Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 dicembre 2022| n. 35789.

Intermediazione finanziaria e l’investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato

In tema di intermediazione finanziaria, gli obblighi sanciti “ratione temporis” dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dall’art. 28, commi 1 e 2, del Reg. Consob n. 11522 del 1998, non vengono meno nei confronti dell’investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato, risultanti dalla sua condotta pregressa, seguitando a rispondere l’obbligo informativo all’obiettivo del riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore medesimo, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole.

Ordinanza|6 dicembre 2022| n. 35789. Intermediazione finanziaria e l’investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato

Data udienza 3 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Intermediazione finanziaria – Bond argentini – Danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale – Debito non di valuta ma di valore – Risarcimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 8331/2018 r.g. proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., (incorporante la (OMISSIS) s.p.a.), con sede in (OMISSIS), in persona del procuratore speciale Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio elettivamente domicilia in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), procuratore di se’ stesso ex articolo 86 c.p.c., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza, n. cronol. 146/2017, della CORTE DI APPELLO di BRESCIA depositata il giorno 01/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 03/11/2022 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 2, (OMISSIS) e (OMISSIS) citarono la (OMISSIS) s.p.a. innanzi al Tribunale di Bergamo per sentire accertare e dichiarare la nullita’, ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, del contratto di acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) ivi specificamente indicate, o, in subordine, per ottenerne l’annullamento, giusta gli articoli 1429 e 1439 c.c., altresi’ chiedendo la condanna della banca al pagamento di Euro 758.000,00, oltre interessi dalla data dei singoli versamenti alla restituzione, ex articolo 2033 c.c., previa restituzione, da parte loro, delle obbligazioni predette. Dedussero la violazione, da parte della convenuta, degli obblighi informativi previsti dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (cd. TUF) e dal Regolamento Consob n. 11522 dell’1 luglio 1998 (cd. Regolamento Intermediari), contestando, in sintesi: a) di non aver mai ricevuto, nel contesto dei rapporti intrattenuti con la banca, e tanto meno sottoscritto, il documento informativo sui rischi in investimenti in prodotti finanziari, cosi’ come previsto dall’indicato Regolamento; b) di essere stati sollecitati dai funzionari della banca all’acquisto delle menzionate obbligazioni; c) di avere ricevuto indicazioni fuorvianti sulla tipologia, sulla sicurezza e addirittura su asserite garanzie di terzi in ordine a detto sollecitato investimento; d) di non avere avuto, conseguentemente, alcuna informazione sulla rischiosita’ e/o inadeguatezza dell’investimento reiteratamente effettuato e che aveva quasi tutto il patrimonio dell’Avv. (OMISSIS); e) di non avere avuto indicazioni in ordine al fatto se la banca avesse venduto titoli propri in contropartita diretta o avesse intermediato l’acquisto di titoli di terzi.
1.1. La (OMISSIS), costituendosi in giudizio, eccepi’, pregiudizialmente, l’incompetenza territoriale dell’adito tribunale in favore di quello di Milano, citta’ di residenza degli attori, invocando la competenza funzionale del Foro del consumatore. Nel merito, contesto’ le avverse pretese e rilevo’ che: i) i (OMISSIS), il 22 gennaio 1992, avevano sottoscritto con la banca un contratto di negoziazione in strumenti finanziari, con autonomia dei clienti nella scelta delle operazioni di investimento, non quindi un contratto di gestione individuale del portafoglio, ovvero un contratto di consulenza in strumenti; ii) la considerevole somma di Euro 758.000,00 da loro investita in obbligazioni (OMISSIS), mediante quattro operazioni, denotava il gradimento dei titoli obbligazionari e la propensione al rischio degli investitori, posto che, nel corso del rapporto di negoziazione, essi, prima di acquistare i titoli in contestazione, avevano investito in altri strumenti finanziari parimenti speculativi, per importi ugualmente ingenti; iii) nell’esecuzione delle operazioni riguardanti le citate obbligazioni (OMISSIS), la banca aveva eseguitogli ordini (peraltro mai contestati o disconosciuti) ad essa impartiti da (OMISSIS), il quale aveva ricevuto tutte le informazioni idonee per valutare la natura e la rischiosita’ dell’investimento.
1.2. A fronte delle descritte deduzioni della convenuta, gli attori le notificarono una memoria di replica del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 6, chiedendo dichiararsi la nullita’ del contratto di negoziazione predetto a decorrere dal 30 giugno 1998 ed accertarsi la responsabilita’ professionale della banca per tutti i danni cagionatigli con conseguente condanna al risarcimento dei danni per responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c..
1.3. L’adito tribunale, con sentenza del 22 aprile 2009, n. 899, disattese le eccezioni di incompetenza territoriale e di inammissibilita’ delle pretese domande nuove formulate dagli attori con la memoria suddetta, accolse la domanda come esplicitata dai (OMISSIS) in quest’ultima, fondata sulla responsabilita’ professionale della banca, e condanno’ la convenuta a risarcirgli il danno subito, liquidato in Euro 665.955,48, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dall’1 dicembre 2001 al 2 febbraio 2009, nonche’ interessi legali, su tale importo, calcolati dal 2 febbraio 2009 fino all’effettivo saldo. Dispose, inoltre, la restituzione dei titoli oggetto del giudizio alla banca.
2. La Corte di appello di Brescia, pronunciandosi sui gravami, principale ed incidentale, promossi contro quella decisione, rispettivamente, dalla (OMISSIS) e da (OMISSIS) e (OMISSIS), li respinse entrambi con sentenza del 14 dicembre 2016/1 febbraio 2017.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel giudice, disattendendo i corrispondenti motivi di impugnazione della banca: i) ha considerato ammissibili le gia’ descritte domande proposte dagli attori/appellati, nella memoria di replica del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 6, nel corso del primo grado di giudizio; ii) ha ribadito l’inadempimento della banca rispetto agli obblighi informativi sulla stessa gravanti ex articoli 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, giudicandolo grave; iii) ha ritenuto sussistente il nesso di causalita’ tra la condotta della Banca ed il danno lamentato dai (OMISSIS); iv) ha negato il concorso di colpa di questi ultimi nella produzione del danno; v) ha confermato la decisione del tribunale nella parte in cui aveva condannato la banca al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi.
3. Per la cassazione di questa sentenza ricorre la (OMISSIS) s.p.a., incorporante per fusione la (OMISSIS) s.p.a., affidandosi a dieci motivi, illustrati anche da memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c.. Resiste, con controricorso, corredato da analoga memoria, il solo (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va disattesa la richiesta di interruzione del presente giudizio, per la morte di (OMISSIS), disponendosene la riassunzione nei confronti di tutti i suoi eredi, come formulata da (OMISSIS) (cfr. conclusioni del suo controricorso). E’ noto, infatti, che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimita’, non e’ applicabile l’istituto dell’interruzione del processo (cfr. Cass. n. 1757 del 2016; Cass. n. 24635 del 2015; Cass. n. 22624 del 2011).
1.1. A tanto deve solo aggiungersi, in relazione a quanto dedotto dal menzionato controricorrente nella sua memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. (cfr. pag. 2, “…non avendo il ricorrente proceduto entro l’anno dall’avvenuto decesso a notificare l’atto di impugnazione presso il domicilio del defunto, la notificazione dovra’ essere effettuata nei rispettivi domicili di tutti gli eredi dell’Avv. (OMISSIS)”), che, non risultando essere stata dichiarata in appello, dal suo difensore ivi costituito, la morte di (OMISSIS), la notificazione dell’odierno ricorso affatto correttamente e’ stata eseguita presso il medesimo difensore (cfr. Cass., SU, n. 15295 del 2014, nonche’, successivamente, tra le tante, Cass. n. 8037 del 2021).
2. Il primo motivo dell’odierno ricorso di (OMISSIS) s.p.a., rubricato “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 6, comma 2, in punto di inammissibilita’ di domande nuove”, censura la decisione impugnata per aver ritenuto ammissibili le domande (dichiararsi la nullita’ del contratto di negoziazione n. 132/92 a decorrere dal 30 giugno 1998 ed accertarsi la responsabilita’ professionale della banca per tutti i danni cagionati agli attori, con conseguente condanna al risarcimento dei danni per responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c.) formulate da (OMISSIS) e (OMISSIS) nella loro memoria di replica del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 6, benche’ nuove e diverse da quelle da essi originariamente proposte nella citazione introduttiva del giudizio.
2.1. Una siffatta doglianza si rivela infondata, posto che, come gia’ specificamente sancito dalla giurisprudenza di legittimita’: i) “Nel rito societario gia’ disciplinato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2003, le domande nuove che l’attore puo’ proporre ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera b), devono essere conseguenza “delle difese proposte dal convenuto”, in tale ampia espressione dovendosi ricomprendere ogni possibile deduzione difensiva di quest’ultimo, e quindi non solo le eccezioni, in senso stretto o lato, ma anche le mere difese” (cfr. Cass. n. 29 del 2007); ii) “In tema di intermediazione finanziaria, la parte che abbia modificato in sede di memoria, ai sensi del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 6, la propria domanda di nullita’ del contratto di acquisto degli strumenti finanziari, in quella di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, in conseguenza delle difese proposte dal convenuto, di ogni genere e tipo, non incorre in una inammissibile mutatio libelli ove la domanda cosi’ modificata riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in lite o sia ad essa collegata, perche’, in tal modo, non si determina la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte, ne’ il sostanziale allungamento dei tempi processuali di definizione della lite” (cfr. Cass. n. 3254 del 2018).
2.1.1. Alle esaustive considerazioni giustificative di queste affermazioni puo’ in questa sede farsi rinvio, ex articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 1, non offrendo il tenore delle odierne argomentazioni della ricorrente elementi significativi al fine di mutare l’orientamento suddetto.
2.1.2. Va solo aggiunto, per mera completezza, che la domanda di risarcimento del danno per responsabilita’ aggravata a norma dell’articolo 96 c.p.c., puo’ essere proposta, per la prima volta, anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza che cio’ determini alcun mutamento dell’oggetto e della causa petendi delle domande proposte dalle parti, in quanto sovente la parte istante e’ in grado di valutarne la fondatezza, nonche’ di determinare l’entita’ del danno subito, solo al termine dell’istruttoria (cfr. Cass. n. 14911 del 2018).
3. Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) s.p.a., rubricato “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 2697 c.c., e dell’articolo 28, commi 1 e 2, del Regolamento Intermediari. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, critica la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato la violazione, da parte della banca, degli obblighi informativi sulla medesima gravanti nell’esecuzione delle operazioni di investimento nelle obbligazioni (OMISSIS) in contestazione, laddove ha ritenuto “non genuine” le prove testimoniali gia’ ammesse ed acquisite nella prima fase di giudizio. In particolare, si ascrive alla corte distrettuale di essere incorsa in un evidente errore logico-interpretativo nella valutazione delle prove testimoniali acquisite in primo grado, con conseguente ulteriore errata valutazione ed affermazione della indimostrata violazione degli obblighi informativi gravanti sulla banca in occasione delle operazioni di investimento predette, ex articolo 28, comma 2, del Regolamento Intermediari. Secondo la ricorrente, la corte di merito: i) “ha errato nell’affermare la non genuinita’ delle suddette prove testimoniali, atteso che una siffatta valutazione era preclusa al Giudice di seconde cure, laddove il Tribunale di prima istanza aveva gia’ ritenuto ammissibili le prove de quibus. La valutazione consentita al Giudice di seconde cure avrebbe dovuto essere limitata e circoscritta ad un giudizio di rilevanza del contenuto della prova testimoniale, ma non estendersi ad una valutazione in merito alla genuinita’ della prova medesima”; ii) “appaiono del tutto ammissibili ed autentiche le dichiarazioni testimoniali del teste Sig. (OMISSIS), peraltro gia’ valutate come tali dal Giudice di prime cure, e la Corte di merito non poteva escludere gli esiti delle prove istruttorie gia’ acquisite nel primo grado del giudizio, che rappresentano gli elementi probatori necessari ai fini di potere provare l’adempimento della Banca agli obblighi informativi sulla medesima gravanti. La Corte di merito, pertanto, ha illegittimamente precluso alla Banca la possibilita’ di provare la correttezza della condotta della medesima, in conformita’ alla normativa primaria e regolamentare richiamata, con una chiara violazione dell’articolo 2697 c.c., in tema di onere della prova”; iii) la corte di merito, parimenti senza alcuna argomentazione al riguardo, aveva errato nel non valutare le dichiarazioni della teste (OMISSIS), immotivatamente ritenuta “non genuina”; iv) “la sentenza di secondo grado e’ censurabile anche in ragione dell’omessa valutazione, rilevabile in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), delle prove documentali fornite dalla Banca, nel corso del primo grado di giudizio, sull’assolvimento degli obblighi informativi di cui all’articolo 28, comma 2, del Regolamento Intermediari. In particolare, la Banca ha dimostrato che gli Avv.ti (OMISSIS), contestualmente alla sottoscrizione del contratto ed. quadro di negoziazione, in data 22 gennaio 1992, hanno sottoscritto la dichiarazione di essere stati adeguatamente edotti sulla rischiosita’ delle operazioni di investimento che avrebbero posto in essere mediante l’esecuzione del suddetto contratto, e hanno ricevuto una copia di tutta la documentazione contrattuale e dei relativi allegati (…). Inoltre, la Banca ha rilevato, in due distinte occasioni, le caratteristiche dei clienti e la propensione al rischio dei medesimi (…)”.
3.1. Tanto premesso, la doglianza in esame si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento alla stregua delle dirimenti ragioni di cui appresso.
3.2. Innanzitutto, va rimarcato che: i) la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., si configura soltanto allorquando il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne e’ gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche laddove, a seguito di una (eventualmente) incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto, o non, tale onere, poiche’, in questo caso, vi e’ solo un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimita’ solo per il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 19064 del 2006; Cass. n. 2935 del 2006); la statuizione di esistenza, o meno, della circostanza controversa, ove presupponga un giudizio di attendibilita’, sufficienza e congruenza delle testimonianze, si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimita’ (cfr. Cass. n. 25166 del 2019); iii) il mancato esame di un documento puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un fatto controverso e decisivo della lite e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass. n. 31999 del 2022). Ne consegue che la denuncia in sede di legittimita’ deve contenere, a pena di inammissibilita’, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa; iv) sono inammissibili, per violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimita’ (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021; Cass. n. 31999 del 2022); v) il vizio di motivazione, ancor piu’ in rapporto all’attuale testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), – come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis (risultando impugnata una sentenza pubblicata l’1 febbraio 2017 – non puo’ consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di Cassazione non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensi’ solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui e’ riservato l’apprezzamento dei fatti. In altri termini, l’attuale articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicche’ sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
3.3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che le argomentazioni della censura in esame mostrano di utilizzare in modo non corretto i concetti di ammissibilita’ e di attendibilita’ della prova.
3.3.1. Come e’ noto, mentre il giudizio di ammissibilita’ e’ una valutazione che il giudice opera circa limiti che l’ordinamento giuridico pone all’utilizzazione di determinati mezzi prova, il giudizio di attendibilita’, invece, e’ la valutazione che il medesimo giudice compie, basandosi sul proprio libero convincimento, circa l’idoneita’ della prova di rappresentare in modo veridico il fatto per il quale e’ stata assunta.
3.3.2. E’ palese, dunque, che laddove la corte bresciana ha opinato che “la deposizione del Funzionario della Banca, quale teste della parte odierna appellante, non puo’ ritenersi genuina e disinteressata come anche la deposizione della (OMISSIS), rispettivamente moglie e nuora degli investitori” (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata), essa, lungi dall’aver voluto stabilire che le suddette disposizioni fossero da espellere dal materiale probatorio acquisito, come se fossero state inammissibili, in realta’ ha inteso affermare che, secondo il proprio libero convincimento, quelle deposizioni non fossero attendibili.
3.3.3. Si e’ al di fuori, dunque, del perimetro operativo della capacita’ a testimoniare, o di ammissibilita’ della prova, su cui lungamente argomenta oggi la banca ricorrente, trattandosi, piuttosto, di attendibilita’ dei testi (rectius: veridicita’, o non, di quanto da essi riferito), la cui valutazione, come si e’ gia’ riferito, si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimita’ (cfr. Cass. n. 25166 del 2019).
3.4. Quanto, poi, all’ulteriore profilo della censura volto a denunciare l’asserito omesso esame di documenti, e’ sufficiente ricordare che la corte distrettuale ha dato atto espressamente (cfr., amplius, pag. 18-19 della sentenza impugnata), che: i) “il documento informativo sui rischi generali in investimenti finanziari predisposto dalla Consob, che la banca appellante sostiene di aver fatto sottoscrivere, in data 30/6/1998, a (OMISSIS), e’ stato disconosciuto dallo stesso, che, nella specie, ha assunto che la firma fosse apocrifa”, senza che tale disconoscimento fosse seguito da alcuna contestazione o istanza di verificazione; ii) quel medesimo documento informativo “non risulta sottoscritto dall’altro investitore (OMISSIS)”; iii) “il documento sui rischi finanziari della Consob non puo’ essere considerato – come vorrebbe parte appellante – parte del contratto di negoziazione n. 132 del 1992, e, quindi, sufficiente la sottoscrizione di quest’ultimo, ma al contrario, e’ considerato atto autonomo e deve essere sottoscritto da tutti i contraenti a pena di nullita’”. Affermazione, quest’ultima, sostanzialmente coerente con quanto sancito da Cass. n. 20617 del 2017, secondo cui gli obblighi di comportamento sanciti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e dalla normativa secondaria contenuta nel reg. Consob n. 11522 del 1998, “finalizzati al rispetto della clausola generale che impone all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalita’ nella cura dell’interesse del cliente, assumono rilevanza per effetto dei singoli ordini di investimento, che costituiscono negozi autonomi rispetto al contratto quadro originariamente stipulato dall’investitore”.
3.4.1. Da un lato, dunque, l’omesso esame denunciato, ove riferito al contratto di negoziazione del 1992 ed a quanto sottoscritto contestualmente ad esso, non sussiste; dall’altro, la ricorrente non riproduce in ricorso, nemmeno riassuntivamente, il contenuto della ulteriore documentazione fatta sottoscrivere agli investitori in altre “due distinte occasioni” (cfr. pag. 25 del ricorso), cosi’ impedendo a questa Corte qualsivoglia possibilita’ di valutarne la decisivita’.
3.4.2. Per mera completezza, infine, deve aggiungersi che, anche volendo trascurare quanto fin ora si e’ detto, comunque non sarebbe stato possibile ritenere che il rispetto dell’obbligo di trasparenza e di informazione prescritto all’intermediario ex lege potesse esaurirsi nella consegna, ad opera della banca, della copia del contratto di negoziazione e nella sottoscrizione, da parte di uno solo dei correntisti, di un prospetto informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari predisposto dalla CONSOB (e cio’ anche nell’ipotesi, diversamente da quanto e’ risultato nel caso di specie, in cui tale prospetto informativo fosse stato realmente sottoscritto dal cliente).
3.5. In definitiva, quindi, con la doglianza in esame (OMISSIS) s.p.a. cerca di ottenere una diversa ricostruzione dei fatti di causa, censurando la valutazione negativa dell’esito della prova, orale e documentale, su quei medesimi fatti, fornita dalla Corte territoriale del contenuto, completamente dimenticando, tuttavia, che il giudizio di legittimita’, come e’ noto, non puo’ essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per cio’ solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonche’ le piu’ recenti Cass. n. 8758 del 2017; Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 9352 del 2022; Cass. n. 15237 del 2022; Cass. n. 21424 del 2022).
4. Il terzo motivo di ricorso, recante “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 28, commi 3 e 4, del Regolamento Intermediari sul mancato assolvimento degli obblighi informativi successivi agli investimenti”, ascrive alla corte territoriale di avere applicato la disciplina di cui all’articolo 28, commi 3 e 4, del Regolamento Consob. n. 11522 del 1998 – riguardanti, rispettivamente, le sole operazioni di investimento in strumenti finanziari derivati ed in warrant e l’informativa successiva nell’ambito del servizio di gestione – ad una fattispecie (acquisto di titoli obbligazionari) totalmente ad essa estranea.
4.1. Una siffatta doglianza si rivela inammissibile perche’ mostra di non cogliere appieno la ratio decidendi, sul punto, della sentenza impugnata.
4.1.1. Invero, quest’ultima non ha mosso alcun rilievo alla banca appellante circa l’applicazione della normativa suddetta (su cui, dunque, non fa fondato la propria decisione), avendole, invece, contestato il mancato adempimenti degli obblighi informativi di cui all’articolo 28, commi 1 e 2, e articolo 29 del menzionato Regolamento (cfr., amplius, pag. 17 e ss. nonche’ 26 della sentenza citata).
5. Il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 29 del Regolamento Intermediari. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, contesta alla corte bresciana di aver applicato erroneamente l’articolo 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 al fine di ritenere non adeguate al profilo di rischio dei clienti le operazioni di investimenti nelle obbligazioni (OMISSIS) oggetto di causa. In particolare, l’errore imputato al giudice a quo e’ quello di aver considerato necessario che la banca segnalasse per iscritto ai clienti tutte le informazioni e le avvertenze di cui alla predetta disposizione, cosi’ precludendole, anche in ragione della ritenuta non genuinita’ delle dichiarazioni testimoniali, la possibilita’ di dimostrare l’avvenuto corretto assolvimento degli obblighi impostile da quella norma. La stessa corte, inoltre, aveva omesso di esaminare il fatto, asseritamente decisivo, rappresentato dal profilo dei clienti e dalla loro pregressa esperienza in materia di investimenti.
5.1. Anche questa doglianza non merita accoglimento nel suo complesso.
5.2. Invero, giova rimarcare che, come recentemente ribadito da Cass. n. 19891 del 2022 (cfr. in motivazione), “e’ principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimita’ (su cui, per tutte, cfr. Cass., ord., 31 agosto 2017, n. 20617), quello per cui, in tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, gli obblighi di comportamento sanciti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522 del 1998, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (e’ il caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); con particolare riferimento all’obbligo di informazione attiva, si rammenta che l’articolo 28, secondo comma, Reg. Consob n. 11522 del 1998, (…), richiede che gli intermediari forniscano all’investitore “informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”; ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, comma 6, grava sull’intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, dunque, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio; pertanto, l’intermediario convenuto in un giudizio di responsabilita’ per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva e’ tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, e’ irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario e’ fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento (cosi’, Cass., ord., 31 agosto 2020, n. 18153); l’assolvimento dell’obbligo di informazione specifica impone, dunque, all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosita’ (quali la solvibilita’ dell’emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto e’ collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente (cfr. Cass. 23 aprile 2017, n. 8619); con particolare riferimento, poi, all’obbligo di informazione passiva previsto dall’articolo 28, comma 1, lettera a), consistente nella richiesta di notizie all’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonche’ circa la sua propensione al rischio (cd. profilatura), si osserva che tale obbligo e’ funzionale alla valutazione di adeguatezza delle singole operazioni che l’investitore porra’ in essere; infatti, poiche’ ciascuna operazione di negoziazione puo’ essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la valutazione di adeguatezza di un’operazione da parte dell’intermediario – come tale inidonea a far sorgere l’obbligo di astensione e la necessita’ della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto – richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell’investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento e’ idoneo ad inficiare la valutazione di adeguatezza effettuata dall’intermediario”.
5.3. E’ altresi’ utile ricordare che: i) in tema d’intermediazione finanziaria, l’intermediario non e’ esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, e dalle relative prescrizioni di cui al regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo (cfr. Cass. n. 18153 del 2020); ii) dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non puo’ consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perche’ anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati (cfr. Cass. n. 33596 del 2021; Cass. n. 16126 del 2020); iii) l’articolo 29 del predetto Regolamento Consob n. 11522 del 1998 (qui pacificamente applicabile ratione temporis) sancisce che “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’articolo 28, e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non e’ opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Esso, dunque, certamente non impone alcun obbligo di forma scritta quanto alle modalita’ con cui le comunicazioni tra operatore e investitore debbano intervenire; tuttavia, stabilisce un onere in capo al primo affinche’ possa essere esonerato da addebiti in ordine all’operazione da compiere ove non la ritenga adeguata rispetto al profilo dell’investitore; iv) nel caso in cui l’investitore proceda al compimento di un’operazione inadeguata, deve ritenersi assolto l’obbligo informativo gravante sull’intermediario ai sensi dell’articolo 29 del Reg. Consob n. 11522 del 1998 allorche’ quest’ultimo, valutati gli elementi di giudizio in suo possesso, abbia offerto all’investitore un’effettiva spiegazione delle ragioni dell’inadeguatezza e l’investitore ne abbia autorizzato l’esecuzione esternando la sua volonta’ mediante ordine scritto o su altro supporto equivalente in cui sia esplicitato il riferimento alle avvertenze ricevute; tuttavia, in caso di contestazione del cliente, che alleghi l’omissione di specifiche informazioni, grava sull’intermediario l’onere di provare, con ogni mezzo, che, invece, quelle informazioni siano state fornite, ovvero che non fossero dovute (cfr. Cass. n. 23570 del 2020).
5.4. Orbene, la corte di appello ha fatto corretta applicazione, nella specie, di tutti i riportati principi e dell’appena menzionata norma.
5.4.1. Essa, infatti, dopo aver accertato il mancato adempimento della banca (in ragione della totale mancanza della sottoscrizione del documento informativo sui rischi generali in investimenti finanziari) agli obblighi informativi di cui all’articolo 28, commi 1 e 2, del Regolamento Consob citato, gia’ da cio’ facendo discendere la fondatezza della domanda risarcitoria degli attori/appellati, ha aggiunto che, pur volendo considerare valido il documento informativo che l’appellante aveva sostenuto di aver fatto sottoscrivere al solo (OMISSIS) il 30 giugno 1998 (documento, di cui, tuttavia, come si e’ gia’ detto, il (OMISSIS) aveva disconosciuto la sottoscrizione senza che a tanto avesse fatto seguito l’istanza di verificazione della banca), era poi mancata pure l’autorizzazione scritta, da parte degli investitori, richiesta dal comma 3, secondo capoverso, dell’articolo 29 del menzionato Regolamento Consob.
5.4.1.1. Il ragionamento svolto dalla corte bresciana, rinvenibile a pagina 21 della sentenza impugnata (“Nel caso de quo la (OMISSIS) – si e’ limitata a provare, laconicamente, che il funzionario abbia illustrato, si ribadisce ad uno solo degli investitori, che le presenti operazioni non fossero adeguate, ed a fronte di tale segnalazione verbale uno solo dei clienti avrebbe confermato, sempre verbalmente, la volonta’ di effettuare l’operazione.
Orbene la segnalazione di inadeguatezza dell’operazione per come provata dalla Banca e’ del tutto generica, non essendo stata fornita la prova che entrambi gli investitori abbiano ricevuto per iscritto dalla banca, tutte le indicazioni necessarie sia in ordine alla natura del titolo, al suo emittente, al rating nel periodo di esecuzione dell’operazione, ed alla sussistenza di eventuali situazioni di grey market o di default dell’emittente e che, soprattutto, abbiano dato conferma scritta di aver ricevuto dette informazioni e dato ordine per iscritto di esecuzione”) si rivela, sul punto, assolutamente chiaro. Essa ha ritenuto la (OMISSIS) inadempiente all’articolo 29 del citato Regolamento CONSOB perche’, oltre a non aver adempiuto gli obblighi informativi su di lei gravanti ex articolo 28, commi 1 e 2, nemmeno aveva dimostrato di aver ricevuto dagli investitori conferma per iscritto di aver ricevuto le informazioni suddette autorizzandola contestualmente ad effettuare comunque le operazioni in questione.
5.4.1.2. In altri termini, la corte territoriale ha ritenuto, affatto correttamente, che gli obblighi informativi sussistono e vanno assolti dall’intermediario indipendentemente dalla rischiosita’ dell’investimento, la quale, laddove accertata, puo’ assumere rilevanza solo quale elemento utile, unitamente ad altri indici, ai fini della valutazione dell’adeguatezza dell’operazione, ed, inoltre, che una siffatta valutazione presuppone necessariamente la esaustiva raccolta delle informazioni in ordine alla esperienza dell’investitore in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi di investimento e alla sua propensione al rischio, mancando le quali, per andare esente da responsabilita’, la banca avrebbe dovuto dimostrare di aver ricevuto specifica autorizzazione scritta, da parte degli investitori, di procedere comunque all’effettuazione di quelle operazioni.
5.5. Quanto, poi, all’ulteriore profilo di doglianza riguardante l’asserita mancata valutazione, da parte della corte suddetta, del fatto, ritenuto decisivo per il giudizio, rappresentato dal profilo dei clienti e dalla loro pregressa esperienza in materia di investimenti, lo stesso mostra di non tenere conto minimamente delle argomentazioni, rinvenibili nella sentenza impugnata (cfr., amplius, pag. 21 e ss.) e chiaramente frutto di valutazioni fattuali non ulteriormente sindacabili in questa sede, con cui si e’ considerata come “media” la propensione al rischio dei (OMISSIS) come accertata in sede di c.t.u. e, conseguentemente, inadeguati gli acquisti dei titoli obbligazionari de quibus, dei quali, peraltro, la banca stessa, alla data della negoziazione, conosceva la particolare rischiosita’.
5.5.1. Va ribadito, inoltre, che l’intermediario non e’ esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, e dalle relative prescrizioni di cui al regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo (cfr. Cass. n. 18153 del 2020).
5.5.2. Ancora una volta, dunque, come in relazione alla censura motivazionale prospettato con il secondo motivo, si dimentica che l’attuale articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicche’ sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015.
6. Il quinto motivo di ricorso, recante “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 27 del Regolamento Intermediari sul presunto conflitto di interessi della Banca”, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha opinato che la (OMISSIS) non aveva fornito alcuna comunicazione ai (OMISSIS) circa l’effettuazione delle operazioni di acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) in contropartita diretta e non in qualita’ di intermediario, violando, cosi’, l’articolo 27 del gia’ citato Regolamento Consob n. 11522 del 1998. Assume (OMISSIS) s.p.a. che “nella negoziazione per conto proprio non e’ ravvisabile alcun conflitto di interessi dell’intermediario, atteso che la Banca si limita ad eseguire una disposizione impartita dal cliente” (cfr. pag. 38 del ricorso).
6.1. Questa censura puo’ considerarsi assorbita per effetto del mancato accoglimento dei precedenti motivi riguardanti gli ulteriori obblighi informativi, la cui violazione e’ stata accertata dai giudici di merito, che e’ sufficiente, da sola, a sorreggere la statuizione finale di condanna al risarcimento del danno.
7. Il sesto ed il settimo motivo denunciano, rispettivamente:
VI) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la corte di appello ritenuto di non scarsa importanza l’inadempimento della banca”, contestandosi la sentenza impugnata nella parte in cui ha opinato che la gravita’ dell’inadempimento della banca “e’ ravvisabile nell’aver eseguito ben quattro acquisti di importi rilevanti senza la diligenza e l’osservanza degli obblighi previsti dalla normativa vigente” (cfr. pag. 30). Assume (OMISSIS) s.p.a. che la motivazione della decisione sul punto e’, in primo luogo, contraddittoria “laddove si consideri che la medesima esprime un giudizio sulla gravita’ del presunto inadempimento della Banca, che e’ il presupposto necessario unicamente per il rimedio della risoluzione contrattuale, che non e’ stata pronunciata nel caso in esame, atteso che la Corte di merito, nel conformare la decisione del Tribunale di Bergamo, ha disposto la mera condanna della banca al risarcimento dei danni” (cfr. pag. 39 del ricorso).
Essa, inoltre, e’ da cassare in quanto non ha in alcun modo dimostrato la gravita’ dell’inadempimento della (OMISSIS);
VII) “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 2697 c.c., e dell’articolo 23 del TUF”, ascrivendosi alla corte distrettuale di aver violato le regole di ripartizione dell’onere probatorio circa la dimostrazione, da considerarsi a carico degli investitori, riguardante la sussistenza del nesso causale intercorrente tra il presunto inadempimento della banca ed il danno preteso dai (OMISSIS). Si assume che, anche laddove fosse stato accertato l’inadempimento dell’intermediario, la corte predetta
“avrebbe dovuto comunque valutare attentamente la sussistenza del nesso eziologico tra l’inadempimento ed il danno di cui si pretende il risarcimento, e non limitarsi ad una generica presunzione, peraltro senza valutare le prove gia’ ammesse nel primo grado di giudizio, in assenza di elementi probatori” (cfr. pag. 41 del ricorso).
7.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perche’ connesse, si rivelano in parte inammissibili ed in parte infondate.
7.2. Sono inammissibili nella misura in cui: i) denunciano la pretesa contraddittorieta’ della motivazione, posto che, in seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di cui si e’ detto in precedenza, “non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ ed insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purche’ il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (cfr., tra le tante, da ultimo, Cass. n. 7090 del 2022). Nessuna di queste ipotesi e’ configurabile nel caso di specie, rimarcandosi, peraltro, che la domanda di condanna al risarcimento, formulata dai (OMISSIS), fondandosi sulla violazione di precise disposizioni legislative e regolamentari, fonti di doveri di informazione e di buona fede contrattuale, rappresenta una domanda del tutto autonoma rispetto a quelle di nullita’, di annullamento o di risoluzione del contratto di negoziazione. Nulla impedisce, dunque, la condanna dell’intermediario a risarcire il danno cagionato al cliente per aver violato gli obblighi informativi su di lui gravanti, senza che sia pronunciata anche la risoluzione del contratto di negoziazione (cfr. Cass. n. 17948 del 2020); ii) mediante l’apparente denuncia del vizio motivazionale, la ricorrente sollecita impropriamente una rivalutazione del merito, in particolare in ordine alla gravita’ del suo inadempimento come ritenuta dalla corte distrettuale, dimenticando, tuttavia, che la valutazione della gravita’ dell’inadempimento contrattuale costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (cfr. Cass. n. 12182 del 2020; Cass. n. 6401 del 2015).
7.2.1. In definitiva, si tratta di doglianza, in parte qua, attinenti a questione dichiaratamente irrilevante: essendo stata pronunciata esclusivamente condanna risarcitoria, e non la risoluzione contrattuale, ogni questione riguardante la gravita’ dell’inadempimento e’, appunto, irrilevante.
7.3. Sono infondate laddove sostengono che sarebbe stato onere dei (OMISSIS) dimostrare la sussistenza del nesso di causalita’ intercorrente tra il presunto inadempimento della banca ed il danno da essi lamentato.
7.3.1. Sul punto, infatti, la sentenza impugnata si rivela affatto coerente con il gia’ richiamato principio, ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non puo’ consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perche’ anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati (cfr. Cass. n. 33596 del 2021; Cass. n. 16126 del 2020).
8. Analoga sorte negativa tocca all’ottavo motivo di ricorso, rubricato, “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 1227 c.c.”, che ascrive alla corte bresciana di avere omesso di considerare il concorso di colpa dei (OMISSIS) nella produzione del danno da essi invocato.
8.1. In proposito e’ sufficiente ricordare, da un lato, che la sentenza impugnata ha espressamente preso in considerazione il concorso di colpa degli investitori, ex articolo 1227 c.c., invocato dall’appellante, ma lo ha escluso in concreto, e si e’ gia’ detto che il giudizio di legittimita’ non puo’ essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per cio’ solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonche’ le piu’ recenti Cass. n. 8758 del 2017; Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 9352 del 2022; Cass. n. 15237 del 2022; Cass. n. 21424 del 2022); dall’altro, ed in via assolutamente dirimente, che questa Suprema Corte ha gia’ affermato che, “nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, e questi non rientri in alcuna delle categorie d’investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non e’ configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno, neppure per non essersi egli stesso informato della rischiosita’ dei titoli acquistati. Ed infatti, lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo nella professionalita’ del secondo che non puo’ essere sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte” (cfr. Cass. n. 9892 del 2016; Cass. n. 29864 del 2011). Si e’ precisato, peraltro, che “un concorso di colpa dell’investitore puo’ ravvisarsi nella sola peculiare ipotesi in cui questi tenga un contegno significativamente anomalo ovvero, sebbene a conoscenza (in quanto investitore qualificato) del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, ometta di adottare comportamenti osservanti delle regole dell’ordinaria diligenza od avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente ed alle modalita’ di affidamento dei capitali da investire, cosi’ concorrendo al verificarsi dell’evento dannoso per inosservanza dei piu’ elementari canoni di prudenza ed oneri di cooperazione nel compimento dell’attivita’ di investimento” (cfr. Cass. n. 9892 del 2016; Cass. n. 18613 del 2015; Cass. n. 13259 del 2009). Nel caso di specie, pero’, tali peculiari profili di colpa degli investitori non emergono in alcun modo dalla sentenza impugnata, ne’ risultano specificamente desumibili dalle argomentazioni che corredano la censura in esame.
9. Il nono ed il decimo motivo di ricorso denunciano, infine, rispettivamente:
IX) “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 1224 c.c.”, contestandosi la sentenza impugnata nella parte in cui, facendo errata applicazione del principio sancito da Cass., SU. n. 1712 del 1995, ha condannato la banca a corrispondere ai (OMISSIS) gli interessi compensativi e la rivalutazione monetaria, facendo decorrere i primi dal momento del verificarsi del danno;
X) “Violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 2033 c.c., per avere condannato la banca a rifondere ai clienti gli interessi legali dal default delle obbligazioni (OMISSIS)”, ascrivendosi alla corte distrettuale di aver fatto decorrere gli interessi compensativi dovuti ai (OMISSIS) dal dicembre 2001, ossia dal momento del default della Repubblica Argentina, invece, che dalla proposizione della loro domanda giudiziale (risalente al 28 febbraio 2005), come imposto dall’articolo 2033 c.c..
9.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perche’ connesse, si rivelano infondate.
9.2. Invero, e’ sostanzialmente incontroverso, desumendosi la corrispondente circostanza dallo “Svolgimento del processo” della decisione oggi impugnata (cfr. pag. 5-6), dall’odierno ricorso della banca (cfr. pag. 4) e dal controricorso di (OMISSIS) (cfr. pag. 14-15), che la sottoscrizione delle obbligazioni (OMISSIS) di cui si discute avvenne in un intervallo temporale ricompreso tra il 26 novembre 1999 ed il 22 marzo 2000, date entrambe anteriori a quella – notoriamente risalente al dicembre 2001 – in cui la Repubblica Argentina annuncio’ il default del proprio debito pubblico.
9.2.1. Dalla sentenza oggi impugnata emerge che, in primo grado, la (OMISSIS) fu condannata a risarcire il danno subito dagli attori liquidato in Euro 665.955,48, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dall’1 dicembre 2001 al 2 febbraio 2009, nonche’ interessi legali, su tale importo, calcolati dal 2 febbraio 2009 fino all’effettivo saldo.
9.2.2. La corte distrettuale, respingendo il corrispondente motivo di gravame della banca appellante concernente l’avvenuta sua condanna “alla rivalutazione del danno con l’applicazione degli interessi compensativi”, ha ritenuto “corretto il principio applicato dal Giudice di Prime Cure, che ha richiamato la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 1712/95, nella quale e’ stato chiarito che, “nel caso in cui il danno sia liquidato per equivalente, deve essere compreso sia l’equivalente del bene perduto (e, quindi, la rivalutazione monetaria della sua espressione monetaria al momento del fatto), sia l’equivalente del mancato godimento di quel bene e del suo controvalore monetario, per tutto il tempo che intercorre fra il fatto e la liquidazione (…). Si tratta di un principio generale di equita’ che impone di compensare con l’attribuzione degli interessi il conseguimento, in ritardo rispetto al sorgere del credito, della disponibilita’ di una somma di denaro; somma che arricchisce il patrimonio del debitore che non paga subito, con correlativo lucro cessante di chi dovrebbe ottenerlo e non ne ha la disponibilita’”, inoltre “se la liquidazione viene effettuata per equivalente, e cioe’ con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche in sede di rinvio), e’ dovuto inoltre il danno da ritardo e cioe’ il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato dal creditore. La prova puo’ essere data e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi e quindi anche mediante l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito per il mancato godimento – nel tempo – del bene o del suo equivalente in denaro”.
9.2.3. Questa decisione risulta assolutamente coerente con quanto ancora recentemente ribadito, del tutto condivisibilmente, da Cass. 26202 del 2022, secondo la quale (cfr. in motivazione), “In tema di risarcimento del danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale (in esse comprese quelle di fonte legale contenute in norme imperative, come tali integranti il contratto, anche mediante sostituzione di clausole con esse contrastanti) di natura non pecuniaria (come nel caso di specie), la giurisprudenza di legittimita’ e’… costante nell’affermare che: a) l’obbligazione di risarcimento del danno per tale tipo di inadempimento costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilita’ aquiliana, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilita’ che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicche’ deve tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta nel periodo intercorso fra evento dannoso e liquidazione giudiziale del danno, senza necessita’ che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell’inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie (in questo senso, cfr.: Cass. n. 1627 del 2022; Cass. n. 7948 del 2020; Cass. n. 9517 del 2002; Cass. n. 11937 del 1997); b) al creditore in discorso spettano di diritto gli interessi aventi natura compensativa (cfr. Cass. n. 5584 del 1987; Cass. n. 2240 del 1985), secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa (cfr. Cass. 25817 del 2017), che si cumulano con la rivalutazione monetaria, assolvendo funzioni diverse la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata (Cass. n. 9517 del 2002), in quanto la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno e a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e pertanto debbono essere corrisposti anche gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento (cfr. Cass. n. 11937 del 2002)”.
9.3. Infine, il riferimento della banca oggi ricorrente alla invocata disciplina di cui all’articolo 2033 c.c., quanto all’epoca di decorrenza degli interessi riconosciuti agli attori/appellati, appare inconferente, in quanto la (OMISSIS) venne condannata, in primo grado, al risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale e non per un realizzato indebito oggettivo (cfr. Cass. n. 16088 del 2018, secondo cui la disciplina degli articoli 2033 c.c. e segg., sarebbe stata applicabile in presenza di una pronuncia di nullita’ del contratto o dei singoli ordini. In senso analogo, vedasi anche Cass. n. 6664 del 2018).
10. Il ricorso, dunque, deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimita’ regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresi’ dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalita’ al riguardo (cfr. Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., S.U., n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della banca ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto, mentre “spettera’ all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la (OMISSIS) s.p.a. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 18.000,00 per compenso di avvocato, oltre alle spese forfetarie pari al 15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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