La costituzione dell’appellante con deposito della copia dell’atto di citazione (cd. velina)

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|30 marzo 2023| n. 8951.

La costituzione dell’appellante con deposito della copia dell’atto di citazione (cd. velina)

La costituzione dell’appellante con deposito della copia dell’atto di citazione (cd. velina) in luogo dell’originale non determina l’improcedibilità del gravame ai sensi dell’art. 348, comma 1, c.p.c., ma integra una nullità per inosservanza delle forme indicate dall’art. 165 c.p.c., come tale sanabile anche in virtù dell’operatività del principio del raggiungimento dello scopo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata – che aveva rigettato l’eccezione di improcedibilità dell’appello, formulata alla seconda udienza, per mancato deposito dell’originale dell’atto di appello notificato – sul rilievo, da un lato, che due appellati si erano comunque costituiti, difendendosi nel merito, e, dall’altro, che gli appellanti avevano provveduto, a detta udienza – nella quale si erano pertanto esaurite le complessive verifiche di cui all’art. 350, comma 3, c.p.c. -, al deposito dell’originale in conformità all’invito, finalizzato alla verifica della regolare notificazione dell’atto alla parte appellata non costituita, formulato dal giudice del gravame nella prima udienza di trattazione.)

Sentenza|30 marzo 2023| n. 8951. La costituzione dell’appellante con deposito della copia dell’atto di citazione (cd. velina)

Data udienza 23 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Appello – Costituzione di alcuni degli appellati – Mancata prova della regolarità della notificazione nei riguardo degli appellati non costituiti – Erronea declaratoria di improcedibilità dell’appello – Diritto di sopraelevazione – Non configurabilità di un diritto di superficie – Difetto del presupposto dell’esercizio del diritto su suolo altrui – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 11314/2018) proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi in virtu’ di distinte procure speciali apposte in calce al ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtu’ di distinte procure speciali apposte in calce controricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1645/2017 (pubblicata il 20 dicembre 2017);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 febbraio 2023 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del Sostituto procuratore generale Dell’Erba Rosa Maria, con le quali e’ stato chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti;
letta, altresi’, la memoria della difesa dei ricorrenti depositata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

La costituzione dell’appellante con deposito della copia dell’atto di citazione (cd. velina)

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Sanremo – Sezione distaccata di Ventimiglia, con sentenza n. 66/2013, respingeva le domande proposte da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dei convenuti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dirette all’accertamento dei loro reclamati diritti a sopraelevare ed aprire vedute (finestre) e luci sul terreno e cortile comuni (con gli stessi convenuti), relativamente al fabbricato sito in (OMISSIS), con conseguente condanna degli attori al pagamento delle spese giudiziali.
Decidendo sull’appello formulato dai citati attori soccombenti e nella costituzione dei soli appellati (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1645/2017 (pubblicata il 20 dicembre 2017), in totale riforma dell’impugnata sentenza, accoglieva il gravame e, per l’effetto, dichiarava che gli attori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quali aventi causa degli aventi causa di (OMISSIS), erano proprietari del sottotetto (e del tetto) del citato fabbricato ubicato in (OMISSIS), nonche’ titolari del diritto di sopraelevare lo stesso fabbricato e di aprire e lasciare finestre e luci sul terreno e cortile rimasti comuni anche ai restanti proprietari di unita’ immobiliari poste ai piani terreno e sotterraneo del medesimo edificio; condannava i due appellati, in solido, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi.
A fondamento dell’adottata pronuncia, la Corte ligure respingeva, in via pregiudiziale, l’eccezione di improcedibilita’ dell’appello per omesso deposito dell’originale dell’atto di appello notificato (al momento della costituzione da parte degli appellanti) sollevata dagli appellati sul presupposto che si fosse provveduto a tale adempimento soltanto alla seconda udienza collegiale su sollecitazione della stessa Corte, rilevandone la tardivita’ e, in ogni caso, l’infondatezza, considerando una mera irregolarita’ l’avvenuta costituzione (comunque tempestiva) in appello, ad opera degli appellanti, mediante il solo deposito della copia dell’atto di citazione, alla quale si era prontamente rimediato con il deposito dell’originale. Passando all’esame dei motivi di merito dell’appello, la Corte territoriale si occupava, in primo luogo, della situazione petitoria che interessava il controverso sottotetto, di cui era stato riconosciuto il diritto di proprieta’, con la sentenza di prime cure, in via esclusiva in capo agli originari attori.
Il giudice di secondo grado riteneva di non condividere il percorso logico-argomentativo compiuto dal Tribunale sanremese, poiche’ – dall’esame degli atti di divisione immobiliare del 30 ottobre 1915 e de 21 ottobre 1937, ovvero sulla scorta della valutazione del loro contenuto e delle vicende traslative in essi previste – essi non potevano ritenersi “res inter alios acta” rispetto ai convenuti, dal momento che, se gli originari attori risultavano essere successori dei successori di (OMISSIS) e gli originari convenuti successori dei successori di (OMISSIS), detto contenuto si sarebbe dovuto considerare opponibile a tutte le parti in contesa, ragion per cui occorreva interrogarsi sul se il citato sottotetto potesse o dovesse qualificarsi come pertinenza – ai sensi dell’articolo 818 c.c., comma 1, – del primo piano del fabbricato, essendo indubbio, alla stregua del tenore dei titoli esaminati, che il sottotetto era stato inteso dai condividenti (sulla scorta di entrambi i menzionati atti divisori) al pari di un tetto, ovvero come porzione immobiliare ricompresa nei lotti formati dai locali al piano primo e non destinata a restare comune tra tutti i condividenti.
Al riguardo, la Corte ligure osservava che, in effetti, la proprieta’ esclusiva del citato sottotetto/tetto, inizialmente concentrata in capo a (OMISSIS), si era via via trasferita “pro quota” agli eredi di (OMISSIS) e, poi, agli eredi degli eredi di (OMISSIS), indipendentemente dal fatto che uno degli eredi, (OMISSIS), in sede di divisione dell’eredita’ paterna con la sorella (OMISSIS) fosse divenuta assegnataria non di un alloggio al primo piano (come quest’ultima), ma di una cantina al piano seminterrato, trattandosi di beni gia’ tutti appartenenti in proprieta’ esclusiva a (OMISSIS) e, quindi, devolutisi parziariamente pure con la corrispondente quota di proprieta’ (anche del sottotetto e del tetto) delle parti dell’edificio gia’ in proprieta’ del “capostipite” (OMISSIS), che non aveva fatto parte dello scioglimento della comunione con gli atti divisori tra le due menzionate sorelle (e con gli altri atti sempre riguardanti le successioni, prima, di (OMISSIS) e, poi, dei suoi figli).
Rilevava, poi, la Corte di appello che dovevano considerarsi del tutto fuorvianti le valutazioni del primo giudice, secondo cui, da un lato, il diritto di sopraelevazione avrebbe dovuto essere riqualificato come diritto di superficie ai sensi dell’articolo 952 c.c. e, dall’altro, che tale diritto si sarebbe dovuto ritenere prescritto in applicazione dell’articolo 954 c.c., comma 2, per non uso protrattosi da venti anni e cio’ perche’: – i predetti titoli contrattuali manifestavano in modo evidente che la facolta’ di sopraelevazione attribuita al condividente (OMISSIS) costituiva una conseguenza dell’attribuzione nella sua proprieta’ esclusiva dell’intera porzione superiore al fabbricato compresa tra l’incluso primo piano e l’aria soprastante alla copertura del fabbricato e non, invece, una concessione che avevano fatto a suo favore degli inesistenti comproprietari di tale copertura, scindendo, impropriamente, la proprieta’ della copertura dal diritto di realizzare al di sopra della stessa un’elevazione del fabbricato; – mancava, quindi, nel caso concreto il primo presupposto – ovvero che il diritto di eseguire la sopraelevazione riguardasse suolo altrui – per ravvisare il corso della prescrizione ai sensi del citato articolo 954 c.c., comma 4.
Alla stregua di tali raggiunte conclusioni, la Corte di appello riteneva irrilevante esaminare l’ulteriore motivo di gravame diretto all’accertamento dell’acquisto della proprieta’ del sottotetto in favore degli attori-appellanti pure a titolo di usucapione.
2. Avverso la citata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), cui hanno resistito, con un congiunto controricorso, gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre (OMISSIS) non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.
La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullita’ della impugnata sentenza e del giudizio di appello per violazione o falsa applicazione degli articoli 156, 165, 347, 348 e 350 c.p.c., sostenendo che la Corte ligure avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilita’ dell’appello ex adverso proposto (con conseguente consolidamento e passaggio in giudicato della sentenza di primo grado), per non essere stato il relativo atto di citazione tempestivamente depositato in originale al momento della costituzione degli appellanti, ne’ nei dieci giorni di cui al citato articolo 165 c.p.c., comma 2, ne’ alla prima udienza.
2. Con la seconda censura, i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli articoli 1362, 1363, 1368 e 1369 c.c., avuto riguardo alle parti della motivazione dell’impugnata sentenza di cui alle lettera a) e b) del paragr. 2, rappresentando che, se la Corte di appello avesse rispettato i canoni ermeneutici di cui alle richiamate norme, avrebbe dovuto necessariamente riconoscere che, con l’atto di divisione del 1915, sull’immobile oggetto di controversia era stato costituito un condominio tra i due germani (OMISSIS) ed (OMISSIS) e che, non essendo stato stabilito chiaramente nulla di diverso in detto titolo, il tetto ed il piano sottotetto dell’edificio, non espressamente attribuiti in proprieta’ esclusiva, si sarebbero dovuti ritenere rimasti comuni tra i due condomini.
3. Con la terza doglianza, i ricorrenti hanno prospettato – avuto riguardo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., con riferimento ai passaggi motivazionali dell’impugnata sentenza di cui alle lettera c), d) ed e) del paragr. 2, sostenendosi che, se la Corte di appello avesse applicato correttamente i criteri interpretativi di cui alle suddette norme, non avrebbe potuto trarre dall’atto di divisione del 1937 alcuna giustificazione della presunta divisione “verticale” dell’immobile controverso nel 1915, dovendosi, al contrario, trarre ulteriore conferma del fatto che, con l’atto del 1915, era stato costituito un condominio tra i due germani (OMISSIS) ed (OMISSIS) e che, non essendo stato stabilito univocamente nulla di diverso in detto titolo, il tetto ed il piano sottotetto dell’edificio, non espressamente attribuiti in proprieta’ esclusiva ne’ nell’atto del 1915 ne’ in quello del 1937, si sarebbero dovuti ritenere rimasti comuni tra i due condomini.
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti hanno denunciato – in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1365, 1367 e 1368 c.c., anche in relazione agli articoli 1117 e 1350 c.c., articoli 1314 e 1865 e R.Decreto Legge n. 56 del 1934, articolo 3 con riferimento agli sviluppi motivazionali dell’impugnata sentenza contenuti nelle lettera f) e g) (prima parte) del paragr. 2, deducendo che, in base alla esatta applicazione dei parametri ermeneutici previste dalle norme per prima citate, la Corte di appello non avrebbe potuto interpretare il rogito del 1937, che nulla disponeva a proposito del tetto e del piano sottotetto del controverso immobile, nel senso di ritenere queste parti tacitamente attribuite in proprieta’ esclusiva al (OMISSIS), poiche’ – in difetto di specifiche disposizioni e dell’indivisibilita’ del tetto comune secondo il diritto allora vigente (nonche’ “ad abundantiam” delle regole di forma scritta “ad substantiam” gia’ in quel tempo prescritte per i trasferimenti immobiliari) – la stessa Corte avrebbe dovuto concludere – in conformita’ a quanto gia’ ritenuto dal Tribunale – nel senso che il tetto ed il piano sottotetto, in ordine ai quali nulla era stato espressamente previsto, non potevano che essere rimasti indivisi e, quindi, costituenti parti comuni dell’edificio.
5. Con la quinta ed ultima censura, i ricorrenti hanno lamentato – sempre con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’articolo 1367 c.c., in relazione all’articolo 952 c.c., comma 1, articolo 1127 c.c., R.Decreto Legge n. 56 del 1934, articolo 12, comma 1, nonche’ degli articoli 1362, 1363 e 1368 c.c., con riguardo alle lettera g) (seconda parte), h), i), j) e k) del paragr. 2 della motivazione dell’impugnata sentenza, sul presupposto che la Corte di appello non avrebbe potuto trarre, dalla clausola del rogito del 1937 di espressa attribuzione al (OMISSIS) del diritto di sopraelevare l’edificio, una conferma dell’implicita attribuzione allo stesso (OMISSIS) del diritto di proprieta’ esclusiva del tetto e del piano sottotetto, su cui l’atto invece nulla prevedeva, dovendosi intendere la clausola relativa all’attribuzione del suddetto diritto come una disposizione di riconoscimento di un diritto di superficie, in tal modo traendosi conferma della proprieta’ comune del piano sottotetto, perche’ solo in quest’ultima prospettiva la clausola medesima avrebbe avuto un chiaro, univoco e non superfluo significato.
6. Rileva il collegio che il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1), poiche’ la questione processuale che ne costituisce oggetto e’ stata decisa dalla Corte di appello di Genova giungendo – in conformita’ all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte culminato nella sentenza delle SU n. 16598/2016 (interpretata nei suoi corretti termini) e senza che siano stati prospettati elementi idonei per superarlo – a ritenere infondata l’eccezione di improcedibilita’ dell’appello per omesso deposito dell’originale dell’atto di appello sollevata dagli appellati alla seconda udienza del 10.2.2015 dopo che il collegio, alla prima udienza di comparizione del 25.11.2014, aveva segnalato la mancata produzione – al momento della costituzione degli appellanti – dell’originale dell’atto di citazione in appello notificato, il cui esame solo avrebbe consentito di verificarne la regolare notificazione (anche) all’appellato non costituito (OMISSIS).
Occorre, al riguardo, rilevare che, alla prima udienza dinanzi alla Corte di appello, quest’ultima aveva proceduto ad una verifica della ritualita’ dell’instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli appellati, pur prendendo atto che i due appellati (OMISSIS) e (OMISSIS) – malgrado la mancata produzione dell’atto di citazione in originale con la prova della ritualita’ della sua notificazione nei loro confronti – si erano comunque costituiti (nonostante, cioe’, il mero deposito della velina dell’atto di citazione in appello ad opera degli appellanti al momento della loro, comunque, tempestiva costituzione), senza eccepire alcun vizio e difendendosi nel merito rispetto alle censure formulate dagli appellanti (salvo, poi, a formulare l’eccezione di improcedibilita’ solo nella seconda udienza temporalmente intesa).
Ora, avendo esercitato tale potere, una volta prodotto nel termine stabilito dalla Corte di appello l’atto di citazione in originale con la prova della ritualita’ della tempestiva notificazione anche nei confronti dell’altro appellato (OMISSIS) (non costituitosi in precedenza), rimasto contumace, lo stesso giudice di secondo grado non avrebbe potuto – sol per la mancata produzione dell’originale dell’atto di citazione entro la prima udienza con le inerenti relate di notifica e nonostante la rituale e tempestiva costituzione dei suddetti due appellati (che avevano, con tale condotta, riconosciuto la regolarita’ della loro “vocatio in ius”) ai sensi dell’articolo 347 c.p.c. (ancorche’ fosse stata depositata in cancelleria, all’atto dell’iscrizione tempestiva a ruolo, solo la velina dell’atto di citazione) e l’accertata regolarita’ della notificazione dell’atto di appello anche nei riguardi dell’appellato non costituitosi – dichiarare l’improcedibilita’ dell’appello.
In altri termini, la Corte di appello non avrebbe potuto dichiarare l’improcedibilita’ dell’appello soltanto perche’, nonostante l’avvenuta costituzione degli altri due appellati (con l’effetto di sanatoria nei loro confronti) e malgrado la sola produzione della velina dell’atto di citazione in appello al momento della costituzione – pacificamente tempestiva – in giudizio da parte degli appellanti, era mancante, alla prima udienza, la prova della regolarita’ della notificazione nei riguardi dell’altro appellato non costituitosi (e, quindi, senza la produzione di un’efficacia sanante anche relativamente alla sua posizione processuale). Prova, questa, poi acquisita alla successiva udienza in cui venne completata l’attivita’ di “verifica della regolare costituzione del giudizio” e dichiarata, legittimamente, la contumacia dell’appellato non costituitosi (e nei cui confronti era stata, per l’appunto, accertata la regolarita’ della notificazione dell’atto di appello), cosi’ esaurendosi le complessive verifiche della prima udienza di trattazione (anche in relazione a quanto disposto dal citato articolo 350 c.p.c., comma 3).
In tal senso, quindi, deve escludersi che si sia venuta a configurare l’ipotesi (tipica) di improcedibilita’ prevista dall’articolo 348 c.p.c., comma 1 (v. Cass. nn. 25437/2014, 15130/2015 e 4525/2016), il quale commina tale sanzione solo per l’inosservanza del termine di costituzione dell’appellante, non anche per il mancato rispetto delle forme di costituzione, sicche’, essendo il regime dell’improcedibilita’ di stretta interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale della nullita’, il vizio della costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime della nullita’ e, quindi, anche al principio del raggiungimento dello scopo (gia’, in questi termini, v. Cass. n. 6912/2012).
Cio’ vale a dire che, nel caso di specie, essendosi le parti appellanti tempestivamente costituite con il deposito della copia dell’atto di citazione – la c.d. velina – in luogo dell’originale, questa modalita’ avrebbe potuto comportare (come stabilito dalla citata sentenza delle Sezioni unite n. 16598/2016, seguita da altre pronunce conformi, come Cass. n. 1063/2018 e Cass. n. 7679/2019) soltanto la nullita’ della loro costituzione, ma non l’improcedibilita’ dell’appello, nullita’, peraltro, sanata dalla costituzione dei due appellati (che si erano difesi anche nel merito) e con l’assolvimento del dovere, da parte del giudice di appello, di concedere apposito termine per verificare l’avvenuta rituale notificazione anche nei confronti dell’altro appellato, accertamento positivamente compiuto all’udienza immediatamente successiva fissata per la trattazione, con la derivante dichiarazione di contumacia del (OMISSIS) (non costituitosi, malgrado la sua valida evocazione in causa) e la conseguente legittimita’ della prosecuzione del giudizio di secondo grado.
7. Rileva, poi, il collegio che i motivi dal secondo al quinto sono esaminabili congiuntamente perche’ con essi, sotto plurimi profili, vengono denunciate censure che attengono al percorso logico-giuridico compiuto sul piano ermeneutico nell’impugnata sentenza per addivenire alla soluzione dell’esclusione – sulla base, per l’appunto, dell’interpretazione dei titoli divisori presupposti del 1915 e del 1937 – di una condizione di comproprieta’ del sottotetto e del tetto del fabbricato oggetto di controversia, rivendicati, invero, in proprieta’ esclusiva da parte degli originari attori, poi appellanti.
In primo luogo, bisogna dare atto che detti motivi sono stati dedotti in modo adeguatamente specifico, riproducendo gli stessi il contenuto – per quanto rilevante – dei due atti divisori di riferimento sui quali sono stati basati.
Occorre, poi, evidenziare come, sul piano generale, sia risaputo che l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volonta’ dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, oppure – nel vigore del novellato testo di detta norma – nel caso di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, sempre che non si ricada nella possibile ipotesi piu’ radicale del vizio di motivazione mancante od apparente (denunciabile ai sensi del n. 4) dello stesso articolo 360 del codice di rito, ma, nella vicenda in esame, non prospettato ne’ prospettabile, alla stregua del piu’ che adeguato svolgimento dell’iter motivazionale).
E’ altrettanto indubbio che non si puo’ artatamente contestare il risultato dell’attivita’ interpretativa del giudice di merito attraverso l’asserita – ma insussistente – prospettazione della violazione di uno o piu’ criteri ermeneutici.
Cio’ premesso, il collegio ritiene che la ricostruzione dei titoli divisori del 1915 e del 1937 operata dalla Corte di appello, sia in base al contenuto letterale che all’intenzione dei contraenti, oltre che sulla scorta della loro interconnessione, debba considerarsi corretta e legittima, siccome rispettosa dei principali e prioritari canoni ermeneutici previsti dagli articoli 1362 e 1363 c.c. (v., in proposito, da ultimo, Cass. n. 21576/2019 e Cass. n. 13595/2020), come tali risolutivi nell’approdare al risultato interpretativo raggiunto con l’impugnata sentenza, nel senso di riconoscere – in virtu’ di tali titoli
ritenuti, a ragione, idonei a superare la presunzione di condominialita’ di cui all’articolo 1117 c.c. dei controversi tetto e sottotetto, che, invece, gli odierni ricorrenti vorrebbero che fosse da considerare ancora operante – la proprieta’ esclusiva di tali parti agli appellanti, con la correlata attribuzione del diritto di sopraelevazione del fabbricato in questione e di aprire e lasciare finestre e luci sul terreno e sul cortile – questi si’ – rimasti comuni anche ai restanti proprietari delle unita’ immobiliari ubicate ai piani terreno e interrato del medesimo fabbricato.
In effetti, i ricorrenti hanno – con le doglianze in esame – inteso sollecitare una diversa ricostruzione, sul piano ermeneutico, del contenuto dei due atti divisori in relazione ai quali la Corte di appello ha esercitato un apprezzamento di fatto, compiutamente motivato e conforme – in sede applicativa – ai suddetti parametri interpretativi, cosi’ rimanendo insindacabile nella presente sede di legittimita’ (cfr. Cass. n. 2943/2004 e Cass. n. 11195/2010).
Infatti, nella sviluppata ricostruzione di cui alle pagg. 4-8 della motivazione, la Corte di appello, partendo innanzitutto dall’esame delle previsioni contenute primariamente nell’atto divisorio del 1915, ha rilevato che lo scioglimento della comunione era stato – in senso dimensionale – concordato con “modalita’ verticale”, con assegnazione della complessiva porzione a nord, da terra a cielo, del fabbricato ed area annessa – individuata come lotto A – al condividente (OMISSIS), mentre la porzione “restante”, individuata come lotto B, era stata attribuita all’altro condividente (OMISSIS), con relativa rappresentazione delle risultanze fattuali discendenti dall’accordo in apposita planimetria allegata allo stesso atto, laddove – sottolinea la Corte di appello – il confine superiore delle due porzioni divise era specificato con le parole “sopra arie”, senza alcuna menzione delle parole “tetto” e “sottotetto”, con la conseguenza che – nella loro intenzione – le parti non avevano inteso mantenere comune la copertura del fabbricato ma che la stessa dovesse, invece, rimanere divisa in corrispondenza delle due porzioni distintamente dalla stessa coperte (ovvero la parte del fabbricato individuato come lotto A e la parte di fabbricato identificantesi con il lotto B).
Inoltre, la Corte di appello, posta tale premessa, ha adeguatamente rilevato che, con la successiva divisione del 1937 (mediante l’apprezzamento del tenore letterale dello stesso e del complessivo contenuto delle clausole, cosi’ conformandosi al dettato dei citati articoli 1362 e 1363 c.c., senza la necessita’, percio’, di dover ricorrere ad altri canoni ermeneutici, invero operanti eventualmente – come e’ noto – solo in via sussidiaria: cfr. Cass. n. 26990/2006 e Cass. n. 18180/2007), le parti, previo ricorso ad un criterio divisorio in senso orizzontale (in sostituzione di quello originario di tipo verticale), avevano inteso attribuire tutto il primo piano di quello che era stato identificato come lotto B al (OMISSIS), mentre all’altro condividente (OMISSIS) era stato assegnato tutto il pianterreno dello stesso lotto B, specificandosi, altresi’, testualmente, che ad (OMISSIS) veniva riconosciuta la facolta’ di sopraelevare il fabbricato (con la opportuna valorizzazione – a tal proposito – da parte della Corte ligure della collocazione in significativa “sintonia” logica di tale previsione con i principi dettati dall’articolo 1127 c.c., comma 1, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimita’), di aprire e lasciare finestre e luci sul terreno e cortile rimasti comuni ai condividenti: questo era proprio l’oggetto della domanda degli originari attori-poi appellanti, riconosciuta fondata dalla Corte di appello, la quale e’ legittimamente pervenuta – sulla scorta del conferente ed adeguato rispetto dei suddetti criteri interpretativi – a ritenere che, in effetti, la copertura (formata proprio dal sottotetto e dal tetto) era rimasta strutturalmente “inglobata” nel piano primo e, quindi, appartenente in via esclusiva al (OMISSIS).
Si osserva, inoltre, che la questione relativa alla supposta indivisibilita’ del tetto asseritamente imposta dal R.Decreto Legge n. 56 del 1934, articolo 3 e’ nuova (e, in quanto tale, la sua prospettazione deve essere considerata inammissibile), non risultando dedotta nei gradi di merito, non avendo i ricorrenti indicato come, quando e dove l’avessero fatta valere, non discorrendosene, peraltro, nemmeno nella sentenza qui impugnata.
Per effetto della completa e giuridicamente corretta ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte di appello e del conseguente esito finale raggiunto, la stessa ha, di conseguenza, legittimamente escluso che il diritto di sopraelevazione potesse ricondursi ad un diritto di superficie e che potesse applicarsi il regime della prescrizione di cui all’articolo 954 c.c., difettando il necessario presupposto dell’esercizio di tale diritto “su suolo altrui”.
8. In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con la derivante condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a., nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

 

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