Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 10 ottobre 2018, n. 5822.
La massima estrapolata:
Incombe sul lavoratore l’onere di provare di avere subito un danno, la nocività dell’ambiente d lavoro ed il nesso causale tra questi due elementi, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere attuato tutte le cautele necessarie ad impedirlo.
Sentenza 10 ottobre 2018, n. 5822
Data udienza 5 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7225 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ci. Ce., con domicilio eletto presso lo studio Si. Bozzi in Roma, viale (…);
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZ. I BIS n. 06992/2015, resa tra le parti, concernente mancato riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Ci. Ce. e l’Avvocato dello Stato Ga. Na.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con l’appello in esame, il sig. -OMISSIS-impugna la sentenza 13 maggio 2015 n. 6992, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I-bis, ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto 18 gennaio 2010 n. 79/2010, con il quale il Ministero della Difesa ha rigettato la sua domanda volta al riconoscimento della patologia contratta come dipendente da causa di sevizio e ad ottenere la liquidazione dell’equo indennizzo.
Il ricorrente – che ha prestato servizio come volontario nell’Esercito presso il Reggimento trasmissioni di Bolzano ed è stato assegnato alla pulizia dei magazzini, dei depositi e dei mezzi corazzati – ritiene che l’infermità diagnosticatagli (leucemia mieloide acuta) sia stata causata dall’attività di pulizia e di scarico dei mezzi adoperati in diversi teatri di guerra e, in particolare, dal contatto con polveri e materiale di risulta della pulizia di mezzi corazzati.
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
– la dipendenza di una infermità da causa di servizio deve “essere ancorata all’esistenza di specifici fatti che non possono coincidere con il normale svolgimento dell’attività di servizio, per quanto gravosa come quella militare”;
– l’amministrazione “si deve pronunciare sul riconoscimento o meno della causa di servizio esclusivamente sulla base del parere del Comitato di verifica”, che, nel caso di specie, “non appare inficiato da palesi illegittimità ” ed “è stato poi assunto come motivazione per relationem del conseguente ed impugnato decreto ministeriale che ha formalizzato il diniego”;
– il Comitato di verifica per le cause di servizio “ha evidenziato la non dipendenza delle infermità del ricorrente dal servizio svolto, ritenendo la patologia… di eziologia ignota e comunque non di comprovata riconducibilità all’attività svolta (aspetto quest’ultimo non esplicitamente provato nel ricorso).
Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello (come desunti dalle pagg. 5 – 14 del ricorso):
a) error in iudicando, poiché il ricorrente “ha denunciato tempestivamente la patologia e le circostanze che l’hanno determinata”, cause “che sono imputabili al solo ed unico servizio d’ordine impartitogli… consistito nella aspirazione di decine e decine di sacchi chiusi e da svuotare contenenti a sua insaputa polvere di uranio impoverito, proveniente dalle zone di guerra, nonché altro materiale contaminante e sempre in polvere, nonché ancora nel lavaggio e la sverniciatura anche con diluenti di carri armati incrostati di detta polvere di uranio impoverito” e ciò “senza salvaguardia alcuna” e senza “preavvertenza alcuna della estrema pericolosità di queste polveri”;
b) error in iudicando, poiché si impone “da parte del Comitato di verifica, un giudizio conclusivo circa il riconoscimento della dipendenza ontologica e giuridica di una infermità da causa di servizio e che impone, quindi, una doverosa e congrua motivazione, inesistente nel caso di specie”. Inoltre, si sarebbe dovuto tener conto della “particolarità e specificità ” del caso di specie, rappresentato da un militare “che ha denunziato e lamentato non affezioni tipiche derivanti dalla attività usurante, ma di una grave patologia insorta in un giovane ventenne per il quale gli invocati eventi di servizio ben possono e debbono essere considerati tali da assurgere a fattori causali e concausali”;
c) error in iudicando, poichè “il verificarsi dell’evento costituisce un dato sufficiente ex se, secondo il cd. criterio di probabilità “, ed inoltre “occorre verificare se la direttiva del comando generale, che prescrive che i mezzi impiegati nei tt.oo. siano bonificati prima del rientro in patria sia stata effettivamente rispettata”.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
2.1. Giova innanzi tutto ricordare che la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. III, 24 ottobre 2016 n. 4152; sez. IV, 4 maggio 2011 n. 2583) ha affermato che ” a far data dall’entrata in vigore del DPR 29 ottobre 2001 n. 461, il parere del Comitato di verifica sulla causa di servizio è vincolante per l’amministrazione, diversamente da quello in precedenza reso dal Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, che invece era solo obbligatorio; di conseguenza, non sussiste un obbligo a carico dell’amministrazione di motivare le ragioni per cui non recepisce il parere della Commissione medico ospedaliera, attesi che, con la nuova disciplina introdotta dal citato DPR n. 461 del 2001, la procedura per il riconoscimento della causa di servizio è stata sostanzialmente riformata, in quanto la Commissione medica ospedaliera deve pronunciare solo sull’esistenza dell’infermità, mentre è il Comitato di verifica che è chiamato ad esprimere un parere sulla dipendenza da causa di servizio, al quale l’amministrazione è tenuta a conformarsi, salva soltanto la facoltà di richiedere, motivatamente, un ulteriore parere allo stesso Comitato, al quale è poi tenuta comunque a adeguarsi”.
2.2. Nel caso di specie, come già evidenziato dalla sentenza impugnata, il Comitato di verifica ha ritenuto la patologia in esame come di eziologia ignota e comunque di non comprovata riconducibilità all’attività svolta, né che le “attività evidenziate dal ricorrente potevano essere ritenute fattori determinanti, anche sul piano concausale, all’insorgenza dell’infermità lamentata”.
Orbene, se è vero che il parere reso dal Comitato di verifica (ancor più attesa la sua natura vincolante) deve essere congruamente motivato in relazione alla patologia esaminata ed al possibile rapporto, anche concausale, con il servizio svolto, è altrettanto vero che, a fronte di un parere che non risulta sprovvisto di motivazione (tale da considerarsi incongrua e/o irragionevole), grava sul ricorrente l’onere di fornire quantomeno un principio di prova in ordine al nesso di causalità intercorrente tra servizio svolto ed infermità .
La stessa giurisprudenza civile (Cass. civ., n. 10319/2017) prevede che il lavoratore ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno (ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.).
Più in particolare, incombe sul lavoratore l’onere di provare di avere subito un danno, la nocività dell’ambiente d lavoro ed il nesso causale tra questi due elementi, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere attuato tutte le cautele necessarie ad impedirlo (Cass. Civ., n. 2209/2016).
E ciò anche a fronte di quanto affermato dalla medesima Cassazione civile che:
– in materia di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, ha affermato la diretta applicazione della regola contenuta nell’art. 41 c.p., di modo che il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solo nel caso in cui possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa (che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, può escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. civ., nn. 17958/2015, 5174/2015, 23990/2014, 23207/2014);
– in tema di responsabilità dell’imprenditore, ha affermato (Cass. Civ., nn. 10425/2014, 2491/2008, 644/2005) che questa, ex art. 2087 c.c., pur non configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non è tuttavia circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma sanziona l’omessa disposizione di tutte le misure a cautele atte a preservare l’integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.
Nel caso di specie, l’appellante (che non ha partecipato a missioni all’estero), oltre alla esistenza della propria grave patologia, non ha fornito alcuna prova né in ordine alle concrete modalità lavorative (che si assume siano consistite anche nel lavaggio e sverniciamento di mezzi militari provenienti da fronti di guerra e nello smaltimento delle relative “polveri”), né in ordine al nesso causale o concausale tra servizio svolto in Italia e patologia sopravvenuta, anche con riferimento ad una effettiva esposizione a fattori determinanti l’infermità tale da condurre agli esiti patologici in atto.
Non può essere, in tal senso, condiviso quanto affermato dall’appellante, secondo il quale “il verificarsi dell’evento costituisce un dato sufficiente ex se, secondo il cd. criterio di probabilità “, essendo invece necessario, alla luce di quanto innanzi esposto, offrire (almeno) un principio di prova tale da collegare, anche in termini probabilistici (secondo la regola del cd. “più probabile che non”) attività lavorativa e evento dannoso.
Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Stante la particolare natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta,
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da -OMISSIS- (n. 7225/2015 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
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