Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 febbraio 2023| n. 4904.
In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore
In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore, questi deve corrispondere al locatore i canoni sino alla riconsegna oltre al risarcimento del maggior danno patito, che può essere individuato in sede contrattuale con una penale finalizzata a frofettizzare la somma. Pertanto è legittimo il cumulo economico tra i canoni versati dopo la disdetta sino alla restituzione e la penale per il ritardo.
Ordinanza|16 febbraio 2023| n. 4904. In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore
Data udienza 10 novembre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione uso diverso – Mancata riconsegna immobile – Penale – Incameramento canoni versati dopo disdetta contratto – Cumulo – Ammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13639-2019 proposto da:
(OMISSIS) SNC DI (OMISSIS) E (OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, gia’ (OMISSIS) S.p.a., in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1645-2018 della CORTE di APPELLO di SALERNO, deposi’tata il 20/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale de 10/11/2022 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore
FATTI DI CAUSA
1. La societa’ (OMISSIS) S.n.c. di (OMISSIS) e (OMISSIS) (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1645-18, del 20 novembre 2018, della Corte d’appello di Salerno, che rigettandone il gravame avverso la sentenza n. 1477-16, del 10 aprile 2016, del Tribunale di Salerno – ha confermato la condanna della stessa a riconsegnare alla (OMISSIS) S.p.a. l’azienda oggetto di affitto, oltre che al pagamento di una penale di Euro 51,64, per ogni giorno di ritardo, dal 30 aprile 2011 fino al rilascio.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio da (OMISSIS), la quale, con ricorso ex articolo 447-bis c.p.c. del 1 marzo 2013, deduceva di averle concesso in affitto di azienda, con contratto della durata di 6 anni, dal (OMISSIS) al (OMISSIS), con rinnovo tacito di anno in anno, fatta salva la facolta’ di disdetta, da inviare tre mesi prima della scadenza – un esercizio bar annesso ad una stazione di servizio ubicata in (OMISSIS). Assumendo l’allora attrice di essersi avvalsa della facolta’ di disdetta con nota del (OMISSIS), reiterata con nota del (OMISSIS), essa adiva il giudice di prime cure affinche’ condannasse la (OMISSIS) alla riconsegna dell’azienda e al pagamento della summenzionata penale di Euro 51,64, per ogni giorno di ritardata consegna dalla disdetta all’effettivo rilascio, con ulteriore condanna della convenuta – o di chi dalla stessa fosse indicata – a volturare ogni permesso, licenza o autorizzazione relativi all’esercizio in questione.
In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore
Resisteva alla domanda (OMISSIS) sul rilievo che il contratto – del quale deduceva la natura di locazione commerciale, con conseguente rinnovo sino al (OMISSIS), stante l’intempestivita’ della disdetta, ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392 – si sarebbe rinnovato almeno fino al (OMISSIS), avendo (OMISSIS) incassato somme, imputatole a titolo di canone di locazione, sino al luglio 2013. Su tali basi, oltre a richiedere il riconoscimento dell’indennita’ di avviamento per e 27.628,56, nonche’ ad evidenziare la violazione del diritto di prelazione, chiedeva – sempre in via riconvenzionale – il risarcimento dei danni, per averle (OMISSIS) impedito di ottenere l’autorizzazione dai Monopoli per la rivendita di sigarette, danni stimati in non meno di Euro 100.000,00. In via di subordine, infine, chiedeva la restituzione delle somme incassate da (OMISSIS) successivamente al (OMISSIS).
L’adito Tribunale, qualificato il contratto come azienda, accoglieva la domanda di (OMISSIS), con confermata in appello.
3. Avverso la sentenza della Corte salernitana ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base – come detto – di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo e’ denunciata – ex articolo 360, comma 1, nn. 3) e 5), c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. e dell’art.342 cod.proc.civ.,e dell’articolo 342, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale – in relazione al motivo di appello, con cui essa assume di aver denunciato il vizio di omessa/insufficiente motivazione della sentenza di primo grado, in merito alla propria domanda riconvenzionale (proposta sul presupposto della proroga, “per (acta concludentia”, del contratto, e tesa a conseguire il ristoro del danno consistito nell’impossibilita’ di riottenere le autorizzazione alla rivendita dei tabacchi) – abbia dichiarato l’inammissibilita’ per difetto di specificita’, a norma dell’articolo 342 c.p.c..
Avendo il giudice di prime cure, a dire dell’odierna ricorrente, aderito acriticamente alle deduzioni di (OMISSIS), la censura proposta, “per il principio commutativo”, non poteva che sostanziarsi in un richiamo alle deduzioni svolte in primo grado.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli articoli 1590, 1591 e 1383 c.c..
Si censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto la possibilita’ di cumulo tra la penale contrattualmente pattuita e i canoni versati da essa (OMISSIS) anche dopo la disdetta (ed esattamente, sino al luglio 2013), con interpretazione errata dell’articolo 1383 c.c., norma che disciplina il caso – nella specie, ritenuto dalla ricorrente non sussistente – di mancato adempimento della prestazione principale, consentendo il cumulo tra la stessa e. la penale nell’ipotesi di ritardo nell’esecuzione. dell’obbligazione principale, ma non di un’obbligazione accessoria.
In altri termini, nel caso che occupa, la penale sarebbe stata dovuta solo se avesse riguardato l’obbligazione di pagamento dei canoni e non – come contrattualmente previsto – quella di ritardata consegna dell’azienda, concernendo, oltretutto, un’ipotesi di inadempimento e non di ri’tardo nell’adempimento, giacche’ una volta cessato il contratto con la disdetta (con effetto che la ricorrente assimila a quello della risoluzione), la mancata riconsegna si configurerebbe come inadempimento della prestazione di restituzione, non quale seniplice ritardo nella consegna.
Siffatta conclusione troverebbe, vieppiu’, conferma nella specialita’ della previsione di cui all’articolo 1591 c.c. rispetto a quella dell’articolo 1383 c.c. (atteso che quest’ultima regolamenta la generale applicazione della clausola penale, a prescindere dalla singola fattispecie contrattuale conclusa tra le parti), giacche’ nel contratto di locazione – al quale sarebbe almeno assimilabile quello in esame – la penale stabilita per il ritardo nella restituzione si risolve in una penale per inadempimento dell’obbligo di restituzione alla data convenuta. A norma, dunque, dell’articolo 1591 c.c., che prevede l’obbligo di pagamento del corrispettivo in caso di ritardo nella restituzione del bene locato, solo l’inadempimento dell’obbligazione di versare il corrispettivo poteva far sorgere l’obbligo di pagamento di una penale prevista per tale ipotesi.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’articolo 1324 c.c..
Si censura la sentenza impugnata per aver escluso che il contratto si fosse rinnovato “per facta concludentia”, vale a dire in ragione della perdurante occupazione dei locali e del pagamento del corrispettivo fino al luglio 2013. La decisione sul punto sarebbe, secondo la ricorrente, frutto di “esame superficiale”, che dovrebbe essere “rivisto alla luce dei fatti concreti”.
Irrilevante sarebbe, poi, la circostanza valorizzata dalla sentenza impugnata per escludere la rinnovazione “per facta concludentia” (essa, anzi, dimostrerebbe, secondo la ricorrente, l’esatto contrario), ovvero che (OMISSIS) ebbe ad impedire a (OMISSIS) di riottenere l’autorizzazione alla vendita dei tabacchi. Difatti, solo nella memoria ex articolo 183, cmma 6, c.p.c. (OMISSIS) evidenziava che l’unico soggetto legittimato al rilascio delle autorizzazioni sarebbe stato tale Montella, sottacendo tale circostanza in precedenza, e dunque anche nel periodo in cui essa continuo’ a percepire il corrispettivo contrattuale pattuito, pur dopo l’avvenuta disdetta del contratto, cosi’ generando in (OMISSIS), in malafede, la convinzione sulla perdurante bonta’ del contratto e del suo rinnovo tra le parti.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, (OMISSIS) S.p.a. (gia’ (OMISSIS)), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, concludendo anche per la condanna della ricorrente a norma dell’articolo 96 c.p.c..
5. La trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.
6. la controricorrente ha depositato memoria, eccependo l’inammissibilita’ del ricorso, per difetto di legittimazione attiva della ricorrente, essendo stata la (OMISSIS) cancellata dal registro delle imprese a far tempo dal 26 gennaio 2019, come risulterebbe da visura camerale allegata alla memoria.
In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. In via preliminare deve dichiararsi l’inammissibilita’ dell’eccezione formulata dalla controricorrente nella memoria depositata a norma dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
L’eccezione, infatti, risulta basata sulla produzione di una visura della CCIA, risultante da un elenco allegato alla memoria, non notificato alla controparte, ai sensi dell’articolo 372, comma 2, c.p.c. e senza che vi sia stata, su tale eccezione, contraddittorio tra le parti, donde l’inammissibilita’ dell’eccezione (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 19 giugno 2000, n. 450, Rv. 53773001, nonche’, piu’ di recente Cass. Sez. 3, sent. 23 settembre 2013, n. 21729, Rv. 628148-01).
8. Cio’ detto, il ricorso va rigettato.
8.1. Il primo motivo e’ inammissibile, a norma dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) c.p.c..
8.1.1. Il ricorrente lamenta l’erroneita’ della decisione con cui il giudice di appello ha ritenuto privo di specificita’ uno dei motivi di gravame dallo stesso proposto.
Tuttavia, il ricorrente non riproduce, nell’odierno atto di impugnazione, tale motivo, donde la necessita’ di dare seguito al principio secondo cui “ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificita’” (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 6 settembre 2021, n. 24048, Rv. 662388-01; in senso conforme Cass. Sez. 5, ord. 29 settembre 2017, n. 22880, Rv. 645637-01; Cass. Sez. 63, sent. 28 novembre 2014, n. 25308, Rv. 633637-01; Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01; Cass. Sez. 1, sent. 20 settembre 2006, n.:20405, Rv..594136-01).
8.2. Il secondo motivo non e’ fondato.
8.2.1. La tesi della ricorrente, secondo cui non sarebbe stato possibile ilcumulo tra la penale (contrattualmente pattuita per la mancata riconsegna dell’immobile), e l’incameramento, da parte della (OMISSIS), dei canoni versati da (OMISSIS) anche dopo la disdetta del contratto, ed almeno sino al luglio 2013, non tiene conto – come sottolinea la sentenza impugnata – della previsione dell’articolo 1591 c.c..
In cado di inadempienza nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore
Tale norma, difatti, sancisce che il conduttore inadempiente rispetto all’obbligazione di restituire la cosa e’ tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno, maggior danno che la penale, prevista appunto per- l’ipotesi di mancata riconsegna, aveva, nel caso di specie, il compito di “forfetizzare”.
Corretto, inoltre, e’ il rilievo del giudice di appello secondo cui, diversamente opinando, si consentirebbe al debitore inadempiente (rispetto all’obbligo di riconsegna) “di sottrarsi all’obbligazione attraverso il proprio inadempimento” (cosi’ gia’ Cass. Sez. 6-3, sent. 9 dicembre 2015, n. 24910, Rv. 637946-01, sebbene relativa ad ipotesi “speculare” a quella che si esamina, ovvero di risoluzione di diritto di un contratto di affitto di azienda, essendosi “escluso che il risarcimento dovuto per la tardiva riconsegna dell’immobile, ex articolo 1591 c.c., potesse ritenersi compreso in una penale azionata per il mancato pagamento del canone”; in senso conforme pure Cass. Sez. 3, sent. 13 marzo 2018, n. 6015, Rv. 648412-01).
8.3. Infine (ferzo motivo e’ inammissibile, in ragione del suo carattere puramente fattuale.
8.3.1. Esso ipotizza il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (vale a dire, dell’articolo 1324 c.c.), quanto alla ritenuta insussistenza della rinnovazione del contratto “per facta concludentia”, denunciando una lettura superficiale dei fatti in causa.
Sul punto, quindi, e’ sufficiente ribadire che il vizio di violazione di legge “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; Vallegazione di tin’erronea ricognizione, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’” (“ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02) e ciò in quanto il vizio di sussunzione postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicche’ e’ estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta e’ segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 96 febbraio 2021, n. 5442).
9. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
10. Non sussistono, infine, i presupposti per dare corso alla richiesta condanna della ricorrente ex articolo 96 c.p.c..
10.1. Siffatta richiesta risulta “prima facie” infondata, se intesa come concernente l’ipotesi contemplata dal comma 1 dell’articolo 96 c.p.c., dato che la controricorrente neppure indica i danni che avrebbe subito in ragione dell’altrui condotta.
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Ove invece l’istanza fosse da intendere come riferita all’ipotesi di cui al comma 3 del medesimo articolo del codice di rito civile, deve ribadirsi come lo scopo di tale norma sia quello di sanzionare una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”” (cfr., “ex multis”, Cass. Sez. Un., ord. 16 settembre 2021, n. 25041, Rv. 662248-02; Cass. Sez. 3, ord. 4 agosto 2021, n. 22208, Rv. 662202-01; Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9912, Rv. 648130-02; Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2018, n. 7901, Rv. 648311-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2017, n. 27623, Rv. 646080-01).
Tale ipotesi, tuttavia, e’ stata ravvisata, quanto al giudizio di legittimita’, in casi o di vera e propria “giuridica insostenibilita’” del ricorso (Cass. Sez. 3, sent. 14 ottobre 2016, n. 20732, Rv. 642925-01), “non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate”, con lo stesso (così, Cass.Sez. Un., sent. n. 9912 del 2018, cit.), ovvero in presenza di altre condotte processuali – al pari indicative dello “sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali”, e suscettibili, come tali, di determinare “un ingiustificato aumento del contenzioso”, cosi’ ostacolando “la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione” – quali “la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con ii contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ove sia applicabile, “ratione temporis”, l’articolo 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., che ne esclude l’invocabilita’” (Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10327, Rv. 648432-01).
Nessuna di tali ipotesi, però ricorre nel presente caso.
11. In ragione del rigetto del ricorso, sussiste, a carico della ricorrente, l’obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n.30 maggio 2002, n. 115, articolo 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la societa’ (OMISSIS) S.n.c. di (OMISSIS) e (OMISSIS) a rifondere, alla societa’ (OMISSIS) S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi e 1249,00 più e 200,00 per esborsi oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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