Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 28 febbraio 2020, n. 1461.
La massima estrapolata:
In tema di pianificazione urbanistica le aspettative del privato ad un regime edilizio per quanto possibile esteso, sono tutelabili solo ove già consacrate in convenzioni di lottizzazione, ovvero in accordi di diritto privato intercorsi con il Comune, ovvero ancora in ragione di giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio – rifiuto su una domanda di rilascio della stessa: non certo avuto riguardo allo svantaggio, anche oggettivo, che allo stesso possa derivare o concretamente derivi, da una destinazione urbanistica anziché da un’altra.
Sentenza 28 febbraio 2020, n. 1461
Data udienza 17 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7936 del 2009, proposto dalla signora Ma. Va., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ma. e Ar. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ar. Mo. in Roma, via (…);
contro
il Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. St. Ri., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
la Provincia di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 140/2009, resa tra le parti, concernente variante al piano regolatore generale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Trento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Ar. Mo. e l’avvocato Pa. St. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La signora Ma. Va. è proprietaria di un’unità immobiliare destinata a deposito e uffici, già adibita a sede di un’attività di vendita di caldaie e relativa assistenza tecnica, di circa mq.420 ricompresa in un più ampio edificio situato a sud della città di Trento, classificato originariamente nel P.R.G. in sottozona “D1a”, corrispondente a “zone produttive del settore secondario esistenti e di completamento di livello provinciale”, indi ricondotta ad ambito locale con la cd. Variante 2000 di cui alla l.p. 7 agosto 2003, n. 7, in quanto “inserita nel territorio urbanizzato”.
2. Nell’approvare la variante generale al ridetto P.R.G. con deliberazione n. 200 del 1° febbraio 2008, la Giunta provinciale ha confermato tale destinazione, comune ad alcuni lotti limitrofi, contrassegnando l’area come “Zona produttiva esistente a Trento sud-D1c”. Per contro per altre aree, poste in fregio a quella ora di interesse, si è previsto l’approntamento di “Progetti speciali” di recupero dell’intera zona.
La ridetta destinazione urbanistica “D1c” comporta la sola possibilità di consolidamento dell’edificato esistente e delle funzioni in atto, ma preclude modifiche, in particolare rivolte all’insediamento di attività commerciali vere e proprie.
3. La signora Va. ha impugnato la delibera di approvazione della variante, unitamente agli atti comunali del procedimento di formazione della stessa, proponendo vari motivi di ricorso che il T.R.G.A. di Trento ha respinto con sentenza 5 maggio 2009, n. 140, condannandola alle spese di giudizio. In particolare, il giudice adì to ha ritenuto che l’Amministrazione comunale abbia esercitato correttamente la propria discrezionalità amministrativa: una volta esclusa da un lato la destinazione produttiva di livello provinciale dalla variante approvata con l.p. 7 agosto 2003, n. 7; dall’altro, l’inclusione dell’area nell’ambito delle progettualità speciali di riqualificazione complessiva del tessuto urbano della circoscrizione Oltrefersina, non restava che prendere atto dello status quo, legittimandone il solo mantenimento mediante interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici. Neppure sussisterebbe disparità di trattamento rispetto a quanto consentito nelle zone “D1a” e “D1b”, ove sono legittime attività economiche destinate alla vendita e alla riparazione di autoveicoli e motocicli, in quanto si tratterebbe di aree ricomprese nella ricordata progettualità speciale di riqualificazione.
4. La stessa ha quindi interposto appello avverso la sentenza n. 140/2009, riproponendo i motivi del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e replicando agli argomenti adoperati dal T.R.G.A. per respingerli.
5. Il Comune di Trento si è costituito in giudizio per resistere all’appello con memoria in controdeduzione, eccependone preliminarmente l’inammissibilità in quanto genericamente reiterativo delle doglianze di primo grado. In data 13 settembre 2019 ha versato in atti copia della deliberazione del Consiglio comunale con la quale è stata adottata una nuova variante al piano regolatore che modifica la destinazione della zona in cui è ubicata la proprietà della ricorrente da “D1c – zona produttiva a Trento sud” in “C5 – zone soggette a interventi di riqualificazione urbana”, ipotizzando, con successiva memoria del 16 settembre 2019, la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
Con memoria di replica depositata il 26 novembre 2019, l’appellante ha ripetuto e ampliato i motivi dell’appello, ribadendo il proprio interesse alla decisione, non potendo valutarsi satisfattivo l’avvio dell’iter di una nuova variante, visti i tempi fisiologicamente connessi al suo perfezionamento mediante approvazione con legge provinciale, pubblicata nel B.U.R.T. Ciò anche avuto riguardo alla circostanza che nelle more di tale perfezionamento, al punto 8 di pag. 10 della richiamata delibera n. 100/2019, il Consiglio comunale ha stabilito “di applicare l’istituto della salvaguardia di cui all’art. 47, commi 1, 3 e 4 della l.p. n. 15/2015 per tutte le modifiche che hanno comportato una diversa destinazione di zona come individuata nella nuova cartografia richiamata all’allegato 1”, congelando allo status quo il regime edificatorio della particella in controversia.
All’udienza pubblica del 17 dicembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6.La Sezione ritiene l’appello infondato e come tale da respingere; esso, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato Comune, è certamente ammissibile (le censure sono state articolate con un sufficiente grado di specificazione); esso è altresì procedibile, dovendosi sul punto tenere conto, sia della decisa dichiarazione dell’appellante in tal senso, che della circostanza che l’iter di approvazione della nuova variante al p.r.g. è lungi dall’essersi concluso.
7. Si deve in primo luogo osservare che, come affermato dal giudice di prime cure (§ 3b.), in base a principi più che consolidati, l’esercizio della funzione pianificatoria (quale è quella sottesa all’adozione degli atti impugnati) si caratterizza per l’ampio margine di discrezionalità attribuito all’amministrazione, con possibilità di censurare le scelte effettuate solo quando queste si presentino come manifestamente illogiche o contraddittorie. Esse peraltro non richiedono una particolare motivazione, conformemente – del resto – all’amplissima previsione di cui al comma 2 dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2017, n. 2403).
Ne consegue che in vista dell’adozione di atti di pianificazione incombe sull’amministrazione solo l’onere di valutare in modo adeguato il complesso delle circostanze e dei presupposti sottesi all’esercizio del relativo potere, attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e abnormità . Per contro, non grava sulla stessa l’onere di motivare ulteriormente le statuizioni relative a ciascuna posizione individuale: laddove, infatti, si opinasse in tal senso, l’attività di pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali.
8. Afferma tuttavia l’appellante che nel caso di specie il giudice di prime cure, sostanzialmente trincerandosi dietro l’asserita discrezionalità delle scelte pianificatorie, ha omesso di scrutinare le doglianze di parte circa l’irrazionalità delle stesse: in sintesi, a fronte di una progettualità diffusa interessante la zona, per alcune aree già ricadenti in sottozona “D1a” in quanto di “respiro” provinciale, si sarebbe effettuata una scelta di sostanziale cristallizzazione dell’esistente del tutto incoerente con quelle di sviluppo e riqualificazione del contesto. La riconosciuta “potenzialità ad una futura trasformabilità per utilizzi più coerenti con le caratteristiche dell’ambito urbano circostante”, contenuta a pag. 26 della relazione illustrativa alla variante, non si coniugherebbe affatto con il regime edilizio prescelto, di sostanziale mortificazione di qualunque spinta innovativa.
Non a caso, la Commissione urbanistica provinciale si è espressa in maniera critica sul fatto che solo il quadrante meridionale della città sia stato interessato dai progetti speciali.
9. L’assunto non è condivisibile.
Le aspettative del privato ad un regime edilizio per quanto possibile esteso, infatti, sono tutelabili solo ove già consacrate in convenzioni di lottizzazione, ovvero in accordi di diritto privato intercorsi con il Comune, ovvero ancora in ragione di giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio – rifiuto su una domanda di rilascio della stessa (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 20 agosto 2018, n. 4965; id., 26 aprile 2006, n. 2297 e 5 settembre 2003, n. 4980; A.P., 22 dicembre 1999, n. 24): non certo avuto riguardo allo svantaggio, anche oggettivo, che allo stesso possa derivare o concretamente derivi, da una destinazione urbanistica anziché da un’altra.
10. Nel caso di specie, il Comune di Trento ha individuato quattro aree perimetrate con precisione ove sperimentare una progettazione speciale affidata all’urbanista catalano prof. Joan Busquets, con obbligo di pianificazione attuativa: “Viale dei (omissis)”, “(omissis)”, “(omissis)” e “(omissis)”. Trattasi, per esplicita ammissione dell’Amministrazione procedente, di “tessere” di un “mosaico” (così testualmente la relazione di accompagnamento) presupponenti un’analisi dello stato dei luoghi al fine di individuare soluzioni migliorative della vivibilità cittadina in contesti caratterizzati da una peculiare commistione di funzioni.
In sintesi, la compresenza di tali funzioni eterogenee (residenziali e produttive) ha ispirato non la scelta pianificatoria complessivamente intesa, ma la collocazione all’interno della stessa di tali specifiche progettualità : le soluzioni individuate, necessariamente conseguenti ad analisi di contesto, non possono che riferirsi ai comparti oggetto delle stesse. La progettualità, cioè, proprio in quanto tale, risponde ad una logica intrinsecamente sperimentale perché intrinsecamente innovativa, in funzione della riqualificazione del territorio in termini di maggior “sicurezza urbana”, nell’accezione più moderna di miglioramento della vivibilità cittadina anche mediante adeguamenti infrastrutturali o di arredo urbano.
La mancata estensione di ridetta progettualità all’intero territorio comunale ovvero ad intere porzioni dello stesso geometricamente individuate, ha necessariamente determinato la residuale presenza di “spazi interstiziali” (secondo la terminologia utilizzata dall’appellante) in relazione ai quali, nelle more di un futuro ampliamento dell’analisi o degli esiti della scelta, si è optato per il mantenimento della precedente classificazione urbanistica.
Ciò è quanto si evince, ritiene la Sezione, anche dal richiamato passaggio della relazione illustrativa alla variante alla “potenzialità ad una futura trasformabilità “, che implica la piena consapevolezza dell’avvenuta effettuazione di una scelta necessariamente diversificata per aree destinate in futuro a meglio armonizzarsi “con le caratteristiche dell’ambito urbano circostante”. Non una generica petizione di principio, come affermato dall’appellante, dunque; ma la esplicitata presa d’atto di aver agito su un ambito ridotto, senza che ciò precluda future estensioni attuative delle soluzioni al momento circoscritte anche ad aree viciniori, che condividono con quelle di cui si è pensata la immediata riqualificazione le caratteristiche e, conseguentemente, “le potenzialità “.
Il che, peraltro, rileva ancora il Collegio, è quanto avvenuto con l’adozione della variante versata in atti in data 13 settembre 2019, che trasforma, appunto, la zona ove è ubicata la proprietà della ricorrente da “D1c” a “C5”, ovvero “zone soggette a interventi di riqualificazione urbana”.
11. Nessuna intrinseca contraddittorietà, infine, sarebbe da ravvisare tra la scelta finale, consacrata nella delibera di approvazione della variante, e i contenuti del parere della Commissione urbanistica provinciale. In esso, infatti, si evidenzia la apparente debolezza del programma strutturale con riferimento all’area sud della città riveniente dalla scelta di individuare quattro progetti che, seppur “ben organizzati”, si integrano scarsamente “nel contesto urbano”. Trattasi innegabilmente di un rilievo critico alla scelta di metodo, che sottintende la valutazione positiva delle progettualità ex se, tanto da auspicare che esse assumano “un ruolo attrattore e di respiro nella densità residenziale esistente”. In sintesi, nulla più che un suggerimento di miglior amalgama col contesto: quand’anche, dunque, lo si volesse leggere come invito non semplicemente a valorizzare la forza attrattiva dei luoghi riqualificati, definiti anche “fattori di respiro” per la popolazione residente, bensì ad estenderne la portata ad ambiti territoriali più ampi, trattasi di indicazione per così dire de iure condendo, in quanto comunque aliena da qualsivoglia censura di discriminazione, illegittimità e finanche inopportunità delle scelte effettuate in relazione alle particelle rimaste nell’azzonamento precedente.
12. Con il secondo motivo di appello la signora Va. lamenta violazione dei principi generali in materia di pianificazione urbanistica nonché, residualmente, eccesso di potere per disparità di trattamento: l’area di sua proprietà ricadeva originariamente in zona “D1a”, “Zone produttive esistenti e di completamento di livello provinciale”; nel classificarla come “D1c”, diversamente da quanto consentito per gli insediamenti ubicati in zona “D1a” e “D1b”, le verrebbe preclusa la vendita, anche all’ingrosso, con ciò sovvertendo anche le previsioni urbanistiche di cui alla variante commerciale del 2004, che genericamente consente nelle zone “D1” “il commercio di materiali, componenti e macchinari per l’edilizia nonché la vendita di automobili e veicoli commerciali se connessa all’attività di riparazione e manutenzione”.
13. Anche tale assunto non è condivisibile.
Occorre infatti ancora osservare che, in materia di scelte pianificatorie, il concetto di “zona omogenea” non è definibile aprioristicamente, essendo la conseguenza di valutazioni rimesse alle competenti Autorità amministrative le quali, nell’individuare quelle ove siano presenti elementi di omogeneità, devono tenere adeguato conto delle trasformazioni del territorio intervenute rispetto alla zonizzazione del precedente strumento urbanistico, ma anche delle nuove e diverse esigenze dell’Amministrazione, con riferimento a parametri dimensionali e qualitativi appartenenti al nuovo assetto degli interessi. La pretesa uniformità delle caratteristiche morfologiche non implica infatti un automatismo di inquadramento che renderebbe del tutto superflua qualsivoglia valutazione specifica, generando una sorta di effetto domino tale da azzerare completamente la discrezionalità di scelta, anche innovativa limitatamente a singole porzioni, facente capo al Comune procedente.
Correttamente pertanto il giudice di prime cure ha escluso che la scelta effettuata dall’Amministrazione abbia comportato disparità di trattamento, stante che in ambito urbanistico può farsi riferimento alla stessa “non già in presenza di soluzioni analoghe, ma soltanto quando si profilino identiche, sì da comportare la totale, manifesta illogicità e irrazionalità delle scelte compiute”.
Nel caso di specie, invece, non solo per quanto sopra già chiarito la differenza delle scelte consegue all’inclusione delle attività -rectius, dei lotti ove esse insistono- nella evocata progettualità sperimentale; ma non ne risulta affatto provata l’identità di configurazione.
L’immobile di proprietà dell’appellante, infatti, per sua esplicita ammissione (pag. 2 dell’appello) era da sempre destinato a depositi ed uffici; esso, cioè, non ha mai avuto destinazione commerciale, non essendo l’attività di rivendita di caldaie e assistenza tecnica complementare qualificabile come tale. La sola possibilità di vendita degli oggetti di propria produzione o complementari al servizio fornito, pertanto, consegue alla tipologia del titolo posseduto, per come “spendibile” nello stabile ospitante l’attività .
Che tali limitazioni riguardino anche gli immobili o parte di immobili evocati in chiave comparativa dall’appellante (le concessionarie di autoveicoli e motocicli, ad esempio), incluse in sottozona “D1b” non appare affatto provato, essendosi la parte limitata a ricordarne l’esclusione dalla programmazione commerciale provinciale, del tutto neutra ai fini di cui è causa.
Senza contare che la scelta attuata con la variante del 2008 è incontestabilmente meramente confermativa della precedente, di cui alla l.p. n. 7/2003: pertanto la lamentata discriminazione -rectius, errata applicazione dei principi in materia di zonizzazione e pianificazione- consegue non alle limitazioni del regime edificatorio dell’edificio, ma all’espansione di quello accordato agli altri edifici con la variante da ultimo impugnata.
14. In sintesi, per quanto sopra detto:
a) le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione del piano regolatore o di sue varianti costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4037; sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323; sez. IV, 25 novembre 2013, n. 5589; id., 16 aprile 2014, n. 1871; 8 febbraio 1999, n. 121), il che non è accaduto nel caso di specie;
b) esse inoltre, avuto riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso.
In ragione dei citati principi giurisprudenziali, nonché delle indicazioni specifiche sopra richiamate, le deliberazioni impugnate risultano supportate da idonea e congrua motivazione, non inficiata da errori di fatto, abnormi illogicità o violazioni procedurali: l’opzione regolatoria perseguita dall’Amministrazione appare pertanto coerente con la scelta di fondo di sperimentare solo per talune aree, specificamente individuate, una particolare progettualità, conservando le altre, ancorché contigue, nello stato preesistente, nelle more della valutazione dell’opportunità di estendervi gli esiti delle scelte già sperimentalmente attuate in contesti urbani similari.
Solo per completezza, la Sezione rileva infine come, almeno per quanto risultante in atti, l’odierna appellante né ha inteso dolersi dell’azzonamento assegnatole in occasione della variante del 2003, né lo ha fatto in questo caso, rappresentando, ad esempio, con le proprie osservazioni, la volontà di inclusione nei progetti di riqualificazione ovvero contestandone semplicemente la perimetrazione.
15. In conclusione, pertanto, l’appello deve essere respinto.
Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
16. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 140/2009.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge, ove dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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