Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 1 luglio 2020, n. 19760.
Massima estrapolata:
In tema di tentato omicidio la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, sicché deve essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a esprimere il fine perseguito dall’agente. Esula invece dalla tematica del tentato omicidio, e non ne esclude la ricorrenza, ogni rilievo in ordine alla necessaria gravità delle ferite riportate dalla vittima, ben potendo ipotizzarsi il caso di un’azione delittuosa che non abbia cagionato alcuna lesione della persona offesa e nonostante ciò sia inquadrabile nel tentativo di omicidio. Infatti, la scarsa entità o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa.
Sentenza 1 luglio 2020, n. 19760
Data udienza 17 giugno 2020
Tag – parola chiave: Tentato omicidio – Banali motivi di circolazione stradale – Sentenza di condanna – Ricorso per cassazione – Mancata assunzione di prova decisiva – Deducibilità solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. LIUNI Teresa – rel. Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere
Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/02/2019 della CORTE di APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. TERESA LIUNI;
udito il Procuratore generale, Dott. GIUSEPPINA CASELLA, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ per entrambi i ricorsi;
L’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA, in qualita’ di sostituta processuale dell’avvocato (OMISSIS), del foro di MESSINA, nomina depositata all’odierna udienza, in difesa delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), si associa alle conclusioni del Procuratore Generale e deposita conclusioni e nota spese.
L’avvocato (OMISSIS) del foro di MESSINA, in difesa di (OMISSIS), conclude riportandosi ai motivi di ricorso;
L’avvocato (OMISSIS) del foro di MESSINA, in difesa di (OMISSIS), conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/2/2019 la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del 28/2/2018 del Tribunale in sede, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 12 e mesi 3 di reclusione per il tentato omicidio di (OMISSIS) e per la connessa violazione di porto ingiustificato in luogo pubblico di uno strumento da punta e da taglio; commessi in (OMISSIS); con la recidiva reiterata prevista dall’articolo 99 c.p..
Il fatto era accaduto per banali motivi di circolazione stradale, quando (OMISSIS), alla guida della sua vettura, aveva superato la Fiat Panda in cui viaggiava il (OMISSIS) quale passeggero e si era sentito ingiuriare pesantemente dall’uomo. Aveva allora arrestato la marcia ed era sceso dalla macchina: ne era nata una colluttazione con l’uomo della Fiat Panda, finche’ erano intervenute altre persone a separare i contendenti. Tornato a casa, il (OMISSIS) si era reso conto di essere stato ferito con un coltello; quindi si era recato in ospedale ed era stato sottoposto ad intervento chirurgico.
La Corte territoriale ha confermato l’accertamento di responsabilita’ del (OMISSIS), che aveva costituito il principale motivo di appello dell’imputato, respingendo le censure dirette ad infirmare le identificazioni del medesimo effettuate dalla persona offesa e dalla sua fidanzata nel corso del procedimento.
E’ stata inoltre confermata la qualificazione giuridica del fatto in termini di tentato omicidio e si sono respinte le sollecitazioni difensive all’acquisizione, gia’ richiesta al collegio di primo grado ai sensi dell’articolo 507 c.p.p., della relazione di servizio a firma del Sovr. (OMISSIS) riguardante la descrizione della vettura Panda in uso alla ex moglie del (OMISSIS).
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con atti distinti, i, difensori dell’imputato, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi di impugnazione, che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione, a tenore dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Nel primo ricorso si avanzano varie censure di violazione di legge e vizi della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), d), e).
2.1.1. Con la prima il ricorrente denuncia la violazione dei criteri ermeneutici di valutazione della prova dichiarativa – di cui si rileva anche il travisamento – con riguardo alle testimonianze di (OMISSIS) e della fidanzata (OMISSIS), nonche’ con riferimento alle dichiarazioni di (OMISSIS), testimone oculare del fatto, rese in sede di riconoscimento fotografico ed in dibattimento.
Quanto ai primi due testi, si denuncia che essi avevano indicato il (OMISSIS) con molte incertezze nel primo incidente probatorio del 26/8/2016, mentre non lo avevano riconosciuto affatto in quello successivo del 20/12/2016 (l’ (OMISSIS) aveva soltanto riferito di una certa somiglianza), ed ugualmente non lo avevano riconosciuto nell’udienza dibattimentale del 27/6/2017. Pertanto, i giudici di merito avevano valorizzato il riconoscimento effettuato dalla persona offesa e dalla fidanzata nel corso delle indagini e nell’immediatezza del fatto, senza pero’ spiegare le ragioni di tale preferenza a fronte dell’esito negativo degli ulteriori atti istruttori. Ne’ il quadro probatorio si potrebbe giovare del contributo del teste (OMISSIS), considerata l’inconciliabilita’ della descrizione fisica dell’aggressore resa da costui, elemento che la Corte territoriale avrebbe vanamente tentato di neutralizzare.
2.1.2. Ulteriore censura riguarda la ritenuta qualificazione giuridica della vicenda nel paradigma del tentato omicidio.
Sul punto si contesta l’idoneita’ degli atti, non essendosi considerata la brevita’ dell’azione aggressiva e la mancanza di reiterazione dei colpi, indicative anche dell’assenza di intento omicida. Peraltro, le lesioni non avevano presentato evoluzioni peggiorative e la persona offesa era stata dimessa in breve tempo dall’ospedale.
2.1.3. Con l’ultimo motivo di impugnazione si e’ censurata la negazione delle circostanze attenuanti generiche con motivazione ritenuta apparente e tautologica, nonche’ affetta da un palese errore tecnico-giuridico.
Tuttavia, tale motivo non e’ stato sviluppato nel prosieguo, in quanto le considerazioni ivi svolte si riferiscono ad un tale (OMISSIS), destinatario di una misura di prevenzione per il delitto di usura.
2.2. Nel secondo atto di ricorso, si avanzano plurime doglianze.
2.2.1. la prima censura denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera d).
Si tratta dell’annotazione di servizio redatta dall’ufficiale di polizia giudiziaria (OMISSIS) della Questura di Messina, la cui rilevanza viene indicata nel fatto che in essa si evidenziano le difformita’ tra la vettura in cui viaggiava l’aggressore e quella in uso ad (OMISSIS), compagna dell’imputato. La richiesta di acquisire tale annotazione era stata avanzata in entrambi i gradi di giudizio, rispettivamente ai sensi degli articoli 507 e 603 c.p.p., ma era stata sempre rigettata dai giudici. In particolare, la Corte territoriale non ne aveva ritenuto la necessita’, a fronte dell’individuazione operata dal (OMISSIS) della (OMISSIS) come la conducente della vettura Fiat Panda su cui si trovava il (OMISSIS), in quanto comunque avrebbe potuto trattarsi di un’altra Panda di colore bianco. Tale motivazione viene considerata come illogica e contraddittoria dal ricorrente.
2.2.2. Con il secondo motivo si censura la manifesta illogicita’ della motivazione in ordine al percorso di valutazione degli incidenti probatori e della ricognizione di persona.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha ritenuto la piena sovrapponibilita’ tra la ricognizione ex articolo 213 c.p.p. effettuata negli incidenti probatori di agosto e dicembre 2016, l’individuazione fotografica esperita nelle indagini, nonche’ il riconoscimento eseguito nel corso dell’udienza dibattimentale del 27/6/2017. Si addebita alla Corte di appello di non avere seguito i principi ermeneutici tracciati dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema di rilevanza probatoria della ricognizione fotografica, alla luce del fatto che in entrambi gli incidenti probatori e nel riconoscimento de visu in udienza non si era pervenuti allo stesso positivo esito dell’individuazione fotografica curata dagli ufficiali di polizia giudiziaria, peraltro condotta – a dire del ricorrente – con modalita’ diverse dalle previsioni di legge, essendo stata esibita all’ (OMISSIS) esclusivamente un’immagine dell’imputato, come risulterebbe dal verbale dell’incidente probatorio del 26/8/2016, a pag. 9.
Analoghe riserve sono state avanzate per l’individuazione fotografica eseguita nelle indagini dal teste (OMISSIS), cosi’ ponendosi dubbi in ordine alla genuinita’ del riconoscimento da costui effettuato. Ne’ potrebbe bastare il rilievo della Corte territoriale della maggiore affidabilita’ della prima ricognizione fotografica, in quanto piu’ vicina al fatto, poiche’ anche il primo incidente probatorio dell’agosto 2016 era vicino all’evento, accaduto a maggio.
2.2.3. Con ulteriore doglianza si denuncia il travisamento della prova quanto alla ritenuta convergenza delle dichiarazioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Si illustra che un primo travisamento si annida laddove l’impugnata sentenza indica nell’incidente probatorio del dicembre 2016 l’unico caso di mancata ricognizione da parte del (OMISSIS), poiche’ cio’ collide con le risultanze dell’incidente probatorio dell’agosto 2016.
Inoltre, secondo il ricorrente, non si e’ tenuto conto di notevoli discrasie nelle descrizioni effettuate dai tre testi dell’aggressore, il quale secondo il (OMISSIS) portava gli occhiali, dato non riferito dagli altri, ovvero aveva struttura muscolosa secondo la (OMISSIS), e ancora aveva una mobilita’ atipica per il (OMISSIS), e invece normale per il (OMISSIS). Da tanto conseguirebbe l’impossibilita’ di un giudizio di sovrapponibilita’ delle fattezze dell’imputato nelle versioni rese dai tre testimoni, come invece ha affermato la Corte territoriale.
2.2.4. L’ultimo motivo di impugnazione censura l’erronea qualificazione giuridica del fatto in termini di tentato omicidio. E’ stato valorizzato a tal fine il dato che la persona offesa si fosse recata al Pronto soccorso piu’ vicino soltanto diverse ore dopo l’aggressione. Da tale osservazione si fa discendere una cesura del nesso causale tra l’aggressione e le potenziali conseguenze letali, mancando ogni prova che le ferite inferte, da sole, sarebbero state sufficienti a cagionare, seppure astrattamente, il decesso del (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Gli atti di impugnazione contengono entrambi censure inammissibili, in quanto si sostanziano in rilievi di stampo prettamente fattuale e confutativo, diretti a sollecitare un diverso apprezzamento di merito sui punti indicati in senso favorevole alle tesi difensive, operazione preclusa nella presente sede di legittimita’.
Va ancora rilevato, sempre in termini generali, essendo dal giudizio di merito scaturita una pronuncia di secondo grado, pienamente confermativa della decisione di primo grado (“doppia conforme”), si ritiene in prima analisi che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimita’ sia soltanto quello che – a presidio del devolutum – discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017 – dep. 2018, Petrocelli e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/1/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tali ristretti binari, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) ove la decisione sia sorretta da adeguata valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio.
Nel caso in esame, l’esito del giudizio in entrambi i gradi e’ giunto al medesimo risultato, sicche’ l’indagine di legittimita’ deve limitarsi al vaglio della correttezza del procedimento sotto i profili della completezza di valutazione del compendio probatorio e dell’assenza di manifesto travisamento delle prove, considerando altresi’ che il meccanismo della doppia conforme determina un unico apparato motivazionale integrato, al quale deve farsi globale riferimento per la valutazione del vizio nei limiti della sua rilevanza.
2. Alla stregua delle indicate premesse metodologiche, si procede all’esame dei motivi di impugnazione, in piu’ punti comuni ai due ricorsi, rilevando quanto segue.
2.1. Preliminare e’ la trattazione della doglianza della mancata assunzione di una prova decisiva, indicata nell’annotazione di polizia giudiziaria a firma del Sovr. (OMISSIS).
Sul punto, deve rilevarsi – ancor prima di notare il carattere non decisivo dell’invocata prova documentale, come peraltro affermato dai giudici di merito, e a prescindere dal difetto di allegazione dell’annotazione, nonostante la contraria affermazione difensiva, il che rende il ricorso non autosufficiente – che, secondo la consolidata esegesi di legittimita’, la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, puo’ essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, sicche’ il motivo non potra’ essere ammissibilmente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 1, n. 16772 del 15/04/2010, Z., Rv. 246932; Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270; Sez. 6, n. 28007 del 19/06/2019, Rv. 276380).
Tale evenienza si e’ per l’appunto verificata nel caso in esame, in cui l’acquisizione documentale e’ stata sollecitata in primo grado invocando i poteri istruttori officiosi ex articolo 507 c.p.p. e riproposta nel processo di appello ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., senza mai essere reputata necessaria dai giudici di merito.
Cio’, anche a tacere del rilievo che, trattandosi di istanza formulata nel rito ordinario, ogni acquisizione di atti di indagine non irripetibili, ai sensi dell’articolo 493 c.p.p., avrebbe dovuto essere previamente sottoposta al contraddittorio (fatto che la Corte di merito, nella motivazione della sentenza impugnata, ha escluso essere avvenuto), non potendo entrare a comporre il fascicolo del dibattimento in caso di opposizione di una delle parti.
La censura, pertanto, e’ inammissibile.
2.2. In entrambi i ricorsi si lamenta poi l’erronea valutazione delle testimonianze e ricognizioni effettuate da (OMISSIS) e dalla fidanzata (OMISSIS), nonche’ da (OMISSIS).
Richiamando quanto premesso sugli effetti scaturenti dalla pronuncia doppia conforme, si rileva che le motivazioni delle due sentenze hanno concordemente illustrato la convergenza delle deposizioni degli indicati testimoni sul tema della descrizione delle fattezze fisiche dell’aggressore, dando adeguatamente conto delle apparenti discrasie relative alla muscolatura e alla dotazione di occhiali (riferita anche dalla (OMISSIS)), e ancora alla scioltezza o meno dei movimenti del medesimo.
In tali passaggi motivazionali, ampiamente trattati nelle sentenze, non sono ravvisabili fratture logiche o argomentative di sorta, ne’ alcun tipo di violazione di legge. I giudici di merito hanno valorizzato la ricognizione effettuata dalla persona offesa nell’immediatezza del fatto, rispetto alle titubanze manifestate nel primo incidente probatorio e al negativo esito del secondo incidente probatorio.
Cio’ si inserisce nel solco delle coordinate giurisprudenziali in tema di riconoscimento fotografico, essendosi affermato che puo’ essere riconosciuta maggiore valenza probatoria all’individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari – la cui capacita’ dimostrativa deriva dalla deposizione di colui che ha effettuato il riconoscimento – piuttosto che alla ricognizione personale svolta, con esito negativo o in termini di “non assoluta certezza”, in dibattimento dallo stesso dichiarante, purche’ il giudice motivi congruamente, in modo lineare e coerente, in ordine alla credibilita’ di detto dichiarante (Sez. 2, n. 55420 del 23/11/2018, Balan, Rv. 274470; Sez. 5, n. 51729 del 12/10/2016, Rv. 268860; Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, Bartolozzi, Rv. 265813).
Inoltre, le sentenze hanno illustrato che il terzo teste, (OMISSIS), non ha mai manifestato alcuna incertezza, sia nelle indagini preliminari che nel dibattimento, quanto all’individuazione del (OMISSIS) come l’autore dell’aggressione, e la valutazione di piena, attendibilita’ di detto teste – adeguatamente motivata nell’impugnata sentenza – rende ragione dell’assenza di dubbi sull’affermazione di responsabilita’ dell’imputato.
Nemmeno puo’ attribuirsi rilievo all’indimostrata affermazione (non essendo stati prodotti i verbali del richiamato incidente probatorio) che l’individuazione fotografica curata dagli ufficiali di polizia giudiziaria era stata condotta – a dire del ricorrente – con modalita’ diverse dalle previsioni di legge, essendo stata esibita all’ (OMISSIS) esclusivamente un’immagine dell’imputato, poiche’ tale riconoscimento informale operato dalla polizia giudiziaria sulla base di una fotografia dell’indagato costituisce una prova atipica la cui affidabilita’ deriva dalla credibilita’ della dichiarazione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua identificazione (Sez. F, n. 37012 del 29/8/2019, Occhipinti, Rv. 277635).
2.3. Entrambi i ricorsi censurano la qualificazione giuridica della vicenda nel paradigma del tentato omicidio, in particolare contestandosi l’idoneita’ degli atti a provocare la morte della vittima, attesa la brevita’ dell’azione aggressiva e la mancanza di reiterazione dei colpi, nonche’ la pochezza delle conseguenze lesive tali da porre in dubbio la finalita’ omicidiaria dell’aggressione.
Anche sotto questo profilo, non si ravvisa alcun vizio rilevante ne’ come violazione di legge ne’ come illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione.
I giudici di merito hanno ben evidenziato i profili fattuali che li hanno indotti a ravvisare nell’azione del (OMISSIS) un tentativo di omicidio, imperniando il ragionamento motivazionale sull’idoneita’ del mezzo usato, un’arma da taglio, sulla zona corporea attinta, sede di organi vitali, e sulla lesivita’ ivi riscontrata: ferite penetranti multiple all’addome, che, secondo le dichiarazioni del Dott. (OMISSIS), chirurgo che aveva operato d’urgenza il (OMISSIS), ove non tempestivamente trattate, avrebbero irreversibilmente compromesso la vita del paziente.
L’operazione logica dei giudici di merito, diretta a trarre l’atteggiamento psichico del ricorrente dalle modalita’ dell’azione e dal mezzo impiegato, e’ la metodica comunemente utilizzata per verificare l’intenzionalita’ omicidiaria nel tentativo, ricerca da condurre secondo il criterio della prognosi postuma ex ante. In tali termini e’ il costante e condiviso orientamento giurisprudenziale (Sez. 1, n. 35006 del 18/4/2013, Polisi, Rv. 257208; Sez. 1, n. 51056 del 27/11/2013, Tripodi, Rv. 257881; Sez. 5, n. 23618 del 11/04/2016, Ganapini, Rv. 266915; Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012), al quale si intende qui dare continuita’, ribadendosi che, in tema di omicidio tentato, la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, sicche’ deve essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialita’ offensiva, siano i piu’ idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente.
Esula invece dalla tematica del tentato omicidio, e non ne esclude la ricorrenza, ogni rilievo in ordine alla necessaria gravita’ delle ferite riportate dalla vittima, ben potendo ipotizzarsi il caso di un’azione delittuosa che non abbia cagionato alcuna lesione della persona offesa e nonostante cio’ sia inquadrabile nel tentativo di omicidio. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di tentato omicidio, la scarsa entita’ (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per se’ l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volonta’ dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702).
2.4. Soltanto nel primo ricorso si e’ lamentata la negazione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo tale determinazione sorretta da motivazione apparente e tautologica, nonche’ affetta da un palese errore tecnico-giuridico.
Come si e’ anticipato, questo motivo non ha avuto alcuna effettiva trattazione, in quanto dopo l’enunciazione dei pretesi vizi, le argomentazioni svolte sono riferite ad un tale (OMISSIS), destinatario di una misura di prevenzione per il delitto di usura, e successivamente si diffondono in termini generali sul tema delle circostanze attenuanti generiche, senza collegamenti con l’impugnata sentenza.
Si tratta dunque di un motivo di impugnazione aspecifico e privo di connessione con il tessuto motivazionale dell’impugnata sentenza: esso e’ quindi inammissibile per genericita’, ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., lettera d).
3. In conclusione, tutti i motivi di impugnazione risultano inammissibili: ne consegue la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila Euro alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., non risultando l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186/2000.
Inoltre, l’imputato e’ tenuto alla rifusione delle spese affrontate dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) per la costituzione nella presente fase processuale, che si liquidano – in relazione alle voci indicate nelle note depositate, nonche’ in considerazione dell’attivita’ effettivamente svolta, delle questioni trattate e del numero di parti rappresentate – nella misura di Euro 3.800,00, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 12 e 16, come modificato dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.800,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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