Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 15 giugno 2020, n. 3866.
La massima estrapolata:
La convenzione tra la struttura ed il sistema sanitario ha valenza costitutiva e costituisce fonte regolativa del nuovo rapporto, come cristallizzata al momento di riferimento, ossia con rinvio rigido e statico ai contenuti della convenzione medesima. Pertanto, ogni modificazione deve essere preventivamente valutata dall’Amministrazione sanitaria in base al fabbisogno assistenziale, al volume erogabile, alla programmazione di settore, al possesso dei prescritti requisiti e agli oneri finanziari sostenibili; è poi necessario che sia rilasciato il relativo titolo.
Sentenza 15 giugno 2020, n. 3866
Data udienza 30 aprile 2020
Tag – parola chiave: Sanità – Regime di accreditamento – Assegnazione della Capacità Operativa Massima (C.O.M.) – Prestazioni fatturate oltre il tetto – Non contabilizzate
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7951 del 2019, proposto da
Centro Oculistico Sa. di Dr. An. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ar. Um. Me., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Commissario ad acta per l’Attuazione del Piano di Rientro Sanitario Regione Campania, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
ASL Napoli 1 Centro, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gi. Ce., con domicilio digitale con PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio di A. Pl., via (…), Roma;
nei confronti
Regione Campania non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Prima n. 914/2019, resa tra le parti, concernente per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
l’annullamento
– della nota della Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro a firma del Direttore del Distretto sanitario 33, n. 9881 del 14 dicembre 2017, comunicata a mezzo pec in data 19 febbraio 2018 e avente ad oggetto “Superamento COM (capacità Operativa Massima)”;
– della DDG ASL NA 1 Centro n. 1439 del 2013, richiamata dalla precedente, ove lesiva e per quanto di ragione;
– di tutti gli altri atti, ancorché interni e non noti, comunque connessi, presupposti e/o consequenziali, e lesivi degli interessi del ricorrente;
Visto l’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in l. n. 27 del 2020, con il quale sono state adottate nuove misure per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenente gli effetti in materia di giustizia amministrativa;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Commissario ad acta per L’Attuazione del Piano di Rientro Sanitario Regione Campania;
Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale della Asl Napoli 1 Centro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza con modalità da remoto del giorno 30 aprile 2020 il Cons. Solveig Cogliani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello indicato in epigrafe il Centro appellante – premesso di gestire in regime di accreditamento con il S.S.N., e per esso con la Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro una struttura sanitaria che eroga prestazioni di oculistica (sì deve intendersi pur a fronte di quanto ragionevolmente per mero errore indicato in atti, da come si evince dalla sentenza appellata) – si duole che la ASL sia rimasta immotivatamente inerte a fronte delle istanze di implementazione della C.O.M. (Capacità Operativa Massima) inoltrate dal Centro asseritamente in ossequio alle prescrizione della DGRC 491/2006 (prot. 11213 del 19 dicembre 2014 per 180 ore medici oculisti e ortottisti e 80 ore impiegati, prot. 14487 del 21 dicembre 2015 per 107 ore medici oculisti e 50 ore ortottisti) rispetto alla prima attribuzione di cui alla delibera n. 1439 del 20 ottobre 2013 (per un totale di 10.580 prestazioni/anno).
Siffatta inerzia darebbe ancor più ingiustificata in ragione del carattere meramente ricognitivo dell’attività provvedimentale che l’Amministrazione intimata deve espletare al riguardo.
Con la nota impugnata in primo grado, con cui si evidenziava il superamento della C.O.M. precedentemente assegnata, l’Amministrazione comunicava che le prestazioni fatturate oltre il tetto non sarebbero più state contabilizzate.
Il giudice di prime cure, respinte le eccezioni preliminari relative alla giurisdizione e alla tardività del gravame, riteneva infondato il ricorso, rilevando che il Centro ricorrente ha superato la C.O.M. precedentemente formalmente assegnata, in assenza di un’espressa autorizzazione da parte dell’amministrazione competente.
Avverso la sentenza di primo grado, il Centro muove un articolato motivo di appello di seguito precisato.
Error in iudicando, violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 502/1992, nonché delle dd.G.R. nn. 377/1998, 6351/1999, 1036/2000, 659/2001, 1270, 1272/2003 e 491/2006, della circolare 898/SP del 17 febbraio 2004 dell’Assessore regionale Campania, della d. G.R. n. 1469/2008, dell’art. 97 Cost., dell’art. 2, l. n. 241/90, degli artt. 31 e 117 c.p.a., poiché la d.G.R. n. 491/2006, nel ribadire che le strutture private possono erogare tutte le prestazioni che risultino ricomprese nel nomenclatore tariffario, purché riferire alla branca per la quale risultano accreditate, al fine di regolamentare la quantità e la qualità delle prestazioni erogabili da ogni struttura, stabilisce, per le rispettive branche, i carichi di lavoro massimi erogabili da ogni struttura sulla base della tipologia organizzativa, della complessità tecnologica e dei coefficienti di personale operante al 31 dicembre di ogni anno, idoneamente documentati, prevendendo che le strutture provvisoriamente accreditate possono chiedere la riclassificazione delle capacità operative massime (C.O.M.) con indicazione dei relativi carichi di lavoro e dove previsto della tipologia dei livelli, in base ai requisiti posseduti al 31 dicembre dell’anno precedente. La circolare n. 898/SP del 2004 e la d.G.R. n. 1272/2003, prevedono, poi, che la ASL di competenza debba effettuare nel termine di 3 mesi, le verifiche sulla completezza. La ASL sarebbe, dunque, rimasta totalmente inadempiente rispetto a tali obblighi. Il Centro appellante, pertanto, avrebbe fatto affidamento sulla spettanza della rimodulazione della C.O.M. ed, in ogni caso avrebbe diritto ad essere remunerato per le prestazioni erogate, sia in base alla legge sia in base ai contratti sottoscritti, non avendo superato i limiti di spesa assegnati.
Precisa, anche, che l’interesse dell’appellante corrisponde all’interesse dei pazienti a ricevere le prestazioni.
Si sono costituiti per resistere il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro sanitario della Regione Campania e la ASL Na 1. Quest’ultima insiste – con appello incidentale – per il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi – a suo dire – di controversia concernente unicamente il pagamento di corrispettivi.
Nel merito ribadisce l’infondatezza delle pretese.
Evidenzia che secondo la prospettazione di parte appellante si finirebbe per confondere la C.O.M. con la quantità di prestazioni erogabili per conto e a carico del SSR ex art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992 (c.d. tetti di spesa), determinando l’effetto paradossale di far sì che ciascun centro accreditato potrebbe, ampliare indefinitamente la propria dotazione produttiva (dunque, i propri requisiti), facendo sorgere l’obbligo per l’Amministrazione di remunerare le prestazioni rese in più rispetto alla C.O.M. formalmente riconosciutagli in precedenza, in violazione della programmazione di spesa e di distribuzione territoriale dei soggetti accreditati e del relativo volume prestazionale erogabile in regime di accreditamento.
Evidenzia, dunque, che in realtà la C.O.M. assolve a tutt’altra funzione, ovvero quella di definire il livello qualitativo delle prestazioni erogabili in regime di accreditamento da ciascun centro (in funzione dei requisiti tecnologici, strutturali e organizzativi posseduti).
Peraltro, la tesi di parte appellante sarebbe contraddittoria laddove qualifica come interamente vincolato il potere della p.a. nella assegnazione del C.O.M e poi, vanta un interesse legittimo pretensivo, dinanzi al g.a., la cui soddisfazione esigerebbe necessariamente l’esercizio del potere o l’attivazione del procedimento di cui all’art. 31 c.p.a..
Le parti hanno rinunziato alla trattazione della domanda cautelare ed hanno chiesto il rinvio al merito all’udienza fissata in camera di consiglio.
A seguito di ulteriori memorie anche in replica la causa è trattenuta in decisione all’udienza del 12 marzo 2020. In ragione della disciplina emergenziale la trattazione è stata rinviata all’udienza del 30 aprile 2020 ed è stata pertanto, in tale data, trattenuta in decisione.
DIRITTO
I – La controversia concerne, in sostanza, la qualificazione del potere della p.a. nella assegnazione della Capacità Operativa Massima (C.O.M.), che rappresenta un valore sintetico, che esprime le potenzialità funzionali e strutturali di un centro erogatore di prestazioni sanitarie per conto del S.S.R., ponendosi come limite massimo entro il quale può astrattamente estendersi il contenuto del rapporto di accreditamento, la cui concreta ed effettiva misura è, tuttavia, data dalla definizione del limite di spesa, dato valoriale di programmazione generale fissato a livello regionale per macroarea e, a livello aziendale, per singola branca di attività (Cons. St., sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5427).
Verte, infatti, sulla esistenza di un potere vincolato o discrezionale da parte della ASL competente a fronte della comunicazione delle capacità operativa da parte delle strutture e sulle conseguenze della qualificazione nell’un senso o nell’altro.
II – In via preliminare, il Collegio deve disattendere l’appello incidentale, in cui si contesta la giurisdizione del giudice amministrativo in subiecta materia, rispetto ai principi già affermati da questo Consiglio di Stato nella sentenza della Sez. III n. 1276 in data 1° marzo 2018: sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a.) le controversie concernenti la determinazione, da parte dell’Amministrazione, del tetto di spesa per le prestazioni erogate dalle strutture private in regime di accreditamento; la determinazione della capacità operativa massima o ancora la suddivisione della spesa tra le attività assistenziali; nonché il sistema di regressione progressiva del rimborso tariffario delle prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo prefissato. Ciò in quanto si tratta di attività tutte inerenti all’esercizio del potere di programmazione sanitaria, di fronte al quale la posizione giuridica soggettiva dell’operatore sanitario assume la consistenza di interesse legittimo (in terminis, Sez. III, n. 7426/2019).
Viceversa, restano devolute alla cognizione del giudice ordinario le sole controversie caratterizzate da un contenuto meramente patrimoniale, relative alla corretta quantificazione dei rapporti di debito e credito tra le parti del rapporto convenzionale di accreditamento, oppure alla contestazione di atti aventi natura essenzialmente paritetica, che non coinvolgano l’accertamento dell’esistenza o del contenuto della concessione, né la verifica dell’azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante.
III – Nel merito, l’appello è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, la convenzione tra la struttura ed il sistema sanitario ha valenza costitutiva e costituisce fonte regolativa del nuovo rapporto, come cristallizzata al momento di riferimento, ossia con rinvio rigido e statico ai contenuti della convenzione medesima. Pertanto, ogni modificazione deve essere preventivamente valutata dall’Amministrazione sanitaria in base al fabbisogno assistenziale, al volume erogabile, alla programmazione di settore, al possesso dei prescritti requisiti e agli oneri finanziari sostenibili; è poi necessario che sia rilasciato il relativo titolo (cfr., Cons. St., Sez. V, 8 marzo 2011 n. 1434; Sez. III, 20 novembre 2012, n. 5875).
IV – Ne discende che l’assegnazione di una diversa capacità operativa non può prescindere dall’esercizio del potere tipico della p.a..
Non pare doversi soffermare sulla disquisizione della discrezionalità tecnica come vincolata o meno, in quanto nella specie, risulta che all’amministrazione competa piuttosto una valutazione c.d. ‘mistà comprendente per un verso un giudizio a seguito dell’accertamento compiuto (sulla capacità della singola struttura), per altro verso la comparazione delle differenti esigenze e dei mezzi per perseguirle nel modo più opportuno per il perseguimento del fine pubblico della tutela della salute sul territorio in ragione della disponibilità finanziaria e della distribuzione dei fabbisogni.
V – Né può ritenersi che l’erogazione ed il pagamento delle prestazioni giustifichino un legittimo affidamento qualora ancora non siano stati effettuati i controlli dall’Amministrazione, sulla determinazione della capacità operativa massima (sul punto cfr. Sez. III, n. 168/2020), che semmai l’inerzia ed i ritardi dell’amministrazione sanitaria possono rilevare ad altri fini in termini di valutazione della performance.
Ciò a maggior ragione, nella considerazione della mancata impugnazione anche del silenzio tenuto dall’Amministrazione e, dunque, della mancata attivazione dalla stessa parte interessata delle tutela predisposte dall’ordinamento.
VI – Ne discende che l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza appellata.
VII – In ragione della soccombenza, la struttura appellante è condannata al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che sono determinate in complessivi euro 3000,00 (tremila/00) da dividersi in parti eguali tra le Amministrazioni costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto – respinto l’appello incidentale – respinge l’appello, e per l’effetto, conferma la sentenza n. 914/2019.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che sono determinate in complessivi euro 3000,00 (tremila/00) da dividersi in parti eguali tra le Amministrazioni costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2020 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply