In tema di traduzione degli atti

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 5 aprile 2019, n. 15056.

La massima estrapolata:

In tema di traduzione degli atti, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l’omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all’imputato alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’art. 613 cod. proc. pen., ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione.

Sentenza 5 aprile 2019, n. 15056

Data udienza 11 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/10/2017 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SETTEMBRE ANTONIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BIRRITTERI LUIGI, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Bari ha, con la sentenza impugnata, confermato il giudizio di responsabilita’ formulato dal giudice di prima cura a carico di (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 497/bis c.p. e, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha, su appello dell’imputata, riconosciuto a quest’ultima il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputata per violazione degli articoli 143, 179 e 601 c.p.p., per omessa traduzione degli atti processuali nella lingua dell’imputata (la donna e’ cittadina afgana). Lamenta, in particolare, che sia mancata la traduzione, nella lingua afgana, degli atti del giudizio di primo grado, del decreto di citazione in appello e della sentenza d’appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non puo’ essere accolto. Le plurime doglianze della ricorrente vanno esaminate separatamente, sul presupposto che (OMISSIS) non conosceva la lingua italiana. Quanto si legge in sentenza (che deve presumersi la conoscenza della lingua italiana da parte della donna perche’ aveva, del tutto autonomamente, eletto il domicilio in Italia) e’ contraddetto dallo stesso verbale di elezione di domicilio, richiamato in sentenza, ove si da’ atto che (OMISSIS) conosceva la lingua inglese (e non quella italiana). Tuttavia, occorre rilevare quanto segue.
1. L’imputata e’ rimasta assente fin dal giudizio di primo grado, non essendosi mai presentata dinanzi al suo giudice. Un problema di traduzione degli atti si poneva, in primo grado, per l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e per il decreto di citazione a giudizio, che dovevano essere redatti in modo da far comprendere all’imputata l’accusa mossa nei suoi confronti. Non s’era presentata la necessita’ di tradurre gli atti del procedimento, o di nominare a (OMISSIS) un interprete per assistere al processo, comunicare col difensore e presentare, eventualmente, richieste e memorie, data la sua scelta processuale (di non presentarsi in giudizio).
La mancata traduzione, nella lingua dell’imputata, degli atti sopra specificati ha comportato una nullita’ di ordine generale di tipo intermedio (articolo 178 c.p.p., lettera c) e articolo 180 c.p.p.) la cui deducibilita’ e’ soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte (Cass., SU, n. 12 del 31/5/2000). Nella specie, non risulta che il difensore dell’imputata, presente in udienza, abbia eccepito la nullita’ entro il limite temporale dell’articolo 182 c.p.p., sicche’ la nullita’ non e’ piu’ deducibile.
2. Per quanto attiene all’obbligo di traduzione della sentenza di primo grado, va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che ravvisa la stretta correlazione dell’obbligo di traduzione della sentenza suddetta con la previsione dell’articolo 571 c.p.p., che attribuisce all’imputato l’autonomo potere di appellare la pronuncia a lui sfavorevole. Proprio per la funzione servente della traduzione, rispetto alla facolta’ di proporre appello, e’ stato chiarito che spetta in via esclusiva all’imputato alloglotta, e non al suo difensore, la legittimazione a rilevare la violazione dell’obbligo di traduzione della sentenza, previsto dall’articolo 143 c.p.p. (cass., n. 32057 del 21/6/207; sez. 6, n. 45457 del 29/9/2015; sez. 3, n. 40616 del 5/6/2013; sez. 6, n. 35571 del 21/9/2011). Nella specie, e’ solo il difensore dell’imputato che si duole della mancata traduzione della sentenza di primo grado, sicche’ l’eccezione di nullita’ va disattesa, perche’ proposta da soggetto non legittimato.
3. Il decreto di citazione per il giudizio d’appello, analogamente a quanto e’ gia’ stato stabilito per l’avviso di fissazione dell’udienza camerale nel giudizio d’appello, non deve obbligatoriamente essere tradotto nella lingua del destinatario quando questi sia uno straniero che non conosce la lingua italiana, non contenendo il suddetto avviso – contrariamente al decreto di citazione a giudizio in primo grado – alcun elemento di accusa, ma solo la data dell’udienza fissata per l’esame del gravame proposto dallo stesso imputato o dal suo difensore (cass., n. 32251 del 26/1/2015, Rv 265301). Pertanto, ben avrebbe potuto l’imputata assumere informazioni dal difensore – presso cui aveva eletto domicilio – della data fissata per il giudizio di appello.
4. Quanto alla sentenza d’appello, va tenuta presente la modifica apportata all’articolo 613 c.p.p. dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, che ha soppresso la facolta’ dell’imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione. La funzione servente della traduzione, rispetto alla facolta’ di proporre impugnazione, evidenziata dalla giurisprudenza con riguardo alla traduzione della sentenza di primo grado (ut supra, par. 2), esclude che l’omessa traduzione della sentenza d’appello determini – sic et simpliciter – la nullita’ della stessa. Come messo in evidenza dalla giurisprudenza piu’ recente, alla violazione dell’articolo 143 c.p.p. non sono collegate nullita’ formali specifiche, sicche’ la eventuale sanzione configurabile per il caso di inosservanza di tali disposizioni e’ esclusivamente quella prevista dall’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), concernente la violazioni delle disposizioni relative all’assistenza dell’imputato: essa richiede, tuttavia, che una qualche effettiva lesione di tale diritto possa dirsi realizzata, in quanto si tratta di disposizioni volte ad assicurare l’effettivita’ e la piena consapevolezza della partecipazione al giudizio e la possibilita’ della completa esplicazione del diritto di difesa, sicche’ quando queste si siano comunque realizzate non puo’ dirsi sussistente alcuna violazione (cosi’, in motivazione, cass., n. 22261 del 9/12/2016).
Nel caso di specie il difensore di (OMISSIS) ha proposto tempestivo ricorso per cassazione e non ha indicato alcun pregiudizio conseguente all’omissione della traduzione della sentenza d’appello. Peraltro, risulta bene difficile immaginare un qualche pregiudizio per l’imputata, dal momento che la stessa si e’ totalmente disinteressata del procedimento a suo carico e considerato che la stessa non ha piu’, dopo la modifica dell’articolo 613 c.p.p., sopra evidenziata, la facolta’ di ricorrere personalmente in cassazione. Deve pertanto escludersi l’esistenza stessa della violazione, sulla base di una interpretazione teleologica della norma, che consideri assorbente la funzione dell’istituto.
5. Consegue a tanto l’inammissibilita’ del ricorso. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di tremila Euro, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle Ammende.

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