Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 25 febbraio 2019, n. 5411.
La massima estrapolata:
L’indegnità a succedere prevista dall’art. 463 c.c., pur essendo operativa “ipso iure”, non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere dichiarata su domanda dell’interessato, atteso che essa non è uno “status” del soggetto, né un’ipotesi di incapacità all’acquisto dell’eredità, ma una qualifica di un comportamento che si sostanzia in una sanzione civile di carattere patrimoniale avente un fondamento pubblicistico e dà luogo ad una causa di esclusione dalla successione; pertanto, essendo effetto di una pronuncia di natura costitutiva, può aversi per verificata soltanto al momento del passaggio in giudicato della relativa sentenza. Se tale giudicato si forma quando sia pendente in grado di appello un diverso giudizio avente ad oggetto la pretesa di un creditore del “de cuius”, la negazione della qualità di erede operata dal convenuto, in ragione della suddetta indegnità, è una mera deduzione difensiva su un fatto costitutivo della domanda attrice, l’inammissibilità della quale va valutata ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c. (Nella specie, l’art. 345 citato era applicabile “ratione temporis” nella formulazione anteriore alla novella di cui all’art. 52 della l. n. 353 del 1990).
Sentenza 25 febbraio 2019, n. 5411
Data udienza 26 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1150/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA, CURATELA FALLIMENTO DI (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 769/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 21/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso a sentenza n. 769/2013 della Corte d’Appello di Messina, depositata il 21 novembre 2013.
Rimangono intimati, senza svolgere attivita’ difensive, la (OMISSIS) s.p.a. e la curatela del Fallimento di (OMISSIS).
Il giudizio ebbe inizio con citazione del 26 luglio 1991. (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero la (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.p.a.) e (OMISSIS), opponendosi al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Messina su domanda della (OMISSIS) s.r.l. e volto ad intimare a (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), il pagamento della somma di Lire 518.806.278, oltre accessori, quale corrispettivo per la fornitura di prodotti farmaceutici. Il giudizio venne interrotto per il fallimento di (OMISSIS) e riassunto nei confronti della curatela fallimentare. L’opposizione venne poi respinta con sentenza resa dal Tribunale di Messina il 27 dicembre 2001. Propose appello (OMISSIS), anche quale erede del deceduto padre (OMISSIS), contestando, tra l’altro, la qualita’ di condebitori, in quanto la farmacia era gestita soltanto da (OMISSIS). La Corte d’Appello di Messina riconobbe che (OMISSIS) ed (OMISSIS) fossero entrambi debitori della fornitrice (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.p.a.), in quanto eredi della titolare della farmacia (OMISSIS) (OMISSIS); accerto’, peraltro, l’avvenuto pagamento di parte della somma ingiunta da parte della coobbligata (OMISSIS) e percio’ ridusse l’importo ancora dovuto nella cifra di Euro 53.800,00, oltre interessi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., non avendo la Corte di Messina tenuto in considerazione il giudicato, sopravvenuto all’instaurazione del giudizio di appello, contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 12346/2009 del 27 maggio 2009. Tale sentenza, prodotta all’udienza del 10 dicembre 2010, aveva infatti accertato l’indegnita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) a succedere a (OMISSIS), con conseguente perdita della qualita’ di eredi ad effetti ex tunc, circostanza connotata da un nesso di pregiudizialita’-dipendenza rispetto al credito azionato nei confronti degli stessi dalla (OMISSIS) s.r.l..
Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) allega la violazione e falsa applicazione degli articoli 113 e 115 c.p.c., sempre censurando la mancata valutazione da parte dei giudici di appello della sentenza della Corte di Cassazione n. 12346/2009 del 27 maggio 2009.
II. Il primo motivo di ricorso risulta fondato, rimanendo cosi’ assorbito il secondo motivo, il quale diviene privo di immediata rilevanza decisoria in conseguenza dell’accoglimento della prima censura.
Si espone in ricorso che nel corso del giudizio di appello il difensore di (OMISSIS) dedusse in piu’ udienze di non avere la qualita’ di erede di (OMISSIS), essendo stato dichiarato indegno a succedervi in forza di sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto del 30 dicembre 1998, confermata dalla Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 23 giugno 2003, e quindi passata in giudicato per effetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 12346/2009, prodotta all’udienza del 10 dicembre 2010. A tal deduzione la Corte di Messina non ha dato in sentenza alcuna risposta.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, l’indegnita’ a succedere, di cui all’articolo 463 c.c., pur essendo operativa ipso iure, deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, atteso che essa non costituisce un’ipotesi di incapacita’ all’acquisto dell’eredita’, ma solo una causa di esclusione dalla successione. L’indegnita’, infatti, non e’ uno status connaturato al soggetto che si assume essere indegno a succedere, ma una qualificazione di un comportamento del soggetto medesimo, che deve essere data dal giudice a seguito dell’accertamento del fatto che integra quella determinata ipotesi di indegnita’ dedotta in giudizio, e che si sostanzia in una vera e propria sanzione civile di carattere patrimoniale avente un fondamento pubblicistico (Cass. Sez. 2, 05/03/2009, n. 5402; Cass. Sez. 2, 29/03/2006, n. 7266; Cass. Sez. 2, 23/11/1962, n. 3171).
Nel caso in esame, la causa di indegnita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto, appunto, effetto di una pronuncia di natura costitutiva, non puo’ aversi per verificata che nel momento del passaggio in giudicato correlato alla sentenza della Corte di Cassazione n. 12346/2009 del 27 maggio 2009. Si tratta, del resto, di una negazione della qualita’ di erede, conseguente alla esclusione dalla successione correlata all’effetto costitutivo della dichiarazione di indegnita’ (maturato soltanto in pendenza del giudizio di appello), negazione operata dal soggetto convenuto in causa da un creditore della de cuius, e dunque di una mera deduzione difensiva concernente un fatto costitutivo della pretesa di pagamento dell’azionato debito, la cui ammissibilita’ va valutata ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., comma 2, nella formulazione anteriore alla novellazione di cui all’articolo 52 della legge n. 353 del 1990, ratione temporis applicabile nel procedimento in esame (si veda proprio Cass. Sez. 2, 05/03/2009, n. 5402, in motivazione).
L’interpretazione di questa Corte sostiene che, allorquando il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza sia stata eccepita, nel corso dello stesso, dalla parte interessata (come il ricorrente allega essere avvenuto all’udienza del 10 dicembre 2010 davanti alla Corte di Messina), la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformita’ da tale giudicato e’ impugnabile con il ricorso per cassazione (arg. da Cass. Sez. U, 20/10/2010, n. 21493).
E’ altresi’ costante l’insegnamento per cui il giudicato esterno, alla stregua dell’articolo 2909 c.c. – secondo cui il medesimo giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – suppone l’esistenza di due giudizi tra le stesse parti che facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico, uno dei quali definito con sentenza passata in giudicato, sicche’ l’accertamento cosi’ compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dell’identico punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalita’ diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr., fra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, 15/05/2018, n. 11754; Cass. Sez. 6 – 2, 14/05/2018, n. 11600; Cass. Sez. 2, 10/05/2018, n. 11314). L’autorita’ del giudicato sostanziale opera, dunque, soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone, di regola, che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identita’ di parti, essendo l’efficacia soggettiva del giudicato circoscritta ai soggetti che siano posti in grado di intervenire nel processo.
Il giudicato contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 12346/2009 del 27 maggio 2009, posto a base dei due motivi di ricorso ed inerente alla dichiarazione di indegnita’ di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a partecipare alla successione di (OMISSIS), venne reso in giudizio svoltosi tra (OMISSIS), il padre (OMISSIS) e la sorella (OMISSIS) (nonche’ la curatela fallimentare del fallimento di quest’ultima), sicche’ non rivela integrale identita’ delle parti in rapporto al presente giudizio, di cui e’ parte essenzialmente la creditrice (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.p.a.).
Tuttavia, le pronunce di questa Corte aggiungono che il giudicato puo’ altresi’ spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, quando contenga un’affermazione obiettiva di verita’ che non ammette la possibilita’ di un diverso accertamento (non potendo, cioe’, la situazione giuridica in esso acclarata essere altrimenti liberamente valutata dal giudice cui la sentenza sia prodotta, semmai in relazione agli ulteriori elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa), e sempre che il medesimo terzo, il quale subisca o si avvantaggi dell’effetto riflesso del giudicato inter alios, sia titolare di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a tale situazione, restando tale efficacia riflessa esclusa nei confronti di chi sia, piuttosto, titolare di un diritto autonomo, e cioe’ di un diritto il cui titolo trovi fondamento in un rapporto diverso rispetto al rapporto sul quale ha statuito la sentenza definitiva (si vedano, indicativamente, Cass. Sez. 1, 06/08/1997, n. 7271; Cass. Sez. 1, 13/01/1996, n. 250; quindi Cass. Sez. U, 26/07/2002, n. 11092, in ordine ai rapporti fra effetti riflessi di un giudicato intervenuto fra altre parti e opposizione ex articolo 404 c.p.c.; per le piu’ recenti riaffermazioni del principio, Cass. Sez. 6 – 2, 28/08/2018, n. 21240; Cass. Sez. 3, 27/04/2017, n. 10383).
Mentre il pregiudizio dei diritti del terzo, che legittima la proposizione da parte di questo dell’opposizione ordinaria di terzo alla sentenza pronunciata fra altre persone, deve derivare dall’efficacia diretta del giudicato su un diritto autonomo del terzo stesso (cosi’, ad esempio, Cass. Sez. 3, 10/03/1982, n. 1546), la cosiddetta efficacia riflessa del giudicato nei confronti di aventi causa o creditori di una delle parti, che non siano titolari di un diritto autonomo rispetto al rapporto in ordine al quale e’ intervenuto il giudicato, e’ rimovibile con l’opposizione di terzo prevista dall’articolo 404 c.p.c., comma 2, (ad esempio, Cass. Sez. L, 09/05/1985, n. 2900).
Cosi’, ancora, in un precedente di questa Corte venne riconosciuta la sussistenza della pregiudizialita’, agli effetti dell’articolo 295 c.p.c., della causa vertente sull’accertamento della nullita’ o dell’annullabilita’ di un testamento rispetto alla causa in cui l’attore, in qualita’ di asserito erede testamentario universale, aveva convenuto un istituto di credito chiedendo la restituzione delle somme spettanti al de cuius, pur in assenza dell’assoluta identita’ delle parti dei due giudizi, essendo oggetto della causa pregiudiziale il titolo di erede, invece dedotto come qualificazione legittimante della causa petendi esplicitata nella causa pregiudicata (Cass. Sez. 2, 18/02/2008, n. 3936).
Pertanto, poiche’ la qualita’ di erede del convenuto e’ titolo necessario per la fondatezza dell’azione rivolta ad ottenere da costui il pagamento di debiti del de cuius, il giudicato maturato in un distinto processo che, come nella specie, abbia negato detta qualita’ di erede, avendo accertato l’esclusione dalla successione correlata alla dichiarazione di indegnita’, spiega un’efficacia riflessa anche nei confronti del creditore rimasto estraneo a quel processo, atteso che la pretesa creditoria verso il chiamato all’eredita’ rimane comunque dipendente dalla situazione ivi definita.
La Corte d’Appello di Messina non ha preso in esame l’efficacia riflessa nel presente giudizio della sentenza della Corte di Cassazione n. 12346/2009 del 27 maggio 2009 in ordine alla dichiarata indegnita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) a succedere a (OMISSIS), ne’ la collegata deduzione difensiva dell’appellante consistente nella negazione della qualita’ di erede, e percio’ di soggetto tenuto al pagamento del debito azionato dalla (OMISSIS) s.r.l..
IV. Conseguono l’accoglimento del primo motivo di ricorso di (OMISSIS), l’assorbimento del secondo motivo di ricorso e la cassazione della sentenza impugnata in ragione della censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Messina, che decidera’ tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi ai richiamati principi, provvedimento anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in ragione della censura accolta e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Messina, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
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