Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 30 luglio 2020, n. 23331
Massima estrapolata:
In tema di rapina impropria, sussiste l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3-bis, cod. pen. nel caso in cui la condotta di impossessamento di beni altrui sia compiuta in un luogo di privata dimora e la violenza e la minaccia siano commesse, successivamente, all’esterno, in un luogo pubblico, posto che le ragioni dell’aggravante risiedono nella tutela del domicilio.
Sentenza 30 luglio 2020, n. 23331
Data udienza 2 luglio 2020
Tag – parola chiave: Rapina impropria aggravata – Lesione – Resistenza a pubblico ufficiale – Attenuante del danno di speciale tenuità – Presupposti – Rilevanza anche degli effetti dannosi della condotta – Luogo di privata dimora – Presupposti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirel – Presidente
Dott. IMPERIALI Lucia – Consigliere
Dott. MESSINI D’AGOSTINI – rel. Consigliere
Dott. PAZIENZA V. – Consigliere
Dott. TUTINELLI V. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata il (OMISSIS);
(OMISSIS), nata il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/04/2018 della CORTE DI APPELLO DI PERUGIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Piero MESSINI D’AGOSTINI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. CENNICOLA Elisabetta, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24/4/2018 la Corte di appello di Perugia confermava la sentenza con la quale il G.u.p. del Tribunale di Perugia aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alle pene ritenute di giustizia per concorso nei reati di rapina impropria aggravata, resistenza a pubblico ufficiale e lesione personale aggravata.
2. Hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo dei propri difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i seguenti motivi.
2.1. Carenza e illogicita’ della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilita’, in quanto la ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito ha svalutato la deposizione del teste (OMISSIS), teste oculare privo di alcun interesse, contrastante con quella del carabiniere (OMISSIS), persona offesa.
2.2. Violazione di legge in relazione all’omesso riconoscimento della circostanza attenuante ex articolo 62 c.p., comma 1 n. 4, (in considerazione del modesto valore della catenina sottratta) e all’applicazione dell’aggravante del fatto commesso in luogo di privata dimora (in ragione del luogo – la pubblica via e non l’abitazione – ove venne consumata la violenza).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi vanno rigettati perche’ il motivo in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante e’ infondato, mentre gli altri motivi sono generici o manifestamente infondati.
2. In punto di responsabilita’, la difesa ha riproposto pedissequamente una censura gia’ vagliata e disattesa dalla Corte di appello con puntuali ed incensurabili argomentazioni, con cui il ricorso non si e’ nella sostanza confrontato, in contrasto con il diritto vivente, secondo il quale contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’ innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale con le motivazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841; Sez. 2, n. 5253 del 15/01/2019, C., Rv. 275522; Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Di Schiena, Rv. 271373-02; Sez. 5, n. 34504 del 25/05/2018, Cricca, Rv. 273778).
La sentenza impugnata, infatti, ha ampiamente spiegato per quali ragioni, non contrastate dalle ricorrenti, le dichiarazioni rese dal carabiniere (OMISSIS) sono risultate del tutto attendibili, per nulla smentite da quelle del teste (OMISSIS) (che assistette solo ad una parte dell’episodio) ed altresi’ riscontrate dalle risultanze del certificato medico, comprovante che le molteplici lesioni riportate dalla persona offesa furono conseguenza dell’azione violenta delle due donne, le quali con la loro autovettura investirono il militare.
3. In ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante ex articolo 62 c.p., comma 1, n. 4, la Corte territoriale si e’ attenuta ai principi consolidati nella giurisprudenza di legittimita’.
In primo luogo, l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita’ presuppone che il danno arrecato abbia avuto una “rilevanza minima” (Sez. U., n. 28243 del 28/03/2013, Zanni Sanfilippo, Rv. 255528, in motivazione) e sia di entita’ quasi trascurabile per il danneggiato (Sez. 2, n. 2993 del 01/10/2015, dep. 2016, Sciuto, Rv. 265820; Sez. 2, n. 15576 del 20/12/2012, dep. 2013, Mbaye, Rv. 255791), circostanza esclusa nella fattispecie alla luce del valore del gioiello sottratto.
Occorre poi considerare il complesso dei danni patrimoniali oggettivamente cagionati alla persona offesa dal reato come conseguenza diretta del fatto illecito e percio’ ad esso riconducibili, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalita’ degli effetti (Sez. 4, n. 16218 del 02/04/2019, Belfiore, Rv. 275582; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241); nel caso di specie fu danneggiata anche la porta d’ingresso dell’appartamento.
Inoltre, ai fini della configurabilita’ dell’attenuante nei delitti di rapina ed estorsione, non e’ sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale e’ stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, che lede non solo il patrimonio, ma anche la liberta’ e l’integrita’ fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuita’ puo’ farsi luogo all’applicazione dell’attenuante (Sez. 2, n. 51013 del 21/10/2016, Arcidiacono, Rv. 268512, in motivazione; Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Salamone, Rv. 265685; Sez, 2. n. 45985 del 23/10/2013, Donati, Rv. 257755; Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, Uccello, Rv. 247363; Sez. 2, n. 12456 del 04/03/2008, Umina, Rv. 239749).
Del tutto generica ed inammissibile e’ la deduzione in ordine alla quantificazione della pena inflitta alle ricorrenti, gravate di numerosi precedenti penali, a fronte di una specifica e puntuale motivazione della sentenza impugnata (al paragrafo 8).
4. Quanto al motivo inerente alla sussistenza dell’aggravante del fatto commesso in un luogo di privata dimora, in un caso sovrapponibile a quello in esame, questa Corte ha gia’ affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo il quale “in tema di rapina impropria sussiste l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, pur quando la violenza e la minaccia siano state consumate fuori dai luoghi destinati a privata dimora ove e’ avvenuta la condotta di impossessamento di beni altrui; posto infatti che obiettivo del legislatore e’ rafforzare la tutela del domicilio attraverso l’introduzione di una specifica aggravante della ipotesi di rapina, non rileva quale dato fondamentale che la violenza o minaccia che nella rapina impropria seguono l’impossessamento, siano avvenuti al di fuori della dimora, essendo questo il luogo di apprensione delle cose altrui” (Sez. 2, n. 26262 del 24/05/2016, Rodio, Rv. 267155, in una fattispecie nella quale l’imputato, introdottosi all’interno dell’abitazione delle persone offese, si era impossessato di denaro ed oggetti di valore, ed aveva poi spintonato nel corso della fuga, lungo una strada pubblica, un passante che aveva tentato di fermarlo).
Va ricordato che l’aggravante di cui si tratta, introdotta dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, e’ strettamente connessa con la fattispecie del furto in abitazione, prevista dall’articolo 624 bis c.p., inserito dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, “con l’evidente scopo di ampliare la tutela penale non solo sotto il profilo patrimoniale, ma anche personale” e di rafforzare la tutela del domicilio soprattutto quale “proiezione spaziale della persona, cioe’ ambito primario ed imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalita’ individuale” (cosi’ Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076, che ha statuito, quanto ai luoghi di lavoro, che rientrano “nella nozione di privata dimora di cui all’articolo 624-bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attivita’ lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico ne’ accessibili a terzi senza il consenso del titolare”).
La ratio dell’aggravante, cosi’ come quella del furto in abitazione, va individuata nella necessita’ di difesa delle situazioni nelle quali maggiore e’ la esposizione a pericolo dell’incolumita’ personale, a causa della introduzione dell’agente in ambienti ove e’ elevata la probabilita’ che vengano a trovarsi soggetti suscettibili di divenire destinatari di atti di aggressione, con compromissione della sfera dell’incolumita’ individuale.
In altra recente pronuncia si e’ efficacemente osservato che “nelle ipotesi di reato di aggressione al patrimonio che si realizzano in ambiti domestici il maggior disvalore della fattispecie dipende dalle evidenti ripercussioni, diverse da quelle tipicamente patrimoniali, sulla persona, risultando una maggiore gravita’ dell’offesa per l’insicurezza percepita dalle vittime in luoghi che sono reputati tali da tutelare la vita privata, ed una piu’ intensa pericolosita’ dell’agente che entra in contatto diretto con la vittima, con il rischio piu’ elevato di possibili aggressioni”. Sulla base di questo rilievo, questa Corte ha statuito che, se la violenza o la minaccia sia stata posta in essere in un luogo di privata dimora, nei medesimi luoghi, per poi realizzarsi la sottrazione in ambienti che non presentano quelle caratteristiche, “deve ritenersi egualmente sussistente il presupposto per ritener integrata l’aggravante in parola, essendosi realizzata la maggiore esposizione a pericolo per l’incolumita’ personale che l’aggravante intende sanzionare” (cosi’ Sez. 7, n. 438 del 21/11/2017, dep. 2018, Clarente, non mass., in un caso in cui un rapinatore aveva minacciato con un’arma una delle persone offese che si trovavano nel retrobottega di un negozio, per poi subito dopo impossessarsi della refurtiva custodita nell’esercizio pubblico).
La rapina, dunque, va valutata come una condotta unitaria e l’aggravante del fatto commesso in un edificio, o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, sussiste non solo qualora in uno di detti luoghi siano avvenute la sottrazione e la violenza o minaccia, ma anche quando anche solo una frazione della condotta (la sottrazione ovvero la violenza o minaccia) sia stata ivi realizzata.
5. Al rigetto delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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