In tema di misure cautelari la dichiarazione della persona offesa del reato

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|11 gennaio 2021| n. 676.

In tema di misure cautelari, la dichiarazione della persona offesa del reato rappresenta, di per sé, un plus rispetto al quadro indiziario richiesto dall’articolo 273 del codice di procedura penale, e anzi il richiamo, a opera del comma 1-bis del citato articolo 273, dei commi 3 e 4 dell’articolo 192 del codice di procedura penale, non comporta la necessità che tale dichiarazione trovi riscontro in elementi esterni, così che essa può costituire da sola fonte di prova quando sia ritenuta dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibile sul piano oggettivo e su quello soggettivo.

Sentenza|11 gennaio 2021| n. 676

Data udienza 27 novembre 2020

Integrale
Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – PERSONALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. DI STASI Antonell – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 22/07/2020 del Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonella Di Stasi;
letta la requisitoria scritta de Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Barberini Roberta, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
lette le conclusioni scritte dell’avv. (OMISSIS), difensore dell’imputato, che ha concluso chiedendo disporsi la nullita’ o l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/07/2020, il Tribunale di Milano rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS) avverso l’ordinanza emessa il 23/06/2020 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con la quale era stata applicata al predetto la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui all’articolo 609- bis c.p. articolo 609 ter c.p., n. 5 quater e articolo 572 c.p. commessi in danno della compagna (OMISSIS).
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione degli articoli 273, 292 comma 2 ter e 358 c.p.p. e correlato vizio di motivazione.
Argomenta che la motivazione espressa in relazione alla gravita’ indiziaria era carente e contraddittoria, in quanto il Tribunale aveva ribadito la sussistenza dei gravi indizi a carico del ricorrente riportandosi a quanto contenuto nel provvedimento genetico e ritenendo attendibile la persona offesa senza prendere in considerazione le deduzioni difensive sul punto.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, e correlato vizio di motivazione, ribadendo che il Tribunale si era limitato a trascrivere gli elementi indicati in sede di applicazione della misura senza rielaborarli alla luce delle argomentazioni difensive, cosi’ incorrendo anche nella violazione della predetta disposizione normativa.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 274 c.p.p. e correlato vizio di motivazione.
Argomenta che il Tribunale, nel ritenere sussistente il pericolo di reiterazione criminosa, si era limitato a rilevare la gravita’ dei fatti contestati ed i precedenti penali dell’indagato; inoltre, non aveva giustificato l’adeguatezza della custodia cautelare in carcere rispetto agli arresti domiciliari, limitandosi ad affermare la mancanza di affidabilita’ dell’indagato sulla scorta della personalita’ dello stesso.
Chiede, pertanto, disporsi la nullita’ o l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica nella quale ha dato atto dell’intervenuta sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari e chiesto l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente perche’ entrambi afferenti alla gravita’ indiziaria, sono manifestamente infondati.
1.1. Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte si e’ da tempo consolidata nell’affermare che in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’articolo 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per se’, a provare oltre ogni dubbio la responsabilita’ dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilita’, fondando nel frattempo una qualificata probabilita’ di colpevolezza. (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995 – dep. 01/08/1995, Costantino ed altro, Rv. 202002).
La valutazione allo stato degli atti in ordine alla “colpevolezza” dell’indagato, per essere idonea ad integrare il presupposto per l’adozione di un provvedimento de libertate, deve, quindi, condurre non all’unica ricostruzione dei fatti che induca, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, ad uno scrutinio di responsabilita’ dell’incolpato, ma e’ necessario e sufficiente che permetta un apprezzamento in termini prognostici che, come tale, e’ ontologicamente compatibile con possibili ricostruzioni alternative, anche se fondate sugli stessi elementi.
Ed e’ stato precisato che, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 63 del 2001, e’ ancora sufficiente il requisito della sola gravita’ degli indizi, posto che l’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente l’articolo 192, commi 3 e 4 ma non il comma 2 che prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravita’, degli indizi: ne consegue che essi, in sede di giudizio de libertate, non vanno valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, – che, oltre alla gravita’, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – come si desume dall’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, che richiama dell’articolo 192 c.p.p., i commi 3 e 4 ma non il comma 2 cit. articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (Sez. 4, n. 37878 del 06/07/2007, Rv.237475; Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Rv.253511; Sez. 6, n. 7793 del 05/02/2013, Rv. 255053; Sez. 4, n. 18589 del 14/02/2013, Rv. 255928; Sez. 2, n. 26764 del 15/03/2013, Rv. 256731; Sez. 4, n. 22345 del 15/05/2014, Rv. 261963; Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, Rv. 268683; Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, Rv. 269179; Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, Rv. 270172).
Va, inoltre, rammentato che questa Corte – nel richiamare l’articolo 273 c.p.p. che richiede la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza quale indefettibile minimum probatorio per l’adozione di una misura cautelare personale ha affermato – principio che va ribadito – che allorquando sussista una prova diretta, quali le dichiarazioni rese dalla persona offesa, e non soltanto elementi di prova indiziaria, deve escludersi la necessita’ di fare ricorso al concetto di “gravita’” inerente alla prova logica costituente l’indizio in quanto il minimo di gravita’ indiziaria e’ soverchiato dal diverso e piu’ soddisfacente grado di prova acquisita; la dichiarazione della parte offesa del reato di per se’ rappresenta, pertanto, un plus rispetto all’apporto richiesto dall’articolo 273 c.p.p. ed il richiamo ad opera dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis dell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4 non comporta la necessita’ che le dichiarazioni della persona offesa trovino riscontro in elementi esterni, cosi’ che esse possono ancora costituire da sole fonte di prova quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (Sez. 3, n. 39366 del 26/10/2006, Rv. 235521; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010, dep. 20/01/2011, Rv. 249136; Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010, Rv. 247883; Sez. 5, n. 5609 del 20/12/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 258870).
1.2. Va, poi, evidenziato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti relativi all’applicazione di misure cautelari personali e’ ammissibile soltanto se denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez.6, n. 11194 del 8/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Rv. 265244).
Alla Corte di legittimita’ spetta il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicita’, peraltro, deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. Il controllo di legittimita’ e’, percio’, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimita’: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di contraddizioni ed illogicita’ evidenti, risultanti cioe’ prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Rv. 255460).
La funzione di legittimita’ e’, quindi, limitata alla verifica della adeguatezza del ragionamento e della valutazione adottata nel provvedimento sottoposto al suo esame, che deve manifestare con chiarezza ed esaustivita’ quale argomentazione critica lo abbia sorretto nel pervenire alla ricostruzione dei fatti, tenendo conto di tutti gli elementi, sia contro che a favore del soggetto sottoposto al suo esame (Sez. 6, n 40609 del 01/10/2008, Rv. 241214; Sez. 6, n. 18190 del 04/04/2012, Rv. 253006; Sez. 6, n. 27928 del 14/06/2013, Rv. 256262).
1.3. Nella specie, il Tribunale ha ampiamente motivato in ordine alla attendibilita’ della persona offesa, valutando anche i plurimi riscontri esterni alle dichiarazioni della stessa e dando specifica risposta ai rilievi difensivi (pag 3, 4, 5, 6, 7, 8 dell’ordinanza impugnata).
La motivazione e’ congrua e non manifestamente illogica e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimita’.
Le censure che il ricorrente svolge attengono, in sostanza, alla ricostruzione dei fatti ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito e, quindi, sono meramente in fatto e, come tali, non deducibili in sede di legittimita’.
2. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, la disciplina di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3 stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti ivi considerati – tra i quali e’ ricompreso il contestato delitto di cui all’articolo 609-bis c.p. -, una duplice presunzione relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari (an della cautela) e alla scelta della misura (quomodo della stessa).
In presenza di tali reati, come rammentato dal Giudice delle Leggi (cfr. sentenza 231 del 2011), il Giudice deve considerare sussistenti le esigenze cautelari (e l’adeguatezza della carcerazione cautelare) ove non consti la prova della loro mancanza, secondo uno schema di prova di tipo negativo e secondo un modello che, sul piano pratico, si traduce in una marcata attenuazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere che si traduce nell’onere di dar semplicemente atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari; solo nel caso in cui l’indagato abbia allegato elementi di segno contrario, l’obbligo motivazionale diviene piu’ pregnante in quanto il Giudice sara’ tenuto a giustificare la ritenuta inidoneita’ degli stessi a superare la presunzione.
Va, quindi, ribadito il consolidato principio di diritto, in base al quale, qualora sia stata applicata la misura della custodia in carcere per uno dei delitti indicati nell’articolo 275 c.p.p., comma 3, e il giudice di merito non ritenga di poter superare la presunzione relativa, su di lui incombe solo l’obbligo di dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione, mentre l’obbligo di motivazione e’ imposto e diventa piu’ oneroso nell’ipotesi in cui l’indagato o la sua difesa abbiano evidenziato elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari e/o abbiano allegato, o anche solo dedotto l’esistenza ex actis di elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure (Sez. U, n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199387, Sez. 3, n. 1488 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 258017; Sez. 3, n. 48706 del 25/11/2015, Rv. 266029; Sez. 3, n. 33037 del 15/07/2015, Rv. 264190; Sez. 6, n. 53028 del 06/11/2017, Rv.271576).
Nella specie, il Tribunale, nell’ordinanza oggetto del presente ricorso, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura applicata ha argomentato diffusamente richiamando ed analizzando la personalita’ negativa dell’indagato desunta dai numerosi precedenti penali, le modalita’ del fatto, le dinamiche proprie del rapporto con la persona offesa, l’indole aggressiva e la dipendenza da stupefacenti, elementi tutti che rafforzano la presunzione di legge.
Rispetto all’indicato percorso argomentativo le doglianze del ricorrente si collocano ai confini della inammissibilita’, prospettando censure del tutto generiche.
3. Sono inammissibili le allegazioni difensive e documentali di cui alla memoria di replica depositata dal difensore del ricorrente, in quanto introducono elementi sopravvenuti rispetto alla pronuncia della ordinanza impugnata.
Va richiamato il principio secondo cui, in tema di impugnazioni cautelari, eventuali elementi sopravvenuti al momento della chiusura della discussione dinanzi al tribunale del riesame non assumono alcun rilievo nel successivo giudizio di legittimita’, potendo essere fatti valere soltanto con una nuova richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare al giudice competente (Sez. 3, n. 23151 del 24/01/2019, Rv. 275982 – 01); nella specie, peraltro, tanto e’ avvenuto, avendo il Giudice per le indagini preliminari, con provvedimento del 12.11.2020, sostituito la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, decidendo a seguito della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare avanzata dal difensore del ricorrente.
4. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.
5. Segue alla declaratoria di inammissibilita’ la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non sussistendo elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’” (Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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