Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 5 agosto 2020, n. 23588.
In tema di effetti della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di anni otto anziché di anni sei, intervenuta con sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, in caso di condanna irrevocabile per più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, il più grave dei quali sia quello previsto dal citato art. 73, comma 1, il giudice dell’esecuzione che proceda alla rideterminazione della pena inflitta in relazione a detto reato è tenuto a rideterminare anche gli aumenti di pena inflitti per i reati-satellite, sebbene non incisi dalla decisione di incostituzionalità, in quanto, ai sensi dell’art. 81, comma 2, cod. pen. la porzione di pena relativa a detti reati è commisurata alla violazione più grave, non rilevando più i limiti di pena di cui alle rispettive norme incriminatrici, bensì quelli stabiliti in via generale per il reato continuato, del triplo della pena-base o, se più favorevole, della pena che sarebbe applicabile in ipotesi di cumulo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che l’impugnata ordinanza del G.E. avesse correttamente recepito il nuovo accordo raggiunto dalle parti ai sensi dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen, di rideterminazione della pena irrogata al condannato con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. in quanto conforme al principio espresso in massima, rilevandone tuttavia l’illegittimità nella parte in cui estendeva la rideterminazione oggetto di accordo anche alla pena pecuniaria, sottratta agli effetti retroattivi della sentenza della Corte costituzionale e, quindi, resa intangibile dal giudicato).
Sentenza 5 agosto 2020, n. 23588
Data udienza 9 luglio 2020
Tag – parola chiave: Esecuzione – Stupefacenti – Mancato accordo sulla pena da determinarsi – Utilizzo dei criteri di cui agli artt.132 e 133 cp – Pena pecuniaria – Inapplicabilità degli effetti della Sentenza della Corte Costituzionale n. 40/2019 Pena del reato satellite in caso di reato continuato – Riduzione per effetto della sentenza di illegitimità costituzionale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONI Monica – Presidente
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere
Dott. ALIFFI Francesco – rel. Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 27/09/2019 del GIP TRIBUNALE di MILANO;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO ALIFFI;
lette le conclusioni del PG PAOLO CANEVELLI che ha chiesto l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione adito ai sensi dell’articolo 188 disp. att. c.p.p., in accoglimento della richiesta avanzata dall’imputato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 23 gennaio 2019 e con il consenso del pubblico ministero, ha rideterminato nella pena ritenuta congrua di anni 2 mesi 10 di reclusione ed Euro 16.218,00 di multa (pena base anni 6 ed Euro 26.000,00 per la violazione piu’ grave individuata nella detenzione di cocaina, ridotta per la concessione delle attenuanti di cui all’articolo 62 bis c.p., ad anni 4 ed Euro 17.335,00; aumentata ex articolo 81 c.p., comma 2, ad anni 4 mesi 3 ed Euro 34.335,00 per la detenzione di hashish e marijuana, infine ridotta per la scelta del rito) il trattamento sanzionatorio inflitto a (OMISSIS) con sentenza pronunciata dallo stesso ufficio giudiziario che, ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., in data 14 novembre 2017, aveva applicato la pena di anni 4 di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa (pena base anni 8 ed Euro 24.000,00 di multa per la violazione piu’ grave individuata nella detenzione di cocaina, ridotta per la concessione delle attenuanti di cui all’articolo 62 bis c.p., ad anni 5 e mesi 4 ed Euro 16.000,00; aumentata ex articolo 81 c.p., comma 2, ad anni 5 mesi 8 ed Euro 18.500,00 per la detenzione di hashish, ulteriormente aumentata per il reato satellite di detenzione di marijuana fino ad anni 6 ed Euro 21.000,00; infine ridotta per la scelta del rito).
2. Ricorre avverso l’ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano denunziando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione rilevando come il Tribunale, in aperto contrasto con il giudicato, ha inglobato, sia pure recependo l’accordo delle parti, nella rideterminazione anche la pena pecuniaria e l’aumento della pena detentiva relativo ai reati satellite di detenzione di stupefacente leggero, quantificando l’una e l’altro in misura diversa da quella fissata nel giudizio di cognizione (la pena pecuniaria della multa e’ stata aumentata da Euro 24.000,00 ad Euro 26.000,00, mentre l’aumento ex articolo 81 c.p., comma 2, e’ stato ridotto da 8 a 3 mesi di reclusione), nonostante non fossero coinvolti nella declaratoria di in incostituzionalita’, espressamente limitata dalla Consulta alla pena detentiva prevista per le droghe c.d. pesanti.
2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione evidenziando come l’ordinanza impugnata abbia recepito un accordo ex articolo 188 disp. att. c.p.p., che pone tra gli elementi che concorrono alla determinazione della pena anche la concessione delle circostanze attenuanti generiche senza indicare,-come invece richiesto dall’esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dagli articoli 132 e 133 c.p., in tema di rivalutazione della pena secondo l’orientamento ermeneutico prevalso nella giurisprudenza costituzionale ed in quella di legittimita’ richiamatarle ragioni poste a fondamento della persistenza delle condizioni valutate dal giudice della cognizione per concedere il beneficio ossia lo stato di incensuratezza e la necessita’ di adeguare la pena al disvalore del fatto.
2.3. Con il terzo motivo deduce, infine, vizio di motivazione evidenziando come l’ordinanza impugnata, partendo dall’erronea premessa che la sentenza della Corte Costituzionale imponga sempre ed in via automatica la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in senso piu’ favorevole al condannato, non abbia fornito alcuna giustificazione sulla congruita’ della pena come rideterminata rispetto alla gravita’ dei fatti accertati in sede cognitiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ parzialmente fondato nei limiti chiariti nel prosieguo.
Preliminarmente, va ricordato che – come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 37107 del 26/02/2015, ricorrente Marcon, occupandosi degli effetti prodotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 2014 in materia di stupefacenti di tipo c.d. leggero – quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di applicazione di pena ex articolo 444 c.p.p., interviene la dichiarazione d’illegittimita’ costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudicato permane quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilita’ soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, ma il giudice della esecuzione deve rideterminare la pena, attesa la sua illegalita’ sopravvenuta, in favore del condannato con le modalita’ di cui al procedimento previsto dall’articolo 188 disp. att. c.p.p., e solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, provvede autonomamente ai sensi degli articoli 132 – 133 c.p.. Cio’ non significa che la rideterminazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione debba necessariamente avvenire in base al criterio matematico-proporzionale, realizzando una sorta di automatismo nell’individuazione della sanzione nel tentativo di replicare le medesime scelte operate nell’originario accordo intervenuto tra le parti. Il giudice dovra’ invece procedere alla rideterminazione della pena utilizzando i criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalita’ che tengano conto della nuova perimetrazione edittale. Come piu’ di recente precisato dalla giurisprudenza di legittimita’ successiva alla sentenza della Corte Costituzionale n. 40/2019, non si rinvengono argomenti per approdare ad esiti differenti quando l’operazione di “riqualificazione sanzionatoria” debba essere compiuta per fatti riguardanti sostanze stupefacenti di tipo “pesante” a seguito della declaratoria di illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1. L’esclusione da parte delle Sezioni Unite del ricorso a criteri automatici di quantificazione del trattamento punitivo in fase esecutiva non e’ stata giustificata in dipendenza della riconosciuta illegittimita’ costituzionale dell’intero paradigma normativo, comprensivo sia del limite minimo, che di quello massimo, ma della necessita’ di raggiungere soluzioni differenziate ed aderenti al caso specifico e di evitare che, respingendo il concordato tra le parti per incongruita’ della pena rideterminata, permanga in esecuzione un trattamento illegale. Tale esigenza non viene meno solo perche’ la declaratoria d’incostituzionalita’ ha colpito la soglia punitiva minima di otto anni di reclusione, sostituita con quella di sei anni. Inoltre, la tesi qui affermata non comporta nemmeno la negazione della matrice pattizia del procedimento, ma soltanto il suo coordinamento con l’esigenza insopprimibile che la sanzione inflitta sia congrua e proporzionata, oltre che legale perche’ commisurata in base ai corretti indici normativi di riferimento: in altri termini, non si vuole significare che il giudice dell’esecuzione possa procedere direttamente alla nuova quantificazione della pena, disinteressandosi dell’accordo che le parti gli sottopongono, ma soltanto che gli deve essere riconosciuto il potere, in caso di verificata inadeguatezza della nuova misura di pena concordata, di operare in via autonoma, anche se al di fuori di ogni rigido automatismo di trasposizione della pena in precedenza inflitta nell’ambito della nuova cornice edittale.
In definitiva, il giudice dell’esecuzione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 23/01/2019 dichiarativa della illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in riferimento alle sostanze di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14 dello stesso testo normativo nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziche’ di sei anni, se sia richiesto di accogliere il nuovo accordo delle parti sulla rideterminazione della pena che tenga luogo di quella inflitta con sentenza irrevocabile di patteggiamento, deve valutare l’istanza congiunta delle parti e puo’ rideterminare la pena in favore del condannato soltanto in caso di mancato accordo, ovvero di pena ritenuta incongrua; in questo secondo caso, senza fare ricorso a criteri automatici di tipo aritmetico, provvede in via autonoma e discrezionale ai sensi degli articoli 132 – 133 c.p., pur nel rispetto dell’accordo originariamente intervenuto tra le parti quanto agli elementi influenti sulla pena, non coinvolti nel giudizio di illegittimita’ costituzionale (Sez. 1, n. 51086 del 20/11/2019, Saliasi Arber, Rv. 277867).
3. Naturalmente il giudice dell’esecuzione, che, come gia’ precisato, diventa titolare, per consentire la conformazione delle sanzioni inflitte ai nuovi limiti edittali determinati dall’intervento della Corte Costituzionale, di un autonomo potere di valutazione della congruita’ della pena al punto che puo’ provvedervi in via officiosa, non puo’ legittimamente recepire accordi ex articolo 188 disp. att. c.p.p., che contengano una pena illegale. Trova, infatti, applicazione anche in questa particolare sede esecutiva il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ nettamente prevalente con riferimento alle sentenze emesse ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., secondo cui quando l’accordo tra le parti da’ luogo ad applicazione di una pena illegale, che viene, quindi, ad essere illegittimamente ratificata dal giudice, l’invalidita’ della base negoziale sulla quale e’ maturato l’accordo si ripercuote sulla pronuncia che lo ha recepito. determinandone la nullita’ che puo’ anche essere fatta valere dal pubblico ministero con il ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 44948 del 16/10/2019, PG C/ Perdicaro, Rv. 277382; Sez. 5, n. 1411 del 22/09/2006, dep. 2007, Braidich, Rv. 236033).
4. Nel caso in scrutinio il Giudice per le indagini preliminari ha ratificato un accordo che – pur contenendo una pena base per la violazione piu’ grave, tra quelle poste in continuazione, correttamente determinata a seguito della rinnovazione della valutazione sanzionatoria imposta dagli effetti retroattivi della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019, ossia secondo i criteri di cui agli articoli 132 e 133 cod., con necessaria riduzione della pena, anche se non in misura predeterminata, (cfr. Sez. 1, n. 2036 del 11/12/2019, dep. 2020, Selistha Bledar, Rv. 278198; Sez. 1, n. 51959 del 30/10/2019, Haziraj Armend, Rv. 277735) – da comunque luogo all’applicazione di una pena finale illegale perche’ risultato anche della rideterminazione di un elemento, quale la pena pecuniaria, che, invece, e’ sottratto agli effetti retroattivi in bonam partem della sentenza della Corte Costituzionale e che, di conseguenza, non e’ passibile di modifica alcuna a seguito della formazione del giudicato.
5. A diversa conclusione deve pervenirsi per l’aumento relativo ai reati satellite. E’ vero che il loro trattamento sanzionatorio, a differenza di quello della violazione piu’ grave, non e’ stato interessato dalla pronuncia di incostituzionalita’ (i fatti avente ad oggetto stupefacente leggero sono stati commessi in epoca successiva alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014), ma e’ altrettanto vero che ai sensi dell’articolo 81 c.p., comma 2, la porzione di pena relativa ai singoli reati satellite deve essere necessariamente, commisurata alla violazione piu’ grave senza che rilevino i limiti legali delle pena previsti dalle rispettive norme incriminatrici (ex plurimis, piu’ di recente, Sez. 4, n. 54797 del 20/09/2017, Chimenti, Rv. 271657), trovando applicazione esclusivamente i limiti fissati in via generale, sia per sede cognitiva che per quella esecutiva, dall’articolo 81 c.p., commi 1 e 2, con il riferimento al triplo della pena-base ovvero, se piu’ favorevole, dalla pena che sarebbe applicabile in caso di cumulo (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270073 e Sez. U, n. 6296 del 24/11/2016, dep. 2017, Nocerino, Rv. 268735). Il minimo e massino edittale del reato continuato non sono quelli previsti per i reati che lo compongono, ma quelli autonomamente stabiliti dalla norma generale di cui all’articolo 81 c.p., comma 1, in stretta correlazione alla violazione piu’ grave nella misura variabile fino al triplo di quest’ultima. Certamente, per la commisurazione dell’aumento ex articolo 81 c.p., comma 2, deve essere considerata, in applicazione dei parametri fissati dall’articolo 133 c.p., comma 1, la gravita’ e le altre caratteristiche oggettive della singola violazione satellite, ma e’ innegabile che la sua misura deve sempre essere parametrata al quantum della violazione piu’ grave sicche’ anche quando il trattamento sanzionatorio di quest’ultima e’ dichiarato incostituzionale, con conseguente riduzione dei limiti edittali, gli effetti favorevoli non possono non ripercuotersi anche nella pena inflitta per il reato satellite che, pertanto, deve essere corrispondentemente ridotta dal giudice dell’esecuzione cosi’ da renderla adeguata a quella della violazione piu’ grave su cui e’ computata.
6. Manifestamente infondati sono il secondo e’ il terzo motivo relativo all’omessa valutazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche gia’ riconosciute in sede cognitiva e all’omessa valutazione della gravita’ del reato.
Come si e’ accennato, il giudice dell’esecuzione non puo’ esaurire il proprio compito delibativo confermando la pena gia’ inflitta, perche’ rientrante nell’ambito sia della forbice punitiva della norma precedente sia di quella attualmente vigente, ma deve, al contrario, procedere – a prescindere in caso di reati unificati sotto il vincolo della continuazione, se il reato interessato alla pronuncia di incostituzionalita’ costruisca la violazione piu’ grave o il reato satellite (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263717) – ad una vera e propria rinnovazione in concreto della valutazione sanzionatoria secondo i criteri di cui agli articoli 132 e 133 cod., con necessaria riduzione della pena, anche se non in misura predeterminata (cfr. Sez. 1, n. 2036 del 11/12/2019, dep. 2020, Selistha Bledar, Rv. 278198; Sez. 1, n. 51959 del 30/10/2019, Haziraj Armend, Rv. 277735). Non ha, invece, il potere di modificare statuizioni coperte dal giudicato quali quelle afferenti al riconoscimento di elementi circostanziali attenuanti non attinti dalla decisione di legittimita’, all’eventuale giudizio di bilanciamento ed alla misura delle relative diminuzioni di pena eseguite in fase di cognizione (cfr. Sez. 1, n. 49106 del 08/11/2019, Cuomo, Rv. 278076; Sez. 1 n. 3280 del 12/11/2019, dep. 2020, Porcellini, Rv. 277857).
7. L’ordinanza impugnata, di conseguenza, va annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Milano che dovra’ riesaminare l’istanza alla luce dei principi di diritto sopra esposti ed evitando gli errori giuridici riscontrati in materia di quantificazione della pena pecuniaria
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al G.I.P. del Tribunale di Milano.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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