Regolamento n. 510 del 2006, laddove non ricorrano ragioni di nullita’ o decadenza del marchio stesso”; “pur evocando la dicitura ” Altopiano di Asiago” la denominazione di origine protetta ” Asiago”, della quale recepisce l’unico elemento che la compone, l’utilizzo del marchio registrato in epoca precedente alla suddetta denominazione, recante la medesima indicazione di provenienza geografica, deve ritenersi, pertanto, consentito, in forza della previsione di cui all’articolo 14 del Regolamento n. 510 del 2006 che tiene conto del preuso, qualora, considerata la natura stessa del marchio, il riferimento esclusivo alla reale provenienza geografica del prodotto e la mancanza di imitazioni, anche mediante contraffazione o camuffamento, di un termine adoperato nella D.O.P., il giudice di merito accerti che tale marchio sia stato, altresi’, registrato in buona fede; in tale valutazione il giudice di merito dovra’, altresi’, tenere conto del fatto che l’indicazione della zona di produzione dell’alimento immesso sul mercato e’ consentita, ed in alcuni casi perfino imposta, al produttore garantito dalla preventiva registrazione del marchio, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a) e articolo 3, comma 1, n. 8 della Direttiva 2000/13/CE”.
6. Il giudice di rinvio provvedera’, altresi’, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione; rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti il settimo ed ottavo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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