Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 30 agosto 2019, n. 36686.
Massima estrapolata:
In tema di edilizia, il regime di denuncia di inizio attività (DIA), anche in relazione a tipologia di interventi sottoposti a tale disciplina dal D.L. n. 133 del 2014, non è applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti originariamente abusivi che non risultino oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.
Sentenza 30 agosto 2019, n. 36686
Data udienza 29 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F – rel. Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1)- (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2)- (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/12/2017 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa BARBERINI Roberta Maria, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione dei reati;
uditi l’avv. (OMISSIS), in sostituzione degli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) per il ricorrente (OMISSIS), e l’avv. (OMISSIS) per il ricorrente (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi o, in via subordinata, la declaratoria di prescrizione dei reati.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 dicembre 2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto gli appelli proposti dagli odierni ricorrenti, confermando la sentenza con cui i medesimi erano stati condannati alle pene di legge, rispettivamente, per il reato di cui all’articolo 481 c.p., (OMISSIS), e per i reati di cui agli articoli 323 e 480 c.p., riuniti nel vincolo della continuazione, (OMISSIS).
L’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) – quale progettista esercente servizio di pubblica utilita’ – riguarda la ritenuta falsita’ ideologica di un’asseverazione allegata ad una d.i.a. presentata in data 11 novembre 2009 circa l’utilizzabilita’ della stessa per realizzare opere, dichiarate conformi allo strumento urbanistico ed al regolamento edilizio e qualificate come manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, consistenti nella realizzazione di un tetto di copertura a falde inclinate su un preesistente immobile abusivamente costruito.
L’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS), quale sindaco del comune di (OMISSIS), si fonda sull’aver il medesimo adottato, il 23 dicembre 2009, in carenza di potere, un atto atipico denominato “autorizzazione edilizia” per consentire sul medesimo immobile la realizzazione di un manto di copertura non fruibile, attestandone falsamente la conformita’ al regolamento edilizio ed alla normativa vigente e cosi’ intenzionalmente procurando alla richiedente un ingiusto vantaggio patrimoniale.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei difensori di fiducia, hanno proposto separati ricorsi i due suddetti imputati, deducendo i motivi di seguito enunciati.
3. Il ricorrente (OMISSIS), con il primo motivo deduce violazione di legge sostanziale e processuale per non aver la Corte territoriale rilevato d’ufficio la prescrizione del reato, maturata l’11 maggio 2017 e dunque in data antecedente alla sentenza resa in grado d’appello.
3.1. Con il secondo motivo si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per aver la sentenza impugnata ritenuto che su quell’immobile, in quanto abusivamente realizzato e mai condonato, non potessero eseguirsi lavori con d.i.a., senza considerare – nonostante la specifica doglianza rassegnata con il gravame – che l’articolo 3 PRGC consente espressamente l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria e restauro su immobili che alla data di approvazione del piano siano in contrasto con le sue disposizioni, allo scopo di adeguarvisi. Oltre all’omessa motivazione sul punto – idonea anche ad escludere il dolo per essere stato il progettista indotto in errore – si lamenta che la Corte territoriale non abbia reso motivazione anche sulla non conformita’ degli interventi progettati con piano regolatore.
3.2. Con memoria contenente motivi aggiunti depositata il 13 maggio u.s., i difensori del ricorrente, hanno ulteriormente argomentato tre motivi di doglianza: il vizio di illogicita’ della motivazione per aver la stessa richiamato profili di falsita’, gia’ individuati nella sentenza di primo grado e richiamati da quella d’appello, non concernenti attestazioni relative allo stato dei luoghi ed alla compatibilita’ dell’intervento con lo strumento urbanistico (unici profili per la sussistenza del reato), bensi’ la ritenuta inutilizzabilita’ della d.i.a. per essere abusivo il preesistente manufatto e la qualifica dell’intervento come ristrutturazione edilizia piuttosto che manutenzione straordinaria o restauro, e per aver omesso di esaminare le doglianze rassegnate dall’appellante circa la conformita’ dell’intervento agli articoli 3 e 11 PRGC; la mancanza di correlazione tra la sentenza ed il fatto imputato, per essersi la prima fondata sul presupposto (non contestato) che sul preesistente immobile non si fosse perfezionato il condono edilizio e per essere stata imputata la volonta’ di realizzare un solaio sul terzo piano dell’edificio, mentre la d.i.a. presentata si riferiva ad un diverso immobile di soli due piani; l’essere stato erroneamente ritenuto abusivo il preesistente fabbricato, benche’ ultimato con la realizzazione di un tetto piano nei termini previsti dalla legge sul condono edilizio n. 47 del 1985, come comprovato dalla documentazione allegata alla memoria contenente i motivi aggiunti.
4. Il ricorrente (OMISSIS), con il primo motivo lamenta vizio di motivazione della sentenza impugnata, anche con travisamento della prova testimoniale del tecnico comunale (OMISSIS) (allegata al ricorso), per aver omesso di valutare che: quanto autorizzato dal sindaco era conforme al progetto presentato nel 2006, e rispetto al quale l’ufficio tecnico non aveva mosso rilievi, e conforme all’articolo 11 PRGC, trattandosi di realizzazione di un tetto non fruibile con altezza non superiore a mt. 2,20; il sindaco aveva agito in stato di necessita’ a fronte degli straordinari eventi atmosferici dell’epoca, pur riconosciuto con provvedimento governativo dell’anno successivo, attestante lo stato di calamita’ naturale; il provvedimento era stato predisposto dall’ufficio tecnico ed il ricorrente lo aveva soltanto firmato, subordinandone peraltro l’efficacia al dissequestro da parte dell’autorita’ giudiziaria. Si lamenta, inoltre, che nessuno, all’epoca dei fatti, si era posto il problema della validita’ o meno del precedente condono edilizio e che questo tema era stato ex novo introdotto dalla Corte d’appello per farne discendere tout court anche la penale responsabilita’ del ricorrente.
4.1. Con il secondo motivo si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza di entrambi i reati.
Quanto al falso, si richiamano le allegazioni gia’ svolte con riguardo all’insussistenza di profili di difformita’ rispetto alle norme tecniche del PRGC.
Quanto all’abuso d’ufficio, si lamenta l’insussistenza del dolo intenzionale richiesto dalla fattispecie incriminatrice e l’omessa considerazione di ulteriori circostanze, quali la mancanza di specifiche competenze tecniche in materia di edilizia in capo al ricorrente e l’assenza di particolari rapporti o legami con la famiglia della richiedente.
4.2. Con il terzo motivo si lamentano violazione della legge processuale (articoli 121 e 178 c.p.p.) e vizio di motivazione per non essere state esaminate le doglianze contenute nella memoria difensiva depositata nel processo d’appello con allegata una relazione di consulenza tecnica acquisita dalla Corte territoriale e tuttavia non valutata, con conseguente nullita’ della sentenza e, in ogni caso, omissione di motivazione.
4.3. Con memoria difensiva depositata il 15 ottobre 2018, nel ribadire i motivi gia’ sviluppati in ricorso, la difesa ha ulteriormente rimarcato come i reati contestati all’imputato, pur considerando le sospensioni della prescrizione intervenute per rinvii concessi in primo grado, si sarebbero prescritti in data 2 maggio 2018.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile.
1.1. Il primo motivo, di fatti, e’ manifestamente infondato.
Essendo pacifico che il reato e’ stato commesso in data 11 novembre 2009, il ricorrente si limita ad osservare che lo stesso si sarebbe prescritto, dopo sette anni e mezzo, in data 11 maggio 2017, trascurando di computare i numerosi periodi di sospensione del corso della prescrizione conseguenti al rinvio del processo di primo grado e di secondo grado (per impedimento dei difensori o degli imputati, senza che la parte non impedita avesse avanzato istanza di trattazione del proprio procedimento: cfr., da ultimo, Sez. 4, n. 50303 del 20/07/2018, M., Rv. 274000). Detti rinvii, disposti nel processo di primo grado come ricorda anche il ricorrente (OMISSIS) nella memoria aggiuntiva, alle udienze del 1 aprile e 10 luglio 2014; del 29 gennaio, 5 maggio, 2 luglio e 10 settembre 2015 – e nel processo di secondo grado (dall’11 maggio al 14 dicembre 2017) hanno determinato la sospensione del corso della prescrizione per oltre 18 mesi complessivi, sicche’ il reato non era certamente prescritto alla data della pronuncia della sentenza qui impugnata.
1.2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile in forza della preclusione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, ult. parte, oltre che per genericita’ e manifesta infondatezza.
La Corte territoriale – operando peraltro un integrale rinvio all’ampia sentenza di primo grado, di cui ha condiviso il percorso argomentativo e valutativo – ha rilevato che l’edificio in relazione al quale l’imputato (OMISSIS) presento’, quale progettista, la d.i.a. per lavori di realizzazione di un tetto di copertura a falde inclinate, definiti di manutenzione straordinaria e risanamento conservativo, asseverandone la conformita’ al PRGC ed al regolamento edilizio e la possibilita’ di utilizzo del titolo semplificato, era un edificio abusivamente costruito e mai condonato. Il ricorrente (OMISSIS) non contesta in alcun modo questa ricostruzione.
Sulla base di tale presupposto, la sentenza impugnata ha pertanto ritenuto che su quell’immobile abusivo e non sanato non potesse svolgersi alcun intervento con denuncia di inizio attivita’, donde la falsita’ ideologica dell’asseverazione di conformita’ effettuata dal progettista. Tale conclusione e’ giuridicamente corretta e si fonda su un orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte: in tema di edilizia, il regime di denuncia di inizio attivita’ (DIA), anche in relazione a tipologia di interventi sottoposti a tale disciplina dal Decreto Legge n. 133 del 2014, non e’ applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti originariamente abusivi che non risultino oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimita’ dall’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rossignoli e aa., Rv. 261330; Sez. 3, n. 1810 del 02/12/2008, dep. 2009, Cardito, Rv. 242269; piu’ di recente, Sez. 3, n. 30168 del 24/05/2017, Pepe, Rv. 270252).
Anche questa conclusione non e’ specificamente contestata dal ricorrente, il quale si limita ad osservare come la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare l’articolo 3 PRGC, secondo cui “gli immobili che alla data di approvazione del PRG siano in contrasto con le sue disposizioni potranno subire interventi di ristrutturazione soltanto per adeguarvisi. Potranno inoltre, in ogni caso, subire gli interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria e di restauro”.
1.2.1. Tale doglianza, tuttavia, e’ inammissibile giusta la preclusione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, ult. parte, trattandosi di violazione di legge – e connesso vizio di mancanza di motivazione – non dedotta nei motivi d’appello.
Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie cio’ non e’ stato fatto e per cio’ solo la doglianza sarebbe inammissibile per genericita’. Deve aggiungersi che l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che l’articolo 3 PRGC non era in alcun modo stato evocato, sicche’, da un lato, la violazione di legge non e’ deducibile in sede di legittimita’ e, d’altro lato, non puo’ sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui al citato articolo 606 c.p.p., comma 3, il principio secondo cui e’ precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimita’ questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).
1.2.2. La doglianza, d’altronde, e’ in ogni caso manifestamente infondata e priva di specificita’ rispetto al tema qui in discussione, posto che tale previsione regolamentare – ovviamente, peraltro, inidonea a derogare ad un principio ricavabile dalla legge ordinaria quale quello piu’ sopra richiamato – non riguarda in alcun modo gli immobili originariamente abusivi. La disposizione, invero, si limita a disciplinare quali interventi possono essere effettuati sugli edifici che sono (non gia’ abusivi, ma semplicemente) non conformi alle nuove norme di piano regolatore approvato nell’anno 2002 e non ha dunque alcun rilievo nemmeno, ovviamente, con riguardo alle ricadute sull’elemento soggettivo del reato – rispetto all’argomentazione su cui si fonda la sentenza di condanna.
1.3. Quanto ai motivi nuovi contenuti nella memoria successivamente depositata, la loro ammissibilita’ dipende da quella dell’impugnazione a cui i medesimi accedono, ai sensi dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, ult. parte. Ritenuta, per quanto sopra detto, l’inammissibilita’ dei ricorso, la stessa non puo’ essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, in quanto si trasmette a questi ultimi il vizio radicale da cui sono inficiati i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi (Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Montante, Rv. 275158).
2. Del pari inammissibile e’ il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS).
In diritto va premesso che il delitto di abuso d’ufficio del quale il predetto e’ stato ritenuto responsabile e’ integrato dalla doppia e autonoma ingiustizia, sia della condotta – che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento – che dell’evento di vantaggio patrimoniale, che deve risultare non spettante in base al diritto oggettivo (Sez. 6, n. 17676 del 18/03/2016, Florio, Rv. 267171; Sez. 6, n. 10133 del 17/02/2015, Scassellati e a., Rv. 262800; Sez. 6, n. 1733 del 14/12/2012, dep. 2013, Amato, Rv. 254208).
Il ricorrente non contesta il profilo (smaccato) di illegittimita’ della condotta contestato in imputazione e ravvisato nella sentenza impugnata – vale a dire l’aver emesso quale sindaco, in carenza di potere, un provvedimento abilitativo denominato “autorizzazione edilizia” non rientrante in alcuna delle categorie di atti amministrativi tipizzati dall’ordinamento per consentire interventi di natura edilizia – ma si limita, da un lato, ad osservare che avrebbe agito in situazione di urgenza riconducibile alla scriminante di cui all’articolo 54 c.p. e, d’altro lato, a contestare di aver arrecato un ingiusto vantaggio patrimoniale alla parte richiedente, che, si allega in ricorso, ben avrebbe potuto effettuare l’intervento da lui autorizzato, vale a dire la realizzazione di un manto di copertura non fruibile a fini abitativi sullo stesso edificio di cui piu’ sopra si e’ detto esaminando il ricorso del coimputato, si’ che il provvedimento emanato non sarebbe peraltro ideologicamente falso e non sussisterebbe quindi neppure il delitto, parimenti ritenuto, di cui all’articolo 480 c.p..
2.1. Cio’ premesso, le doglianze contenute nel primo motivo di ricorso volte a supportare la dedotta illogicita’ della motivazione sul punto di cui sopra si e’ detto sono generiche e manifestamente infondate.
Gia’ si e’ posto in luce che la sentenza impugnata ha correttamente rilevato come, trattandosi di immobile abusivo non sanato, nessun intervento poteva sul medesimo essere realizzato e autorizzato. Al proposito, il ricorrente si limita ad allegare che si tratterebbe di un tema nuovo, introdotto per la prima volta dalla Corte d’appello, laddove, invece, il punto era gia’ stato affrontato e risolto nello stesso modo dalla sentenza di primo grado (cfr. pagg. 20 ss. e, per quanto riguarda le specifiche contestazioni mosse all’imputato (OMISSIS), pag. 30), sia pur argomentando diversamente l’inefficacia della domanda di condono edilizio a suo tempo presentata.
In ogni caso, con sentenza “doppia conforme”, i giudici di merito hanno accertato che anche l’intervento oggetto della richiesta avanzata in data 23 dicembre 2009 – e lo stesso giorno autorizzato dal sindaco con il provvedimento emesso in carenza assoluta di potere, peraltro senza alcuna istruttoria e nonostante con riguardo ad analogo intervento, oggetto di d.i.a. depositata in data 12 novembre 2009, fosse stato adottato dall’ufficio tecnico, il 27 novembre, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 23, comma 6, , intimazione a non effettuare i lavori per ritenuto contrasto con il PRGC – fosse incompatibile con gli strumenti urbanistici. Pur leggermente ribassata rispetto alla d.i.a. del 12 novembre, l’altezza delle falde al colmo di mt. 2,20 quale prevista nella richiesta del successivo 23 dicembre determinava un aumento della volumetria (sia pur amministrativamente non abitabile) e la modifica della preesistente sagoma del fabbricato, superando peraltro il limite del mantenimento o ripristino del manto di copertura preesistente, con violazione, sotto i detti plurimi profili, dell’articolo 11 PRGC (cfr. sentenza di primo grado, pagg. 19, 20, 30 e 31, richiamata sul punto dalla sentenza impugnata, che, a pag. 15, ne condivide le conclusioni). Quel progetto, peraltro, era certamente diverso da quello avanzato invece nel 2006 e rispetto al quale l’ufficio tecnico – secondo il ricorrente – non avrebbe mosso rilievi, come la sentenza impugnata attesta alle pagg. 14 s., richiamando le osservazioni al proposito fatte nella sentenza di primo grado.
Le contestazioni sul punto mosse in ricorso sono del tutto generiche non si confrontano con le puntuali e non illogiche osservazioni dei giudici di merito, cio’ che vale anche con riguardo al fatto che il sindaco avrebbe agito in stato di necessita’, stante la situazione di urgenza determinata dalle copiose piogge che in quel periodo interessarono il comune (cfr. sent. primo grado, pag. 28, e sentenza impugnata pag. 14).
Non sussiste, peraltro, il dedotto travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni testimoniali – allegate al ricorso – rese dal tecnico comunale (OMISSIS). Non solo, di fatti, il teste non ha reso dichiarazioni che sconfessino la ricostruzione operata in sentenza, ma, semmai, la sua deposizione conferma in piu’ parti quanto ritenuto dai giudici di merito, posto che egli ha affermato: che la d.i.a del 2006 non era stata neppure analizzata perche’ non era esecutiva, mancando la documentazione che la richiedente aveva detto avrebbe prodotto; i progetti allegati alla richiesta di autorizzazione accolta dal sindaco non prevedevano un tetto “a zero”, ma avevano un cordolo (pagg. 85-86), la cui altezza non viene indicata, che creavano volumetria essendo quindi contraria al PRGC; il progetto era comunque diverso da quello presentato nel 2006 (pagg. 91-91); la scia non poteva essere presentata perche’ il manufatto non era stato condonato (pagg. 95-96); l’ufficio tecnico non si era minimamente espresso sull’autorizzazione, aveva solo scritto al computer quello il sindaco aveva richiesto (pagg. 96-97).
2.2. I suddetti rilievi valgono anche in relazione alle doglianze proposte con il secondo motivo di ricorso, del pari generiche e manifestamente infondate.
Quanto alla dedotta insussistenza del falso per asserita conformita’ dell’intervento alla disciplina urbanistica ed al fatto che il sindaco sarebbe stato mosso da ragioni di urgenza, vale quanto sopra detto.
Con riguardo all’accertamento dell’elemento soggettivo, va innanzitutto osservato che nell’atto d’appello non risulta specificamente contestata l’assenza del dolo intenzionale qui proposta quale motivo di doglianza, con la conseguente preclusione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, ult. parte., giusta quanto piu’ sopra osservato in diritto, sub § 1.2.1. In secondo luogo, i giudici di merito hanno non illogicamente ricavato la sussistenza dell’elemento soggettivo sulla base della macroscopica illegittimita’ della condotta, del tutto anomala in un contesto lecito, tenuta dal sindaco quale ricavabile dagli elementi gia’ piu’ sopra indicati, in cio’ conformandosi al consolidato orientamento di questa Corte e rendendo quindi una motivazione corretta in diritto e qui non censurabile (cfr. Sez. 6, n. 52882 del 27/09/2018, Pastore, Rv. 274580; Sez. 3, n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma e aa., Rv. 272331; Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia, Rv. 270460).
2.3. Manifestamente infondato e generico e’ anche il terzo motivo di ricorso, posto che ci si duole del fatto che la Corte non avrebbe esaminato le questioni poste in una memoria difensiva prodotta nel corso del giudizio di appello e acquisita dall’udienza di discussione del 14 dicembre 2017.
Sul punto deve innanzitutto osservarsi come gli atti che pongono questioni ulteriori rispetto a quelle dedotte con i motivi di impugnazione non sono da considerare memorie ne’ richieste ai sensi dell’articolo 121 c.p.p., ed in relazione ad essi si applica la disciplina dei motivi nuovi di cui all’articolo 585 c.p.p., comma 4, con la conseguenza che l’obbligo per il giudice di appello di procedere alla valutazione di una memoria difensiva sussiste solo se ed in quanto il contenuto della stessa sia in relazione con le questioni devolute con l’impugnazione (Sez. 1, n. 34461 del 10/03/2015, Pica, Rv. 264493; Sez. 5, n. 210 del 15/02/1996, Lenni, Rv. 204478).
Cio’ premesso, la doglianza e’ assolutamente generica, poiche’ in ricorso non viene indicato a quali argomentazioni o doglianze – contenute nella memoria e che gia’ fossero state fatte oggetto di motivo di impugnazione – la Corte territoriale non avrebbe risposto. L’unico aspetto che viene menzionato – vale a dire che la consulenza tecnica di parte a firma arch. (OMISSIS) allegata a tale memoria avrebbe indicato come nel centro storico del comune erano stati realizzati e autorizzati numerosi tetti analoghi a quello oggetto del provvedimento rilasciato dal ricorrente – non era stato dedotto con il gravame di merito (e, trattandosi di motivo nuovo presentato fuori termine, non era quindi ammissibile) e viene comunque prospettato in ricorso in modo del tutto generico, si’ da non consentire al Collegio di valutare se sia ravvisabile l’omessa motivazione su un punto essenziale. E’ noto, al proposito, che, in tema di ricorso per cassazione, l’emersione di una criticita’ su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non puo’ comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalita’ del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e aa., Rv. 271227). Ed invero, il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione puo’ essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisivita’ (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna e aa., Rv. 267723), nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione piu’ favorevole di quella adottata (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445).
2.4. La memoria datata 15 ottobre 2018 non contiene elementi diversi da quelli contenuti in ricorso e sopra gia’ valutati, eccezion fatta per il rilievo secondo cui i reati si sarebbero medio tempore prescritti. Essendo i motivi proposti tutti inammissibili, non puo’ tuttavia essere accolta neppure la subordinata richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione, giusta il consolidato principio secondo cui l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D.L., Rv. 217266), ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimita’ (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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