Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 8 settembre 2020, n. 25254.
In tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’articolo 73-bis, comma 1, lettera a), del Dpr n. 309 del 1990 – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga a un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione.
Sentenza 8 settembre 2020, n. 25254
Data udienza 25 giugno 2020
Tag – parola chiave: Stupefacenti – Spaccio – Dato ponderale – Irrilevanza – Ulteriori elementi della condotta – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 11/07/2019 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Ubalda Macri’;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Barberini Roberta Maria, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 23 gennaio 2019 il Tribunale di Bari ha condannato (OMISSIS), con la diminuente del rito, alla pena di anni 1, mesi 8 di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa, per la “violazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, consistente nella detenzione a fini di spaccio di 122 grammi di hashish e 28 di marijuana, in (OMISSIS).
Con sentenza dell’11 luglio 2019 la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado.
2. Con un unico motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’uso personale della sostanza sequestrata. Precisa che il solo dato ponderale non costituiva elemento decisivo per ritenere la destinazione della droga ad uso non personale dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base di ulteriori parametri normativi, se, oltre al dato quantitativo, le modalita’ di presentazione e le altre circostanze dell’azione fossero tali da escludere una finalita’ meramente personale della detenzione. Ritiene che la sentenza impugnata non avesse fatto buon governo dei principi di diritto, atteso il suo comportamento processuale collaborativo, l’esito negativo della perquisizione personale, l’omessa perquisizione domiciliare, il mancato rinvenimento di ogni strumento utile al confezionamento o alla pesatura, l’assenza di sostanza da taglio e di banconote che potessero presumersi provento dell’attivita’ di spaccio, la circostanza che non fosse stato mai attenzionato dai Carabinieri di Cassano delle Murge ne’ fosse stata rinvenuta documentazione relativa a fermi, pur risiedendo in un piccolo centro cittadino. L’esame complessivo degli elementi raccolti avrebbe dovuto indurre la Corte a ritenere carente la prova della colpevolezza o, quanto meno, a fornire una motivazione adeguata della non attendibilita’ delle prove contrarie. Le modalita’ dei fatti, come emersi dalle indagini della polizia giudiziaria, non costituivano un elemento significativo e decisivo per ritenere accertata la finalita’ di spaccio. Lamenta che i Giudici di merito non avevano valutato il contesto della vicenda pervenendo alla condanna solo a seguito di una presunzione assoluta derivante dal dato ponderale, dalla suddivisione in dosi, dall’atteggiamento di fuga alla vista dei militari, dall’orario serale. Non era stata valutata invece la disponibilita’ di denaro di provenienza lecita, quale l’indennita’ di disoccupazione di Euro 1.400 mensili.
Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata perche’ il fatto non costituisce reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ manifestamente infondato perche’ consiste in generiche doglianze di fatto gia’ disattese con corretta motivazione giuridica da parte dei Giudici di merito.
Con motivazione logica e razionale la Corte territoriale ha concluso che non vi erano dubbi sulla destinazione dello stupefacente allo spaccio. Il (OMISSIS) era stato trovato in zona periferica ed in ora serale con hashish e marijuana suddivisa in 31 porzioni confezionate; alla vista dei militari, aveva arrestato la marcia del veicolo e si era disfatto del borsello lanciandolo a terra; all’epoca dei fatti era disoccupato e la compagna, che lavorava come cucitrice, non guadagnava abbastanza; aveva gia’ un precedente specifico.
La decisione e’ in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimita’ secondo cui, in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73-bis, comma 1, lettera a), – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalita’ di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalita’ meramente personale della detenzione (tra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salaman, Rv. 260991 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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