Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 novembre 2020| n. 26516.

In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa

Ordinanza|20 novembre 2020| n. 26516

Data udienza 21 luglio 2020

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – AVVOCATO – RESPONSABILITA’

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 28936-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in. (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 2215/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di nove motivi, per la cassazione della sentenza n. 2215/18, del 30 agosto 2018, della Corte di Appello di Bologna, che – respingendo il gravame principale dalla stessa esperito avverso la sentenza n. 232/09, del 10 ottobre 2009, del Tribunale di Ravenna, sezione distaccata di Faenza, nonche’ quello incidentale, in punto spese di lite, proposto da (OMISSIS) – ha confermato il rigetto della domanda di accertamento della responsabilita’ professionale del predetto Avv. (OMISSIS), quanto alla mancata instaurazione di un giudizio civile, in relazione al quale il medesimo aveva ricevuto l’incarico di procedere dall’odierna ricorrente.
2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di essersi resa, nel 1998, cessionaria – da tale (OMISSIS) – di un’azienda avente ad oggetto attivita’ di estetista e di commercio al minuto di profumeria, bigiotteria e cosmesi, contratto di cessione aziendale, questo, al quale risultava collegato altro di locazione commerciale. Tuttavia, poco tempo dopo la conclusione dell’operazione negoziale, l’estetista (OMISSIS) con la quale la cedente (OMISSIS), secondo la prospettazione dell’odierna ricorrente, avrebbe intrattenuto una societa’ di fatto – abbandonava il centro estetico, avviando le pratiche per l’apertura di identica attivita’ in zona limitrofa, cosi’ “contravvenendo ai piu’ basilari doveri di buona fede e correttezza”. Inoltre, la medesima (OMISSIS) constatava, pressoche’ nel contempo, di aver subito un grave danno, per essere divenuta proprietaria, con il trasferimento del complesso aziendale, “di prodotti scaduti e/o non commerciabili e comunque non conformi alla normativa dettata in tema di salute pubblica”.
Interpellato, pertanto, l’Avv. (OMISSIS) circa la possibilita’ di intraprendere iniziative giudiziali nei confronti della (OMISSIS) e della (OMISSIS), il predetto legale avrebbe omesso di informarla circa la possibilita’ di agire contro di esse, incassando, pero’, la somma di Euro 6.549,00 a titolo di acconto per la causa instauranda (sempre secondo la prospettazione dell’odierna ricorrente), senza tuttavia procedere ad incardinare alcun giudizio.
Su tali basi, quindi, la (OMISSIS) convenne in giudizio il legale, per farne valere la responsabilita’ professionale in relazione alle omissioni appena descritte, chiedendone la condanna, non solo al risarcimento dei danni, ma anche alla restituzione delle somme ricevute quale acconto del proprio compenso.
Respinta integralmente dall’adito Tribunale la domanda, sul rilievo che – pur provato l’inadempimento del legale – difettasse la prova “di, un danno derivante dalla difettosa prestazione professionale”, anche in ragione del fatto che l’Avv. (OMISSIS) era intervenuto “dopo che ormai erano decorsi gli otto giorni dalla scoperta del vizio” della merce (e, comunque, in presenza di una dichiarazione scritta della (OMISSIS) che rinunciava a far valere la garanzia per vizi), il gravame principale dalla stessa esperito veniva rigettato. Esito al quale il giudice di appello perveniva, quantunque avesse rilevato il formarsi di un giudicato – in difetto di impugnazione incidentale sul punto, da parte del (OMISSIS) (avendo egli contestato soltanto la disposta compensazione delle spese di lite) – in relazione alla circostanza che la (OMISSIS) avesse “effettivamente conferito mandato professionale non adempiuto”. Anche il giudice di appello, tuttavia, riteneva difettare la prova che, una volta instaurato dal legale il giudizio contro la (OMISSIS) e la (OMISSIS), l’odierna ricorrente avrebbe avuto “la possibilita’ di una concreta ed effettiva occasione di conseguire l’auspicato bene della vita”.
3. Avverso la sentenza della Corte felsinea ricorre per cassazione la (OMISSIS), sulla base – come detto – di nove motivi.
3.1. Con il primo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “vulnerazione” degli articoli 132, 183 e 184 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2724 c.c., comma 1, n. 2).
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la prova del danno derivante dall’inadempimento del legale, con specifico riferimento alla mancata proposizione dell’azione risarcitoria, contro la cedente l’azienda, per vizi della merce trasferita, avendo il giudice di appello dato rilievo ad una produzione documentale – ovvero lo scritto con cui la (OMISSIS) manlevava la (OMISSIS) da qualsiasi responsabilita’ sulle merci in magazzino – che sarebbe da ritenere “ultratardiva”, giacche’ avvenuta in violazione dell’articolo 184 c.p.c., nel testo applicabile nel regime processuale di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353.
3.2. Con il secondo motivo e’ denunciata – sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione di legge, per non avere la Corte territoriale “ritenuto inesaminabile una deposizione de relato”.
In questo caso, si contesta la sentenza impugnata per aver dato rilievo ad una prova testimoniale, che si assume essere “de relato actoris”, dal momento che la conoscenza, in capo all’avvocato (OMISSIS), dell’esistenza del gia’ indicato documento di manleva, sarebbe stata tratta dalla deposizione di un teste che ha riferito di aver appreso tale circostanza dalla convenuta.
3.3. Con il terzo motivo e’ denunciata – sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), errore nella qualificazione del documento, ex articolo 1362 c.c., relativo ai rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS).
Si assume che, dal contenuto letterale del documento in questione, si desumeva che la volonta’ dell’odierna ricorrente fosse solo quella di escludere controversie riguardanti “il valore del magazzino”, non di manlevare la cedente da responsabilita’ per vizi della merce.
3.4. Con il quarto motivo si denuncia – nuovamente’ ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “vulnerazione” degli articoli 132 e 112 c.p.c., nonche’ degli articoli 2555, 2558 e 2247 c.c., oltre che della L. Fall., articolo 147.
Assume la ricorrente che la Corte felsinea avrebbe affermato che, nel caso di specie, “non solo vi era societa’, ma era applicabile certamente l’articolo 2558” c.c., sicche’, essendo tale fatto “non contestato ed ormai cristallizzato nella sentenza di merito”, una corretta applicazione del principio di diritto avrebbe dovuto condurre ad un “risultato opposto a quello al quale si perviene in sentenza”. Ed invero, il solo fatto, per la (OMISSIS) e la (OMISSIS), “di esercitare in comune un’attivita’ economica unica, concettualmente riconducibile alla stessa categoria, costituita dalla cura del corpo, costituisce un chiaro indizio della comune sopportazione del rischio di impresa e della condivisione dell’attrezzatura, dei clienti, dell’attivita’ lavorativa”, ovvero, “in una parola, dell’organizzazione imprenditoriale”. Ricorrendo, pertanto, una societa’ di fatto gia’ tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), e potendo il cessionario d’azienda agire “contro entrambi i soci di fatto, sia quello occulto che quello, formalmente, titolare dell’impresa individuale ex 2557 c.c.”, se ne deduce che, in un’eventuale controversia giudiziaria colpevolmente non avviata dall’Avv. (OMISSIS) – il legale “avrebbe potuto estendere il contraddittorio” verso la (OMISSIS), “per violazione dell’obbligo di non agire in concorrenza”.
3.5. Con il quinto motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione di legge, “in particolare dell’articolo 132 c.p.c.”, in relazione agli articoli 1176 e 1453 c.c.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui esclude secondo la ricorrente – “il ricorso a criteri di probabilita’ giuridica nell’applicazione del nesso causale all’ipotesi della responsabilita’ dell’avvocato”, e cio’ “sulla base dell’esclusione di probabilita’, nel caso concreto, di poter ragionevolmente attendere un risultato positivo” dalla causa da instaurarsi. Il vizio, secondo la ricorrente, sarebbe ancor piu’ palese, visto il rilievo che si e’ attribuito alla testimonianza “de relato actoris”, e considerato che la sentenza “riconosce come effettivamente avvenuto il conferimento del mandato e l’inadempimento da parte dello stesso avvocato”.
3.6. Con il sesto motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullita’ della sentenza per omessa motivazione sulla questione dell’invocata applicazione degli articoli 1494 e 1495 c.c.”.
Si censura la sentenza per non essersi pronunciata sulla questione relativa al fatto “che i termini necessari ad agire ex articolo 1495 c.c. non fossero spirati” e che, comunque, “la prova impeditiva dell’azione incombeva sulla controparte”.
3.7. Con il settimo motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione di legge perche’ il riconosciuto inadempimento ha determinato una perdita di chance”, evenienza risultante “per tabulas”, essendo stato “ammesso e confessato” l’inadempimento del legale.
3.8. Con l’ottavo motivo e’ denunciata “nullita’ della sentenza” – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – perche’ “il riconosciuto inadempimento ha determinato una perdita di chance ex articoli 1223 e 1454 c.c.”, e cio’ in quanto, dedotto l’inadempimento, “si puo’ chiedere in ogni sede la perdita di chance”.
3.9. Infine, il nono motivo denuncia “nullita’ della sentenza” – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – per omesso esame della domanda di restituzione delle somme pagate al legale processo non celebrato ex articoli 1225, 1453, 1458 e 2033 c.c.”.
– 4. Il (OMISSIS) ha resistito all’avversaria impugnazione, proponendo anche ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
4.1. In via preliminare, il controricorrente eccepisce l’assenza di valida procura speciale, giacche’ essa “non e’ posta in calce all’atto, bensi’ allegata”, essendo, in particolare “collocata a margine di un foglio bianco privo di data”.
Inoltre, il ricorso sarebbe inammissibile perche’, oltre a ripetere le doglianze di merito gia’ oggetto dell’appello, non rispetterebbe neppure il principio di autosufficienza.
Quanto, poi, ai singoli motivi del ricorso principale, l’infondatezza del primo discenderebbe dal fatto che non fu esso (OMISSIS) ad introdurre in giudizio il documento del quale si assume la tardiva produzione, bensi’ la (OMISSIS) a portarlo con se’, in occasione della sua deposizione testimoniale, tanto che il giudice ne’ dispose dapprima l’esibizione e poi l’acquisizione, con ordinanza mai contestata dalla (OMISSIS). In relazione, invece, al secondo motivo, si sottolinea come quella resa dal teste non sia una dichiarazione “de relato”, avendo costui riferito quanto appreso per conoscenza diretta. Nessuna errata interpretazione del documento di manleva, come ipotizzato dal terzo motivo, sussisterebbe, poi, nel caso che occupa, visto il tenore di tale scrittura: “mi impegno e rinuncio fin d’ora ad eccepire qualsiasi discussione, azione o controversia nei confronti della Sig.ra (OMISSIS)”, al netto del rilievo che, in ogni caso, i vizi della merce riguarderebbero solo quella presente in uno dei sessantesi colli presenti in magazzino. L’infondatezza del quarto motivo e’ argomentata sul rilievo che, secondo la sentenza impugnata, “e’ emerso dalle risultanze istruttorie che il rapporto che si era instaurato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) era di semplice collaborazione, senza vincoli di durata”. Il quinto motivo, per parte propria, sarebbe non fondato, alla stregua del principio secondo cui la responsabilita’ professionale dell’avvocato non puo’ affermarsi per il sol fatto del non corretto adempimento dell’attivita’ professionale, occorrendo verificare se un danno si sia verificato. Risulterebbe, invece, proposto per la prima volta in appello il tema della violazione degli articoli 1494 e 1495 c.c., sicche’ la Corte territoriale non l’avrebbe esaminato perche’ nuovo. Inoltre, quanto ai motivi sesto, settimo e ottavo, il controricorrente sottolinea come la sentenza impugnata abbia escluso qualsiasi danno, ivi compreso quello di perdita di chance, quale conseguenza del comportamento del legale, donde la loro infondatezza. Quanto, infine, al nono motivo, il controricorrente sottolinea come la circostanza relativa all’anticipazione dei compensi non solo sia rimasta sfornita di prova, ma non abbia neppure costituito oggetto di domanda, ponendosi, dunque, in questa sede quale questione nuova.
4.2. Il motivo di ricorso incidentale concerne, invece, il rigetto dell’appello incidentale esperito dal (OMISSIS) in relazione alla disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio, essendo stata confermata, anche sul punto, la decisione del primo giudice “in ragione dell’accertato” (e “non contestato” in appello) “conferimento dell’incarico e conseguente inadempimento” del professionista. Assume, per contro, il ricorrente incidentale di aver sempre contestato la circostanza relativa al conferimento dell’incarico, come, del resto, la possibilita’ di ravvisare, nella specie, taluno di quei giusti motivi idonei a consentire la compensazione, decisione che peraltro richiede – si sottolinea – una congrua motivazione.
5. Con controricorso al ricorso incidentale, per parte propria, la (OMISSIS) evidenzia come il supposto motivo sulle spese di lite difetti di specificita’.
6. La ricorrente principale ha ribadito, con memoria, le proprie doglianze.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Entrambi ricorsi vanno rigettati.
8. In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso principale, basata – dal controricorrente – sul rilievo di una (pretesa) inidoneita’ della procura speciale, in quanto non “posta in calce all’atto, bensi’ allegata”, risultando, in particolare “collocata a margine di un foglio bianco privo di data”.
L’eccezione, come detto, non puo’ essere accolta, trovando applicazione il principio secondo cui in “caso di procura rilasciata su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto cui si riferisce, la mancanza di data non produce nullita’ della procura, dovendo essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene, alla stregua di qualsiasi procura apposta in calce al ricorso, per cui la posteriorita’ del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall’intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza e’ menzionata, mentre l’anteriorita’ rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso” (Cass. Sez. 5, ord. 21 dicembre 2019, n. 34259, Rv. 656419-01).
9. Cio’ premesso, il ricorso principale va rigettato.
9.1. I primi tre motivi – che concernono tutti, da vari angoli visuali, l’affermazione della Corte felsinea circa l’impossibilita’, per l’odierna ricorrente, di agire contro la (OMISSIS) (cessionaria d’azienda) per far valere asseriti vizi della merce presente in magazzino – risultano inammissibili.
9.1.1. In particolare, il primo motivo di ricorso, censura il mancato rilievo – da parte del giudice di appello – della tardivita’ della produzione in giudizio della scrittura con cui la cessionaria dell’azienda avrebbe manlevato la cedente dalla responsabilita’ per vizi della merce trasferita.
Il secondo e il terzo motivo, invece, contestano, rispettivamente, la deposizione con cui il teste (OMISSIS) riferi’ che l’Avv. (OMISSIS) era conoscenza di tale manleva (assumendo, in particolare, la ricorrente che quelle rese dal testimone sarebbero dichiarazioni “de relato actoris”), nonche’ l’interpretazione di quella scrittura quale espressione della volonta’ di manlevare, effettivamente, la cedente.
Senonche’, l’impossibilita’ per la (OMISSIS) di far valere i vizi della merce ricevuta si fonda su di una duplice “ratio decidendi”, ovvero, oltre che sull’esistenza di tale dichiarazione di manleva, pure sull’intervenuta decadenza dall’azione, ai sensi dell’articolo 1495 c.c.
Orbene, poiche’ – come si dira’ immediatamente di seguito – il motivo di ricorso (il sesto) che censura la seconda di tali “rationes” e’ da ritenere inammissibile, in relazione ai motivi di impugnazione che qui si esaminano (e che investono, invece, sotto vari angoli visuali, la prima “ratio”) va dato seguito al principio secondo cui ove la sentenza impugnata risulti “sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’inammissibilita’ del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile” (Cass. Sez. 3, ord. 13 giugno 2018, n. 15399, Rv. 649408-01).
9.2. Inammissibile e’, d’altra parte, anche il motivo – come detto, il sesto – che censura una supposta omessa pronuncia, da parte del giudice di appello, sulla questione relativa al mancato decorso dei termini di cui agli articoli 1494 e 1495 c.c., motivo da scrutinare immediatamente dopo i primi tre, per le ragioni gia’ illustrate.
9.2.1. Il motivo, infatti, difetta di autosufficienza, giacche’ il ricorso avrebbe dovuto riprodurre – sia pure nella misura idonea a garantire l’osservanza dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – l’atto introduttivo del giudizio e, soprattutto, l’atto di appello, onde consentire la verifica del se, e in che termini, la questione relativa al mancato decorso dei termini, di cui alle suddette norme del codice civile, era stata posta. Ne’, d’altra parte, ad escludere la necessita’ di tale incombente potrebbe valere la constatazione che il motivo in esame – denunciando un’omissione di pronuncia – si sostanzia nella deduzione di un “error in procedendo” (rispetto ai quali la Corte e’ anche giudice del “fatto processuale”, con possibilita’ di accesso diretto agli atti del giudizio; da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 6-5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01; ma nello stesso senso gia’ Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01). Se e’ vero, infatti, che – nel caso.in cui il ricorso per cassazione denunci una nullita’ del procedimento o della sentenza – “il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda”, resta, nondimeno, inteso che l’ammissibilita’ del sindacato demandato a questa Corte e’ comunque subordinata alla condizione che “la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformita’ alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformita’ alle prescrizioni dettate dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8077 del 2012, cit.).
Ancora di recente, infatti, e’ stato affermato da questa Corte che la “deduzione con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte e’ anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilita’ diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).
Si tratta, peraltro, di un’esigenza – come e’ stato icasticamente osservato – che “non e’ giustificata da finalita’ sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attivita’ d’esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge”, ma che “risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilita’ della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01).
Va, dunque, data continuita’ al principio secondo cui e’ “inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o piu’ motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralita’ nel ricorso, si’ da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. Sez. 2, sent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01).
9.3. Il quarto motivo – che concerne il tema dell’utile esperibilita’ (a giudizio della ricorrente) dell’azione risarcitoria verso l’estetista (OMISSIS), sul presupposto che la stessa fosse legata alla (OMISSIS) in una “societa’ di fatto” – e’, nuovamente, inammissibile.
9.3.1. Quello prospettato non e’, infatti, un vizio neppure astrattamente riconducibile alla previsione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), visto che il “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’” (“ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03), e cio’ in quanto “la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicche’ e’ estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).
Nella specie, la circostanza che tra la (OMISSIS) e l’estetista (OMISSIS) vi fosse una societa’ non si pone – a dispetto di quanto assume la ricorrente – come un fatto “non contestato ed ormai cristallizzato nella sentenza di merito”, giacche’, all’opposto, la sentenza sottolinea come “l’attivita’ svolta liberamente dall’estetista all’interno della profumeria” si atteggiasse “in maniera indipendente ed autonoma”, sicche’ la stessa “godeva dell’uso gratuito di alcuni locali nella sede della profumeria”, senza che alcun contratto fosse stato “stipulato al fine di garantire la presenza dell’estetista nella profumeria”.
Il motivo in esame, dunque, attraverso la deduzione di un vizio di violazione di legge tende, surrettiziamente, a contestare tale accertamento di fatto.
9.4. I motivi quinto, settimo ed ottavo – in tema di nesso causale – sono, invece, non fondati.
9.4.1. Sul punto, invero, va ribadito che “in tema di responsabilita’ professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attivita’ da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalita’ fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso puo’ essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attivita’ professionale omessa” (tra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2017, n. 25112, Rv. 646451-01).
Cio’ premesso, la sentenza impugnata non ha disatteso tale principio, avendo affermato che “la vicenda dedotta in atti non appare riconducibile neanche a un ipotesi probabilistica cui dovrebbe conseguire il risarcimento richiesto sotto il profilo della perdita di chance, difettando, nel caso di specie, la prova circa una concreta ed effettiva occasione di conseguire l’auspicato bene della vita”.
Ne’, d’altra parte, a miglior sorte e’ destinata la doglianza (formulata, in particolare, con il quinto motivo di ricorso) nella parte in cui risulta indirizzata – come suggerisce l’espresso tenore del motivo a censurare “l’esclusione di probabilita’, nel caso concreto, di poter ragionevolmente attendere il risultato positivo” dalla controversia giudiziale che il professionista avrebbe dovuto incardinare.
Difatti, mentre “l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento e’ censurabile in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, resta, invece, inteso che “l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimita’, se adeguatamente motivata” (Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439, Rv. 630127-01).
Peraltro, i medesimi rilievi, e segnatamente il fatto che la Corte territoriale abbia escluso – con accertamento di fatto, non sindacabile in questa sede – anche l’esistenza di una perdita di chance comportano il rigetto dei motivi settimo e ottavo.
9.5. Infine, il nono motivo – relativo alla domanda di restituzione degli anticipi, asseritamente corrisposti al legale sul compenso per l’incarico conferitogli – appare inammissibile.
9.5. La questione non risulta esaminata dalla sentenza impugnata, di conseguenza, va richiamato il principio secondo cui, “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimita’ ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).
Nel caso di specie, poi, i motivi di appello – come ricostruiti al punto E) del presente ricorso, che reca un’elencazione puntuale degli stessi, contrassegnandoli con le lettere a), b), c) e d) – non risultano includere la questione relativa dalla restituzione dei (supposti) acconti, cio’ che conferma l’esito dell’inammissibilita’ del motivo, (anche) ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Ne’, d’altra parte, a soddisfare l’osservanza della previsione normativa appena richiamata (e, dunque, a dimostrare la non novita’ della questione oggetto del presente motivo) potrebbe ritenersi sufficiente quanto si legge nel paragrafo IX, “sub” punto L), del ricorso in esame. Difatti, il passaggio dell’atto di appello, qui riprodotto, relativo all’obbligo del difensore di “informare tempestivamente il cliente, comunicandogli di non voler agire piu’ nell’interesse della parte, restituendo quanto erogato in acconto”, non vale, certo, a dimostrare che l’odierna ricorrente avesse inteso gravare sul punto – nel rispetto del requisito della specificita’ del motivo di appello, ex articolo 342 c.p.c. – la decisione del primo giudice.
10. Anche il ricorso incidentale va rigettato, non risultando fondato il solo motivo in cui esso si articola.
10.1. Va data, infatti, continuita’ al principio secondo cui, in tema di spese processuali, “il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunita’ di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613, Rv. 645187-01).
Inoltre, essendo stato instaurato il giudizio di primo grado con citazione del 5 luglio 2005, trova applicazione, “ratione temporis”, il testo originario dell’articolo 92 c.p.c., che subordinava la compensazione alla mera ricorrenza di “giusti motivi”, senza richiederne la specifica indicazione da parte del giudice, limitandosi detta norma a stabilire, nel testo applicabile “ratione temporis”, che la loro enunciazione trovasse “un adeguato supporto motivazionale” (Cass. Sez. 6-3, ord. 4 aprile 2018, n. 8346, Rv. 648700-01).
Che un supporto motivazionale, nel presente caso, sussista e non sia implausibile, e’ conclusione che deriva dalla constatazione che la Corte territoriale ha dato rilievo alla circostanza che l’inadempimento del professionista, prima ancora che “non contestato” dallo stesso Avvocato (OMISSIS), attraverso apposito appello incidentale, fosse stato “accertato” dal primo giudice, cio’ che rende, pertanto, superfluo interrogarsi sulla sua avvenuta contestazione, o meno, da parte dell’interessato (e cio’ al netto, peraltro, del rilievo che una simile questione, per poter essere esaminata da questa Corte, avrebbe dovuto essere proposta – cio’ che non si evince dal contenuto dell’atto, al di la’ della mancata evocazione di tale norma – “sub specie” di violazione dell’articolo 115 c.p.c., o comunque di falsa applicazione del principio di “non contestazione”).
11. In ragione della soccombenza reciproca va disposta la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente giudizio.
12. A carico della ricorrente principale e di quello incidentale sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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