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La conferenza di servizi
Sulla natura giuridica del verbale conclusivo della conferenza di servizi decisoria (Cons. Stato, sez VI, 9 novembre 2010, n. 7981.)
1. Evoluzione storica ed analisi giuridica dell’istituto della conferenza di servizi.
L’arco temporale intercorrente tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX secolo si caratterizzava per l’esistenza dello Stato liberale di diritto, il cui apparato amministrativo é organizzato in modo centralizzato e verticistico. Tuttavia, una simile impostazione tipicamente stato-centrica non esclude bensì esige l’impiego di strumenti di coordinamento e raccordo tra i soggetti pubblici. Nel corso del tempo, la graduale affermazione del pluralismo sociale produce l’emersione di diverse forme di coordinamento in un sistema concertato in cui lo sviluppo dei modelli consensuali rappresenta la risposta che l’ordinamento giuridico fornisce – per dirla con Bobbio – ad un “mercato di opinioni, idee, interessi in conflitto, cui è necessaria la pratica del compromesso”. Si assiste, pertanto, ad una progressiva rivisitazione dei tradizionali canoni dell’agire amministrativo ed al contestuale superamento del modulo organizzativo gerarchico in quanto, sviluppandosi le relazioni intersoggettive prevalentemente attraverso moduli improntati alla equiordinazione, sempre più spesso il procedimento amministrativo giunge a conclusione attraverso l’esperimento di attività di concertazione, improntate al coordinamento amministrativo. I procedimenti di concertazione possono essere intesi come il luogo della negoziazione degli interessi tra le parti, ove non è il procedimento che modula il negoziato, ma il negoziato che plasma il procedimento[1]. È in questo contesto di esercizio sinergico del potere e di affermazione del principio di negoziabilità della funzione amministrativa che nasce e si sviluppa, dapprima in discipline di settore[2], trovando poi collocazione generale e sistematica nella legge sul procedimento amministrativo[3], l’istituto della conferenza di servizi che offre una risposta di certo inconsueta ai problemi di coordinamento delle azioni amministrative[4]. Dal punto di vista etimologico, il termine conferenza deriva dal latino conferre che significa riunire, portare insieme[5]. Si tratta, in particolare, di un generale strumento di concentrazione, in un unico contesto logico e temporale, delle valutazioni e delle posizioni delle diverse amministrazioni portatrici di pubblici interessi, rilevanti in un dato procedimento amministrativo[6]. La stessa, quindi, può essere definita come luogo istituzionale per il razionale coordinamento degli interessi pubblici[7] e, quindi alla stregua di strumento di attuazione del principio di buon andamento dell’Amministrazione pubblica, ai sensi dell’art. 97 Cost., trattandosi di mezzo di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa[8]. La Consulta[9] ha dato il suo placet all’istituto in esame, ritenuto rispettoso del principio di legalità, limitandosi ad attuare una differente disciplina delle modalità di esercizio del potere e non comportando, almeno nella sua originaria formulazione antecedente alla legge n. 340 del 2000, alcuno spostamento di competenze. È pacifico, infatti, che la conferenza di servizi svolga rilevanti funzioni di semplificazione dell’organizzazione e dell’azione degli apparati pubblici nonché di razionalizzazione e coordinamento delle competenze e dell’esercizio delle funzioni amministrative[10], tanto più se si considera l’azione di congiunzione che la stessa opera nel dispersivo frazionamento delle funzioni ripartite tra organi diversi ed indirizzate, tuttavia, al raggiungimento di obiettivi comuni[11].
La disciplina positiva dell’istituto, sebbene inizialmente contenuta soltanto in leggi speciali, ha acquisito portata generale grazie alla legge sul procedimento amministrativo che ha dettato una prima ed embrionale disciplina in materia di conferenza di servizi, contenuta nell’art. 14 della legge n. 241 del 1990 e successivamente novellata, in particolare, ad opera delle leggi nn. 340 del 2000[12] e 15 del 2005[13] e, da ultimo, delle leggi nn. 69 del 2009[14] e 122 del 2010[15].
La legge ha individuato differenti tipologie di conferenza di servizi. Invero, ai sensi del comma 1 dell’art.14, l’amministrazione procedente indice la conferenza di servizi istruttoria, qualora si renda opportuno effettuare un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. Orbene, nel caso di specie, la decisione finale resta monostrutturata e la partecipazione delle altre amministrazioni alla conferenza fornisce un mero contributo conoscitivo[16]. Invece, ai sensi dell’art. 14 comma 2, la conferenza di servizi decisoria[17] è indetta, dall’amministrazione competente all’adozione del provvedimento finale, al fine di acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi di altre amministrazioni pubbliche richiesti ma non ottenuti[18]. In tal caso, la decisione finale si manifesta come pluristrutturata in quanto ogni amministrazione fornisce un contributo lato sensu decisorio. Il comma 3 dell’art.14 disciplina, poi, la conferenza istruttoria trasversale che può essere convocata per svolgere un esame contestuale degli interessi coinvolti in una pluralità di procedimenti amministrativi connessi riguardanti stesse attività e medesimi risultati e che, pertanto, va ricondotta anche allo schema tipico della conferenza istruttoria. Normativamente prevista è, poi, anche la conferenza di servizi preliminare o preventiva ex art. 14-bis della legge n. 241 del 1990 che risponde all’esigenza, avvertita dal legislatore, di sottoporre alla valutazione preliminare della pubblica amministrazione progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi di beni e servizi, allo scopo di verificare quali siano le condizioni necessarie per ottenere i necessari atti di assenso, una volta presentato il progetto definitivo. La dottrina, ha ipotizzato trattasi di una conferenza pre-decisoria in quanto consente di conoscere in via anticipata a quali condizioni le amministrazioni interessate rilasceranno gli atti di assenso all’esecuzione delle stesse[19]. La legge n. 15 del 2005 intervenuta a novellare l’istituto in esame ha, poi, introdotto una peculiare ipotesi di conferenza di sevizi in materia di finanza di progetto (art. 14-quinquies). Segnatamente, in caso di conferenza di servizi finalizzata all’approvazione del progetto definitivo in relazione all’ applicazione delle procedure disciplinate dall’art. 37-bis della legge n. 109 del 1994[20], devono essere convocati in conferenza, senza diritto di voto, anche i soggetti aggiudicatari della concessione, individuati all’esito della procedura di cui all’art. 37-quater della legge Merloni, nonché le società di progetto ex art. 37-quinques della legge medesima.
In generale, lo svolgimento della conferenza di servizi è disciplinato dall’art. 14-ter della legge sul procedimento amministrativo che, rubricato “Lavori della conferenza di servizi”, provvede a delinearne le fasi principali. Le fasi iniziali del procedimento in materia di conferenza di servizi – indizione e convocazione – pur essendo state talvolta sovrapposte[21], in realtà, conservano una propria autonomia. In particolare, per quanto riguarda l’indizione, la legge n. 15 del 2005 ha introdotto il termine di quindici giorni, prolungabile, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, a trenta giorni, entro il quale va convocata la prima riunione della conferenza a questo punto già indetta. La convocazione[22] della prima riunione deve, poi, pervenire alle amministrazioni interessate anche per via telematica o informatica, almeno cinque giorni prima della relativa data. Successivamente, entro cinque giorni le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data. A tal punto l’amministrazione procedente concorda un’altra data, comunque entro i dieci giorni dalla prima. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine perentorio di novanta giorni previsto per concludere la conferenza, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento[23], dopo aver valutato le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede[24]. Si considera, altresì, acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia definitivamente espresso la volontà dell’amministrazione. Inoltre, ai sensi dell’art. 14-quater, che disciplina gli effetti del dissenso espresso in sede di conferenza di servizi, il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza stessa, a pena di inammissibilità, deve essere espresso, congruamente motivato, pertinente all’oggetto della conferenza medesima e deve, infine, recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso. L’originaria formulazione della norma in esame era basata sul principio di unanimità degli assensi alla decisione finale tanto che la conferenza veniva paralizzata, sia in caso di mancata partecipazione di una pubblica amministrazione necessaria, sia nell’ipotesi di dissenso manifestato in seno alla conferenza da parte di una pubblica amministrazione intervenuta. La legge n. 537 del 1993 ha previsto che, in caso di dissenso di un’amministrazione intervenuta, il provvedimento poteva essere comunque adottato con l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, sollecitato dall’amministrazione procedente. Successivamente la legge n. 127 del 1997 attribuì all’amministrazione precedente il potere di adottare la statuizione finale nonostante il contrario avviso espresso in seno alla conferenza, a patto che detto provvedimento venisse comunicato, alternativamente, al Presidente del Consiglio dei ministri, alla Regione o al sindaco, comunque previa deliberazione dei rispettivi organi consiliari. La novella del 2000 (l. 340), poi, propose uno strumento più radicale di elisione dei dissensi maturati in conferenza, sostituendo il meccanismo attestato sul binomio adozione del provvedimento-potere di sospensione con un più lineare meccanismo che abilitava l’amministrazione procedente, ove l’avesse ritenuto opportuno, a recepire la posizione maggioritaria espressa in sede di conferenza. Infine, il legislatore con la riforma n. 15 del 2005 ha stemperato il rigore della regola maggioritaria introducendo il concetto delle “posizioni prevalenti”. Orbene, il criterio ordinario adottato per assumere le decisioni finali diventa quello della prevalenza in base al quale, se i consensi risultano prevalenti, i dissensi sono considerati tamquam non esset e sono superabili dall’amministrazione procedente nell’esercizio del proprio potere sostitutivo purché adeguatamente motivati[25]. In particolare, la novella da ultimo richiamata, abrogando il comma 2 dell’art. 14-quater, ha eliminato la possibilità per la conferenza di adottare autonomamente la determinazione conclusiva del procedimento prescindendo dal dissenso di una o più amministrazioni in posizione minoritaria.
Peraltro, tutte le tipologie di conferenza di servizi in apertura prospettate sono legate dal comune denominatore della genericità della denominazione prescelta dal legislatore per identificare l’istituto e ciò ha innescato un diffuso dibattito anzitutto per tentare di coglierne l’esatta natura giuridica[26]. In particolare, con riferimento alla conferenza di servizi decisoria, si discute se si tratti di organo collegiale, inteso quale autonomo centro di imputazione di carattere straordinario, ovvero di un semplice modulo organizzativo-provvedimentale a carattere non individuale. Il corretto inquadramento dell’istituto genera risvolti pratici rilevanti. Invero, coloro che qualificano la conferenza di servizi come organo amministrativo collegiale, distinto dalle singole amministrazioni partecipanti, ritengono che il provvedimento adottato in sede di conferenza di servizi vada imputato solo a quest’ultima che, in qualità di organo autonomo, acquisisce altresì legittimazione passiva autonoma in sede processuale[27]. Altra opzione ermeneutica[28], di certo più diffusa, qualifica la conferenza di servizi come mero modulo procedimentale[29], limitato a produrre un’accelerazione dei tempi del procedimento e ad operare un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti, mediante il coordinamento tra le singole autorità amministrative, che per ciò solo mantengono la loro autonomia di singoli centri di imputazione[30]. Tale ultimo orientamento è stato avallato anche dalla Corte costituzionale che, nelle sue argomentazioni, ha evidenziato la funzione di raccordo tra le varie amministrazioni operata dalla stessa conferenza, che realizzerebbe così il “giusto contemperamento fra la necessità della concentrazione delle funzioni in un’istanza unitaria e le esigenze connesse alla distribuzione delle competenze fra gli altri enti che vi partecipano”[31].
Altro aspetto problematico riguarda la possibilità per i privati di partecipare alla conferenza di servizi. La terminologia utilizzata dal legislatore sembra precludere tale possibilità discorrendo all’art. 14 di “interessi pubblici”. L’orientamento prevalente[32], in linea con questa impostazione, nega tale eventualità ritenendo che le conferenza, realizzando un confronto contestuale tra interessi pubblici escluderebbe per ciò solo che di questi interessi possano farsi portatori soggetti privati. Pur accogliendo una simile ricostruzione non si può trascurare che in ogni caso l’intervento partecipativo del privato non può essere escluso in toto, in quanto comunque sarebbe ammesso almeno in una fase antecedente ai lavori della conferenza, id est nella fase di acquisizione degli elementi di fatto e degli interessi[33]. Peraltro, tale chiusura sarebbe contrastata da coloro i quali, in posizione minoritaria, ammettono la partecipazione dei privati alla conferenza di servizi, palesando la necessità che in tale sede abbia luogo un esame contestuale e soprattutto completo degli interessi. Tale perciò non sarebbe quella valutazione comparativa che trascurerebbe l’apporto collaborativo o anche solo chiarificatore dei soggetti privati. Giova altresì sottolineare che il legislatore in alcuni casi ha apertis verbis riconosciuto ai privati tale facoltà di partecipazione ai lavori della conferenza. In particolare, l’art. 14-quinques, della legge n. 241 del 1990, consente ai concessionari ed alle società di progetto coinvolte nelle procedure di project financing di partecipare senza diritto di voto alla conferenza di servizi diretta all’approvazione del progetto definitivo. Inotre, l’art. 143 del Codice dei contratti pubblici dispone che il concessionario partecipa alla conferenza di servizi finalizzata all’esame e all’approvazione di progetti di loro competenza, senza diritto di voto. Non da ultimo, si rende manifesto che già il comma 5 dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990 prevede che la conferenza di servizi possa essere convocata anche dal concessionario, con il consenso del concedente, al quale spetta in ogni caso il diritto di voto. A ciò si aggiungono le novità introdotte dal legislatore nel 2009[34] che ai commi 2-bis e 2-ter dell’art. 14-ter della legge sul procedimento contempla tale possibile di partecipazione. In particolare, è prevista la partecipazione alla conferenza di servizi, senza diritto di voto, dei soggetti proponenti il progetto dedotto in conferenza nonché dei concessionari e dei gestori di pubblici servizi, nel caso in cui il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in conferenza richiedano loro adempimenti ovvero incidano direttamente sulla loro attività. La semplice partecipazione senza diritto di voto, tuttavia, si limita a fornire un contributo collaborativo e chiarificatore, risolvendosi in una mera audizione in cui i soggetti coinvolti al più potranno esprimere gli interessi di cui sono portatori. Si segnala altresì, a livello giurisprudenziale, una recente ricostruzione ermeneutica volta ad ammettere la partecipazione dei privati toccati dagli effetti dell’azione amministrativa, delegando alle amministrazioni procedenti l’onere di individuare i relativi tempi e modi[35].
2. Aspetti innovativi in materia di conferenza di servizi introdotti dalla Legge n. 122 del 2010
L’art. 49 del D. L. 31 maggio 2010, n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito in legge n. 122, del 30 luglio 2010, contiene una serie di modifiche alla legge sul procedimento amministrativo concernenti anche, ed in particolare, la disciplina della conferenza di servizi. La legge, oltre ad incidere sulla disciplina generale dettata dalle disposizioni contenute nella legge n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi, accoglie in gran parte le richieste formulate dall’ANCE[36] e finalizzate soprattutto ad accelerare le procedure per le aree e gli immobili soggetti a tutela[37]. Nel dettaglio, la legge in esame, è intervenuta a modificare, nella materia de qua, l’attivazione della conferenza di servizi (art. 14 legge n. 241 del 1990), i lavori della conferenza (art. 14-ter), la disciplina del dissenso (art. 14-quater) nonché il suo ambito di applicazione (art. 29). Con riferimento alla conferenza istruttoria, le modifiche apportate all’art. 14 riguardano, nello specifico, il comma 1, che, nella sua versione novellata, prevede che l’amministrazione procedente possa indire e non più indice “di regola”, la conferenza medesima. La sostituzione operata dal legislatore nel 2010 della locuzione dal significato non univoco “di regola”, con quella “può indire” ha decretato la fine del dibattito circa il carattere obbligatorio o meno da attribuire all’indizione della conferenza di servizi istruttoria. A ben vedere, antecedentemente alla novella del 2010, l’utilizzo della locuzione “di regola” aveva animato un vivo dibattito. In particolare, l’opzione ermeneutica prevalente predicava il carattere facoltativo dell’indizione della conferenza istruttoria rimettendo, essenzialmente, alla discrezionalità della pubblica amministrazione la decisione in ordine alla convocazione della stessa, di contro ad altre tipologie di conferenza di servizi cui la legge riconoscerebbe all’indizione la qualifica di atto dovuto. Una simile impostazione sembrerebbe in linea con la nuova configurazione attribuita apertis verbis dal legislatore del 2010 all’ indizione della conferenza di servizi istruttoria la cui scelta è rimessa ope legis alla discrezionalità della pubblica amministrazione. L’obbligatorietà è invece mantenuta per la conferenza di servizi decisoria, in quanto il legislatore ha lasciato inalterata la previsione contenuta nella prima parte del comma 2 dell’art. 14. Tale disposizione resta sostanzialmente inalterata successivamente all’intervento del legislatore del 2010 che si limita unicamente a corredare il comma 2 di una ulteriore previsione. In particolare, il novellato comma 2 dispone che la conferenza di servizi decisoria possa essere indetta quando nel termine di trenta giorni sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate ovvero, e in ciò si coglie la novità, nei casi in cui sia consentito all’amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle pubbliche amministrazioni competenti.
La novella in esame interviene, poi, in maniera profonda sulla norma di cui all’art. 14-ter, recante la disciplina dei lavori della conferenza. In particolare, al comma 2, viene previsto, riguardo alla convocazione della stessa, un rinvio, massimo di 15 giorni, della data della nuova riunione della conferenza, nel caso in cui la richiesta provenga da una autorità preposta alla tutela del patrimonio culturale. Viene, poi, introdotto un nuovo comma 3-bis a norma del quale il Soprintendente, in caso di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza, ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004.
Per quanto riguarda il procedimento in materia di VIA, VAS e AIA[38] molteplici sono state le novità apportate dalla legge di riforma. In realtà in questi casi era già prevista una disciplina speciale. In particolare, è già noto che, nei casi in cui sia richiesta una valutazione di impatto ambientale, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine per la conclusione dei lavori resta sospeso per un massimo di novanta giorni, fino alla acquisizione della pronuncia di compatibilità ambientale. Qualora la valutazione non intervenga nel termine previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei successivi trenta giorni, prorogabili di altri trenta nel caso che si appalesi la necessità di svolgere approfondimenti istruttori. In sede di riforma, poi, la novella del 2010 ha introdotto un nuovo comma 4-bis il quale prevede che, al fine di accelerare il rilascio degli assensi da parte delle amministrazioni coinvolte e di evitare la duplicazione di valutazioni già effettuate in sede di VAS, che i risultati e le prescrizioni conseguiti nell’ambito della VAS debbano essere utilizzati, senza modificazioni, ai fini della VIA, qualora effettuata dalla medesima autorità competente ad effettuare la VAS. Peraltro, vengono integralmente sostituiti i commi 6-bis e 7. In particolare, il novellato comma 6-bis dispone che, terminati i lavori della conferenza l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il Consiglio dei Ministri, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006[39]. Invece, in tutti gli altri casi, valutate le risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti che sono state espresse, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, sostitutiva di tutte le autorizzazioni necessarie per il progetto. Inoltre, la versione novellata del comma 7 della norma in esame, con riferimento al silenzio-assenso, prevede che è considerato acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità e alla tutela ambientale, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata. Tuttavia, ai sensi della norma de qua, tale meccanismo del silenzio assenso non opererebbe per i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, paesaggistico-territoriale.
Con le modifiche apportate all’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, mediante l’intervento legislativo del 2005 e poi, da ultimo, con la legge n. 11 del 2010 è stata risolta anche la questione relativa al rilievo da attribuire alle opinioni dissenzienti quando non si raggiunga l’unanimità. Invero, si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia definitivamente espresso la volontà dell’amministrazione rappresentata. Inoltre, a tenore della norma in esame, conclusi i lavori della conferenza ovvero scaduto il termine entro il quale avrebbero dovuto concludersi, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, alla quale si uniformerà l’atto finale, previa valutazione delle risultanze della conferenza e considerate le posizioni prevalenti ivi espresse. Ciò posto, è evidente che dei dissensi si dovrà tener conto come risultanze della conferenza ma, gli stessi, non potranno negare l’eventuale assunzione di una decisione conforme alle posizioni prevalenti. Orbene, ai pareri, ai nullaosta nonchè agli assensi delle amministrazioni, diverse da quella competente a prendere la decisione finale, sarebbe attribuita, in sostanza, la diversa natura di atti consultivi[40].
Infine, l’ intervento di modifica operato dal legislatore nel 2010 ha inciso anche sulla disposizione contenuta nell’art. 14-quater della legge sul procedimento amministrativo, relativamente agli effetti del dissenso espresso in sede di conferenza di servizi. Più in particolare, viene previsto un unico comma 3, in sostituzione dei commi 3, 3bis, 3ter, 3quater e 3quinques, a tenore del quale è rimessa all’esame del Consiglio dei Ministri la maggior parte dei casi di motivato dissenso, escluse le ipotesi di cui all’art. 117, comma8, Cost.[41], di specifici procedimenti disciplinati nel Codice dei contratti pubblici[42] nonché di localizzazione di opere di interesse statale.
Da ultimo va evidenziato come, in virtù della modifica della norma di cui all’art. 29 della L. n. 241 del 1990 relativa all’ambito di applicazione della stessa legge, le norme che disciplinano la conferenza di servizi vengono inserite tra i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma2, lett. m) della Costituzione (una materia di legislazione esclusiva dello Stato).
3. La natura giuridica del verbale conclusivo della conferenza di servizi decisoria: Cons. St., sez VI, 9 novembre 2010, n. 7981
Risalente nel tempo è il dibattito circa la natura da attribuire agli atti conclusivi della conferenza di servizi. Orbene, ripercorrendo progressivamente le tappe di un dibattito di certo non nuovo ma ancora molto attuale, è interessante osservare il percorso seguito dalla giurisprudenza.
Parte della giurisprudenza di merito[43], ha ritenuto che il verbale conclusivo della conferenza di servizi avesse natura meramente documentale, essendo lo stesso volto a fornire essenzialmente il resoconto di tutti gli elementi rilevanti in sede di conferenza e, in particolare, dei soggetti chiamati a partecipare alla conferenza, dell’attività svolta nonché degli atti che in essa sono stati acquisiti. Un simile inquadramento muove dalla considerazioneche la raccolta di tutti gli atti previsti nella conferenza, quali gli assensi, le autorizzazioni, i pareri, i nulla-osta, che conservano pur sempre la loro individualità, deve essere testimoniata esternamente in un atto che consenta di operare una ricognizione di tutti gli elementi necessari a far considerare conclusa la conferenza, in termini di raggiungimento del risultato prefigurato. In linea con tale impostazione, il verbale rappresenterebbe la mera “narrazione dei fatti nei quali si concreta la storicità dell’azione”[44] che ricondurrebbero agli atti da contestare o impugnare in sede di legittimità. Tuttavia, va soggiunto che il soggetto procedente ha comunque la possibilità di inserire il provvedimento, conforme ai lavori della conferenza, in calce al verbale. In tal caso, i due atti risulterebbero inseriti nel medesimo contesto ma pur sempre differenti sul piano logico-giuridico. Una simile eventualità potrebbe indurre ad avallare la tesi che qualifica la conferenza di servizi come accordo amministrativo in cui il verbale assume, pertanto, un rilievo giuridico maggiore tale da consentirgli di essere sottoposto a diretta ed autonoma impugnativa[45]. Questa impostazione è stata confermata anche da alcuni arresti[46] intervenuti successivamente che hanno avallato il carattere meramente ricognitivo, e non anche costitutivo-provvedimentale, dell’atto medesimo[47].
Altra tesi ermeneutica[48], pur muovendo da una simile ricostruzione, si mostra più propensa ad operare una valutazione caso per caso ed in concreto del contenuto e della volontà del verbale medesimo. In linea generale, tale orientamento, improntato certamente ad una impostazione meno rigida, si mostra favorevole ad una ricostruzione dell’atto de quo in termini non già e non solo meramente riepilogativa, sub specie di elenco, bensì costitutiva delle determinazioni conclusive del procedimento, risultando emblematico il tal senso proprio il contenuto precettivo della norma di cui all’art. 14-ter comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990[49], relativa alla fase conclusiva della conferenza di servizi.
È evidente come tale dibattito rivesta ancora una certa attualità anche tenuto conto di quanto di recente affermato dal Consiglio di Stato. A ben vedere, il Supremo consesso della giustizia amministrativa, con decisione n. 7981 del 9 novembre 2010, attribuisce al verbale di conclusione della conferenza di servizi natura meramente endoprocedimentale, facendo proprie le conclusioni cui precedentemente era già pervenuto nel 2008[50] che aveva rilevato l’esistenza di uno “iato sistematico fra la determinazione conclusiva della conferenza (anche se di tipo decisorio) ed il successivo provvedimento finale”. Questa giurisprudenza aveva altresì riconosciuto al provvedimento finale una valenza effettivamente determinativa della fattispecie, implicante il sorgere dell’onere di immediata impugnativa, e alla determinazione conclusiva carattere meramente endoprocedimentale. Il Supremo consesso nel 2010 recepisce questa ricostruzione adducendo, a riprova della correttezza di una simile impostazione, le stesse argomentazioni fornite dal Consiglio di Stato nel 2008. In particolare, si rileva l’abrogazione, operata con legge n. 340 del 2000, della prescrizione contenuta nel comma 2 dell’art. 14-quater circa il carattere immediatamente esecutivo della determinazione conclusiva dei lavori della conferenza di servizi. Si considera, inoltre, l’espressa abrogazione del contenuto dispositivo di cui al comma 7 dell’art. 14-ter che consentiva alle amministrazioni dissenzienti di impugnare in via diretta ed immediata la determinazione conclusiva della conferenza di servizi, ad opera della novella n. 15 del 2005. Si adduce, quale ulteriore argomento, la circostanza che, sebbene risulti evidente che il sistema introdotto dal legislatore nel 2005 sia tendenzialmente ispirato ad una logica deflattiva volta ad anticipare già al momento della conclusione dei lavori della conferenza la palese espressione della volontà da parte delle amministrazioni partecipanti[51] tuttavia, “ciò non può indurre a ritenere che tali esigenze di semplificazione e concentrazione comportino anche la dequotazione sistematica delle ragioni sottese alla distinzione tra il momento conclusivo dei lavori della conferenza ed il successivo momento provvedimentale”[52]. Questa giurisprudenza osserva, altresì, che la scelta del legislatore di lasciare inalterata tale struttura bifasica sia espressione della convinzione che il provvedimento finale costituisca non già e semplicemente un mero momento riepilogativo delle determinazioni assunte in sede di conferenza ma rappresenti un vero e proprio momento costitutivo delle determinazioni conclusive del procedimento. La dicotomia esistente tra i due momenti, nell’ottica di questa giurisprudenza amministrativa, è espressione dell’intenzione del legislatore di garantire che il cittadino, interessato alla procedura espletata in sede di conferenza di servizi, abbia come proprio unico interlocutore il responsabile del procedimento e non un plesso distinto quale potrebbe essere quello in cui, di concerto, le amministrazioni consumano i primi processi decisionali. Peraltro, la scelta di concludere la complessiva vicenda procedimentale propria della conferenza di servizi mediante un provvedimento espresso sarebbe espressione della volontà di lasciare inalterato il complessivo sistema di garanzie recepite nel novellato Capo IV-bis della legge n. 241 del 1990, in riferimento all’onere di comunicazione, all’acquisto di efficacia nonché, sussistendone le condizioni, al carattere esecutorio del provvedimento[53]. A corredo di una simile impostazione il Consiglio di Stato nel 2010 ha posto la considerazione che, sebbene nella specifica vicenda di causa, al verbale impugnato, vale a dire alla determinazione conclusiva della conferenza, non abbia fatto seguito alcun intervento attuativo a carattere provvedimentale tuttavia, allo stesso, non può disconoscersi la natura di provvedimento qualora, in determinate circostanze, l’amministrazione, con il suo comportamento complessivo gli attribuisca l’efficacia propria dell’atto conclusivo del procedimento. Tuttavia, osserva il Supremo Consesso, nella specie tale circostanza non assumerebbe comunque rilievo in ragione del valore endoprocedimentale attribuito al verbale impugnato cui l’amministrazione, coerentemente, omette di dare esecuzione in mancanza dell’atto di recepimento. Ciò posto, questa giurisprudenza, espressione di un granitico e consolidato orientamento, attribuisce al verbale conclusivo della conferenza carattere non provvedimentale inidoneo, pertanto, ad incidere sugli altrui interessi.
dott.ssa Maria Altavilla
Articolo già pubblicato sulla rivista giuridica Nel Diritto n. 2/2011, la cui direzione scientifica è di G. Alpa, G. Fiandaca, R. Garofoli, F.G. Scoca.
Per gentile concessione della Nel Diritto SRL
[1] CASSESE, L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 2002, 648.
[2] Legge istitutiva dell’Enel, n. 1643 del 1962; in materia urbanistica, l’art. 81 della Legge n. 616 del 1977, poi abrogato dall’art. 4, d. P. R. n. 383 del 1994; Legge sullo smaltimento di rifiuti, n. 441 del 1987; Legge sui mondiali di calcio, n. 205 del 1989.
[3] Legge 7 agosto 1990, n. 241.
[4] SCOCA, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Riv. Di Dir. Amm., Giuffrè editore, Milano, n. 1 del 2009, 257.
[5] Pertanto, la conferenza di servizi rappresenterebbe quel modulo procedimentale con cui si ottiene il coordinamento e la contestuale valutazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti in un determinato procedimento attraverso la trattazione contemporanea di uno stesso affare da parte di una pluralità di soggetti pubblici. Cfr. CIAGLIA, La nuova disciplina della conferenza di servizi, in www.giustamm.it.
[6] GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, I memo-manuali, Roma-Molfetta, 2009, 253.
[7] Questo perché il procedimento amministrativo può coinvolgere non soltanto un interesse privato e un interesse pubblico ma anche una pluralità di interessi pubblici. Cfr. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, IV ed., Giappichelli, Torino, 2008, 236.
[8] Soprattutto se si considera che l’art. 14 della legge sul procedimento amministrativo, che disciplina la conferenza di servizi, è inserito nel capo IV della legge n. 241 del 1990 che, agli artt. 14-21, contiene una serie di disposizioni dirette allo snellimento dell’azione amministrativa. In particolare, l’art. 14 relativo alla conferenza di servizi, l’art. 15 che disciplina gli accordi tra amministrazioni pubbliche, gli artt. 16 e 17 sul silenzio facoltativo e devolutivo, l’art. 18 in materia di autocertificazione, l’art. 19 in tema di dichiarazione di inizio attività e l’art. 20 relativo al silenzio-assenso.
[9] Cfr. Corte Costituzionale, 19 marzo 1996, n. 79, in Foro It., 1996, I, col. 1939.
[10] Quest’ultima funzione assume un evidente rilievo pratico soprattutto se si considera che, qualora ogni ufficio decidesse autonomamente, potrebbe frequentemente scaturirne la paralisi del procedimento.
[11] GALLI, Corso di diritto amministrativo, IV edizione, volume secondo, Cedam, Padova, 2004, 732.
[12] Legge 24 novembre 2000, n. 340 (Legge di semplificazione amministrativa) che ha provveduto a riscrivere in maniera globale l’istituto della conferenza di servizi.
[13] Legge 11 febbraio 2005, n. 15 che ha apportato rilevanti novità alla legge sul procedimento amministrativo con particolare riguardo alla conferenza di servizi decisoria.
[14] Legge 18 giugno 2009, n. 69 che ha innovato l’istituto della conferenza di servizi sotto due profili fondamentali. In particolare, la convocazione della prima riunione della conferenza di servizi può svolgersi per via telematica, anche mediante l’utilizzo di collegamenti con altre pubbliche amministrazioni mediante webcam, con la semplice menzione degli avvisi di convocazione di tutto ciò che riguarda gli eventuali collegamenti da effettuare e le relative modalità. Inoltre, alla prima riunione della conferenza di servizi è stata prevista la possibilità di invitare a partecipare una serie di soggetti senza diritto di voto. Si tratta dei soggetti proponenti il progetto dell’opera che deve essere approvata della conferenza, dei concessionari e dei gestori di pubblici servizi nonché delle amministrazioni competenti relativamente alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazioni.
[15] Legge 30 luglio 2010, n. 122, la quale ha innovato le norme della legge sul procedimento amministrativo, emanate in tema di conferenza di servizi, relativamente all’attivazione e ai lavori della conferenza, alla disciplina del dissenso nonché all’ambito di applicazione.
[16] A titolo di esempio, può citarsi il caso di una conferenza di servizi funzionale alla stipula di un accordo tra pubbliche amministrazioni come nel caso della stipula di un accordo di programma, ai sensi dell’art. 34 del TUEL.
[17] Una species del genus conferenza di servizi decisoria è prevista dal comma 4 dell’art. 14. Si tratta di una tipologia di conferenza caratterizzata dall’avvio riservato al privato, che può chiederne l’indizione quando ha bisogno che il provvedimento finale sia preceduto da più assensi che, così, vengono acquisiti in un’unica sede.
[18] GAROFOLI, op.cit., 254
[19] CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, II edizione, Giuffrè, Milano, 2007, 1056.
[20] Meglio nota come Legge Merloni.
[21] In realtà, il legislatore aveva attribuito rilevanza al solo momento dell’indizione e ciò comportava che anche quando la conferenza fosse stata indetta, concretamente, il vero momento di convocazione slittava inesorabilmente.
[22] La legge 18 giugno 2009, n. 69, di riforma del procedimento amministrativo, ha previsto che la convocazione della prima riunione possa svolgersi per via telematica, anche mediante l’utilizzo di webcam, con la mera menzione negli avvisi di convocazione degli opportuni riferimenti circa i collegamenti eventuali da effettuarsi e le relative modalità.
[23] In relazione alla quale è emerso un dibattito che ne ha investito la natura. In particolare, è stata trascurata l’opzione che attribuiva alla decisione finale natura di atto collegiale, in quanto una simile ricostruzione non sarebbe valida dal punto di vista organizzativo, decisorio nonché provvedimentale. In effetti, proprio il sintagma “determinazione concordata” evocherebbe più l’idea di accordo tra le amministrazioni che la manifestazione di volontà collegiale. Ne è riprova il contenuto dispositivo dell’art. 15 della legge sul procedimento amministrativo dal quale si evincerebbe che l’accordo rappresenta il normale esito delle conferenze di servizi. Tuttavia, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel 1987 ha diversamente interpretato il significato proprio dell’art. 15 che andrebbe inteso nel senso che gli accordi amministrativi possono essere conclusi anche mediante conferenze di servizi. Orbene, anche se le conferenze di servizi possono essere utilizzate per concludere accordi non è detto che dalle stesse debba necessariamente scaturire un accordo. Autorevole dottrina, pertanto, attribuisce alla determinazione concordata natura di atto contestuale e plurimo in cui ciascuna manifestazione di volontà conserva la propria identità e autonomia cfr. GALLI, Corso di diritto amministrativo (aggiornamento alla IV ed.), Cedam, 23-24.
[24] Ex art. 14-ter comma 6-bis della legge n. 241 del 1990.
[25] GAROFOLI, op.cit.
[26] SCOCA, op. cit., 255.
[27] Si tratta di una giurisprudenza isolata alla quale non hanno fatto seguito ulteriori pareri conformi. Cfr. Tar Liguria, sez. I, 28 settembre 2002, n. 983, in Foro amm., 2002, 3152.
[28] Ex plurimis: Corte cost. 8 febbraio 1996, n. 79; Cons. St., sez IV, 8 maggio 2007, n. 2107; Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 24 febbraio 2006, n. 200.
[29]Cons. St., sez. VI, 9 luglio 1999, n. 1193, in linea con tale impostazione, ha risolto la questione della natura giuridica affermando che la conferenza di servizi è solo un modulo procedimentale e non costituisce anche un ufficio speciale della pubblica amministrazione autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano. Peraltro, l’assenza di una legittimazione processuale passiva impone che, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, le notifiche del ricorso vengano effettuate nei confronti di quei soggetti che hanno manifestato la propria volontà in seno alla conferenza. Questo indirizzo è stato, poi, confermato anche dalla giurisprudenza più recente. Cfr. Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2003, n. 349, in www.giustamm.it.
[30] GAROFOLI-FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, II edizione, Nel Diritto editore, Roma, 2009, 797.
[31] Corte Cost. 28 luglio 1993, n. 348.
[32] Propugnato, in particolare, da SCOCA.
[33] Infatti, anche se in linea con la funzione svolta dalla conferenza di servizi, la stessa, fosse aperta soltanto ai portatori di interessi pubblici comunque nella loro valutazione comparativa non potrebbero essere esclusi gli interessi privati individuali e collettivi. Quindi, benché i portatori di interessi privati non siano legittimati a partecipare alla conferenza, gli stessi hanno comunque la possibilità di rappresentare, documentare e sostenere i loro interessi prima che la conferenza sia indetta perciò prima dell’inizio dei lavori della conferenza. Pertanto, la conferenza non sostituisce di per sé il procedimento, bensì si colloca all’interno dello stesso e, precisamente, dopo l’esaurimento della fase della partecipazione cfr. SCOCA, op. cit., 266.
[34] Con legge 18 giugno 2009, n. 69.
[35] Cons. St., sez VI, 5 dicembre 2007, n. 6183.
[36] Associazione nazionale costruttori edili.
[37] In particolare, si segnalano: la previsione che in caso di opera o attività soggetta ad autorizzazione paesaggistica il Soprintentende si esprima in via definitiva nell’ambito della conferenza di servizi in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza, l’estensione della regola in base alla quale si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata in sede di conferenza di servizi anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute e dell’incolumità pubblica, con esclusione dei provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, l’ estensione del motivato dissenso e delle modifiche progettuali per conseguire l’assenso anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute e dell’incolumità pubblica, la previsione con cui si stabilisce che la mancata partecipazione o la ritardata conclusione della conferenza di servizi è valutata ai fini della responsabilità disciplinare amministrativa anche ai fini della retribuzione di risultato, salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dall’ inosservanza del termine di conclusione del procedimento.
[38] Rispettivamente: valutazione dell’impatto ambientale, valutazione ambientale strategica e autorizzazione integrata ambientale.
[39] Recante” norme in materia ambientale”.
[40] SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche: una introduzione, Il Mulino, Bologna, 2010, 394-395.
[41] Norma che si riferisce, in particolare, alle intese tra le Regioni.
[42] Contenuto nel D.Lgs. n. 163 del 2006.
[43] Tar Lazio, sez. I, n. 1787 del 1993.
[44] CIMELLARO-FERRUTI, Gli accordi di programma e la conferenza di servizi, Maggioli editore, 2007, 105.
[45] Cons. Giust. Amm. Reg. Sic, 29 gennaio 2007, n. 9.
[46] Cons. St., sez VI, 1 luglio 2003, n. 5708; Tar Toscana decisioni nn. 4274 del 2006 e 758 del 2007.
[47] In particolare, si faceva leva sul contenuto precettivo della norma di cui all’art. 14-quater, comma 2 – nel testo introdotto dalla legge n. 340 del 2000 – che, nel disciplinare il dissenso espresso in sede di conferenza, prevedeva apertis verbis che la determinazione conclusiva avesse un carattere immediatamente esecutivo. Altro argomento si fondava sulla previsione di cui al comma 7 dell’art. 14-ter, novellato nel 2000, a tenore del quale la determinazione conclusiva era immediatamente impugnabile da parte dell’amministrazione dissenziente. Si adduceva, infine, come ulteriore motivazione, quanto previsto dal comma 9 dell’art. 14-ter in base al quale il provvedimento finale non poteva che avere un contenuto conforme rispetto a quello proprio della determinazione conclusiva. Da ciò deriverebbe, altresì, che il contenuto precettivo di quanto stabilito in sede di conferenza, la relativa valenza lesiva nonché il correlato onere d’impugnativa andrebbero anticipati al momento dell’adozione della predetta determinazione finale.
[48] Tar Catania decisione n. 1254 del 2007.
[49] Oggi così sostituito dall’art. 49, comma 2, della legge n. 122 del 2010: “All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 26, comma2, del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli affetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza. La mancata partecipazione alla conferenza di servizi ovvero la ritardata o mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento sono valutate ai fini della responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonché ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato. Resta salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dalla mancata osservanza del termine di conclusione del procedimento ai sensi degli articoli 2 e 2-bis”.
[50] Cons. St., sez VI, 11 novembre 2008, n. 5620.
[51] In particolare, mediante l’abrogazione del meccanismo del “dissenso postumo” e la possibilità ad esso connaturata di ribaltamenti di posizioni tra il tempo di emanazione della determinazione conclusiva e il provvedimento finale.
[52] Cons. St. decisioni nn. 5620 del 2008 e n. 7981 del 2010.
[53] Secondo l’avviso espresso dai giudici di Palazzo Spada del 2008, quand’anche si volesse aderire alla tesi, precedentemente prospettata, secondo cui occorrerebbe un’indagine da condurre caso per caso per vagliare il carattere immediatamente lesivo o meno delle determinazioni conclusive della conferenza. Tuttavia, le conclusioni cui si è pervenuti non sarebbero revocate in dubbio.
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