Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 7 maggio 2020, n. 14043.
Massima estrapolata:
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo straniero che commette il reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana in forza del principio di territorialità e non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a facoltà riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto sia incompatibile con le regole dell’ordinamento italiano. (Fattispecie in cui è stato ritenuto irrilevante che la legislazione del Marocco preveda che l’obbligo di contribuzione decorre solo dalla sentenza di divorzio, prevalendo il disposto dell’art.147 cod.civ. in base al quale l’obbligo di assistenza sussiste indipendentemente da un provvedimento definitivo o provvisorio del giudice).
Sentenza 7 maggio 2020, n. 14043
Data udienza 16 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Violazione degli obblighi di assistenza familiare – Reato ex art.570 c.p. – Obblighi inerenti alla potestà di genitore – Mezzi di sussistenza figlio minore – Stato di bisogno Divorzio – Irrilevante l’intervento con risorse di terzi (altro genitore) – Decorrenza dell’obbligo – E’ indipendente dal provvedimento definitivo o provvisorio del giudice civile o dalla messa in mora o diffida – Obbligo perdurante anche nel caso di venuta meno dell’unità familiare
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VILLONI Orlando – Presidente
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. GIORGI Maria Silvi – rel. Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/02/2019 della Corte d’appello di Firenze.
Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GIORGI Maria Silvia;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), il quale ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza 26/01/2016 del Tribunale di Lucca, che aveva riconosciuto (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’articolo 570 c.p. per essersi sottratto agli obblighi di assistenza inerenti alla potesta’ di genitore, facendo mancare i mezzi di sussistenza al figlio minorenne (OMISSIS) dal luglio 2012 all’aprile 2014, condannandolo alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile.
La Corte ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla consistenza probatoria dei reati contestati e, richiamando in tale senso la pronuncia di primo grado, valorizzava in particolare la completezza, la coerenza e la precisione della deposizione della ex moglie, riscontrata dalla documentazione in atti, secondo la quale l’imputato si era reso sistematicamente inadempiente agli obblighi di mantenimento nei confronti del figlio minorenne omettendo qualsiasi contribuzione dal 11/07/2012, data in cui la coppia si era separata e la donna era andata a vivere presso l’abitazione dei propri genitori. L’imputato, il quale percepiva redditi stabili e congrui, non versando cosi’ in condizioni d’indisponibilita’ di risorse sufficienti, aveva quindi fatto mancare al figlio i necessari mezzi di sussistenza.
La Corte riteneva la pena inflitta congrua e adeguata alla significativa gravita’ dei fatti, in ragione del prolungato periodo di inadempimento e della grave carenza nella relazione interpersonale con il figlio, ragioni altresi’ giustificatrici del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2. Il difensore di (OMISSIS) ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, censurandone con distinti motivi:
2.1. la violazione di legge con riguardo allo stato di bisogno della persona offesa, ritenendo configurabile una mera inadempienza di natura civilistica non determinante la mancanza dei mezzi di sussistenza per il figlio, in assenza di una compiuta verifica;
2.2. la violazione di legge e il vizio motivazionale in ordine alla valutazione dell’inadempimento, senza tenere conto della corresponsione di somme da parte dei familiari della madre e da parte dello stesso imputato;
2.3. la violazione di legge e il vizio motivazionale in ordine alla erronea valutazione della condotta tenuta dall’imputato dopo il volontario allontanamento della moglie dalla casa familiare, per l’aspetto dell’intenzionalita’ dell’inadempimento, non conoscendo l’imputato il luogo di residenza della donna e del figlio;
2.4. la violazione di legge (L. n. 218 del 1995, articoli 7 e 31) e il vizio motivazionale perche’, trattandosi di controversia intercorsa tra cittadini marocchini, le questioni inerenti alla sussistenza e alla misura dell’obbligo dell’imputato di mantenere il figlio erano sottoposte alla legge nazionale del Marocco;
2.5. la violazione di legge e la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte territoriale, pur investita della specifica critica, confermato il diniego delle attenuanti generiche, trascurando gli elementi positivi quali l’incensuratezza, il radicamento nel territorio anche sotto il profilo lavorativo e l’intervenuto pagamento della provvisionale;
2.6. violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla mancata revoca della condizione posta ai sensi dell’articolo 165 c.p. alla sospensione condizionale della pena, pur avendo l’imputato provveduto al pagamento integrale della provvisionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso dell’imputato, concernenti l’affermazione di responsabilita’ per il reato contestato (motivi da 2.1. a 2.3.), si palesano manifestamente infondati e per taluni aspetti sprovvisti del carattere di specificita’, atteso che, a fronte delle argomentate risposte gia’ offerte dal giudice di appello in ordine alle singole doglianze dell’appellante, questi si e’ limitato a riproporle con il ricorso per cassazione benche’ le stesse siano state gia’ motivatamente disattese. Di talche’ il ricorrente, nella sostanza, sollecita sui punti oggetto delle censure una non consentita rilettura di merito delle emergenze processuali in un senso ritenuto a se’ piu’ favorevole.
2. In ordine alle ragioni per le quali si e’ affermato che nei comportamenti del ricorrente sopra descritti, fossero ravvisabili gli estremi del reato contestato, entrambi i giudici di merito hanno argomentato con considerazioni scevre da illogicita’ manifesta in fatto e corrette in linea di diritto, oltre che con solido ancoraggio alle informazioni probatorie, orali e documentali, conseguite per la ricostruzione della vicenda.
Ed invero, appare probatoriamente supportata e logicamente argomentata – percio’ insindacabile in sede di legittimita’ – l’affermazione per cui l’imputato non ha in alcun modo assicurato i pur strettamente necessari mezzi di sussistenza al figlio minore (per soddisfarne le elementari esigenze di vita), il quale versava in un obiettivo stato di bisogno in ragione della minore eta’, non potendo considerarsi l’omissione irrilevante anche quando a garantire le esigenze in luogo del soggetto inadempiente provveda l’altro genitore con proprie risorse o intervengano terzi, come nel caso di specie.
3. La Corte territoriale (anche tramite il richiamo per relationem a quanto dedotto nella sentenza di primo grado) ha compiuto un’attenta verifica – conducendo una rigorosa analisi delle dichiarazioni e del comportamento processuale della teste (OMISSIS), in assenza di elementi idonei a smentire l’assunto della ex moglie circa l’inadempimento da parte dell’imputato dell’obbligo contributivo a suo carico. Cio’ con riferimento soprattutto alla somma di Euro 4.500,00 corrisposta a dire dell’imputato alla donna e da questa non smentita, rispetto alla quale la Corte territoriale ha rilevato che essa era stata in realta’ stabilita dal Tribunale di Settat del Marocco quale “dono di consolazione” per il divorzio e non aveva alcuna attinenza con il mantenimento del figlio.
4. Quanto alla doglianza relativa all’impossibilita’ di adempiere da parte dell’imputato perche’ non conosceva il nuovo domicilio della moglie e del figlio, la Corte ha osservato – con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede – che la copiosa corrispondenza intercorsa fra i rispettivi legali vale da sola a smentire tale assunto perche’ ben avrebbe potuto (OMISSIS) concordare tramite il proprio difensore le modalita’ di versamento.
5. Priva di pregio appare anche l’ulteriore censura relativa alla denegata applicazione della legge nazionale comune alle parti al momento dello scioglimento del matrimonio (quella del Marocco), secondo cui l’obbligo di contribuzione a favore del figlio decorrerebbe solo dalla data della sentenza di divorzio.
Per un verso, l’obbligo di assistenza inerente alla responsabilita’ genitoriale cui l’imputato si e’ sottratto, facendo mancare i mezzi di sussistenza al discendente di eta’ minore, deriva dal principio generale stabilito dall’articolo 147 c.c., che ha copertura costituzionale (articolo 30 Cost.), ed opera indipendentemente da un provvedimento definitivo o provvisorio del giudice civile o dalla presentazione di una messa in mora e di una diffida. Per altro verso, tale obbligo perdura anche in caso di venire meno dell’unita’ familiare e a nulla rileva che l’imputato, a far data dal maggio 2014, si sia determinato a corrispondere la somma stabilita pro futuro con la sentenza di divorzio pronunciata dal Tribunale di Settat del Marocco, atteso che la contestazione riguarda appunto la condotta inadempiente per il periodo pregresso.
Va inoltre rimarcato che, in forza dell’applicazione nel nostro ordinamento del principio di territorialita’ di cui all’articolo 6 c.p., “chiunque”, cittadino o straniero, commette nel territorio dello Stato un reato – nella specie quello di cui alla norma incriminatrice dell’articolo 570 c.p. – e’ punito secondo la legge italiana, talche’ lo straniero, imputato di un delitto contro la persona o la famiglia (nella specie: violazione degli obblighi di assistenza familiare), non puo’ invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a facolta’ asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell’ordinamento italiano in cui l’agente ha scelto di vivere e radicarsi, attesa altresi’ l’esigenza di valorizzare – in linea con gli articoli 2 e 3 Cost. – la centralita’ e la dignita’ della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse (Cass., Sez. 3, n. 14960 del 29/01/2015, E H., Rv. 263122).
6. Quanto al trattamento sanzionatorio, con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, il ricorrente si limita a riproporre col ricorso la medesima doglianza gia’ avanzata e disattesa dal giudice di appello, il quale, con motivazione in fatto puntualmente argomentata e percio’ insindacabile da parte della Corte di legittimita’, ha ritenuto il trattamento sanzionatorio congruamente determinato, facendo riferimento al protratto periodo di mancata contribuzione e alla “latitanza” anche affettiva tenuta nei confronti del figlio, tanto da escludere la sussistenza di elementi suscettibili di favorevole apprezzamento per la concessione delle attenuanti generiche.
7. Circa infine la mancata revoca della condizione cui era stata subordinata la concessione del beneficio della sospensione condizionale, la Corte territoriale ne ha correttamente evidenziato la sopravvenuta carenza di interesse, avendo l’imputato provveduto a corrispondere interamente la somma dovuta a titolo di provvisionale.
8. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, a versare alla Cassa delle Ammende una somma che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato, che condanna al pagamento delle spese processuali e a versare a favore della Cassa delle ammende la somma di Euro duemila.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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