Integrale riparazione del danno

Corte di Cassazione, sezione penale, Sentenza 19 giugno 2019, n. 27206.

La massima estrapolata:

La circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di omessa prestazione dell’assistenza occorrente dopo un incidente stradale, trattandosi di reato istantaneo di pericolo, in cui il bene giuridico tutelato non è l’integrità della persona ma la solidarietà sociale.

Sentenza 19 giugno 2019, n. 27206

Data udienza 16 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincen – rel. Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/11/2018 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen., Dott. TAMPIERI LUCA, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito il difensore avv. (OMISSIS) sostituto processuale con delega depositata in aula dell’avvocato (OMISSIS) del foro di UDINE in difesa di (OMISSIS) che si e’ riportato ai motivi e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Trieste, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, (OMISSIS), con sentenza del 5/11/2018, pronunciando sull’appello del PG e dell’imputato, in parziale riforma della sentenza del GM del Tribunale di Udine, emessa in data 27/11/2015, disapplicava la contestata recidiva e aumentava la pena inflitta ad anni uno e mesi sette di reclusione, revocando la sospensione condizionale della pena concessa dal Tribunale di Tolmezzo il 7/7/2009, con sentenza irrevocabile il 1/10/2009.
Per il resto veniva confermata l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato operata in primo grado, per i reati, ritenuti in concorso formale tra loro, di cui all’articolo 81 c.p. e dall’articolo 189 C.d.S. perche’, mentre era alla guida della sua autovettura Audi SW tg (OMISSIS) avendo cagionato un sinistro stradale a seguito del quale riportavano lesioni (OMISSIS) e (OMISSIS) non ottemperava all’obbligo di fermarsi ne’ a quello di prestare assistenza ai feriti, allontanandosi repentinamente dal luogo del sinistro sebbene il conducente di una delle vetture coinvolte tentasse di bloccare la sua fuga sedendosi sul cofano dell’autovettura da lui condotta. In (OMISSIS).
Con la condanna in primo grado, alla minor pena di anni uno e mesi due di reclusione, era stata disposta anche la sospensione della patente di guida per anni due e mesi sei.
2. Avverso la sopra ricordata sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con il primo motivo, il ricorrente, eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione e violazione di legge in punto di affermazione di responsabilita’ lamentando la totale erroneita’ e contraddittorieta’ nella quale sarebbero incorsi i giudici del gravame del merito nella ricostruzione dei fatti reato contestati al (OMISSIS), ovvero che, dopo aver cagionato il sinistro stradale del (OMISSIS), non si sarebbe fermato ne’ avrebbe prestato soccorso alle persone rimaste coinvolte nell’incidente che avrebbero riportato lesioni, ovvero (OMISSIS) e (OMISSIS).
Sul punto ci si duole che la Corte d’Appello di Trieste aderisca totalmente, a dire del ricorrente, alla ricostruzione fattuale del giudice di primo grado, senza analizzare criticamente i passaggi evidenziati dal difensore.
In ricorso vengono riportati i passaggi motivazionali del Tribunale di Udine e ricordata la dinamica degli accadimenti come ricostruita attraverso le testimonianze di (OMISSIS) e della fidanzata (OMISSIS), di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Di tali testimonianze, alle pagg. 5-8 del ricorso, viene offerta una rilettura che, ad avviso del ricorrente, consente di ricostruire in modo piu’ preciso e puntuale quanto avvenuto la sera dell'(OMISSIS), al semaforo di (OMISSIS).
Vi sarebbero, ad avviso del ricorrente, troppe divergenze tra le varie deposizioni rese, proprio sulla dinamica del sinistro, su quanto accaduto subito dopo, sull’arrivo dell’ambulanza o meno, su come e dove fossero stati eseguiti i rilievi: E poi, chi aveva accompagnato al Pronto Soccorso le persone coinvolte nell’incidente- Nell’immediatezza dei fatti chi e dove le aveva sentite-.
Il ricorrente lamenta che vi sia stata confusione su tutti questi aspetti determinanti per ricostruire esattamente la dinamica del sinistro.
In particolare, quanto al teste (OMISSIS), operante che fece i rilievi sul mezzo del (OMISSIS), in (OMISSIS), la sera dei fatti, viene ricordato che, intorno a mezzanotte si era recato con i colleghi a casa dell’imputato, dove apriva loro la convivente (OMISSIS) che, appreso il motivo della loro visita, tranquillamente ed in modo collaborativo accompagnava i carabinieri a visionare il mezzo, senza opporre alcun tipo di riserva. E tale deposizione, ad avviso del ricorrente, sarebbe assai significativa perche’ evidenzierebbe un atteggiamento poco compatibile di chi, poche ore prima si sarebbe dato alla fuga e non avrebbe prestato soccorso ad eventuali feriti in un sinistro da lui stesso cagionato.
Il ricorrente ribadisce che i carabinieri si erano recati a casa dell’imputato “a mani vuote”, ovvero senza alcun documento che legittimasse il loro intervento e le loro richieste ma, ciononostante, avevano ricevuto come risposta la massima collaborazione da parte della convivente di (OMISSIS), a quell’ora tarda in cui ci si sarebbe anche potuto spaventare per il sopraggiungere inatteso delle forze dell’ordine. Ma anche di quest’aspetto il giudice di prima cure non ha tenuto nessun conto. Mentre la Corte d’Appello di Trieste evidenzia come le tutte le divergenze sottolineate dalla difesa riguarderebbero circostanze irrilevanti, che non sarebbero in grado di inficiare la ricostruzione dell’episodio o di offrirne una versione divergente dalla tesi accusatoria.
Non sarebbero rilevanti, quindi – si ribadisce in ricorso – i numerosi deficit di memoria del teste, persona offesa, (OMISSIS), che non aveva riconosciuto fotograficamente l’imputato, ne’ ricordava di aver visto i carabinieri in ospedale dove sarebbe giunto in ambulanza, mentre l’appuntato (OMISSIS) aveva riferito di aver visto gli infortunati sul luogo del sinistro e di non aver visto l’ambulanza. Non sarebbe importante neppure quanto dichiarato dal teste (OMISSIS) che in dibattimento aveva riferito che (OMISSIS) era in evidente stato di ebbrezza mentre, sentito a s.i.t. in sede di indagini, aveva omesso questo particolare, abbastanza significativo, ci sia consentito, in un sinistro stradale. (OMISSIS) non aveva ricordi certi ne’ se l’imputato fosse o meno sceso dell’auto ne’ se si fosse allontanato prima o dopo l’arrivo dell’ambulanza.
Tutti elementi, ci si duole, ad avviso della Corte d’Appello di Trieste, assolutamente trascurabili.
E si lamenta che anche le divergenze dell’appuntato (OMISSIS), puntualmente contestate in atto di appello, vengano liquidate con due righe dal giudice del gravame, con una motivazione quasi omessa sul punto o comunque contraddittoria: il teste non ricordava ne’ se l’ambulanza fosse o meno presente al loro arrivo sul luogo del sinistro, ne’ se gli infortunati fossero presenti sul posto e se uno od entrambi fossero ancora sull’auto o fuori di essa. Sostanzialmente non ricordava nulla di questo incidente, oppure, stava ricordando un altro sinistro-.
Ci si duole che la Corte, sul punto, abbia ritenuto fossero tutte circostanze irrilevanti e che i fatti principali, ovvero che i testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero rimasti feriti in occasione dell’incidente e che (OMISSIS) si fosse dato alla fuga sarebbero pacifici. In base a quali elementi-.
La Corte d’Appello ometterebbe la motivazione in punto attendibilita’ e credibilita’ dei testimoni escussi in primo grado (pag. 3 della sentenza impugnata).
Il ricorrente chiede a questa Corte “una revisione critica” su quest’aspetto fondamentale ed assolutamente trascurato dai Giudici di primo e secondo grado.
Con un secondo motivo di deduce omessa motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’articolo 189 C.d.S., commi 6 e 7.
La Corte d’Appello di Trieste ci si duole – non spende neppure una riga della propria motivazione su questo motivo di appello.
Si richiama in ricorso pag. 4 della sentenza impugnata: “Ricorrono quindi tutti gli elementi integrativi dei reati contestati (….) sia alla consapevolezza della propria responsabilita’ nella causazione del sinistro…”.
Per il ricorrente anche in questo passaggio fondamentale, la Corte non espliciterebbe il ragionamento logico giuridico attraverso il quale ha ritenuto integrato anche l’elemento psicologico del reato, a fronte del motivo d’appello specifico, sul punto di difetto dell’elemento soggettivo, del sottoscritto difensore.
Tale indispensabile elemento difetterebbe in modo pieno nella fattispecie concreta, dal momento che l’imputato non si era, verosimilmente, reso conto, che (OMISSIS) e (OMISSIS), si fossero feriti a seguito del tamponamento, fatta salva la circostanza che aveva in ogni caso arrestato subito il proprio mezzo e si era avvicinato ai predetti per accertarsi delle loro condizioni di salute.
Con un terzo motivo si deduce inosservanza od erronea applicazione della legge penale, in particolare violazione dell’articolo 62 c.p., n. 6, per mancata concessione dell’attenuante del danno risarcito.
La Corte D’Appello di Trieste – ci si duole – ha inasprito il trattamento sanzionatorio, cosi’ come richiesto dal Procuratore Generale, attesa l’assenta condotta che avrebbe tenuto l’imputato dopo l’incidente e la pluralita’ delle persone coinvolte che giustificherebbero lo scostamento della pena dall’assoluto minimo edittale (aumento di due mesi per l’ulteriore reato); inoltre ha ritenuto non concedibile, l’attenuante del danno risarcito, poiche’ il risarcimento venne effettuato dalla compagnia assicuratrice e non poteva essere riferito, secondo la prospettazione della Corte, alle conseguenze di fatti dolosi, del tutto estranei al contratto di assicurazione.
Sul punto si evidenzia che secondo Cassazione recente (il richiamo e’ a Sez. 4 n. 29496 del 21/2/2018; Sez. 4 n. 23363 del 24/1/2013, Segatto) per la sussistenza dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., 6, il risarcimento, ancorche’ effettuato dalla societa’ od ente nell’ambito del quale opera l’imputato, deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato, tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri volonta’ di farlo proprio.
Nel caso di specie risulta dimostrato come (OMISSIS) si sia prontamente attivato con la propria assicurazione per denunciare il sinistro occorso e risarcire integralmente tutti i danni. Cio’ e’ risultato provato sia dall’istruttoria dibattimentale che dai documenti prodotti dalla difesa, ovvero il danno patito dalle persone offese e’ stato integralmente risarcito, molto prima della celebrazione del processo a carico dell’imputato.
Il ricorrente chiede quindi che questa Suprema Corte “applichi correttamente la normativa e riformi la sentenza della Corte d’Appello anche su questo aspetto, nell’ipotesi denegata di conferma della sentenza di condanna, mitigando la pena” (cosi’ testualmente il ricorso).
Chiede, in ogni caso, annullarsi la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si e’ nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni gia’ devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed e’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita’ della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimita’ ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilita’ delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita’ delle doglianze che, cosi’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non e’ consentita in questa sede.
Lo si evince, peraltro, in maniera chiara, da quei passaggi dello stesso, in cui si chiede a questa Corte “una revisione critica” in ordine all’ammissibilita’ dei testimoni o, come visto, di “riformare” la sentenza di appello.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimita’, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonche’ corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimita’.
I giudici di merito danno atto in maniera univoca degli accadimenti che hanno portato all’odierna imputazione, cosi’ come provati nel corso del processo.
La sera dell'(OMISSIS), in una via del centro di (OMISSIS), l’autovettura condotta da (OMISSIS) e con a bordo la compagna (OMISSIS), ferma ad un semaforo, veniva tamponata con una certa violenza da un’Audi station wagon e, per effetto dell’urto, andava a sua volta a tamponare l’auto che la precedeva, una Citroen C4 guidata da (OMISSIS). Quest’ultimo era sceso per sincerarsi delle condizioni del (OMISSIS) e della donna. E anche il conducente della Audi, in seguito identificato per l’imputato, era sceso, si era avvicinato e aveva chiesto ai due se stessero male; (OMISSIS) aveva risposto che non stavano bene e che aveva chiamato l’ambulanza; quindi, nonostante che (OMISSIS) gli avesse chiesto di non spostare l’auto e di consegnargli le chiavi, (OMISSIS) era risalito a bordo della propria vettura e si era allontanato prima dell’arrivo dell’ambulanza e dei Carabinieri.
Incontestati, dunque, la presenza sul posto dell’imputato e il tamponamento da parte sua dell’auto del (OMISSIS), si era sostenuto in sede di gravame di merito l’insussistenza del reato o, quantomeno, il difetto dell’elemento psicologico del reato.
Tuttavia, la Corte territoriale aveva gia’ argomentatamente evidenziato che non si comprende il rilievo che dovrebbe avere sulla responsabilita’ dell’imputato la collaborazione offerta dalla convivente ai carabinieri nel mostrare l’auto, che presentava il danneggiamento della parte anteriore (come evidenziato anche nelle fotografie successivamente scattate dopo il sequestro del veicolo).
I giudici del gravame del merito avevano gia’ chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte, evidenziando come non vi sia alcun dubbio circa l’identificazione nel (OMISSIS) del soggetto protagonista della vicenda: oltre ai danni sulla vettura, riconducono all’imputato anche il rilievo del numero di targa, i riconoscimenti fotografici dello stesso da parte della (OMISSIS) e del (OMISSIS), ribaditi al dibattimento, nonche’ la documentata denuncia del sinistro all’assicurazione effettuata il (OMISSIS) da parte del (OMISSIS). E dando conto, con motivazione priva di aporie logiche: 1. che non rilevano i deficit di memoria del (OMISSIS) che non aveva riconosciuto fotograficamente l’imputato e, tanto meno, il fatto che egli avesse dichiarato di aver visto i Carabinieri in ospedale, dove era giunto in ambulanza, mentre l’appuntato (OMISSIS) aveva riferito di aver visto gli infortunati sul luogo del sinistro e di non aver visto l’ambulanza, tanto piu’ che (OMISSIS) si era espresso in termini dubitativi sulla prima circostanza ed aveva ribadito che, comunque, che l’imputato se ne era gia’ andato e che loro erano acceduti al pronto soccorso.
2. che (OMISSIS) aveva confermato che, subito dopo il sinistro, si erano avvicinati a lui, rimasto sull’auto, sia il (OMISSIS), sia il conducente dell’auto tamponante e che costui – nonostante l’esplicito invito a rimanere sul posto e addirittura a consegnargli le chiavi del veicolo, fattogli dal (OMISSIS) – si era prontamente allontanato a bordo dell’auto che aveva visto passargli accanto.
3. che le divergenze nella deposizione del (OMISSIS) (che non ricordava la presenza dell’ambulanza e se, all’arrivo della pattuglie, gli infortunati fossero presenti sul posto e se uno o entrambi fossero ancora sull’auto o fuori di essa) e la circostanza che il (OMISSIS) solo in dibattimento aveva riferito dell’evidente stato di ebbrezza dell’imputato, non riferito in sede di s.i.t. (e che neppure certo era, per il teste, se l’imputato fosse rimasto in auto o fosse sceso, se si fosse allontanato prima o dopo l’arrivo dell’ambulanza, che confermava peraltro di avere chiamato) siano circostanze invero irrilevanti e non in grado di inficiare la ricostruzione dell’episodio o di offrirne una versione divergente dalla tesi d’accusa.
I dati certi – come condivisibilmente rileva la Corte territoriale – sono che (OMISSIS) e la (OMISSIS) erano rimasti feriti nell’occorso (distorsione al rachide cervicale), come diagnosticato presso il pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS), ove essi erano dunque ecceduti, in ambulanza o meno, la sera stessa del fatto (l’appuntato (OMISSIS) ha anche ricordato che i militari si erano recati in ospedale per l’accertamento dello stato di ebbrezza del (OMISSIS), risultato insussistente). E, a fronte di cio’, e’ pacifico che (OMISSIS) (riconosciuto anche fotograficamente dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS)) era scappato via pressoche’ immediatamente (deposizioni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), nonostante i tentativi di (OMISSIS) di trattenerlo.
Pacifico altresi’ che l’imputato non si trovasse sul posto all’arrivo dei Carabinieri e che non avesse prestato alcuna assistenza al (OMISSIS) e alla (OMISSIS), pur avendo avuto precisa contezza che i due fossero rimasti infortunati, non essendosi costoro nell’immediatezza neppure azzardati a scendere dalla vettura e avendogli comunicato di non stare bene.
Poco importa, evidentemente, che, in seguito, almeno (OMISSIS) potesse essere sceso dall’auto, che fosse o meno intervenuta sul posto un’ambulanza (e se (OMISSIS) non ricordava la presenza dell’ambulanza, ma aveva comunque attestato l’assenza sul posto dell’imputato e la presenza degli infortunati, al suo arrivo sul posto, che addirittura, ulteriormente confermerebbe l’allontanamento subitaneo dell’odierno ricorrente, prima cioe’ dell’arrivo dei Carabinieri e dei soccorsi).
Condivisibilmente irrilevante e’ che (OMISSIS) fosse, al momento, pure in stato di ebbrezza cosi’ come la circostanza che, qualche giorno dopo il sinistro, l’imputato avesse inviato alla sua assicurazione il modulo di constatazione amichevole recante soltanto il cognome e il nome del (OMISSIS) e il numero di targa della sua auto, ma non anche la sottoscrizione del (OMISSIS), ad ennesima conferma di una dinamica del fatto conforme all’ipotesi accusatoria.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere e’ inammissibile perche’ trasformerebbe questa Corte di legittimita’ nell’ennesimo giudice del fatto.
3. La Corte territoriale, a fronte solo di generiche considerazioni sul punto in sede di gravame, ha rilevato essere pienamente integrato il reato anche quanto alla sussistenza del dato psicologico.
La sentenza si colloca nel solco del dictum di questa Corte di legittimita’ secondo cui il reato di fuga di cui all’articolo 189 C.d.S., comma 6, ha natura di reato omissivo di pericolo e si perfeziona istantaneamente nel momento in cui il conducente del veicolo investitore viola l’obbligo di fermarsi, ponendo in essere, con il semplice allontanamento, una condotta contraria al precetto di legge.
Il dolo richiesto deve investire, innanzitutto ed essenzialmente, l’omesso obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (cosi’ la richiamata Sez. 4, 21/11/2007 dep. il 2008 Cortellazzi; Sez. 4, n. 11195 del 12/02/2015 Rv. 262709).
Ai fini della configurabilita’ del reato de quo, il dolo richiesto per la punibilita’ non e’ necessario il dolo intenzionale (Sez. 4, 10/12/2009 dep. il 2010 n. 3568).
L’elemento soggettivo in tali casi ben puo’ essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioe’ dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone (e nella specie il (OMISSIS), per sua stessa ammissione, si e’ prima fermato e poi si e’ allontanato)
Come piu’ volte ricordato da questa Corte di legittimita’ (vedasi tra le altre Sez. 4, sentenza n. 9128 del 2012), l’articolo 189 C.d.S., descrive in maniera dettagliata il comportamento che l’utente della strada deve tenere in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, stabilendo un “crescendo” di obblighi in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare.
Cosi’ e’ previsto, per quanto qui interessa, l’obbligo di fermarsi in ogni caso, cui si aggiunge, allorche’ vi siano persone ferite, quello di prestare loro assistenza. L’inottemperanza all’obbligo di fermarsi e’ punita con la sanzione amministrativa in caso di incidente con danno alle sole cose (comma 5) e con quella penale della reclusione fino a quattro mesi in caso di incidente con danno alle persone (comma 6). In tale seconda ipotesi, se il conducente si e’ dato alla fuga, la norma contempla la possibilita’ dell’arresto in flagranza nonche’ la sanzione accessoria della sospensione della patente; la sanzione penale e’ piu’ grave (reclusione fino ad un anno e multa) per chi non ottempera all’obbligo di prestare assistenza.
Si tratta di comportamenti diversi, lesivi di beni giuridici diversi ed attinenti, nel caso dell’inosservanza dell’obbligo di fermarsi, alla necessita’ di accertare le modalita’ dell’incidente e di identificare coloro che rimangono coinvolti in incidenti stradali e nel caso di omissione di soccorso, a principi di comune solidarieta’.
Quanto al reato di cui all’articolo 189, comma 6, trattasi di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si e’ gia’ osservato, nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento cosi’ da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identita’ personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalita’ dell’incidente.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che integra il reato di cui all’articolo 189 C.d.S., commi 1 e 6 (cosiddetto reato di “fuga”), la condotta di colui che – in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone – effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, ne’ quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perche’, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire ne’ l’identificazione del conducente, ne’ quella del veicolo, ne’ lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalita’ dell’incidente e sulle responsabilita’ nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilita’ pratica (cosi’ Sez. 4 n. 20235 del 25/1/2001 Rv. 234581).
Quanto poi all’obbligo di prestare assistenza (articolo 189 C.d.S., comma 7), anche per tale reato e’ pacifico che l’elemento soggettivo del detto reato ben puo’ essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioe’ dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone. Ancora di recente, questa Corte di legittimita’, ribadito che l’elemento soggettivo del reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente (articolo 189 C.d.S., comma 7), puo’ essere integrato anche dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilita’, o anche solo la possibilita’, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti (Sez. 4, n. 33772 del 15/6/2017, Dentice, Rv. 271046 nella cui motivazione, la Corte ha osservato che il dolo eventuale, pur configurandosi normalmente in relazione all’elemento volitivo, puo’ attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per cio’ stesso il rischio).
La sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non e’ elemento costitutivo del reato che e’ integrato dal semplice fatto che in caso d’incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. E costituisce ius receptum che tale condotta, va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiche’ si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973).
4. In ultimo, va rilevato che la Corte triestina ha correttamente ritenuto che non potesse essere riconosciuta al (OMISSIS) la circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6.
Il ricorrente, sul punto, pare fare confusione tra i danni arrecati dal sinistro stradale e quelli riconducibili all’omesso soccorso.
Con tutta evidenza il ristoro dell’assicurazione, peraltro non provato, potra’ al piu’ riguardare i primi, ma non i secondi.
Lo ha chiarito questa Corte di legittimita’, laddove recentemente ha affermato che la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno non e’ applicabile al reato di omessa prestazione dell’assistenza occorrente dopo un incidente stradale, trattandosi di reato istantaneo di pericolo, in cui il bene giuridico tutelato non e’ l’integrita’ della persona ma la solidarieta’ sociale (cosi’ Sez. 4 n. 5050 del 17/01/2019, Lazzaro, Rv. 275117, alla cui condivisibile motivazione si rimanda).
Peraltro, risulta ormai superato il dictum di questa Sez. 4, n. 9323 del 28/01/2014, Asslani, Rv. 258188 che in un caso in cui l’imputato aveva risarcito i danni ad un veicolo e le lesioni al suo conducente cagionati a seguito della guida in stato di ebbrezza, aveva affermato che la circostanza attenuante comune di cui all’articolo 62, n. 6, prima ipotesi (l’aver prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso) fosse configurabile anche in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, giacche’ non sarebbe necessario prendere in esame l’oggettivita’ giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l’imputato – prima del giudizio – avesse integralmente riparato il danno mediante l’adempimento delle obbligazioni risarcitorie e/o restitutorie che, ai sensi dell’articolo 185 c.p., trovano la loro fonte nel reato. i.
Nel piu’ recente approdo ermeneutico – che il Collegio condivide ed intende rafforzare – si e’ affermato che la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno non e’ applicabile al reato di guida in stato di ebbrezza in caso di avvenuto risarcimento delle lesioni che ne sono conseguite, in quanto la causazione di lesioni a terzi, pur essendo una possibile conseguenza della condotta di guida in stato di alterazione, non costituisce effetto normale di tale reato secondo il criterio della c.d. regolarita’ causale (cosi’ Sez. 4, n. 31634 del 27/04/2018, Giussani, Rv. 273083; conf., quanto all’affermazione che la responsabilita’ per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell’illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarita’ causale si vedano Sez. 5, n. 4701 del 21/12/2016 dep. il 2017, Pota e altri, Rv. 269271; Sez. 2, Sentenza n. 23046 del 14/05/2010, Cesarini ed altri, Rv. 247294).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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